Amministrazione di sostegno e disposizioni testamentarie a favore dell'amministratore

Gabriele Mercanti
01 Luglio 2020

L'amministrazione di sostegno si configura come cd. sostitutiva o mista, laddove presenta caratteristiche affini alla tutela, poiché l'amministrato, pur non essendo tecnicamente incapace di compiere atti giuridici, non è...
Massima

L'amministrazione di sostegno si configura come cd. sostitutiva o mista, laddove presenta caratteristiche affini alla tutela, poiché l'amministrato, pur non essendo tecnicamente incapace di compiere atti giuridici, non è comunque in grado di determinarsi autonomamente in difetto di un intervento, appunto sostitutivo ovvero di ausilio attivo, dell'amministratore; viene, invece, definita amministrazione puramente di assistenza quando si avvicina alla curatela, in relazione alla quale l'ordinamento non prevede i divieti di ricevere per testamento e donazione. Ne discende che, nel caso dell'amministrazione di mera assistenza, il beneficiato è pienamente capace di disporre del suo patrimonio, anche per testamento e con disposizione in favore dell'amministratore di sostegno, a prescindere dalla circostanza che tra i due soggetti, amministratore e beneficiato, sussistano vincoli di parentela di qualsiasi genere, o di coniugio, ovvero una stabile condizione di convivenza.

Il caso

La questione finita all'attenzione del Supremo Collegio riguarda un'impugnazione proposta da parte dei figli contro il testamento olografo redatto dal padre inabilitato mediante il quale: al di lui curatore veniva lasciata la quota disponibile; alla convivente veniva legata una rendita vitalizia annuale di un importo pari alla metà dei frutti della predetta quota disponibile; ai figli veniva lasciata la sola quota di legittima. Una volta apertasi la successione, i figli citavano in giudizio il curatore e la convivente del padre per ottenere declaratoria di nullità e/o annullabilità del suddetto testamento e la conseguente apertura a loro favore della successione legittima. La domanda attorea era fondata:

  • in via principale: sull'asserita incapacità naturale del testatore e conseguente impugnativa ex art. 591 n. 3) c.c. (a sensi del quale sono incapaci di testare coloro “che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di volere nel momento in cui fecero testamento”);
  • in via subordinata: sulla presunta induzione del testatore in dolo-violenza-errore e conseguente impugnativa ex art. 624 c.c. (a sensi del quale “la disposizione testamentaria può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse quando è l'effetto di errore, di violenza o di dolo”);
  • in ogni caso: sul fatto che il curatore dell'inabilitato, nonostante la mancanza di norma ad hoc, si sarebbe dovuto reputare incapace di succedere rispetto all'assistito, all'uopo sollevandosi eccezione di costituzionalità dell'art. 596 c.c. (a sensi del quale è prevista la nullità esclusivamente delle “disposizioni testamentarie della persona sottoposta a tutela in favore del tutore”, mentre nulla viene detto in ordine a quelle confezionate dall'inabilitato a favore del proprio curatore).

In primo grado il Tribunale di Palermo ed in seconda battuta la Corte d'Appello di Palermo respingevano le domande attoree non reputando raggiunta la prova nè dell'incapacità naturale del testatore né del di lui vizio della volontà. Inoltre, veniva ritenuta manifestamente infondata l'eccezione di costituzionalità sollevata in ordine al cit. art. 596 c.c.: si noti che detta questione era stata da parte attrice argomentata su una presunta irragionevole disparità di trattamento, come tale lesiva dell'art. 3 della Costituzione, tra il curatore dell'inabilitato (capace di ricevere per testamento) ed il tutore dell'interdetto (incapace di ricevere per testamento), il tutto anche alla luce del fatto che l'art. 596 c.c., richiamato dall'art. 411 c.c. in tema di amministrazione di sostegno, sarebbe applicabile a quest'ultima fattispecie (presuntivamente di minore gravità) e non, paradossalmente, in seno all'inabilitazione (presuntivamente di maggiore gravità).

A fronte di quanto sopra i potenziali eredi legittimi, ricorrevano in Cassazione fondando le proprie doglianze su quattro motivi, tre dei quali - attinenti a questioni di minore rilevanza (omessa reiterazione della C.T.U.; erronea valutazione di istanze istruttorie; contestazione sulla liquidazione delle spese di lite) - non saranno in questa sede analizzati: ad ogni modo gli stessi sono stati reputati inammissibili, in quanto consistenti “nella richiesta di riesame del merito e di rivalutazione del compendio istruttorio e - in particolare - del giudizio di rilevanza e concludenza dei singoli mezzi istruttori reso, anche in via implicita, dal giudice di merito”.

Di ben più denso interesse è, invece, primo motivo di ricorso costituito dalla censura avverso il provvedimento d'Appello per non aver esso accolto l'eccezione di incostituzionalità, riproposta - pertanto - anche il sede di legittimità, relativa al cit. art. 596 c.c.. A detta dei ricorrenti non sarebbe giustificabile - in base al costituzionale principio di parità di trattamento caratterizzante il nostro sistema - che il tutore sia incapace di ricevere per testamento dall'interdetto, ma che analogo limite non sussista per il curatore rispetto all'inabilitato: prova decisiva di detta contraddittorietà sarebbe data, stante il richiamo all'art. 596 c.c. fattone dall'art. 411 c.c., dall'estensione all'amministratore di sostegno della citata incapacità di succedere per testamento all'amministrato. Infatti, non avrebbe senso - secondo i ricorrenti - che l'amministrazione di sostegno, volta a gestire - come si legge nella premessa della pronuncia in commento - “situazioni di gravità inferiore”, preveda delle preclusioni più rigide rispetto alla fattispecie dell'inabilitazione che a contrario dovrebbe essere, allora, caratterizzata da un quadro di gravità più elevato.

Tale questione di legittimità costituzionale, respinta dal S.C. con conseguenti rigetto del ricorso e condanna alle spese di lite, offre lo spunto all'Organo Giudicante per (ri)fissare alcuni punti cardine dell'istituto dell'amministrazione di sostegno.

La questione

Ancorchè la vertenza riguardasse un testamento redatto da soggetto da soggetto inabilitato, la pronuncia della Cassazione si impernia - come giocoforza impostole dalla reiterazione della sopra citata questione di legittimità costituzionale - sui seguenti punti inerenti all'amministrazione di sostegno e precisamente:

a) Sulla differenza di presupposti tra le varie forme di tutela dei soggetti non pienamente capaci da parte del nostro sistema;

b) Sulla portata del richiamo all'art. 596 c.c. fattone dall'art. 411 c.c.;

c) Sulla capacità in generale di testare da parte dell'amministrato di sostegno.

Le soluzioni giuridiche

Prima di entrare nel merito delle questioni sopra elencate, occorre precisare che il soggetto inabilitato non è in quanto tale soggetto incapace di testare (Trib. Potenza, 25 luglio 2019; Trib. Trento, 11 novembre 2014): tale assodata affermazione si fonda sul carattere tassativo delle cause di incapacità di testare previste dall'art. 591 c.c. in seno alle quali non è compreso, appunto, la stato di inabilitazione del soggetto (su tutti: G. Capozzi (a cura di) A. Ferrucci - C. Ferrentino, Successioni e donazioni, Giuffrè, Milano, 2015, I, 666). A fronte di un siffatto quadro interpretativo, gli attori - oltre che sulla incapacità naturale del testatore e sulla coartazione delle di lui volontà testamentarie - decidevano di puntare anche sulla declaratoria di incostituzionalità dell'art. 596 c.c.: un eventuale accoglimento della stessa, infatti, avrebbe - seppur per altra via - rimosso perlomeno la disposizione testamentaria più consistente, cioè quella a favore del curatore del testatore ed avente ad oggetto la quota disponibile.

Passando al primo punto sopra esposto (id est: la differenza di presupposti tra interdizione, inabilitazione ed amministrazione di sostegno), la sentenza in commento riafferma l'ormai consolidato principio in base al quale il discrimen nella scelta tra l'apertura dell'amministrazione di sostegno e le altre misure dell'interdizione/inabilitazione non deve essere individuato nel minore (nella prima) o maggiore (nelle altre) grado di infermità del soggetto, bensì nell' “idoneità della misura da adottare a fronteggiare le concrete esigenze del soggetto predetto, alla stregua di tutte le circostanze che caratterizzano la fattispecie, quindi sia del tipo di attività che devono essere compiute per conto del beneficiario, sia della durata e della natura dell'impedimento” (conformi: Cass., Sez. I, 26 luglio 2013, n. 18171; Cass., Sez. I, 26 ottobre 2011, n. 22332; Cass., Sez. I, 22 aprile 2009, n. 9628; Cass., Sez. I, 12 giugno 2006, n. 13584; Cass., Sez. I, 29 novembre 2006, n. 25366). Ad ulteriore rafforzamento del principio suddetto, il Collegio rincara la dose escludendo che si possa “ravvisare un rapporto di inferiorità dell'amministrazione di sostegno rispetto all'inabilitazione o all'interdizione, posto che i detti istituti, pur tesi tutti ad assicurare la protezione del soggetto debole, rispondono ad esigenze diverse che non sempre sono suscettibili di essere collocate su una scala unitaria di crescente gravità del disagio dell'assistito”. Il principio, ancorchè come visto ormai ius receptum nelle aule di giustizia, non deve - tuttavia - darsi per scontato dato che nell'immediatezza della novella di cui alla Legge 9 gennaio 2004, n. 6 era stato sostenuto come “pur nel nuovo quadro sistematico, invero, il discrimen tra interdizione e inabilitazione continua ad essere rappresentato dalla gravità della malattia” (così, S. Delle Monache, Prime note sulla figura dell'amministrazione di sostegno: profili di diritto sostanziale, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2004, 1, 2, 38). Non coglie, quindi, minimamente nel segno la tesi dei ricorrenti fondata sulla semplicistica equazione in base alla quale all'apertura dell'amministrazione di sostegno dovesse corrispondere un grado di infermità in re ipsa inferiore a quello caratterizzante le misure dell'interdizione/inabilitazione: l'ontologica duttilità della misura di protezione dell'amministrazione di sostegno deve, perciò, indurre l'interprete ad abbandonare aprioristici inquadramenti categoriali, lasciando spazio ad una valutazione delle specificità della singola fattispecie. All'interno della categoria dell'amministrazione di sostegno, gli Ermellini danno altresì atto della dicotomia, scaturente dai numeri 3) e 4) dell'art. 405 c.c., tra amministrazione di sostegno c.d. sostitutiva, la quale presenta delle affinità con l'istituto dell'interdizione, ed amministrazione di sostegno di mera assistenza, ove - invece - maggiore è il contatto con la fattispecie dell'inabilitazione. Per completezza ricostruttiva, giova ricordare che tra le due suddette (sotto)categorie è stata, talvolta, prospettata anche la figura ibrida della rappresentanza concorrente (Trib. Parma 2 aprile 2004; Trib. Pinerolo 4 novembre 2004) in seno alla quale si avrebbe una singolare legittimazione disgiunta tra amministrato ed amministratore.

Passando al secondo punto sopra esposto (id est: la portata del richiamo all'art. 596 c.c. fattone dall'art. 411 c.c.), la sentenza in commento mette in evidenza come detto richiamo non debba essere enfatizzato, in quanto è l'art. 411 c.c. stesso a far salvo il richiamo della norma in tema di tutela nei limiti della compatibilità. In base a detto filtro (di compatibilità), il Collegio fissa una linea di demarcazione: ove si tratti di amministrazione di sostegno c.d. sostitutiva il rinvio al cit. art. 596 c.c. sarebbe perfettamente operativo di modo che sussisterebbe per l'amministratore di sostegno l'incapacità di ricevere per testamento dall'amministrato; ove si tratti, invece, di amministrazione di sostegno di mera assistenza l'incapacità de quo non potrebbe scattare sia perché manca un esplicito divieto per l'amministrato di testare a favore dell'amministratore sia perché non potrebbe reputarsi rilevante, appunto per carenza di compatibilità, il richiamo fatto dall'art. 411 c.c. all'art. 596 c.c. (conformi: Trib. Trieste, 6 maggio 2017; si veda, però, Trib. Roma, 30 maggio 2012, che ha negato all'amministratore di sostegno la legittimazione a presentare al Giudice Tutelare istanza volta “a far redigere il testamento pubblico, nel caso in cui sussista conflitto di interessi con il beneficiario”). Ancora una volta, quindi, viene smontato un tassello posto dal ricorrente a fondamento della questione di legittimità costituzionale: se l'art. 596 c.c. è ben lungi dal poter essere indiscriminatamente applicato all'amministrazione di sostegno, a fortiori lo sarà dell'essere esteso al curatore dell'inabilitato.

Passando al terzo punto sopra esposto (id est: a capacità in generale di testare da parte dell'amministrato di sostegno), la sentenza - ancorchè esulasse dalla stretta materia del contendere - torna su un aspetto che, sin dall'introduzione nel nostro Ordinamento dell'istituto dell'amministrazione di sostegno, ha sempre - data la mancanza di una norma specifica - suscitato interesse dogmatico e cioè stabilire se l'amministrato di sostegno sia o meno munito della capacità di testare. In dottrina, la risposta è sempre stata univocamente affermativa, salvo per il caso in cui il Giudice Tutelare si sia avvalso della facoltà - riconosciutagli dall'art. 411 c.c. - di “disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato, si estendano al beneficiario dell'amministrazione di sostegno” (A. Auciello, La volontaria giurisdizione, Milano, Giuffrè, 2015, 283; G. Bonilini, La capacità di testare e di donare del beneficiario dell'amministrazione di sostegno, in Famiglia, Persone e Successioni, 2005, 1, 14; G. Capozzi, op. cit., 670; L. Genghini, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Cedam, Padova, 2010, 738, 741; A. Jannuzzi (a cura di) P. Lorefice, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, Giuffrè, 2004, 322; S. Monosi - N. Taccone, Studio CNN n. 623-2016/C, L'amministrazione di sostegno, 9). A sostegno dell'assunto sono state fornite, ancorchè con sfumature ricostruttive delle quali non si può in questa sede dare conto, plurime argomentazioni: le cause di incapacità a succedere di cui all'art. 591 c.c. sono tassative e fra le medesime non è contemplato il caso del beneficiario dell'amministrazione di sostegno; l'amministrato conserva la piena capacità d'agire per tutti gli atti che non sono espressamente indicati nel decreto di nomina o in una sua successiva modifica; il testamento, stante la sua natura di atto post mortem, è per definizione inidoneo a pregiudicare il patrimonio dell'amministrato; l'art. 411 III comma c.c. prevede che siano in ogni caso valide le disposizioni testamentarie a favore dell'amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado/coniuge/convivente del beneficiario. Anche la giurisprudenza si è pronunciata a favore della tendenziale capacità di testare in capo al beneficiario dell'amministrazione di sostegno (Cass., Sez. I, 21 maggio 2018, n. 12460; Trib. Trieste, 6 maggio 2017; Trib. Vercelli, 4 settembre 2015; Trib. Varese, 12 marzo 2012). La sentenza in commento non si discosta da tale scia interpretativa ancorchè prenda posizione esplicita sulla sola fattispecie dell'amministrazione di sostegno assistenziale affermando che ivi “il beneficiato è pienamente capace di disporre del suo patrimonio, anche per testamento e con disposizione in favore dell'amministratore di sostegno, a prescindere dalla circostanza che tra i due soggetti (amministratore e beneficiato) sussistano vincoli di parentela di qualsiasi genere, o di coniugio, ovvero una stabile condizione di convivenza”. Dal testo della pronuncia - come visto imperniata su un parallelismo tra l'amministrazione di sostegno assistenziale e l'inabilitazione - non può, invece, ricavarsi in modo incontrovertibile se analogo principio debba valere per il caso della amministrazione c.d. sostitutiva.

Osservazioni

La pronuncia in commento, seppur chiamata a dirimere una vertenza di per sé scevra da peculiari criticità giuridiche ( … si era in presenza della “classica” impugnazione testamentaria per incapacità e/o coartazione del testatore …), si è trovata fondamentalmente costretta - stante l'eccezione di incostituzionalità della quale già si è dato conto sopra - a “sconfinare” dalla condizione dell'inabilitato a quella del beneficiario dell'amministrazione di sostegno. Le conclusioni raggiunte dalla Sentenza appaiono - a parere di chi scrive - condivisibili, in quanto fondate su un meditato punto di sintesi tra il dato normativo e la ratio stessa sottesa alla complessiva disciplina dell'amministrazione di sostegno: al riguardo è degno di osservazione ricordare anche come due pronunce di legittimità (Cass., Sez. I, 12 giugno 2006, n. 13584; Cass., Sez. I, 29 novembre 2006, n. 25366), in termini esattamente coincidenti ed a breve distanza l'una dall'altra, avessero - all'indomani dell'entrata in vigore della Legge 9 gennaio 2004, n. 6 – individuato nell'amministrazione di sostegno “la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali la interdizione e la inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge”. Il tema, quindi, della delimitazione delle reciproche aree di interferenza tra i differenti modelli di salvaguardia degli interessi dei soggetti fragili deve essere letto tramite la lente interpretativa di cui sopra, da cui l'ineluttabile conseguenza della (residuale) capacità di testare del beneficiario dell'amministrazione di sostegno, salva specifica restrizione di matrice giudiziale ex 411 c.c. e ca va sans dire a meno che il soggetto si trovi anche in condizione di incapacità di intendere e di volere.

Guida all'approfondimento

V. Barba, Testamento olografo scritto di mano dal curatore del beneficiario di amministrazione di sostegno, in Famiglia, Persone e Successioni, 2012, 6, 436;

A. Benni de Sena, Amministrazione di sostegno, capacità di testare e capacità di ricevere per testamento, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2012, 1, 12, 1006;

G. Bonilini, La capacità di testare e di donare del beneficiario dell'amministrazione di sostegno, in Famiglia, Persone e Successioni, 2005, 1, 9;

S. Landini, Autonomia testamentaria dei soggetti beneficiari di amministrazione di sostegno e formalismo degli atti di ultima volontà, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2012, 1, 9, 782;

M. Mattioni, Il testamento eterografo o per rappresentanza: un nuovo ritrovato giurisprudenziale, in Famiglia, Persone e Successioni, 2012, 8-9, 597;

A. Scalera, Testamento olografo e malato di SLA: un caso di rappresentanza in atti personalissimi?, in Famiglia e diritto, 2012, 5, 494.

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