Cessione del contratto di locazione: Il locatore è legittimato alla risoluzione del contratto di locazione senza la preventiva messa in mora del cessionario

02 Luglio 2020

Il Tribunale di Massa si occupa della questione concernente i limiti entro i quali il locatore è legittimato ad agire per la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento e contestuale condanna al pagamento dei canoni insoluti nell'àmbito di una fattispecie caratterizzata dalla cessione del contratto di locazione ex art. 36 della l. n. 392/1978 (c.d. legge sull'equo canone). Una serie di elementi, anche indiziari, ha consentito al Tribunale di accertare che il locatore - contraddistinto, nel caso di specie, da una pluralità di parti rispetto alle quali il bene locato si trovava in regime di comunione - era a conoscenza del fatto che era mutato il conduttore dell'immobile, che a tale cessione la locatrice non si era opposta e che il cedente non era stato liberato dalle obbligazioni rivenienti dal contratto. Il Tribunale ha accolto la domanda di risoluzione azionata contro il cedente, ancorché non preceduta dalla preventiva “mesa in mora” del cessionario e, viceversa, non accolto quella di condanna del cedente al pagamento dei canoni, in quanto violato il beneficium ordinis.
Massima

La domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento - che è slegata da quella di condanna al pagamento dei canoni insoluti - può essere azionata contro il cedente anche senza la preventiva messa in mora del cessionario. Di contro, l'accoglimento della domanda di condanna al pagamento dei canoni insoluti rivolta al cedente postula la preventiva richiesta di adempimento al cessionario, che può, però, essere attuata anche mediante semplice costituzione in mora.

Il caso

I locatori, comproprietari di immobile a uso commerciale, evocano in giudizio il conduttore-cedente chiedendo la risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento e la condanna dello stesso al pagamento dei canoni insoluti. Parte convenuta si è opposta alla domanda di risoluzione e a quella di condanna sul presupposto che entrambe non erano state precedute dalla messa in mora del soggetto che, nell'ambito di una più ampia fattispecie di cessione di azienda, era subentrato nella locazione. Il Tribunale ha dichiarato la risoluzione del contratto, ma ha rigettato la domanda di condanna contro il cedente, responsabile solo in via sussidiaria, in quanto dagli atti era risultato che la locatrice non aveva rivolto nessuna preventiva richiesta di pagamento dei canoni al cessionario.

La questione

La quaestio juris posta all'attenzione del Tribunale di Massa, che solo incidentalmente ha affrontato il tema degli effetti della comunicazione ex art. 36 l. n. 392/1978 inviata a uno soltanto dei comproprietari, investe il tema del rapporto intercorrente tra l'azione di risoluzione per grave inadempimento e quella di condanna al pagamento dei canoni insoluti rivolte contro il cedente.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione della questione posta all'attenzione del Tribunale di Massa ha reso prima necessario verificare se la comunicazione inviata a uno solo dei comproprietari fosse idonea a rendere opponibile a questi la cessione della locazione, attuata mediante cessione di azienda, e produrre così gli effetti propri dell'art. 36 della l. n. 392/1978.

Il Tribunale aderisce al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la pluralità di locatori è identificata come unica parte i cui rapporti vengono gestiti secondo i criteri della comunione.

Ciascuno dei comproprietari è perciò legittimato a stipulare il contratto di locazione avente a oggetto l'immobile in locazione, senza la necessaria partecipazione degli altri comunisti.

Traendo argomento dal principio di cui sopra, il Tribunale conclude che la comunicazione, ancorché rivolta anche a uno solo dei comproprietari, era idonea a rendere opponibile la cessione del contratto di locazione secondo lo schema proprio dell'art. 36 della l. n. 392/1978. Per altro, a corroborare il convincimento del giudice hanno concorso anche una serie di elementi indiziari atti a dimostrare che l'altro comproprietario fosse ugualmente a conoscenza che il conduttore dell'immobile era mutato e che, conseguentemente, entrambi i comproprietari avessero pacificamente accettato la cessione del contratto di locazione.

Da nessun elemento agli atti, invece, poteva desumersi che il cedente fosse stato liberato dalle obbligazioni contrattuali.

Una volta inquadrati gli aspetti, fattuali e giuridici, della fattispecie, il Tribunale affronta il merito delle domande introdotte e rileva che l'architettura normativa in tema di sfratti privilegia il diritto del locatore alla pronta possibilità di risolvere il contratto di locazione e rientrare in possesso del bene. Per tale ragione l'azione del locatore volta allo scioglimento del vincolo negoziale non necessità di essere subordinata a una preventiva costituzione in mora del cessionario.

Sicché l'azione di risoluzione per inadempimento merita di essere accolta anche quando, come nella specie, il locatore abbia agito contro il cedente senza preventivamente rivolgere alcuna richiesta di pagamento dei canoni insoluti al cessionario. Viceversa, la medesima situazione non consente la condanna del cedente, non liberato, al pagamento dei canoni.

Infatti, se, da una parte, la cessione del contratto di locazione, operata contestualmente a quella dell'azienda, instaura un vincolo di responsabilità del cedente che non sia stato liberato dalle obbligazioni contrattuali, dall'altra, vi è da rilevare che la suddetta corresponsabilità è soltanto sussidiaria.

Per cui al locatore è consentito evocare in giudizio il cedente per rivolgere contro di lui la domanda di condanna al pagamento dei canoni non pagati dal cessionario solamente in costanza di prova che analoga richiesta sia stata primariamente rivolta al cessionario. La richiesta può rivestire anche la semplice forma della messa in mora. Da qui la ragione per cui si è affermato il principio che si tratta di responsabilità sussidiaria e attenuata.

Nella specie è stata accolta l'eccezione della cedente in quanto dimostrato che, prima della instaurazione del giudizio, il cessionario non era stato sollecitato all'adempimento del pagamento dei canoni scaduti.

Osservazioni

L'art. 36 della l. n. 392/1978 attribuisce al conduttore la facoltà di cedere il contratto di locazione a un soggetto terzo, anche senza il consenso del locatore purché insieme sia ceduta, anche, l'azienda (ovvero un ramo di essa) esercitata nell'immobile condotto in locazione.

Va, però, precisato che le vicende traslative del rapporto locativo, anche se funzionalmente collegate all'atto dispositivo dell'azienda, vengono ad esistenza solo in quanto formino oggetto di negozi appositamente stipulati dalle parti, dovendosi escludere che esse si atteggino a effetto naturale della cessione dell'azienda (Trib. Bari 13 marzo 2014, n. 1360). In altri termini, la cessione del contratto di locazione non può essere presunta (Trib. Napoli 6 novembre 2019, n. 5334).

Ove prevista, la cessione del contratto di locazione, a differenza di quanto normalmente avviene per le vicende traslative relative agli altri contratti commerciali, si perfeziona con il solo consenso del cedente e del cessionario e non presuppone quello del contraente ceduto (locatore). Perché però gli effetti della cessione siano opponibili al locatore è necessario che la stessa gli venga comunicata. La comunicazione non costituisce, dunque, requisito di validità della cessione nel rapporto tra conduttore cedente e terzo cessionario, tuttavia ne condiziona l'efficacia (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2014, n. 4067).

Interpretando la lettera della norma, si è affermato che la comunicazione al locatore deve avvenire mediante lettera raccomandata con avviso di ritorno ovvero anche con modalità diverse, purché idonee a consentire la conoscenza della modificazione soggettiva del rapporto. La conoscenza aliunde della cessione da parte del locatore non rileva, a meno che egli, avendola conosciuta, l'abbia accettata secondo la disciplina comune dettata dall'art. 1407 c.c. (Cass. civ., sez. VI, 4 luglio 2018, n. 17545). Nella specie il Tribunale di Massa ha ritenuto idonea allo scopo la comunicazione inviata a uno dei comproprietari e, nel contempo, ravvisato in capo all'altro la consapevolezza in ordine alla intervenuta modifica soggettiva nel rapporto da una serie di indici presuntivi, tra i quali anche la vicinanza della abitazione rispetto all'immobile locato.

Dalla data di ricevimento della comunicazione decorrono i trenta giorni previsti ex lege entro cui il locatore può opporsi alla cessione. L'opposizione costituisce vicenda successiva ed estranea al negozio originario e si prospetta funzionale soltanto all'elisione ex post dell'effetto negoziale che si è già prodotto con l'accordo tra il cedente e il cessionario (Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2015, n. 3597).

La ratio sottesa all‘art. 36 della l. n. 392/1978 è dunque duplice: da un lato assicurare continuità alle attività commerciali, al fine di tutelarne l'avviamento, semplificando e agevolando il trasferimento del contratto di locazione (Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2013, n. 11967); dall'altro, prevedendo quale condizione per l'opponibilità la comunicazione al locatore, il legislatore ha inteso tutelare la parte che, non per sua volontà, viene a trovarsi nella situazione in cui la propria controparte contrattuale è mutata.

Ove la cessione sia stata comunicata, il locatore non si sia opposto e non abbia liberato il cedente, tra cedente e cessionario viene a instaurarsi un vincolo di responsabilità rispetto alle obbligazioni contrattuali rimaste inadempiute (Cass. civ., sez. III, 4 giugno 2009, n. 12896). Sicché il cedente rimane vincolato al ceduto contratto commerciale, rimanendo legittimato passivo in riferimento a tutte le azioni attinenti alla prosecuzione o all'estinzione del rapporto (Trib. Grosseto 27 luglio 2019, n. 601).

Spetta eventualmente al cedente provare l'esistenza della dichiarazione con cui il locatore, per l'ipotesi in cui il cessionario non adempia, lo abbia liberato dalla responsabilità sussidiaria, trattandosi di fatto estintivo della corrispondente obbligazione (Cass. civ.,sez. III, 23 marzo 2017, n. 7430).

Nel caso in esame, il Tribunale di Massa è stato chiamato a decidere in ordine a una domanda di risoluzione del contratto per inadempienza grave del cessionario e di condanna al pagamento dei canoni insoluti, entrambe azionate contro il solo cedente.

Nell'accordare la prima delle tutele richieste e nel rigettare la seconda il giudice toscano è stato preliminarmente investito dell'onere di verificare gli effetti della comunicazione che, nella specie, era stata inviata a uno soltanto dei comproprietari e accertare la sua idoneità a rendere opponibile a essi la cessione del contratto di locazione secondo il costrutto dell'art. 36 della l. n. 392/1978.

In questo, il Tribunale ha aderito all'orientamento della giurisprudenza maggioritaria secondo cui nelle vicende del rapporto di locazione l'eventuale pluralità di locatori integra una parte unica, al cui interno i diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina della comunione; sugli immobili oggetto di comunione concorrono, quindi, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari in virtù della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri o, quantomeno, della maggioranza dei partecipanti alla comunione. Ne consegue che il singolo condomino può stipulare il contratto di locazione avente a oggetto l'immobile in comunione e che ciascun condomino è legittimato ad agire per il rilascio del detto immobile, trattandosi di atto di ordinaria amministrazione per il quale deve presumersi sussistente il consenso già indicato, senza che sia necessaria la partecipazione degli altri e, quindi, l'integrazione del contraddittorio (Cass. civ., sez. III, 4 luglio 2019, n. 17933).

Traendo argomento dal principio sopra espresso il giudice del merito ha affermato che anche la comunicazione inviata a uno solo dei co-locatori è idonea a realizzare gli effetti voluti dall'art. 36 della l. n. 392/1978 nei confronti dell'altro comproprietario. E questo anche a voler prescindere dalla conoscenza che della vicenda locatizia l'altro comproprietario abbia potuto avere aliunde. Su cui il Tribunale, in ogni caso, ha voluto indagare per concludere che le circostanze che la comunicazione ex art. 36 della l. n. 392/1978 fosse stata ricevuta da uno dei comproprietari, che a far data da essa i canoni di locazione fossero stati pagati dal cessionario, che l'altro comproprietario abitasse vicino all'immobile oggetto della locazione, “sicché non poteva non avvedersi del fatto che erano mutati i soggetti che fruivano del bene ed esercitavano l'impresa”, portavano a ritenere che i locatori avessero la consapevolezza della cessione del contratto di locazione a un terzo e che la abbiamo pacificamente accettata.

Nel merito, il Giudice ha rilevato che la domanda di risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento e quella di condanna al pagamento dei canoni insoluti devono essere trattate distintamente partendo, dall'imprescindibile constatazione che l'architettura normativa in materia di sfratti privilegia il diritto del locatore a rientrare in possesso del bene.

Per cui, trattandosi di locazione commerciale non è configurabile la sanatoria prevista dall'art. 55 della l. n. 392/1978 - prevista per i soli immobili destinati ad uso abitativo (Cass. civ., sez. I, 15 ottobre 2014, n. 21836), di talché la risoluzione del contratto di locazione si determina per il solo fatto oggettivo dell'inadempimento, consistente nel mancato pagamento dei canoni dovuti e non dovendo questa essere subordinata a preventive messe in mora del cessionario.

Viceversa, la domanda di condanna del cedente al pagamento dei canoni insoluti non può non tenere conto del particolare principio di corresponsabilità che emerge dal dettato stesso dell'art. 36 della l. n. 392/1978: “[…].Nel caso di cessione, il locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte”. Alla quale - come è stato osservato - va riconosciuta una natura “attenuata”, in considerazione del fatto che non di un vero beneficium excussionis si tratta, bensì del ben più limitato beneficium ordinis (Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2007, n. 9486).

Il che postula che il locatore possa rivolgersi contro il cedente solamente dopo essersi consumato l'inadempimento del cessionario, conduttore attuale.

La preventiva richiesta di adempimento legittima, essa soltanto, la successiva domanda giudiziale nei confronti del cedente (Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2017, n.1433). A ciò, però, potendo il locatore attivarsi anche mediante semplice modalità di messa in mora (Cass. civ., sez. III, 4 giugno 2009, n. 12896; Trib. Modena 9 marzo 2012).

Nella specie, la domanda di condanna del cedente al pagamento dei canoni insoluti è stata rigettata in quanto non agli atti la prova della preventiva richiesta di adempimento rivolta al cessionario.

Guida all'approfondimento

De Stefano - Di Marzio - Giordano - Masoni, Locazioni immobiliari - questioni aperte in materia, Milano, 2019, 157;

De Tilla M. - Giove, Le locazioni abitative e non abitative, Padova, 2009, 161 e 495;

De Tilla M., Le locazioni - Durata. Successione. Sublocazione e cessione del contratto, vol. I, Milano, 2017, 867;

Lazzaro - Preden, Le locazioni per uso non abitativo, Milano, 2005, 1209;

Bavagnoli - De Tilla C. - Ferraro - Riva, L'affitto d'azienda - Profili giuridici, economico-aziendali e contabili, Il suo utilizzo nelle crisi d'impresa, Milano, 2011.

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