È costituzionalmente compatibile la disciplina del termine di grazia, che non esclude la risoluzione in caso di sanatoria incompleta

Mauro Di Marzio
03 Giugno 2020

Una volta concesso il termine di grazia, se il conduttore non riesce a sanare integralmente la morosità, cosa deve fare il giudice? Deve ineluttabilmente pronunciare l'ordinanza di convalida? Deve farlo anche in ipotesi in cui la morosità residua risulti irrisoria? Anche se, ad esempio, la morosità maturata all'udienza di verifica ammonti a diecimila euro ed il conduttore ne abbia pagato solo novemilanoveccentonovantanove? Oppure deve pronunciare sentenza dopo la trasformazione del rito?
Massima

In materia di locazioni ad uso di abitazione, non contrasta con gli art. 2, 3 e 111 Cost. l'art. 55, u.c., l. 27 luglio 1978, n. 392, che, nel disciplinare la sanatoria giudiziale della morosità ad opera del conduttore, stabilendo che il pagamento effettuato in conformità alla previsione normativa «esclude la risoluzione del contratto», non prevede che l'esclusione della risoluzione, all'esito dell'assegnazione del cd. «termine di grazia», trovi applicazione non solo nell'ipotesi di integrale sanatoria, ma anche in quello in cui residui il pagamento delle sole spese processuali ovvero in ogni altra ipotesi in cui, al momento della decisione, la caducazione del rapporto contrattuale, tenuto conto dell'entità del debito residuo per canoni scaduti, oneri accessori o interessi, avuto riguardo alle reciproche posizioni delle parti, determini un sacrificio sproporzionato dell'interesse abitativo del conduttore.

Il caso

In due distinti procedimenti di sfratto per morosità, l'uno per il mancato pagamento di quattro mensilità del canone, l'altro di tre mensilità, ciascuna dell'importo di € 500, i conduttori chiedono e ottengono dal giudice adito, il tribunale di Modena, l'assegnazione del termine di grazia previsto dall'art. 55 della l. n. 392/1978, c.d. dell'«equo canone» (si tratta dunque di locazioni abitative, le uniche alle quali la norma si applica), ma, all'udienza di verifica, i locatori dichiarano la persistenza della morosità: nel primo caso per € 322,50, nel secondo caso per € 250,00 (dunque per importi inferiori ad una mensilità del canone), in entrambi oltre le spese di lite.

Il giudice non convalida gli sfratti, ma solleva questione di legittimità costituzionale del citato art. 55 laddove non esclude la risoluzione, oltre che nel caso di integrale sanatoria della morosità intimata e di quella maturata sino all'udienza di verifica, oltre le spese, anche in quello di pagamento pur non integrale, qualora il debito residuo non sia di entità tale da giustificare il sacrificio del diritto del conduttore al godimento del bene concesso in locazione per un uso abitativo.

Secondo il tribunale, la previsione della convalida dello sfratto per morosità anche in siffatta eventualità determinerebbe una violazione degli artt. 2, 3 e 111 della Costituzione.

La Corte costituzionale dichiara non fondate le questioni di costituzionalità.

La questione

Una volta concesso il termine di grazia, se il conduttore non riesce a sanare integralmente la morosità, cosa deve fare il giudice? Deve ineluttabilmente pronunciare l'ordinanza di convalida? Deve farlo anche in ipotesi in cui la morosità residua risulti irrisoria? Anche se, ad esempio, la morosità maturata all'udienza di verifica ammonti a diecimila euro ed il conduttore ne abbia pagato solo novemilanoveccentonovantanove? Oppure deve pronunciare sentenza dopo la trasformazione del rito?

Le soluzioni giuridiche

L'ampia pronuncia in commento si sofferma anzitutto sui caratteri salienti dell'azione di risoluzione del contratto per inadempimento, da parte del conduttore, dell'obbligazione di pagamento del canone, sia se introdotta nelle forme del procedimento ordinario, sia se introdotta mediante il procedimento di sfratto per morosità.

Viene rammentato che, a tenore dell'art. 1453 c.c., in combinato disposto con l'art. 1455 c.c., il locatore può ottenere la pronuncia di risoluzione contrattuale se l'inadempimento del conduttore è «grave» e che, una volta chiesta la risoluzione, questi, in applicazione dell'ultimo comma della disposizione, non può più adempiere, sicché l'importanza dell'inadempimento — importanza la cui soglia, per le locazioni abitative, è fissata dal legislatore nella misura di una mensilità del canone, decorsi 20 giorni dalla scadenza: art. 5 l. n. 392/1978 — va verificata per l'appunto a tale data.

Si rimarca, poi, il peculiare assetto del procedimento per convalida, all'interno del quale la pronuncia dell'ordinanza di convalida, pronuncia che — ricorda il giudice delle leggi — determina anch'essa la risoluzione del contratto, è subordinata all'attestazione del locatore di persistenza della morosità: e ciò val quanto dire che il conduttore, pur non potendo adempiere l'obbligazione di pagamento del canone successivamente all'introduzione del giudizio di risoluzione, poiché detto adempimento, tale da escludere definitivamente la risoluzione, gli è impedito dall'ultimo comma dell'art. 1453 c.c., può nondimeno bloccare la pronuncia dell'ordinanza di convalida attraverso il pagamento della morosità maturata.

La Corte costituzionale si sofferma quindi sulla disciplina complessiva della sanatoria giudiziale della morosità, prevista, per le sole locazioni abitative (Cass. civ., Sez. Un., 28 aprile 1999, n. 272), dall'art. 55 della citata l. n. 392/1978. Viene sottolineata la profonda differenza che ricorre tra il congegno di attestazione della persistenza della morosità, nel quadro del procedimento per convalida, e la sanatoria giudiziale della morosità, sia nella forma del pagamento banco iudicis, sia in quella del pagamento effettuato all'esito dell'assegnazione del termine di grazia: se il conduttore determina la non persistenza della morosità prima che il giudice abbia a pronunciarsi sull'ordinanza di convalida, e cioè se paga i canoni che deve, ciò impedisce la pronuncia dell'ordinanza, ma non impedisce che il contratto di locazione venga dichiarato risolto per inadempimento del conduttore, quantunque non con tale ordinanza ma con sentenza pronunciata nelle forme ordinarie all'esito della trasformazione del rito prevista dall'art. 667 c.p.c.; se il conduttore paga il dovuto avvalendosi della sanatoria giudiziale, ciò non soltanto preclude la pronuncia dell'ordinanza di convalida, ma, secondo quanto stabilisce l'art. 55l. n. 392/1978, «esclude la risoluzione del contratto»: per dirla in modo non curiale, se il conduttore paga avvalendosi della sanatoria giudiziale, viene a trovarsi nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se avesse esattamente, e dunque tempestivamente, adempiuto l'obbligazione di pagamento del canone nei termini contrattuali. Ergo, la sanatoria opera sul piano del processo, ma ciò perché, a monte, incide sul rapporto sostanziale, cancellando l'inadempimento.

Ma — ecco il punto — il meccanismo di favore del conduttore ad uso abitativo istituito dall'art. 55l. n. 392/1978 richiede non la semplice purgazione della mora, ma il pagamento dell'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino all'udienza, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate dal giudice. Insomma, sì all'esclusione della risoluzione del contratto, ma solo se il pagamento effettuato banco iudicis o nel termine di grazia è integrale, nei termini normativamente previsti, senza che sia dunque possibile una nuova verifica della gravità dell'inadempimento rapportata a quanto eventualmente mancante per la realizzazione dell'integrale sanatoria (Cass. civ., 29 luglio 2013, n. 18224).

Tale previsione, osserva la Corte costituzionale:

- non contrasta con l'art. 3 Cost., giacché pone un precetto non irragionevole, frutto di un bilanciamento discrezionale degli interessi da parte del legislatore, volto ad accordare al conduttore ad uso abitativo una tutela particolarmente intensa, sicché è legittimo che il legislatore, nel prevedere una disciplina speciale in bonam partem per il conduttore, non abbia inteso estendere tale regime, già di carattere eccezionale, a ipotesi ulteriori come quelle indicate dalle ordinanze di rimessione;

- non contrasta con l'art. 111 Cost. per violazione del «giusto processo», giacché è consentito differenziare i modi della tutela giurisdizionale allo scopo di adeguarli al conseguimento di determinate finalità, tra le quali assume rilevanza quella di definire il giudizio evitando abusi del diritto di difesa da parte del conduttore moroso che protragga eccessivamente il godimento del bene locato;

- non contrasta con l'art. 2 Cost., poiché il principio di buona fede oggettiva non può essere invocato, a fronte di un inadempimento grave di una parte, quando l'altra abbia esercitato la propria legittima facoltà di agire in giudizio per la risoluzione negoziale, facoltà il cui esercizio impedisce di regola l'adempimento tardivo.

In definitiva, è dichiarata non fondata la questione sollevata dal giudice remittente.

Osservazioni

La chiara e puntuale pronuncia della Corte costituzionale afferma che l'art. 55 l. n. 392/1978 non manifesta i profili di incostituzionalità denunciati dal tribunale di Modena: ma non spiega espressamente — com'è ovvio, del resto, giacché non era certo questo il suo compito — che cosa debba fare il giudice all'udienza di verifica, dopo l'assegnazione del termine di grazia, se il conduttore abbia sanato la morosità, ma non abbia pagato le spese, oppure se, oltre ad aver omesso il pagamento di queste ultime, abbia effettuato una sanatoria non integrale, lasciando residuare un qualche debito per canoni (o per oneri accessori o interessi) irrisorio e comunque inferiore ad una mensilità.

La sentenza, però, sembra indicare i fondamentali punti fermi da considerare per l'individuazione della soluzione corretta: ponendo l'accento sia sul congegno che conduce alla convalida attraverso la non opposizione del conduttore, sia su quello che richiede al locatore di attestare la persistenza della morosità.

Se è vero che la sanatoria giudiziale è tale se completa — il che è un punto fermo —, non v'è dubbio che una sanatoria non soltanto totalmente mancante, ma anche incompleta, non produca l'effetto di cancellazione dell'inadempimento che l'art. 55l. n. 392/1978 vi riconnette. Pensarla diversamente significherebbe radere al suolo l'ultimo comma dell'art. 1453 c.c., che a buon diritto possiamo considerare un pilastro del sistema. Né, come oggi chiarisce la Corte costituzionale, il precetto in tal modo dettato presenta profili di incostituzionalità.

Ma questo non vuol dire che alla sanatoria incompleta debba sempre, così e semplicemente, seguire l'ordinanza di convalida e, a ben vedere, neppure la sentenza dichiarativa della risoluzione.

Immaginiamo anzitutto che il conduttore abbia sanato la morosità, ma non abbia pagato le spese. Talora la S.C. ha affermato che, in tal caso, non realizzandosi l'effetto di purgazione della mora previsto dalla norma, il giudice dovrebbe senza meno convalidare lo sfratto (Cass. civ., 7 agosto 1996, n. 7253; Cass. civ., 9 febbraio 1998, n. 1320). Viceversa, la pronuncia in commento, ponendo il rilievo l'importanza della persistenza della morosità, sembra piuttosto confortare l'opposto orientamento, il quale muove dall'osservazione che l'art. 663, comma 3, c.p.c., subordina la pronuncia dell'ordinanza di convalida all'attestazione di persistenza della morosità e, in tal modo, mostra di consentire l'emissione del provvedimento soltanto nel caso che il credito del locatore sia attualmente pregiudicato dall'inadempimento del conduttore, mancando ogni ragione, in caso contrario, per riconoscere al primo la tutela differenziata che il procedimento per convalida garantisce.

Occorre, allora, intendersi sul significato della persistenza della morosità, qualora il conduttore non abbia pagato le spese: la morosità, per un verso, certamente persiste, nel senso che, in mancanza del pagamento delle spese, non si realizza l'effetto di purgazione della mora; ma, d'altro canto, non persiste nel senso dell'art. 663, comma 3, c.p.c., il quale si riferisce — e non avrebbe potuto essere altrimenti — alla sola morosità per canoni insoluti, e non agli interessi e alle spese, le quali attengono esclusivamente al subprocedimento di sanatoria. Se, dunque, sia stata sanata la morosità, senza spese, da un lato non potranno essere pronunciate né l'ordinanza di convalida, né l'ordinanza di rilascio (giacché anch'essa presuppone la persistenza della morosità), dall'altro lato il conduttore non avrà realizzato lo scopo di purgazione della mora e, pertanto, rimarrà esposto — fatte salve le considerazioni che seguono sull'opposizione — alla pronuncia di risoluzione resa all'esito della fase ordinaria del procedimento, dopo la trasformazione del rito (Trib. Verona 25 marzo 2003).

Supponiamo poi, come nei casi esaminati dal tribunale di Modena, che il conduttore non solo non abbia pagato le spese, ma non abbia neppure integralmente corrisposto quanto dovuto per canoni fino all'udienza di verifica, lasciando però residuare per canoni un debito inferiore ad una mensilità.

Qui, secondo alcune decisioni di legittimità, il giudice, in assenza di opposizione, sarebbe tenuto a convalidare (Cass. civ., 18 aprile 1989, n. 1835; Cass. civ., 27 aprile 1994, n. 3977). Sul che, mancando l'opposizione, si può convenire senza troppo sottilizzare. E, almeno nel primo dei procedimenti per convalida introdotti dinanzi al tribunale di Modena, l'opposizione non c'era (quanto al secondo sembra che la sentenza in commento non si pronunci espressamente), sicché bene l'ordinanza di convalida avrebbe potuto essere adottata.

Secondo altre decisioni, nel caso di concessione del termine di grazia rimasto inosservato, anche solo in parte, il giudice non potrebbe che convalidare lo sfratto per morosità, anche in presenza di opposizione dell'intimato, che — ha in più occasioni ribadito la S.C. — rimarrebbe travolta dalla prevalente volontà solutoria insita nella scelta di accedere alla sanatoria (p. es. Cass. civ., 5 aprile 2012,n.5540).

La pronuncia della Corte costituzionale pare però ancora una volta offrire argomento per prendere le distanze da quest'ultima draconiana soluzione, ove richiama i propri precedenti, secondo i quali il procedimento per convalida è sì costituzionalmente compatibile e, in particolare, non ne lede l'art. 24 Cost. , ma ciò «poiché non vi è alcuna compromissione del diritto di difesa del conduttore intimato il quale, se decide di proporre opposizione, beneficia delle garanzie processuali di un giudizio a cognizione piena ed esauriente sulla risoluzione negoziale». Se, cioè, c'è un'opposizione, il procedimento per convalida di sfratto per morosità non può mai e in nessun caso concludersi con l'ordinanza di convalida, ma richiede la sentenza, indipendentemente dalla circostanza che sia stato richiesto o no il termine di grazia.

Non è il caso, qui, di esaminare con maggiore approfondimento l'opinione della S.C. secondo cui opposizione alla convalida e sanatoria giudiziale non sarebbero compatibili. Ci limiteremo ad un semplice esempio. Il locatore lamenta il mancato pagamento di una mensilità di canone di mille euro. Il conduttore si oppone alla convalida e sostiene che il canone è di cinquecento euro, in forza del contratto di locazione scritto e registrato, mentre il patto di maggiorazione del canone a mille euro, posto dal locatore a base dell'intimazione di sfratto, è nullo, in ossequio al principio affermato da Cass. civ., Sez. Un., 9 ottobre 2017, n. 23601; tuttavia egli non ha nessuna intenzione di affrontare il rischio di imbattersi in un giudice di merito che la pensa diversamente dalla Cassazione, ovvero di subire medio tempore un sempre possibile révirement di quest'ultima. Dunque, essendo altresì in difficoltà economica, chiede il termine di grazia per pagare ciò che gli viene richiesto, ossia mille euro, con interessi, oneri accessori e spese, ma, all'esito dell'assegnazione del termine riesce a pagare soltanto novecentonovantanove euro, oltre interessi, oneri accessori e spese. Seguendo l'insegnamento della S.C. il giudice, in tal caso, dovrebbe convalidare.

La sentenza della Corte costituzionale, nel delineare i caratteri essenziali del procedimento per convalida, in conformità alle proprie passate decisioni, sottolinea invece il rilievo dell'opposizione alla convalida, nel quadro costituzionale, e, così, induce a chiedersi se non debba essere recuperato l'orientamento secondo cui il provvedimento da pronunciare ove l'intimato abbia chiesto il termine di grazia senza poi rispettarlo, non sia altro che, esattamente, lo stesso provvedimento che avrebbe dovuto essere pronunciato se il subprocedimento di sanatoria non fosse neppure esordito. Sicché, nell'ipotesi di sanatoria mancante o incompleta la fase sommaria del giudizio si concluderà con pronuncia dell'ordinanza di convalida quando l'intimato non abbia proposto opposizione, mentre darà luogo a pronuncia o diniego dell'ordinanza di rilascio quando il conduttore si sia opposto alla convalida, senza che la precedente richiesta del beneficio, non seguita dalla purgazione della mora, possa ridondare quale decisivo elemento di giudizio in danno dell'intimato.

Riferimenti

Di Marzio-Di Mauro, Il processo locatizio, Milano, 2011.

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