Costituzione di parte civile con assistenza dell'amministratore di sostegno. Qualche dubbio sull'equità della disciplina

30 Giugno 2020

In caso di costituzione di parte civile, avvenuta in udienza preliminare, la richiesta di sua esclusione può essere proposta dall'imputato, a pena di decadenza...
Massima

In caso di costituzione di parte civile, avvenuta in udienza preliminare, la richiesta di sua esclusione può essere proposta dall'imputato, a pena di decadenza, fino al momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti in dibattimento e, in caso di suo accoglimento, non è più possibile ipotizzare una nuova costituzione.

Il caso

La Cassazione esamina il ricorso di un imputato di maltrattamenti e violenza sessuale, commessi con abuso delle condizioni di inferiorità fisica e psichica in danno della figlia della convivente, affetta da ritardo mentale.

L'atto si articola in sette motivi ove si lamentano nullità assolute, violazioni di legge processuale, travisamento della prova e vizi di motivazione (oltre a residue doglianze in punto di attenuanti generiche ed entità della condanna e del risarcimento riconosciuto alla parte lesa).

Tralasciando la parte inerente alla valutazione di attendibilità della accusatrice (che passa con successo anche lo scrutinio della Corte di legittimità), la sentenza si segnala in ordine alle statuizioni in tema di termine ultimo per l'esercizio dell'azione civile nel processo penale, ove dà ragione alla difesa e, con effetto evidentemente retroattivo, estromette la vittima da un giudizio che va a concludere.

Una vera “doccia scozzese” per la parte offesa, il suo patrocinatore ed anche per i giudici di primo grado e di appello che, interessati dalle medesime doglianze, le avevano già risolte in senso favorevole alla persona offesa.

Il punto merita – come ritenuto dalla stessa difesa di questo processo – l'attenzione delle Sezioni Unite e (ci si permetta) anche della Corte costituzionale poiché, se può parlarsi di conflitto giurisprudenziale, è altrettanto vero che sposare la tesi preferita anche dalla decisione qui in esame comporta ammettere che il sistema processuale italiano è fortemente sperequato a scapito dei diritti della vittima.

La questione

La persona offesa del caso allo studio – certamente maggiorenne anche all'epoca dei fatti (tenuto conto che si vede contestata solo la violazione dell'art. 609-bis c.p., senza ulteriori richiami all'eventualità della minore età) - risulta menomata dal punto di vista psichico e, per quel che è dato ricavare dalla motivazione della Cassazione, il ritardo di cui affetta va aggravandosi nel corso del procedimento. Se infatti viene definito “medio-lieve” nel capo di imputazione (riportato a pag. 2 della sentenza di legittimità), risulta invece “grave” nel certificato medico prodotto successivamente dal Pubblico ministero in dibattimento.

Nel corso del giudizio, sempre per quanto è dato ricavare dalla lettura della sentenza, la ragazza risulta assistita processualmente da un difensore (non emerge testualmente, ma pare intuitivo ritenerlo sprovvisto di procura speciale, visto che si allude più volte alla sola procura alle liti) e, a monte, è seguita da un giudice tutelare e da un amministratore di sostegno. E qui sta il nocciolo della questione giuridica decisa dalla Suprema Corte: detto banalmente, si verifica un problema di firme poiché mentre per l'udienza preliminare l'atto con cui la vittima chiede di potersi costituire risulta firmato solo dall'Amministratore di sostegno (da qui, in breve, AdS), in dibattimento la donna presenta una copia di quell'atto, da lei altresì firmata.

La difesa si appunta su questa circostanza ed, eccependo che all'udienza davanti al Tribunale l'AdS non sia fisicamente presente, chiede (ed ottiene in maniera postuma in Cassazione) che la costituzione in parola sia dichiarata “inesistente” ed improduttiva di effetti giuridici.

Leggendo con attenzione le prime pagine della pronuncia ora in esame, pare di poter ricavare che il giudice tutelare avesse “autorizzato la costituzione di parte civile con l'assistenza dell'amministratore di sostegno”, formula generica ed omnicomprensiva.

Il (primo) punto nodale della questione sta nell'interpretazione di quella disposizione: l'AdS era così abilitato a sostituirsi alla vittima come parte del processo (in tal caso doveva ritenersi corretto che avesse da solo sottoscritto la costituzione di parte civile presentata all'udienza preliminare) oppure il suo ruolo andava considerato di affiancamento, motivo per cui era necessaria anche la firma della parte lesa in persona?

E ancora, per come formulata la procura al difensore, era corretto che solo questi fosse presente in udienza preliminare oppure avrebbe dovuto comparire personalmente anche l'AdS?

Le soluzioni giuridiche

In fase di giudizio, sia il Collegio che la Corte d'appello in seguito ritengono formalmente ineccepibile una sorta di “formazione progressiva” dell'atto, che davanti al Giudice dell'udienza preliminare viene depositato con la firma del solo AdS (fisicamente assente) quindi, all'inizio del dibattimento, integrato da quella della vittima, senza però che il difensore apponga la propria né che l'Amministratore compaia davanti all'Autorità giudiziaria.

I giudici di merito abbracciano la tesi della validità dell'atto, sia pur presentato non ortodossamente in udienza preliminare (nel senso di privo della firma della persona offesa) perché considerano avvenuto comunque tempestivamente il suo completamento in dibattimento, con l'apposizione della sua sottoscrizione a fianco a quella dell'AdS, già presente, o comunque in un nuovo atto di costituzione (così argomentando da quanto si legge ancora a pag. 3 della decisione).Che si parli di un solo atto, o che si parli di due, comunque sia il Tribunale che la Corte ammettono la costituzione e consentono al difensore della vittima di partecipare all'intero giudizio di merito ove non solo ottiene la condanna penale dell'imputato (sia pur ridotta in sede d'appello) ma altresì quella al risarcimento del danno.

In Cassazione invece il verdetto si ribalta perché, ovviamente ex tunc, la Corte affronta la questione giuridica da un angolo visuale diverso – ossia quello del termine ultimo per la valida costituzione di parte civile – e ritenendolo spirato nel caso di specie, la estromette dal processo penale che sta andando a chiudere con ciò annullando senza rinvio anche la pronuncia concernente le disposizioni civili.

Osservazioni

Sarebbe interessante, come spesso mi trovo a scrivere quando annoto una sentenza, avere sotto mano tutto l'incarto processuale, ed in questo caso più che mai mi sarebbe piaciuto analizzare i documenti su cui si sono appuntate le argomentazioni appena sunteggiate (vale a dire non solo l'atto, o gli atti di costituzione di parte civile, ma anche e soprattutto la nomina dell'amministratore di sostegno, il suo conferimento di poteri, la domanda inoltrata al giudice tutelare con riferimento al processo penale e i certificati medici relativi alla salute mentale della (povera) parte lesa. La vittima qui risulta più volte “sfortunata” in questa vicenda: non solo é afflitta da un deficit chiaramente irreversibile e ingravescente, non solo resta orfana di mamma e oggetto di pulsioni sessuali da parte del compagno di quella (il quale evidentemente a conoscenza delle carenze della giovane, ne approfitta per soddisfare i suoi desideri erotici): di giustizia gliene si rende davvero poca perché si riesce a far prescrivere un delitto come i maltrattamenti e ad annullare la condanna al risarcimento del danno ottenuta (quanto meno) per la patita violenza sessuale.

Quel che può soccorrere qui, per sopperire alla mancata lettura degli atti, è quanto mi insegna l'esperienza pratica che, applicata alla lettura combinata delle norme e della sentenza di Cassazione su cui ci si sta intrattenendo, porta a ritenere quanto segue: dovendosi costituire parte civile, e conoscendo i deficit cognitivo-comportamentali della vittima, il suo difensore fa ricorso al giudice tutelare a cui deposita documentazione medica da cui – in quel momento (ossia inizio 2012) alla donna è già stato diagnosticata una “insufficienza mentale medio – lieve” nel 2006 (pag. 4 della sentenza): ciò comporta un provvedimento con cui ella viene autorizzata a costituirsi con “l'assistenza dell'amministratore di sostegno” (poco rileva se già nominato o se istituito in quel momento), al quale (e solo a lui) viene fatto firmare l'atto presentato in udienza preliminare.

In quella fase, non si riesce a ricavare dalla sentenza di Cassazione se la difesa dell'imputato abbia già eccepito in udienza preliminare la mancanza di sottoscrizione da parte della vittima, o se si sia “tenuta in tasca” l'eccezione: vero è che, ottenuto il rinvio a giudizio, una qualche discussione deve essersi svolta sul punto, oppure il patrocinatore della parte lesa si deve essere reso conto della mancanza di quella firma e vi pone rimedio presentando la donna in carne ed ossa al Tribunale e un nuovo atto (pare “copia” del precedente) sottoscritto anche da costei, ma non da lui.

Probabilmente per ovviare – qui sì deve essere stato eccepito – al vizio dell'atto, per come presentato in udienza preliminare, il Pubblico Ministero allora deposita un secondo certificato in cui la Commissione medica per l'accertamento dell'invalidità civile aveva invece ritenuto “grave” l'insufficienza mentale della vittima e ciò sin dal 2010, ossia in un momento precedente anche alla udienza preliminare, come a dire (si va per intuito) che quand'anche lo avesse desiderato o previsto, sottoscrivere la costituzione era comunque precluso alla parte lesa in quanto di fatto incapace, di tal che andava riconosciuta piena validità a quello firmato dall'AdS.

La querelle sul livello di vizio di mente, di cui il soggetto passivo è portatrice, è certamente importante e per questa ragione ce ne si sta occupando, ma non rappresenta il vero punctum dolens della questione che è, e rimane, una questione di termini stabiliti a pena di decadenza.

Quella della sua menomazione psichica, di fatto, è materia che interessa anche i giudici di legittimità infatti, ma è loro posta sotto l'angolo visuale diverso dell'attendibilità, della credibilità e, prima ancora, della capacità a testimoniare, che formano oggetto di svariati altri motivi di ricorso ma, che tutto considerato, sono risolti positivamente: si legge infatti in sentenza che il percorso argomentativo del perito, che ha sottoposto la donna a due colloqui ed ai test diagnostici, e non ne ha escluso l'idoneità a testimoniare, è stato ritenuto corretto, con ciò condividendo quindi che – pur nelle sue condizioni – ella resistesse psicologicamente ad ogni rischio di suggestione (PP. 14-15).

Quindi allora il fulcro giuridico che deve occuparci, al netto di queste altre argomentazioni, è il seguente: quando e sino a quando un patrocinatore di parte civile può serenamente ritenere di far parte di un processo penale e, al contrario, quando e sino a quando la difesa dell'imputato può chiedere (e magari ottenere, come in questo caso) di sbatterli fuori, facendo anche annullare i provvedimenti assunti in giudizio a favore della sua assistita?

Risulta a pag. 3 della sentenza della Cassazione che l'atto, firmato dalla vittima, sia stato presentato in udienza dibattimentale non solo dopo gli adempimenti previsti dall'art. 484 c.p.p. sulla costituzione delle parti, ma anche dopo che la difesa aveva proposto la sua eccezione sulla costituzione di parte civile. I giudici di merito stabiliscono che sia comunque tempestiva, in quanto il termine ultimo per una valida costituzione si identifichi nella dichiarazione di apertura formale del dibattimento. La Corte di legittimità invece retrocede tale termine alla fase del controllo della regolare costituzione delle parti.

La problematica si individua, pertanto, nell'individuazione del momento in cui si possa sostenere che siano concluse le verifiche ex art. 484 c.p.p. e sul punto si registra un conflitto giurisprudenziale.

Secondo un primo orientamento più restrittivo, le attività procedimentali descritte dagli artt. 79, artt. 484, 491 e 492 c.p.p. si svolgono secondo una sequenza prestabilita dal legislatore e sono tra loro logicamente e cronologicamente distinte: la verifica della regolare costituzione delle parti precede - e non coincide certo con la successiva dichiarazione di apertura del dibattimento (Cass. pen., Sez. VI, n. 10958/2015) – ed è entro la prima che deve avvenire la (regolare) costituzione di parte civile, così presentata in limine litis.

Secondo una giurisprudenza diversa, la fase dell'accertamento può essere sostanzialmente distinta tra una prima semplice ricognizione dei soggetti interessati al processo (una sorta di appello dei presenti per intenderci), ed una seconda ben più pregnante verifica della regolare costituzione del rapporto processuale, alla quale il giudice procederà, ma dopo avere deciso «immediatamente» le questioni che al riguardo gli siano state prospettate.

Ancora più semplicemente, dopo aver proceduto all'appello il Presidente dovrebbe domandare se ci siano questioni sulla costituzione delle parti, ed è qui che la difesa dovrebbe eccepire eventuali vizi. Prima della decisione del Tribunale, quindi, il patrocinatore di parte civile avrebbe ancora la possibilità di sanarli col che il termine ultimo previsto per la costituzione di parte civile si sposterebbe sino ad un attimo prima che vengano decise le eventuali questioni sollevate al riguardo ai sensi dell'art. 491, comma 1, c.p.p. (Cass. pen., Sez. V, n. 28157/2015).

Quanto qui sunteggiato è frutto di sintesi estrema: in giurisprudenza si registrano davvero decisioni molto ondivaghe sul punto, a seconda del grado di favore con cui si accolga la parte civile nel processo penale.

Chi scrive continua a sostenerlo, e questa decisione ne è prova: difendere una vittima può essere davvero molto complesso, tecnicamente e umanamente, e l'apparato normativo in cui si sta tentato, con grande fatica, di equiparare le due posizioni resta un sistema francamente avverso alla presenza concretamente fattiva della parte lesa e del suo legale.

Il retaggio non è antico come si crede, anzi, si può dire che sia frutto di quella rivoluzione copernicana data dal passaggio, nel 1988, dal rito inquisitorio a quello accusatorio che già per sol fatto di avere introdotto almeno due procedimenti in cui la parte lesa non ha alcun ruolo (se non eventualmente quello di testimone) la dice abbastanza chiara sull'impostazione (ci si riferisce al patteggiamento ed alla direttissima).

Non solo.

A monte c'è un assunto ancora più generico e ispiratore, che sovrintende e informa di sé tutto il complesso e sempre più articolato argomento dei rapporti tra vittima e sistema penale: la parte lesa non è “parte” del processo sino a quando non si costituisce parte civile, e da lì in poi viene sospettata di malafede e interesse proprio perché vanta pretese in termini economici, motivo per cui la sua attendibilità è oggetto di discussioni e battaglie.

Questa è la stortura a cui non siamo ancora riusciti a porre rimedio: non con la ratifica della convenzione di Istanbul (che il prossimo anno compie un decennio), non con quella della c.d. direttiva vittime. Si pretende questo biglietto di ingresso – rappresentato dall'atto di costituzione di parte civile (vero e proprio banco di prova per intere generazioni di praticanti avvocati) che è denso di formalità, di regole di redazione, irto di punti deboli nei quali si annida il rischio di essere estromessi dal processo e questo, come nel caso che ci occupa, persino alla fine, in Cassazione.

Nessun altro atto di tutto il processo penale (salvo forse ora proprio il ricorso ex art. 606 c.p.p.) si presenta tanto complesso e delicato.

Si pretende un atto complicato per consentire ad una vittima di esercitare dei diritti in un processo dove si parla di uno, o più reati, che è proprio lei ad aver subito, non importa se ad opera di questo imputato e/o di altri, però mentre l'accusato si vede nominare un difensore sin dal primo atto per cui ne abbia necessità (ora addirittura dal verbale di identificazione), la parte lesa può restarne priva anche per tutto il corso del giudizio e, ancora una volta, è costretta a costituirsi se vuole avere accanto a sé un legale.

Prima o poi vinceremo la battaglia culturale, ancor prima che giuridica, per cui si debba per forza vantare delle pretese economiche per entrare su un piano di (almeno formale) uguaglianza rispetto all'imputato. Prima o poi potremo difendere una vittima anche senza chiedere risarcimento, oppure senza essere per forza sospettate di falsità proprio per questo stesso motivo.

Guida all'approfondimento

Precedenti:

Cass. Pen., Sez. Unite, 19 maggio 1999, P., n. 12 in CED. Cass. pen., rv 21385901

Cass. Pen., Sez. VI, 24 febbraio 2015, L., n. 10958 in CED Cass. pen., rv 262988

Cass. Pen., Sez. V, 16 luglio 2013, n. 38982, in CED Cass. pen., rv 257763

Cass. Pen., Sez. V, 3 febbraio 2015, L., n. 28157, in CED Cass. pen., rv 264918-01

Cass. Pen., Sez. V, 25 giugno 2014, n. 474, in CED Cass. pen., rv 26322101

Conso-Illuminati, Commentario breve al Codice di procedura penale, Padova, 2015

Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2011.

M. D'ANDRIA, Sub art. 484, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da G. LATTANZI-E. LUPO, VI, Agg. 2003-2007, (artt. 465-567), a cura di M. D'ANDRIA-G. FIDELBO-E. GALLUCCI, Milano, 2008, 54

V. RUSSO, Per una lettura organica dell'art. 484, 2° co. c.p.p., in Giust. pen. 1998, III, 128;

E. Aprile, Gli atti introduttivi, in E. Aprile-P. Silvestri, Il giudizio dibattimentale, Milano, 2006, 137

ANDOLINA, Gli atti anteriori all'apertura del dibattimento, Milano, 2008; ANDREAZZA, Gli atti preliminari al dibattimento nel processo penale, Padova, 2004

CHINNICI, Gli atti introduttivi al dibattimento in Procedura penale. Teoria e pratica del processo, a cura di Spangher, Marandola, Garuti, Kalb, Milano, 2015, 1087

SANTALUCIA, Gli atti introduttivi al dibattimento, in Trattato di procedura penale, diretto da SPANGHER, IV, t. II, Procedimenti speciali. Giudizio. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, a cura di SPANGHER- FILIPPI, Torino, 2009, 10

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