Le deduzioni di fatti secondari non sono soggette alle preclusioni dettate per l'allegazione dei fatti costitutivi della domanda

Sergio Matteini Chiari
16 Giugno 2020

La questione affrontata nella pronuncia in esame è quella consistita nello stabilire se, ai fini dell'apprezzamento del nesso causale tra l'inadempimento professionale dell'originario convenuto e il ridotto soddisfacimento coattivo del credito accertato in favore dell'originaria attrice in sede di controversia lavoristica, si potesse tenere in considerazione iscrizione ipotecaria eseguita nei confronti degli ex datori di lavoro della medesima, non specificamente menzionata nell'atto di citazione ma, per la prima volta, nella memoria istruttoria redatta ai sensi dell'art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c.
Massima

La deduzione di un fatto secondario non è soggetta alle preclusioni dettate per l'allegazione dei fatti costitutivi della domanda, ma trova ultimo preclusivo termine in quello concesso all'esito della prima udienza di trattazione, ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c., quand'anche tale termine sia stato richiesto al solo fine della «indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali».

Il caso

La signora AAA conveniva in giudizio l'Avv. BBB per ottenerne condanna al risarcimento dei danni, oltre rivalutazione e interessi, asseritamente subiti in conseguenza del negligente adempimento dell'incarico professionale affidatogli per la gestione di due vertenze legali: una lavoristica, l'altra tributaria.

In tesi, tali danni erano rappresentati, nel primo caso, dalla differenza tra il credito retributivo riconosciuto all'attrice all'esito della controversia di lavoro promossa, con il patrocinio di altro avvocato, solo dopo diversi anni dal conferimento del relativo incarico al convenuto, rimasto inevaso, e quanto ricavato in sede esecutiva per il suddetto titolo, e, nel secondo caso, dalla mancata positiva conclusione dell'accertamento con adesione richiesto dal convenuto con riferimento ad avvisi di accertamento notificati all'attrice per esigere Irpef dovuta sui redditi di lavoro non dichiarati con riferimento ad alcuni anni precedenti.

Il Tribunale adito accoglieva integralmente la domanda, condannando il convenuto al pagamento della somma pretesa, «oltre rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo ed interessi legali sulle somme rivalutate».

In sede di gravame proposto dal soccombente (rimasto contumace in primo grado), la Corte di merito adita riconosceva dovuta somma unicamente in relazione ai danni derivati dalla condotta tenuta dal difensore nella gestione del contenzioso tributario, mentre l'originaria domanda veniva respinta per l'altro aspetto, sul rilievo che non era stata data dimostrazione di un nesso causale fra la pur incontestata negligenza professionale ed il pregiudizio rappresentato dal solo parziale soddisfacimento del credito vantato, all'esito della procedura esecutiva.

Con riferimento a tale secondo oggetto, la Corte, posto che di «solo ritardo» si era trattato, rilevava che non era dato sapere se la tempestiva proposizione della causa lavoristica e, pertanto, l'anticipazione della procedura esecutiva contro gli ex datori di lavoro dell'appellata avrebbero fatto conseguire alla medesima un ricavato maggiore di quello effettivamente ottenuto, non essendo stato dall'originaria parte attrice «tempestivamente e debitamente dedotto che i debitori esecutati medio tempore si erano spogliati di beni mobili o immobili esecutivamente proficui, o non avevano impedito che su questi ultimi fossero eseguite iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli».

La Corte rilevava che nell'atto di citazione non risultava fatta alcuna menzione all'iscrizione ipotecaria di cui si era parlato soltanto nella successiva memoria istruttoria depositata ai sensi dell'art. 183, comma 6,c.p.c. (il cui contenuto era rimasto ignoto al convenuto contumace), peraltro riservata «esclusivamente alle richieste di prova, non anche all'introduzione ... di nuove circostanze di fatto integranti la causa petendi (in termini di definizione del pregiudizio che il creditore avrebbe evitato se il debitore non fosse stato inadempiente) e idonee perciò a incidere apprezzabilmente sull'an (in termini di nesso causale) e sulla quantificazione della domanda risarcitoria».

Avverso tale decisione, sia l'originaria attrice che l'originario convenuto proponevano ricorso per cassazione, reciprocamente resistendo con controricorso.

La questione

Vengono in rilievo molteplici questioni. La questione che interessa trattare in questa sede è quella consistita nello stabilire se, ai fini dell'apprezzamento del nesso causale tra l'inadempimento professionale dell'originario convenuto e il ridotto soddisfacimento coattivo del credito (a titolo di retribuzioni) accertato in favore dell'originaria attrice in sede di controversia lavoristica, si potesse tenere in considerazione iscrizione ipotecaria eseguita nei confronti degli ex datori di lavoro della medesima, non specificamente menzionata nell'atto di citazione (ove, peraltro, era stata allegata la riduzione delle garanzie patrimoniali dei debitori in ragione della protratta inerzia del difensore) ma, per la prima volta, nella memoria istruttoria redatta ai sensi dell'art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c.; se, in altri termini, ciò avesse comportato l'introduzione, oltre i termini preclusivi, di nuove circostanze di fatto integranti la causa petendi.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di merito autrice della sentenza impugnata escluse che, ai fini dell'apprezzamento del nesso causale tra inadempimento professionale e ridotto soddisfacimento coattivo del credito retributivo dell'originaria attrice, si potesse tenere in considerazione l'iscrizione ipotecaria effettuata a vantaggio di un creditore degli ex datori di lavoro della medesima, giacché non specificamente dedotta nell'atto di citazione ma per la prima volta allegata nella memoria istruttoria redatta ai sensi dell'art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c.

La Suprema Corte (in seguito: S.C.) è andata di avviso contrario, sul rilievo, in primo luogo, che nell'atto di citazione era stata chiaramente dedotta, quale ragione di pregiudizio derivante dalla protratta inerzia del convenuto nell'adempimento dell'incarico professionale, l'impossibilità di una «piena soddisfazione in via coattiva del credito» e che, inoltre, di tale allegazione si era data ragione attraverso il richiamo all'esito infruttuoso delle azioni esecutive esperite, mobiliare e presso terzi, ed al piano di riparto delle somme ricavate dall'espropriazione immobiliare.

La S.C. ha ritenuto non dubitabile che, mediante tali allegazioni, fosse stata ritualmente introdotta in giudizio, quale fatto costitutivo della pretesa, la circostanza che, nelle more dell'instaurazione della controversia di lavoro, la garanzia patrimoniale dei debitori si era ridotta per fatti intervenuti nel corso del lungo intervallo tra il conferimento dell'inevaso incarico professionale all'originario convenuto e la definizione della causa, non altrimenti del resto potendo intendersi l'affermazione che quel ritardo aveva determinato l'impossibilità di una «piena soddisfazione in via coattiva del credito».

La S.C. ha, inoltre, osservato, che, pur essendo vero che, come rilevato dalla Corte di merito, nelle suddette allegazioni si era omesso di precisare quale fatto esattamente, ed in quale data, aveva avuto l'effetto di incidere negativamente sul patrimonio staggibile, ciò tuttavia non escludeva che il tema del giudizio comprendesse anche l'affermazione che un tale fatto si era verificato; di guisa che, alla successiva produzione, con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c., del documento comprovante l'iscrizione (in data intermedia tra il conferimento dell'incarico rimasto inadempiuto e il conseguimento del titolo giudiziale per ministero di altro difensore) di ipoteca da parte di creditore degli ex datori di lavoro della ricorrente, non poteva assegnarsi il significato e l'effetto di veicolare un nuovo e diverso tema di indagine, né di ampliare i fatti costitutivi posti a fondamento della domanda, ma soltanto quello, rispondente alle facoltà concesse in quella fase alla parte, di supportare sul piano probatorio quella, sia pur per taluni aspetti incompleta, iniziale allegazione.

In diritto, la S.C. ha rilevato che, stanti le considerazioni appena sopra esposte, la decisione impugnata doveva ritenersi meritevole di censura per avere erroneamente ricondotto alla disciplina delle preclusioni previste per l'allegazione dei fatti principali posti a fondamento della domanda (artt. 163 e 183, commi 5 e 6 n. 1, c.p.c.) di un'attività che, avendo finalità meramente probatoria e riferendosi al perimetro fattuale già desumibile dalla citazione, doveva invece ritenersi perfettamente consentita, in quanto operata nel termine concesso ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c.

La S.C. ha affermato che, dal punto di vista delle allegazioni di parte attrice, detta iscrizione ipotecaria e la sua collocazione temporale integravano non il fatto principale posto a fondamento della pretesa (questo essendo rappresentato dall'inadempimento produttivo di danno), bensì un fatto secondario, dal quale desumere, in via deduttiva, la prova dell'esistenza di un nesso causale tra il danno stesso — dato dal solo parziale soddisfacimento coattivo del credito nei confronti del terzo la cui tutela giudiziale era stata affidata al legale — e l'inadempimento dell'incarico professionale ed ha precisato che la deduzione di un fatto secondario non è soggetta alle preclusioni dettate per l'allegazione dei fatti costitutivi della domanda, ma piuttosto trova ultimo preclusivo termine (nel caso concreto pienamente rispettato) in quello concesso all'esito della prima udienza di trattazione, ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c., quand'anche tale termine fosse richiesto, come nella specie, al solo fine della «indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali».

Osservazioni

i) L'art. 183 c.p.c. detta disciplina della prima udienza di trattazione.

Per quanto in questa sede interessa, il quinto comma della disposizione dà facoltà alle parti, senza che necessiti alcuna autorizzazione del giudice, di «precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate» nei rispettivi atti introduttivi; il sesto comma, n. 1, consente che tali precisazioni e modificazioni possano essere eseguite in apposita memoria autorizzata dal giudice, da depositare entro il termine perentorio di trenta giorni, cui, in forza dello stesso sesto comma, n. 2, è dato replicare nei successivi trenta giorni con ulteriore memoria autorizzata, ove è consentita anche l'indicazione dei mezzi di prova; entro lo stesso termine, quale attività connessa alla memoria, sono consentite produzioni documentali.

Precisazioni e modificazioni sono ammissibili soltanto entro il termine fissato dal n. 1) del sesto comma della disposizione in esame, valicato il quale esse sono precluse (preclusione assertiva); indicazioni dei mezzi di prova e produzioni documentali sono ammissibili entro il termine fissato dal n. 2) del medesimo comma, decorso il quale esse sono precluse (preclusione istruttoria), eccezion fatta per le indicazioni di prova contraria, da eseguire entro l'ulteriore termine di giorni 20, ai sensi del n. 3) del comma in esame.

Merita, incidentalmente, rammentare che le norme che prevedono preclusioni assertive ed istruttorie nel processo civile sono preordinate a tutelare interessi generali e la loro violazione è sempre rilevabile d'ufficio, anche in presenza di acquiescenza della parte legittimata a dolersene, sono cioè poste a presidio del c.d. ordine pubblico processuale sottratto al potere dispositivo delle parti (v., in tal senso, Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2018, n. 16800).

ii) Mediante il termine «precisazioni» si fa riferimento a semplici chiarimenti od a migliori esplicazioni delle deduzioni difensive già effettuate negli atti introduttivi di lite.

Mediante il termine «modificazioni» si fa riferimento a mutamenti di uno o di entrambi gli elementi oggettivi della domanda (petitum e causa petendi), a condizione che la domanda così modificata risulti comunque inerente alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, oppure l'allungamento dei tempi processuali (principio consolidato: si vedano, in tal senso, Cass. civ., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310 e, da ultimo, ex multis, Cass. civ., sez. III, ord. 28 novembre 2019, n. 31078).

In altri termini, sono ammissibili, sempre che siano rispettate le preclusioni processuali previste dall'art. 183, commi 5 e 6, n. 1, c.p.c., unicamente le modificazioni della domanda introduttiva che costituiscono semplice emendatio libelli.

Si ha semplice emendatio libelli laddove si incida sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere, oppure sulla causa petendi, in modo che risulti modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto (v. Cass. civ., sez. III, ord., 14 febbraio 2019, n. 4322; Cass. civ., sez. III, ord.,28 novembre 2019, n. 31078).

Si ha, invece, mutatio libelli quando la parte immuti l'oggetto della pretesa, avanzandone una diversa da quella originaria quanto all'oggetto sostanziale oppure quando introduca nel processo, attraverso la modificazione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell'atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio (v., ex multis, Cass. civ., sez. V, 20 luglio 2012, n. 12621; Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2015, n. 1585; Cass. civ., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310; Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 2018, n. 32146).

iii) Con lasentenza in commento, la Suprema Corte ha effettuato alcune, importanti, precisazioni; ha, cioè, chiarito che le barriere preclusive di cui si tratta nel quinto e sesto comma, n. 1, dell'art. 183 c.p.c. attengono unicamente ai c.d. fatti principali di causa.

Viceversa, la deduzione di fatti secondari non è soggetta alle preclusioni dettate per l'allegazione dei fatti costitutivi della domanda, ma trova ultimo e preclusivo termine in quello eventualmente concesso all'esito della prima udienza di trattazione, ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c., quand'anche lo stesso venga richiesto (come avvenuto nel caso di specie) al solo fine della «indicazione dei mezzi di prova» e di «produzioni documentali».

Beninteso, la richiesta probatoria può essere esercitata solo relativamente a fatti tempestivamente allegati e quindi relativamente a fatti dedotti prima dello spirare del termine di cui all'art. 183, comma 6, n.1, c.p.c.

Con riguardo al caso recato all'attenzione del Supremo Collegio, tale presupposto, come già riferito nel precedente paragrafo, era sussistente, collocandosi la richiesta produzione documentale nel perimetro fattuale già desumibile dall'atto di citazione.

Nulla appare ostativo a che, unitamente a precisazioni e modificazioni, proprio al fine di dare alle stesse ragione e supporto, le parti possano dare corso alle connesse attività intese alla formazione della prova, indicandone i mezzi e facendo produzioni documentali, senza attendere a tale scopo la concessione dell'ulteriore termine di trenta giorni previsto dall'art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c.

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