Aspetto architettonico, decoro dell'edificio e innovazioni sulla facciata dell'edificio

29 Giugno 2020

La Corte d'Appello di Bari, rigettando il gravame proposto avverso la sentenza di primo grado, ha dichiarato invalida la delibera con cui l'assemblea, a sola maggioranza e in violazione della previsione del regolamento di condominio in forza della quale ogni innovazione da cui sarebbe potuto derivarne pregiudizio avrebbe dovuto essere assunta con l'unanimità dei consensi, aveva autorizzato l'installazione, su terrazzi annessi a singoli appartamenti, di manufatti che, sebbene coerenti con il decoro, si ponevano, però, in distonia con l'aspetto architettonico dell'edificio.
Massima

Va annullata, perchè in contrasto con specifica previsione del regolamento di condominio prevedente l'unanimità dei consensi per ogni innovazione da cui sarebbe potuto derivarne pregiudizio, la deliberazione con cui l'assemblea, su terrazzi pertinenziali a unità immobiliari in proprietà esclusiva, ha autorizzato la realizzazione di manufatti che, sebbene non in contrasto con il decoro, pregiudicavano l'aspetto architettonico dello stabile.

Il caso

Un condomino ha proposto, ai sensi dell'art. 1137 c.c., impugnativa della delibera assembleare che, a maggioranza, aveva autorizzato il proprietario dell'unità immobiliare posta ad un piano superiore ad insediare, sui propri terrazzi, un manufatto in legno che avrebbe comportato parziale copertura di quelli annessi alle sottostanti abitazioni.

L'adìto Tribunale di Bari aveva accolto la domanda e annullato il deliberato, rilevando che era stato adottato in difetto dell'unanimità dei consensi di tutti i condomini che gli artt. 16 e 25 del regolamento di condominio prevedevano per le decisioni gestorie aventi ad oggetto innovazioni da cui sarebbe potuto conseguire pregiudizio all'aspetto architettonico dell'edificio ovvero diminuzione della luminosità dei piani inferiori.

Il condomino soccombente ha, quindi, proposto appello, sostenendo che l'espletata consulenza tecnica d'ufficio aveva accertato che il costrutto, oggetto di avversa doglianza, non determinava compromissione del decoro architettonico dello stabile, avrebbe potuto limitare in minima parte l'accesso di luce agli immobili ad esso sottostanti e non costituiva incremento dell'unità immobiliare cui accedeva e, pertanto, la situazione accertata non era sussumibile in alcune delle ipotesi per le quali le norme sia di regolamento che di legge - e, tra queste l'art. 1122 c.c. - prescrivevano l'avvallo autorizzatorio dell'unanimità dei consensi.

La questione

La quaestio che si è presentata all'attenzione decisionale della Corte pugliese di secondo grado è stata, quindi, essenzialmente incentrata sulle nozioni di “aspetto architettonico” e di “decoro architettonico”, posto che la norma di regolamento, di cui l'appellata sentenza aveva affermato l'intervenuta trasgressione, faceva riferimento alla prima per richiedere l'unanimità dei consensi di tutti i condomini a supporto delle decisioni autorizzative di innovazioni che avrebbero potuto pregiudicarlo mentre specifico motivo di appello era, invece, stato incentrato sulla inidoneità dei fatti accertati in prime cure a integrare compromissione del secondo, e da ciò era fatta derivare l'inapplicabilità, nel caso di specie, del richiamato disposto convenzionale.

Le soluzioni giuridiche

Il giudice del gravame, all'esito di argomentato raffronto comparativo tra i due istituti, come enucleabili alla stregua delle norme di riferimento del codice civile e della relativa esegesi di legittimità, ha confermato la pronuncia appellata, motivatamente sostenendo, sulla scorta delle risultanze istruttorie assunte in primo grado, che il manufatto in contestazione, sebbene non pregiudicasse il relativo decoro, però comprometteva l'aspetto architettonico dello stabile e, pertanto, doveva predicarsi l'invalidità del deliberato assembleare che ne aveva autorizzato l'insediamento poiché assunto a maggioranza e non con l'apporto approvativo di tutti i componenti la comunione edilizia condominiale, a tale fine prescritto dall'art. 16 del regolamento.

Nello specifico, ha evidenziato come, nella disciplina codicistica, tali nozioni ricevano differente inquadramento, in particolare la previsione dell'art. 1127 c.c. richiama l' “aspetto architettonico” quale valore sovraindividuale la cui eventuale compromissione costituisce un limite alle iniziative aventi ad oggetto l'ulteriore ampliamento in altezza dell'unità immobiliare posta all'ultimo piano ed ha un contenuto più ampio rispetto al “decoro architettonico”, preso a riferimento dagli art. 1120, comma 4, c.c., art. 1122, comma 1,c.c., e art. 1122-bisc.c., pure in funzione di contenimento alle attività di godimento delle proprietà solitarie ovvero delle parti e dei servizi comuni.

In particolare, l'aspetto architettonico avrebbe inerenza alla fisionomia originaria dell'edificio come impostagli dal progettista mentre il decoro sarebbe, invece, pertinente, alla sua armonia estetica, con la conseguenza che un intervento - che, come nel caso in esame, registrava l'installazione, sul terrazzo dell'unità immobiliare del piano superiore, di una struttura di pergolato in legno realizzata con materiale di pregio, armonicamente coordinata con il complesso dello stabile - potrebbe essere coerente con il decoro ma tale da, comunque, alterarne la fisionomia originaria (come, nella fattispecie, ritenuto dal giudice del gravame, trattandosi di un elemento aggiunto all'impianto originario).

Da ciò è conseguita la valutazione di invalidità della delibera assembleare, oggetto di impugnativa, poiché l'invocata norma del regolamento di condominio prevedeva che ogni innovazione - cui è stato ricondotto l'opus dedotto in giudizio che, sebbene costituito da apparato amovibile, aveva in ogni caso incrementato il volume chiuso a disposizione del proprietario dell'unità immobiliare interessata - da cui potesse derivare nocumento all'assetto architettonico dello stabile dovesse essere autorizzato con deliberazione unanimitaria che, invece, era stata assunta a maggioranza.

Osservazioni

La decisione della Corte territoriale convalida e conferma un orientamento interpretativo del giudice di legittimità che valorizza l'intervento dell'autonomia negoziale privata, espressa nel regolamento di condominio, per l'individuazione di ulteriori limiti, rispetto a quelli altrimenti già posti dalle disposizioni del codice civile, per conformare alle esigenze sovra-individuali condominiali l'esercizio delle facoltà afferenti il diritto di proprietà sull'unità immobiliare in proprietà esclusiva e/o sulle parti comuni.

Sia l'aspetto che il decoro architettonico dell'edificio sono elementi che, dal punto di vista strutturale, integrano il contenuto del diritto di comproprietà condominiale poiché, entrambi, qualificano e peculiarizzano l'edificio, facendogli assumere una propria individualità.

Ciò dà ragione dell'esistenza di disposti - quali, per l'appunto gli artt. 1127, 1120, 1122 e 1122-bisc.c. - che, in via preventiva, escludono dal novero delle attività di esercizio o godimento del diritto dominicale sulla proprietà solitaria o comune quelle che possono essere di loro pregiudizio.

Se, poi, l'art. 1127 c.c. in tema di sopraelevazione dell'immobile posto all'ultimo piano dello stabile legittima, i condomini, ad opporsi a quegli interventi che possano comprometterne l'aspetto architettonico, gli ulteriori richiamati precetti legislativi escludono la liceità delle iniziative esercitabili sul cespite in titolarità individuale o su parti condominiali che possano essere lesive del decoro dell'edificio.

Pertanto, nel sistema legislativo di riferimento, le nozioni di “aspetto” e di “decoro” architettonico, lungi dal ridursi a meri sinonimi, assumono, invece, ciascuna, un proprio contenuto e funzione e, in particolare, nel rispetto del pertinente dettato normativo, l'innovazione che non pregiudichi il decoro non potrebbe dare titolo, agli altri condomini, ad esercitare il proprio jus opponendi.

Tale disciplina potrebbe, però, trovare eterointegrazione in concorrenti previsioni del regolamento di condominio che potrebbero, quindi, estendere il limite dell'aspetto architettonico a quegli interventi che, altrimenti, sarebbero soggetti al solo divieto di alterazione del decoro dell'edificio, come per le innovazioni ex art. 1120 c.c.

Al riguardo, la Corte regolatrice ha già espresso il proprio pensiero interpretativo, sottolineando, poi, come nel concetto di “aspetto architettonico” debba ritenersi compreso anche l'ulteriore, minor, di “decoro” (v. Cass. civ., sez. II, 24 aprile 2013, n. 10048) e che eventuali previsioni del regolamento condominiale, se avente natura contrattuale, possono legittimamente delimitare, sino al rispetto del primo, le iniziative edificatorie di contenuto innovatorio interessanti le proprietà individuali o comuni (Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2013, n. 1748).

Deve, quindi, in sintesi, ritenersi che il testo regolamentare convenzionale possa introdurre ulteriori restrizioni, rispetto a quelle ordinarie di legge, in punto di esercizio del jus aedificandi, imponendogli la necessaria salvaguardia, oltre che del decoro, anche del più generale assetto architettonico dello stabile interessato.

E', comunque, necessario che trattasi di regolamento c.d. contrattuale, ossia predisposto dall'originario unico proprietario dell'edificio ed accettato, in modo espresso o tacito, da ciascun condomino all'atto dell'acquisto dell'unità immobiliare in proprietà solitaria ovvero che sia stato adottato con deliberazione assunta all'unanimità dei consensi di tutti i condomini; solo nella ricorrenza di tali presupposti le conseguenti limitazioni apposte al diritto dominicale individuale - giuridicamente definibili come servitù - potranno ritenersi legittimamente imposte perché volutamente accettate.

Nel caso deciso dai giudici pugliesi, la disposizione regolamentare, la cui violazione ha condotto all'annullamento del deliberato assembleare impugnato, deve, quindi, essere correttamente letta in tali termini, sebbene essa facesse testuale riferimento al quorum approvativo richiesto per le innovazioni lesive dell'assetto architettonico dell'edificio che, poiché prescritto in termini unanimitari, all'evidenza, qualificava in senso contrattuale la relativa decisione autorizzatoria.

Trattandosi, invero, di diritti a contenuto prettamente patrimoniale ne va, in conseguenza, predicata la possibilità di loro libera disponibilità da parte dei relativi titolari a mezzo di atti di autonomia privata di contenuto negoziale, quale deve ritenersi il regolamento di condominio c.d. convenzionale ovvero decisione fondata sul consenso unanime di tutti i condomini.

Se così interpretato, poi, il precetto in rilievo non registrerebbe, quanto alla sua operatività, il limite che l'art. 1138, comma 2, c.c. impone al regolamento di condominio, indipendentemente dalla sua natura, contrattuale o deliberativa, escludendo che, in deroga, possa stabilire quorum decisionali differenti da quelli di legge (così, già in illo tempore, Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1966, n. 2155).

Sebbene, infatti, per individuare tali divieti l'indicato disposto richiami anche l'art. 1120 c.c., il rinvio deve, però, riferirsi alla sola parte, di tale norma, che prevede differenti maggioranze per le decisioni assembleari permissive di specifiche attività innovatorie - che, pertanto, non potrebbero essere diversamente modulate in via negoziale- nel mentre non condiziona la possibilità che, convenzionalmente, possano essere introdotte previsioni restrittive alle iniziative edificatorie individuali a maggiore tutela del bene comune costituito dall'aspetto architettonico.

Guida all'approfondimento

Calvetti, Aspetto e decoro architettonico: nozioni e sovrapposizioni, in Diritto & giustizia, 2016, fasc. 36, 42

Gallucci, Il regolamento condominiale di natura contrattuale può vietare qualunque alterazione, in Diritto & giustizia, 2013, 72

Romagno, Osservazioni riguardo all'efficacia delle disposizioni dei regolamenti condominiali. Il decoro del'edificio come condizione dell'esplicazione della libertà umana, in Giust. civ., 2019, fasc. 4, 773

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