Il parere del CSM sul d.l. 29/2020

Redazione Scientifica
18 Giugno 2020

Con parere reso in data 17 giugno 2020 il CSM ha fornito le sue osservazioni sul decreto legge n. 29/2020 recante misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell'esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall'art. 41-bis l. n. 354/1975, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati.

Con parere reso in data 17 giugno 2020 il CSM ha fornito le sue osservazioni sul decreto legge n. 29/2020 recante misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell'esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall'art. 41-bis l. n. 354/1975, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati.

Dopo aver sintetizzato gli interventi normativi d'urgenza approvati per fronteggiare la crisi epidemiologica da COVID-19, il CSM, con il parere del 17 giugno 2020, ha fornito le proprie osservazioni in merito al d.l. n. 29/2020.

In particolare, quanto all'istruttoria in materia di permessi per gravi motivi, il documento sottolinea la brevità del termine (24 ore) entro cui deve essere espresso il parere del Procuratore della Repubblica e del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo. Ed infatti «appare difficile che il loro rilascio possa essere preceduto da un'approfondita istruttoria, ma essi potranno risultare effettivamente utili all'autorità che dovrà decidere se conterranno informazioni di carattere concreto e attuale circa i collegamenti del detenuto con la criminalità organizzata e la sua pericolosità, risolvendosi diversamente in un passaggio procedurale formale e di appesantimento della procedura».
La medesima osservazione viene rivolta anche ai pareri obbligatori ma non vincolanti previsti in caso di richiesta di detenzione domiciliare cd. “in surroga” o per motivi umanitari prevista dall'art. 47-ter, comma 1-ter, ord. pen..

Inoltre, «in conseguenza delle novità introdotte, per i provvedimenti da adottarsi ex art. 47-ter, comma 1-ter, se motivati da ragioni connesse all'emergenza COVID 19, non è più necessaria l'apposizione di un termine; per quelli già adottati con analoghe motivazioni dopo il 23 febbraio 2020 il termine apposto è vanificato, come osservato in chiave critica anche dalla Commissione Mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza e dell'esecuzione penale istituita presso questo Consiglio, che ha evidenziato come la retroattività della normaappare problematica sotto il profilo del confliggere con le deliberazioni già assunte dal Tribunale di Sorveglianza, che avevano già definito un diverso tempo per le cure all'esterno prima di una rivalutazione”».

La medesima Commissione Mista ha osservato anche che «a differenza delle previsioni del d.l. 28 che specificano come il parere preventivo del Pubblico Ministero debba vertere “in ordine all'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata ed alla pericolosità del soggetto”, il d.l. 29 non fornisce indicazioni. Ne discende che il nuovo parere, che preferibilmente non si risolva nella reiterazione del precedente, potrà riguardare il merito del procedimento, e quindi il permanere delle condizioni di emergenza sanitaria nel luogo di esecuzione della detenzione domiciliare in rapporto alla pericolosità del condannato».

Circa la valutazione degli elementi necessari per ripristinare la detenzione in carcere o dar luogo all'esecuzione della pena, viene invece osservato che «deve essere acquisita inoltre informazione del DAP circa la sussistenza della disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta ove il detenuto o l'internato possa riprendere la detenzione o l'internamento senza pregiudizio per le proprie condizioni di salute. Si tratta però di espressione che non chiarisce forse efficacemente che il DAP debba indicare la sussistenza di un posto letto concretamente disponibile per l'interessato ed interloquire sulle specifiche esigenze di cura del singolo interessato, interlocuzione che, all'esito del riparto di competenze con le sanità regionali, non può non prevedere un passaggio comunicativo con i sanitari del luogo di eventuale destinazione. Deve aggiungersi che la nozione di “reparti di medicina protetta” risulta di non immediata comprensibilità ed andrebbe verificato se la stessa sia mai stata in precedenza utilizzata in testi normativi. Ci si riferisce presumibilmente a reparti detentivi istituiti presso Centri ospedalieri. In realtà la concessione di misura alternativa per ragioni di salute, soprattutto se adottata ai sensi dell'art 147 c.p., dovrebbe presupporre - come evento eccezionale - l'indisponibilità di strutture interne al circuito penitenziario, almeno nel bilanciamento tra le ragioni di sicurezza sociale (si parla di condannati per gravi delitti associativi) e quelle di una adeguata tutela della salute del detenuto. La questione assume dunque una rilevante dimensione amministrativa, poiché è la mancata prestazione dei servizi sanitari adeguati a determinare l'inconveniente che attraverso l'intervento legislativo vorrebbe impedire. Ma le contestuali informazioni da richiedere al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria in ordine all'eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di “reparti di medicina protetta” in cui l'interessato possa riprendere la detenzione, senza pregiudizio per le sue condizioni di salute, includono l'ipotesi che il condannato possa essere indirizzato presso istituti o strutture sanitarie di altri territori. Si richiede dunque una preventiva istruttoria al magistrato di sorveglianza, da ripetere a scadenze ravvicinate, per ottenere informazioni che potrebbero rivelarsi inutili. Le suddette informazioni dovrebbero, invece, pervenire al magistrato di sorveglianza attraverso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, tenuto a coordinarsi e ad assumere informazioni presso le autorità regionali competenti e presso le Asl».

Fonte: dirittoegiustizia.it

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