Può il singolo condomino usucapire le parti comuni dell'edificio?

Guerino De Santis
08 Giugno 2020

L'usucapione è un istituto del diritto civile che consente al possessore di acquistare la proprietà di un bene in via originaria attraverso l'esercizio del potere di fatto sulla cosa (per un periodo predeterminato per legge) che si sia svolto in maniera pacifica ed indisturbata o senza che il proprietario abbia compiuto atti concludenti tesi a disturbare il possesso. Attraverso il commento alla sentenza del Tribunale di Belluno, si disaminare una delle questioni più spinose che si verificano nell'universo dei rapporti condominiali: la possibilità da parte del singolo condomino di usucapire i beni comuni.
Massima

L'usucapione, quale modo di acquisto della proprietà a titolo originario, è idonea a consentire anche l'acquisto di una quota indivisa della proprietà, lasciando impregiudicate le altre proprietà, purchè corrispondente al possesso esercitato.

Il caso

Alcuni condomini ricorrevano al Tribunale di Belluno per sentirsi dichiarare proprietari ab origine di alcune parti comuni in un condominio in Cortina D'Ampezzo, sostenendo che il costruttore in vari atti e passaggi tra gli anni '50 e '60 aveva omesso di includere alcuni spazi obiettivamente comuni tra quelli in uso a tutti i condomini, favorendo così un uso esclusivo delle stesse da parte delle istanti per un periodo di tempo molto prolungato e comunque sufficiente a coprire il ventennio richiesto dalla legge.

Gli altri condomini si costituivano in giudizio riconoscendo sostanzialmente il possesso esclusivo delle parti comuni in capo alle attrici.

La questione

La sentenza in commento ha dovuto affrontare la questione ricostruendo in maniera non facile i rapporti tra parti esclusive e parti comuni, così come previsti dal costruttore di un grosso complesso sito in Cortina D'Ampezzo, atteso che questi aveva costruito il fabbricato in due momenti diversi nel corso del decennio 1950-1960 trasformando, da quanto è dato capire, un locale ristorante previsto nella prima costruzione, in parte comune a servizio di alcune proprietà esclusive con la seconda costruzione, senza prevedere nell'atto successivo la modifica, favorendo così l'uso esclusivo da parte delle attrici delle aree che comunque erano assistite da presunzione di condominialità.

Pur non essendovi contrasto nei rapporti tra condomini sul punto (circostanza abbastanza rara), i condomini possessori di dette parti comuni dal momento della seconda costruzione (anni '60) danno adito ad un giudizio di riconoscimento dell'acquisto originario della proprietà delle parti in comunione che trova accoglimento nella sentenza in commento.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale adito accoglie la domanda partendo dal presupposto che in situazioni del genere (possesso ultraventennale delle parti comuni da parte di alcuni condomini e aderenza alla posizione da parte degli altri condomini) i richiedenti non avevano altra possibilità di farsi riconoscere proprietari se non quella di ricorrere appunto al giudice (Cass. civ, sez. II, 6 dicembre 2011, n. 26241) e che il compossesso delle parti comuni utile all'usucapione si caratterizza quale uso analogo a quello degli altri comproprietari, pubblicamente esercitato per il tempo necessario (Cass. civ., sez. II, 14 giugno 2000 n. 8122).

Si sofferma il giudicante ad osservare che “le problematiche giuridiche in ordine alla titolarità delle parti comuni siano state originate dalla prima divisione in porzioni, intavolata nel 1957, nonché dal frazionamento dell'originaria porzione “uno” effettuata dal costruttore nel 1959… e che il possesso esercitato animo domini dalle attrici è stato sempre commisurato alle quote millesimali…” per un periodo tale, atto a giustificare la domanda di acquisto per usucapione ex art. 1158 c.c. del diritto di proprietà per le quote dei suddetti beni (portineria, deposito sci, salotti).

Rileva, inoltre, il Tribunale che gli altri condomini (che ricordiamo aderivano alla domanda) “non potevano ignorare il possesso esercitato dalle attrici sulle parti comuni stante l'accesso agli appartamenti ed ad alcune zone comuni direttamente dall'ingresso principale, l'esistenza delle porte di accesso a due degli appartamenti direttamente sui corridoi interni, l'utilizzo di tutti i beni condominiali da parte loro, l'utilizzo da sempre concesso per l'appartamento del portiere da parte dell'intero condominio”.

“Per oltre cinquant'anni anche i proprietari delle porzioni oggi allibrate ai convenuti” continua il giudice bellunese “hanno sempre ritenuto che la condizione di diritto fosse corrispondente a quella di compossesso esercitata di fatto: mai nessun contrasto è stato opposto alla situazione”.

Osservazioni

È un dato certo che il condomino può usucapire la cosa di proprietà comune senza necessità di una interversione del possesso, ai sensi dell'art. 1164 c.c., in quanto ha già su quel bene un godimento corrispondente all'esercizio del diritto dominicale, ma semplicemente attraverso un'estensione del possesso medesimo in termini di esclusività.

Per fare ciò però deve ricorrere un presupposto: la volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus.

La dottrina e soprattutto la giurisprudenza hanno contributo in maniera determinante all'affermazione del principio.

Una delle prime decisioni in materia ha affermato che non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso della cosa, ma occorre che detto condomino ne abbia goduto in modo obiettivamente inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, e tale da evidenziare un'equivoca volontà di possedere uti dominus (Cass. civ., sez. II, 15 novembre 1977, n. 4986).

Anche i giudici di primo grado, nell'affrontare la problematica per primi, scrivevano che, ai fini dell'usucapione delle cose comuni da parte del condomino, è indispensabile che questi faccia venir meno il presupposto della destinazione della cosa all'uso comune e che perché questa condizione si verifichi si richiede che il condomino abbia posseduto la cosa animo domini ed in modo esclusivo (Trib. Spoleto 9 marzo 1982).

Un condomino può usucapire la quota degli altri condomini senza che sia necessaria una vera e propria interversione del titolo del possesso mediante comportamento oppositivo, esercitando il potere di fatto sul bene in termini di esclusività, alleghi e dimostri di aver goduto del bene stesso in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus senza opposizione per il tempo utile ad usucapire (Cass. civ, sez. II, 23 luglio 2010, n. 17322; Cass. civ., sez. II, 20 settembre 2002 n. 13747, e in tema di comunione Trib. Monza, 10 giugno 2010, n. 1781).

Ed ancora, il comproprietario che sia nel possesso del bene comune può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri comunisti, senza necessità di interversione del titolo del possesso e, se già possiede animo proprio ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, a tal fine occorrendo che goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare in modo univoco la volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus (Cass. civ., sez. II, 10 novembre 2011, n. 23539)

In pratica, a fondamento di tale tipo di usucapione, devono porsi degli atti, univocamente rivolti contro i compossessori, tali da rendere riconoscibile a costoro l'intenzione di non possedere più come semplice compossessore, ma come possessore esclusivo (Cass. civ., sez. II., 31 agosto 2015, n. 17321).

Contrari alla non necessità di dimostrare un'interversione del titolo del possesso alcune decisioni secondo cui il condomino che deduce di aver usucapito la cosa comune deve provare di averla sottratta all'uso comune per il periodo utile all'usucapione dimostrando una condotta diretta a rilevare in modo inequivocabile che si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, non bastando al riguardo la prova del mero non uso da parte degli altri condomini, stante l'imprescrittibilità del diritto in comproprietà (Cass. civ.,sez. II, 2 marzo 1998, n. 2261).

Infine, sempre nel solco di tale ultima interpretazione, la disposizione dell'art. 1102, comma 2, c.c., secondo cui il partecipante alla comunione non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso, impedisce al compossessore che abbia utilizzato la cosa comune oltre i limiti della propria quota non solo l'usucapione ma anche la tutela possessoria del potere di fatto esercitato fino a quando questo non si riveli incompatibile con l'altrui possesso (Cass. civ.,sez. II., 25 novembre 1995, n. 12231).

Guida all'approfondimento

Cian, Usucapione e comunione legale dei beni, in Riv. dir. civ., 1989, IV, 251

Conforti, Usucapione (voce), in Enc. giur., XXXII, Roma, 1994

De Tilla, Il possesso, tomo II, Milano, 2005, 1613

Ruperto, L'usucapione, Milano, 1992, 196

Santoro Passarelli, Possesso e usucapione nella comunione, in Raccolta di scritti in memoria di Angelo Lener, Napoli, 1989, 1009

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