Minore nato all'estero da gestazione per altri: rinviata alla corte costituzionale la decisione sul riconoscimento dello status di filiazione

06 Luglio 2020

La Corte di Cassazione rimette alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale degli artt. 12, comma 6, l. 40/2004, 18 d.P.R. n. 396/2000, nonché dell'art. 64, comma 1, lett. g), l. 218/1995, nella parte in cui non consentono, secondo l'interpretazione attuale del diritto vivente – consolidatasi a seguito della sentenza delle Sezioni Unite n. 12193/2019 – la possibilità di riconoscere, ai fini della relativa efficacia in Italia, i provvedimenti giurisdizionali stranieri volti ad accertare lo status genitoriale del genitore d'intenzione, non biologico, nei confronti di un minore nato a seguito di gestazione per altri e, conseguentemente, il suo diritto ad essere riconosciuto come tale nell'atto di nascita straniero.
Massima

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 6, l. 40/2004, degli artt. 18, d.P.R. 396/2000 e 64, comma 1, lett. g) l. 218/1995, nella parte in cui non consentono, secondo l'interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l'ordine pubblico, il provvedimento emesso da un'autorità giudiziaria straniera diretto ad accertare il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero a seguito di un procedimento di gestazione per altri (GPA)– ivi legalmente intrapreso – e il genitore intenzionale non biologico, nonché il diritto di quest'ultimo di essere inserito nell'atto di nascita straniero, per contrasto con gli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, comma 1, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt. 8 CEDU, 2, 3, 7, 8, 9 e 18 Convenzione di New York 1989 e dell'art. 24 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea.

Il caso

A seguito del rifiuto manifestato dal Comune di Verona di rettificare l'atto di nascita, formatosi in Canada, relativo al loro figlio minore, nato da gestazione per altri – e recante il nome di entrambi i genitori – Tizio e Caio hanno proposto ricorso, ex art. 702- bis c.p.c., alla Corte d'Appello di Venezia affinché dichiarasse, ai sensi dell'art. 67, l. 218/1995, l'esecutorietà in Italia della sentenza emessa in Canada, con la quale era stata accertata la genitorialità di entrambi i genitori del minore e disposta la successiva modifica dell'atto di nascita, inizialmente recante soltanto il nome del genitore biologico.

Nell'interesse del Sindaco del Comune di Verona e per il Ministero dell'Interno, si è costituita in giudizio l'Avvocatura dello Stato, sollevando varie eccezioni preliminari, unitamente all'inammissibilità della domanda per contrarietà all'ordine pubblico; il Pubblico Ministero è intervenuto opponendosi all'accoglimento del ricorso.

Con ordinanza del 16 luglio 2018, la Corte d'Appello di Venezia ha accolto il ricorso e ha accertato che la sentenza emessa dalla Corte Canadese possedeva i requisiti per il riconoscimento ai sensi dell'art. 67, l. 218/95 rilevando come la circostanza che nel nostro ordinamento non sia ammesso il riconoscimento del matrimonio tra soggetti dello stesso sesso, né la possibilità di attribuire ad una coppia same-sex la responsabilità genitoriale del minore nato al termine di un percorso di procreazione medicalmente assistita, non è di per sé indice dell'esistenza di un principio superiore, alla base del nostro assetto costituzionale o dell'ordinamento dell'Unione, diretto a vietare il matrimonio omosessuale o il riconoscimento del rapporto di filiazione tra un minore e due genitori dello stesso sesso.

Inoltre, secondo la Corte d'Appello, l'ordine pubblico internazionale impone di assicurare al minore il diritto alla conservazione dello status e la tutela del diritto al riconoscimento dei legami familiari e al mantenimento dei rapporti con chi ha legalmente assunto nei suoi confronti la responsabilità genitoriale.

Quanto ai divieti di cui alla Legge 40 la Corte d'Appello ha evidenziato come le scelte del legislatore italiano appaiano frutto di discrezionalità e non esprimano principi costituzionali afferenti l'ordine pubblico e come, in ogni caso, il divieto penalmente rilevante di gestazione per altri sia irrilevante rispetto alla necessità di valutare e tutelare il miglior interesse del minore concepito con tali tecniche, che non può essere privato dello status legittimamente acquisito nel paese straniero.

Contro la predetta ordinanza ha proposto ricorso in Cassazione l'Avvocatura di Stato, nell'interesse del Ministero dell'Interno e del Sindaco di Verona, sulla base di quattro motivi:

i) Il difetto assoluto di giurisdizione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, c.p.c., stante l'assenza –

nell'ordinamento giuridico nazionale – di una norma che legittimi una piena bigenitorialità omosessuale;

ii) la violazione dell'art. 95, d.P.R. 396/2000, avendo la Corte territoriale erroneamente ritenuto che l'oggetto del procedimento fosse il riconoscimento dell'efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero invece della richiesta della trascrizione dell'atto di nascita straniera, il cui rifiuto avrebbe dovuto essere impugnato con ricorso ai sensi del richiamato art. 95;

iii) la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. avendo la Corte d'Appello omesso di pronunciare sull'eccezione di difetto di legittimazione attiva del padre intenzionale a rappresentare il minore;

iv) la violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 65, l. 218/1995, nonché degli artt. 18, d.P.R. 396/2000 e 5 e 12, commi 2 e 6, l. 40/2004, stante il contrasto dell'ordinanza impugnata con alcuni principi fondanti l'ordine pubblico (la nozione di filiazione intesa quale discendenza da persone di sesso diverso e il divieto di gestazione per altri).

Con controricorso, Tizio e Caio hanno eccepito, nella loro qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sul minore, l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso principale e hanno, altresì, proposto ricorso incidentale.

La Corte di Cassazione ha sospeso il giudizio, rimettendo alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale degli artt. 12, comma 6, l. 40/2004, 18 d.P.R. n. 396/2000, nonché dell'art. 64, comma 1, lett. g), l. 218/1995, nella parte in cui non consentono, secondo l'interpretazione attuale del diritto vivente – consolidatasi a seguito della sentenza delle Sezioni Unite n. 12193/2019 – la possibilità di riconoscere, ai fini della relativa efficacia in Italia, i provvedimenti giurisdizionali stranieri volti ad accertare lo status genitoriale del genitore d'intenzione, non biologico, nei confronti di un minore nato a seguito di gestazione per altri e, conseguentemente, il suo diritto ad essere riconosciuto come tale nell'atto di nascita straniero.

La questione

Il Collegio è stato chiamato a pronunciarsi sull'azione promossa dall'Avvocatura dello Stato nell'interesse del Ministero dell'Interno e del Sindaco di Verona, avente ad oggetto l'impugnazione dell'ordinanza del 16 luglio 2018, con cui la Corte d'Appello di Venezia ha accertato che la sentenza emessa dalla Suprema Corte della British Columbia, possedeva i requisiti richiesti per il riconoscimento ai sensi dell'art. 67, l. n. 218/1995.

In particolare, la Corte di Cassazione, alla luce del parere consultivo della Corte EDU del 10 aprile 2019, ha sottolineato come l'attuale configurazione del diritto vivente, in seguito al più recente intervento delle Sezioni Unite in materia, risulti in contrasto con i diritti inviolabili del minore, così come tutelati dalla Costituzione, nonché dalle convenzioni internazionali e dalla legislazione europea, nella parte in cui non consente di riconoscere un provvedimento giurisdizionale estero di accertamento del rapporto di filiazione tra un minore nato da gestazione per altri e il genitore intenzionale non biologico. Il Collegio evidenzia, altresì, la carenza, nel nostro ordinamento, di strumenti alternativi per poter fornire al minore la giusta tutela e riconoscere il medesimo status filiationis dallo stesso acquisito ai sensi delle leggi del Paese straniero di nascita e – spesso – di cittadinanza.

Le soluzioni giuridiche

Dopo aver confermato la sussistenza della giurisdizione della Corte d'Appello e la correttezza del tipo di procedimento attivato (ai sensi dell'art. 67, l. 218/95), il Collegio ha dichiarato l'infondatezza del terzo motivo.

I giudici si sono soffermati sull'analisi del quarto motivo, il contrasto dell'ordinanza della Corte d'Appello con vari principi fondanti l'ordine pubblico, rilevando come dallo stesso si possano far discendere numerose questioni, già affrontate e decise dalla sentenza n. 12193/2019 delle Sezioni Unite, che assumono un rilievo costituzionale e sono decisive ai fini del riconoscimento o meno del provvedimento giudiziario emesso dall'autorità giudiziaria canadese.

Dopo aver brevemente evidenziato gli aspetti più rilevanti della decisione delle Sezioni Unite, nonché del parere consultivo della Grand Chambre della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, l'articolata motivazione è stata prevalentemente ricondotta a quattro aspetti:

i) La (insuperabile) conflittualità tra il diritto vivente come configurato alla stregua della sentenza delle Sezioni Unite n. 12193/2019 e il parere consultivo della Corte EDU

I giudici di Cassazione si sono soffermati sull'ipotesi di “conflittualità” fra il menzionato parere reso dalla Corte di Strasburgo e il diritto vivente in Italia, venutosi a configurare a seguito dell'intervento delle Sezioni Unite, ritenuto, in particolare, che le Sezioni Unite avessero attribuito erroneamente al divieto di gestazione per altri la connotazione di principio di ordine pubblico internazionale prevalente sull'interesse del minore, secondo una valutazione generale e astratta, compiuta dal legislatore italiano, che prescinde da un'attenta analisi del caso concreto. La Suprema Corte ha rilevato il contrasto tra la scelta interpretativa delle Sezioni Unite con il parere reso dalla Grand Chambre, a tenore del quale la legittima imposizione di misure interne di contrasto al ricorso alla gestazione per altri, non giustifica il sacrificio del superiore interesse del soggetto nato da GPA.

In questa prospettiva, pertanto, anche la predisposizione di mezzi alternativi alla trascrizione dell'atto di nascita formato all'estero – espressione, secondo la Corte EDU, dell'ampio margine di apprezzamento degli Stati – dovrebbe sempre essere interpretata nell'ottica finalizzata all'identificazione di uno strumento di tutela diverso ma equivalente, quanto agli effetti, rispetto alla trascrizione o al riconoscimento del provvedimento straniero.

A giudizio del Giudice rimettente, del tutto lontana da tale interpretazione sembra essere la ricostruzione delle Sezioni Unite che, nel fornire indicazioni sulle diverse modalità di riconoscimento dello status filiationis, hanno identificato nello strumento dell'adozione in casi particolari ex art. 44, lett. d), l. 184/1983, una valida alternativa alla trascrizione dell'atto di nascita estero; trattasi infatti, di un istituto che, secondo l'Autorità rimettente, appare del tutto inidoneo a soddisfare le condizioni di celerità e effettività – con riferimento all'attribuzione del rapporto di filiazione – considerate dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo come condizioni imprescindibili per accedere alla modalità alternativa alla trascrizione.

ii) La (impossibile) interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata

I giudici di Cassazione hanno poi sottolineato la rilevanza del parere consultivo della Corte EDU, evidenziando come l'attuale opzione interpretativa inaugurata dall'intervento delle Sezioni Unite si ponga in contrasto con una serie di principi costituzionali (art. 117, comma 1, Cost.) e convenzionali (art. 8 CEDU, artt. 2, 3, 7, 8, 9, 10 e 18 Convenzione di New York, art. 24 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea) ai quali, invece, dovrebbe essere ispirata.

Prima di identificare lo strumento per la risoluzione di tale ”conflitto interpretativo”, il Collegio si è soffermato, tuttavia, sulla natura della pronuncia delle Sezioni Unite, sottolineando come la stessa dia forma e sia alla base dell'attuale diritto vivente in materia di GPA, soprattutto in virtù dell'autorevolezza dell'Autorità Giudiziaria da cui promana, la cui funzione è proprio quella di garantire l'uniforme interpretazione delle norme sul territorio nazionale, quale bene fondamentale dell'ordinamento giuridico.

Pertanto, a giudizio della Suprema Corte, la controversia in commento non può risolversi con l'affermazione di un principio che si contrapponga, superandola, all'interpretazione adottata dalle Sezioni Unite; dunque, richiedere l'intervento interpretativo della Consulta, per procedere con una interpretazione costituzionalmente conforme delle norme impugnate e, quindi, con la rimozione delle disposizioni sottostanti al principio enunciato dalle Sezioni Unite, appare, agli occhi dei giudici di Cassazione, l'unica soluzione percorribile.

iii) Il principio di non discriminazione, ragionevolezza e proporzionalità: i diritti fondamentali del minore sono inviolabili

La Suprema Corte ha osservato come l'interpretazione delle Sezioni Unite, negando il riconoscimento in Italia del provvedimento straniero, diretto ad accertare lo status del genitore d'intenzione con il conseguente inserimento del suo nome nell'atto di nascita del minore, sulla scorta di un contrasto fra quest'ultimo e l'ordine pubblico per la prevalenza attribuita al disvalore espresso dal divieto di gestazione per altri, si ponga in contrasto con gli artt. 2,3,30 e 31 della Costituzione e, nello specifico, con l'inalienabile diritto del minore all'inserimento e alla stabile permanenza dello stesso all'interno del nucleo familiare originario, inteso come formazione sociale tutelata dalla Costituzione.

Il Collegio ha, altresì, ritenuto che il riconoscimento parziale dell'atto di stato civile diretto a escludere il genitore d'intenzione, seppur legalmente riconosciuto come genitore dalla legge in Canada – Paese del quale il minore possiede anche la cittadinanza – ha l'effetto di inficiare il diritto del minore alla propria identità, alla formazione e al consolidamento del rapporto di filiazione all'interno della propria famiglia.

Non solo.

A giudizio della Corte di Cassazione, la ricostruzione delle Sezioni Unite, ostativa al riconoscimento del rapporto tra il minore e il genitore d'intenzione, si pone in contrasto con gli artt. 2 e 3 della Costituzione, giacché prevede l'applicazione di modalità diverse di riconoscimento dello status filiationis, in base alle circostanze della nascita e della modalità di gestazione.

L'Autorità rimettente ha poi chiarito la necessità di sottoporre la questione di costituzionalità alla Consulta anche per segnalare come alla luce del principio personalistico di tutela dei diritti fondamentali della persona alla base della Costituzione, la ricostruzione operata dalle Sezioni Unite – volta a far prevalere la tutela del principio di ordine pubblico rispetto al superiore interesse del minore – sia in evidente contrasto con i valori alla base della nostra Carta Costituzionale e abbia provocato un bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti del tutto sproporzionato e eccessivo.

Pertanto, nei casi come quello in esame, in cui viene in rilievo il bilanciamento tra “principi di ordine pubblico di rango costituzionale” (la tutela dell'interesse del minore) e ”principi di ordine pubblico derivanti da discrezionalità legislativa” (il divieto di gestazione per altri), la nozione di ordine pubblico deve, ad avviso del Collegio, essere circoscritta ai principi contenuti nella Costituzione e nelle Carte dei diritti fondamentali sovranazionali. Questo perché una diversa interpretazione della nozione di ordine pubblico, inteso come l'insieme delle norme inderogabili e di rilevanza penale (ordine pubblico derivante da discrezionalità legislativa), comporta una illegittima e inaccettabile lesione dei diritti fondamentali dell'individuo.

Con riferimento al contrasto tra i due aspetti sopra menzionati, i giudici del Collegio si sono espressi nel senso di ritenere il superiore interesse del minore valore fondamentale in grado di concorrere a formare lo stesso principio di “ordine pubblico”, piuttosto che contrapporsi ad esso, conferendogli assoluta rilevanza quale parte integrante dei principi cardine dell'ordinamento giuridico italiano. Basti pensare, osserva il Giudice rimettente, alla rilevanza assunta dal principio di unificazione e unicità dello stato di figlio a prescindere dalle condizioni di nascita e dalle modalità con le quali lo status di filiazione viene a instaurarsi, a nulla rilevando il contributo biologico o genetico fornito del genitore.

Quanto alla tutela della “dignità della donna”, invece, intesa come principio anch'esso costitutivo dell'ordine pubblico, l'Autorità rimettente ha ritenuto importante sottolineare non giustificabile la sua protezione con la compressione del diritto del minore, giacché a derivarne in tal caso sarebbe esclusivamente una profonda e grave lesione dei diritti del figlio e non una maggiore tutela per la donna che ha, comunque, consapevolmente assunto tale decisione nell'esercizio di un potere di autodeterminazione che le viene riconosciuto dall'ordinamento estero.

Del resto, il nostro ordinamento già tutela la dignità della donna vietando la GPA; il Collegio ritiene, pertanto, come la sussistenza di tale divieto non possa ledere la sfera giuridica dei diritti inviolabili di un minore, nato all'estero, nel pieno rispetto delle leggi di quel luogo; diversamente si giungerebbe ad effettuare un bilanciamento improprio tra i diritti inviolabili del minore e la volontà dello Stato di scoraggiare i propri cittadini a recarsi all'estero per eludere il divieto di gestazione per altri vigente in Italia.

Non solo.

Secondo la Suprema Corte, la compressione dei diritti del minore non può essere giustificata dalla volontà dello Stato di far prevalere il disvalore penale della gestazione per altri sanzionando la condotta dei genitori attraverso la opposizione del limite dell'ordine pubblico alla trascrizione; infatti, l'unico effetto di una tale scelta è quello di far ricadere gli effetti negativi della scelta dei genitori su un soggetto (il minore) che non ha alcuna responsabilità per le modalità con cui è stato messo al mondo.

Si tratta, secondo la ricostruzione della Suprema Corte, di un'interpretazione errata da parte delle Sezioni Unite, se solo si considera che, da un lato, la stessa conduce a un bilanciamento tra diritti e interessi che non hanno alcuna attinenza con i soggetti che ne sono titolari e con le loro condotte; dall'altro, appare del tutto irragionevole e contradditoria, nella parte in cui preclude il riconoscimento del provvedimento giudiziario straniero, che ha accertato il rapporto di filiazione tra il minore e il genitore intenzionale non biologico, consentendo la trascrizione dell'atto di stato civile limitatamente al padre biologico, autore della condotta procreativa comunque realizzata in violazione di una norma penale.

La prima sezione della Cassazione ha, poi, evidenziato come l'effetto di sanzionare la condotta dei genitori escluda, da principio, ogni possibilità di valutazione e bilanciamento concreto da parte del giudice, quando invece si dovrebbe attentamente analizzare l'effettiva qualità della relazione genitoriale e l'opportunità di salvaguardarla, nell'esclusivo interesse del minore.

Del resto, è evidente, secondo il Collegio, come in materia di status, sia il legislatore, sia la giurisprudenza abbiano definitivamente abbandonato ogni logica sanzionatoria con riferimento al comportamento assunto dai genitori; nello specifico, i giudici hanno richiamato le pronunce della Corte Costituzionale (Corte Cost., sent. n. 31/2012 e Corte Cost n. 7/2013) con cui è stato rispettivamente escluso che la condanna per il reato di alterazione di stato o di soppressione di stato giustifichi, come sanzione accessoria, l'automatica decadenza dalla potestà/responsabilità dei genitori dovendo, anche in tal caso, le valutazioni del giudice fondarsi esclusivamente sull'interesse del minore, nonché sulla relazione con i genitori.

Infine, il Collegio ha eccepito l'inadeguatezza del ragionamento delle Sezioni Unite secondo il quale il riconoscimento dell'efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, diretto ad accertare il rapporto di filiazione tra un minore, nato all'estero da GPA e il genitore d'intenzione, è ostacolato dal divieto stesso di gestazione per altri qualificabile come principio di ordine pubblico, anche in quanto posto a tutela del valore fondamentale rappresentato dall'istituto dell'adozione. Secondo la ricostruzione della Suprema Corte, infatti, tale interpretazione è del tutto priva dei caratteri di ragionevolezza e proporzionalità, se solo si considera che il suo unico effetto è quello di determinare l'affievolimento dell'interesse del minore.

Infatti, l'attribuzione dello status di filiazione nei confronti del genitore d'intenzione – anche in assenza di collegamento biologico – è strettamente correlata, così come avviene nella fecondazione eterologa, all'attuazione di un progetto genitoriale che appartiene alla coppia e non al genitore singolo; né può del resto affermarsi che nell'ordinamento italiano ci sia un principio assoluto di favor adoptionis

Pertanto, negare il rapporto di filiazione con riferimento al genitore intenzionale non biologico comporta la violazione delle norme poste a tutela della vita familiare e dell'esplicazione della personalità nelle formazioni sociali, ricollegabili all'art. 8 della CEDU, che richiedono la applicazione del principio di bigenitorialità e di uguaglianza tra i genitori che hanno il diritto, ai sensi degli artt. 30 e 31 della Costituzione, di vivere una condizione di pari dignità nel loro rapporto con i figli. Allo stesso modo, i minori hanno il diritto di vivere il rapporto familiare così come inizialmente riconosciuto nel paese di nascita, senza che questo possa variare in base al luogo dove la famiglia deciderà di tornare a vivere.

iv) Riconoscimento dello status filiationis: in mancanza di un valido strumento alternativo e conforme all'art. 8 CEDU, il divieto di trascrizione dell'atto di nascita è incostituzionale

La Suprema Corte evidenzia la totale inadeguatezza dello strumento dell'adozione “in casi particolari”, disciplinato dall'art. 44, lett. d), l. 184/1983 e identificato dalle Sezioni Unite quale alternativa al riconoscimento dell'atto di nascita o del provvedimento straniero.

Infatti, tale forma di adozione non crea un vero rapporto di filiazione, bensì esclusivamente il riconoscimento di una situazione affettiva che, pur attribuendo diritti e doveri, nega al figlio e all'adottante il diritto ad una relazione pienamente equiparata alla filiazione e pone il genitore non biologico in una situazione di inferiorità rispetto a quello biologico.

In secondo luogo, tale forma di adozione non crea rapporti parentali con i congiunti dell'adottante ed esclude il diritto del minore di succedere nei loro confronti; né risponde al requisito della tempestività come richiesto dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, trattandosi di un procedimento che richiede un lungo e complesso iter processuale e decisionale.

Infine, per potersi perfezionare, è necessario, da un lato, che la procedura sia attivata dal genitore intenzionale (soggetto che come ha manifestato la sua assunzione di responsabilità all'estero, così in Italia potrebbe sottrarsi all'assunzione di tale responsabilità); dall'altro, l'avvio di tale procedimento è subordinato alla manifestazione dell'assenso all'adozione da parte del genitore biologico, che potrebbe venir meno in caso di separazione, divorzio o intervenuta morte dello stesso, con il conseguente rischio di compromettere la tutela del minore.

Alla luce di tutto ciò, il Collegio ha eccepito una carenza di strumenti alternativi chiarendo come non esistano, ad oggi, nel nostro sistema normativo, istituti che consentano una forma di riconoscimento del legame di filiazione alternativa alla trascrizione dell'atto di nascita estero o al riconoscimento del provvedimento giurisdizionale straniero che instauri il legame di filiazione anche con il genitore intenzionale non biologico nei confronti del minore nato in un altro paese mediante il ricorso alla pratica della gestazione per altri.

Osservazioni

Il supremo interesse del minore va sempre tutelato, così come il suo diritto alla conservazione dello status acquisito alla nascita, nonché al riconoscimento dei legami familiari e al mantenimento dei rapporti con chi ha legalmente assunto la responsabilità genitoriale nei suoi confronti.

È questo il principio fondamentale che si può far discendere dalla ordinanza con cui la Corte di Cassazione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale delle norme vigenti nel nostro ordinamento, laddove non consentono il riconoscimento del rapporto di genitorialità tra il minore e il genitore d'intenzione non legato a suo figlio da un rapporto biologico, relazione invece accertata e dichiarata a tutti gli effetti nel paese straniero, del quale spesso il bambino ha anche la cittadinanza.

In effetti, in tali casi la biologia non sempre è coinvolta ma viene spesso superata e sostituita dall'intenzione e dalla responsabilità che un soggetto decide di assumere – ancor prima del concepimento – nei confronti di quell'individuo che sarà suo figlio ed è la condizione che, in molti ordinamenti stranieri dove la gestazione per altri è legale, appare sufficiente ai fini del riconoscimento e dell'accertamento del rapporto di filiazione.

Tuttavia, secondo il nostro ordinamento, la sola intenzione di diventare genitore non basta in questi casi a confermare il ruolo genitoriale; tale sentenza è, dunque, l'esempio di come sempre più frequentemente i giudici stiano operando una inversione di tendenza, finalizzata sempre al raggiungimento di un obiettivo comune: la tutela del minore.

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