Sulla legittimità dell'arresto in “quasi flagranza” relativo a beni fungibili di modesto valore

13 Luglio 2020

È illegittimo l'arresto in quasi flagranza basato sulla “sorpresa” dell'indagato con cose o tracce di reato corrispondenti a beni fungibili, il cui possesso può di per sé risultare giustificato. Tali tracce sono intrinsecamente equivoche e implicano apprezzamenti e valutazioni incompatibili con la semplice constatazione, che è propria dell'arresto in quasi flagranza.
Massima

È illegittimo l'arresto in quasi flagranza basato sulla “sorpresa” dell'indagato con cose o tracce di reato corrispondenti a beni fungibili, il cui possesso può di per sé risultare giustificato. Tali tracce sono intrinsecamente equivoche e implicano apprezzamenti e valutazioni incompatibili con la semplice constatazione, che è propria dell'arresto in quasi flagranza.

Il caso

Con la pronuncia che si annota, la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi dei presupposti legittimanti l'arresto in flagranza nell'ipotesi in cui l'indagato sia sorpreso con cose o tracce di reato dalle quali appaia che lo abbia commesso immediatamente prima.

Nella vicenda in esame, un cliente presente in un locale si accorgeva del comportamento “sospetto” da parte dell'indagato, il quale appena entrato si avvicinava al bancone per poi uscire immediatamente. Insospettito da quell'atteggiamento, il cliente non solo allertava le forze di polizia, ma cercava altresì di bloccare l'avventore.

Nel frattempo sopraggiungevano gli operanti di P.G., i quali tra le altre cose raccoglievano le dichiarazioni del proprietario del locale, che riferiva di aver appreso da un suo cameriere che l'indagato si era avvicinato al bancone e aveva prelevato una banconota da 50 Euro. A quel punto, l'indagato veniva perquisito e, con il rinvenimento di una sola banconota di quel taglio, veniva tratto in arresto.

Il GIP competente, su richiesta del Pubblico Ministero, emetteva ordinanza di convalida dell'arresto. Avverso il suddetto provvedimento, l'indagato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando l'assenza di uno stato di flagranza, atteso che la polizia giudiziaria si era limitata a raccogliere le dichiarazioni da soggetti terzi. Oltre a questo, si evidenziava anche l'assenza dei presupposti integrativi della quasi flagranza, sotto il profilo della sorpresa dell'indagato con “tracce o cose dalle quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima”;del resto, la somma di denaro rinvenuta rappresentava un bene fungibile, in quanto tale inidoneo, a rappresentare un elemento certo di collegamento della persona arrestata con il reato.

La questione

Per meglio comprendere le questioni giuridiche sottese alla vicenda in esame, è utile ricordare che l'arresto è una misura precautelare (unitamente al fermo di indiziato e all'allontanamento d'urgenza dalla casa familiare) riconducibile alla previsione costituzionale che riconosce all'autorità di pubblica sicurezza il potere di adottare provvedimenti provvisori limitativi della libertà personale “in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge,con l'obbligo di comunicazione all'autorità giudiziaria entro 48 ore, in vista della convalida che dovrà, a sua volta, intervenire nelle successive 48 ore, a pena della perdita di efficacia della misura (art. 13, comma 3, Cost.).

In attuazione ai principi costituzionali, il legislatore italiano ha previsto le ipotesi in cui l'arresto è “obbligatorio” (art. 380 c.p.p.), differenziandole da quelle in cui invece è facoltativo (art. 381 c.p.p.). Tuttavia, in entrambi i casi l'arresto deve essere eseguito in “flagranza di reato”.

In relazione a quest'ultimo presupposto, il codice di rito si limita a stabilire che si trova in “stato di flagranza” chi viene colto nell'atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima (art. 382,comma 1, c.p.p.). Nel caso di reato “permanente”, invece, lo stato di flagranza si protrae fin tanto che non sia cessata la permanenza (art. 382, comma 2, c.p.p.).

Si comprende allora che la nozione di flagranza di reato, così come delineata dal legislatore, appare foriera di alcuni problemi interpretativi. Ciò si verifica soprattutto nell'ipotesi di flagranza “impropria” o “quasi flagranza” allorché, subito dopo la commissione del reato, il reo venga “inseguito” ovvero sia sorpreso con “tracce o cose” dalle quali appare certo un collegamento con il reato commesso in precedenza.

Le soluzioni giuridiche

La quasi flagranza in caso di “inseguimento”. In linea generale, si ritiene che nel concetto di “inseguimento” debba comprendersi ogni attività di indagine e ricerca finalizzata alla cattura dell'autore del reato, purché detta attività non subisca interruzioni rispetto alla commissione del reato e si inserisca in un'unica sequenza temporale, senza soluzione di continuità.

Tale principio è stato recentemente ribadito da Cass. pen., Sez. VI, 12 aprile 2016, n. 17709, in un caso in cui non si era verificata alcuna interruzione delle ricerche effettuate dagli organi investigativi, avendo la polizia agito nell'immediatezza dei fatti, con l'ausilio di un'altra pattuglia che, nel medesimo contesto spazio-temporale in cui aveva operato la prima, aveva proseguito l'attività di inseguimento con l'arresto dei prevenuti.

Diversamente, quando l'inseguimento è iniziato - non già in seguito o a causa di una diretta percezione dei fatti - ma per effetto e soltanto dopo l'acquisizione di informazioni da parte di terzi o della persona offesa, andrà escluso l'arresto in quasi flagranza.

Sul punto appare significativa la pronuncia delle Sezioni Unite Penali del 24 novembre 2015, n. 39131:in quella vicenda, i carabinieri erano pervenuti all'individuazione dell'autore della condotta delittuosa di lesioni aggravate soltanto grazie alle dichiarazioni della persona offesa; mancava quindi una percezione diretta del fatto, atteso che la polizia giudiziaria aveva iniziato l'inseguimento dell'autore solo dopo la testimonianza della persona offesa; inoltre, al momento della cattura dell'indagato, non erano state rinvenute su di sé tracce o cose riferibili al reato.

Proponendo ricorso per cassazione avverso l'ordinanza di rigetto della convalida dell'arresto, il Pubblico Ministero sosteneva che la nozione di “inseguimento del reo” debba essere interpretata in misura ulteriore rispetto alla sua accezione etimologica (di chi corre dietro, tallona e incalza, a vista, la persona inseguita) fino a comprendere anche un'azione di ricerca immediatamente eseguita, sulla scorta delle indicazioni fornite dalla vittima.

Tuttavia, lo stesso Procuratore Generale intervenuto dinanzi alla Corte di Cassazione, osservava che sebbene il progresso tecnologico renda non più adeguata alla realtà fenomenica e, pertanto, superata, la tradizionale definizione dell'inseguire (come azione di chi corre dietro a chi fugge, tallonandolo da presso), rimane estranea alla nozione dell'inseguimento la differente ipotesi dell'attività investigativa della P.G., ancorché tempestivamente intrapresa e proseguita con la ricerca del reo, celermente e fruttuosamente compiuta in tempi rapidi.

Le Sezioni Unite hanno ritenuto condivisibile l'orientamento più restrittivo, escludendo che l'art. 382 c.p.p. possa comprendere le ipotesi in cui l'autore del reato venga fatto oggetto di incalzante attività investigativa, in seguito alla ricezione della notitia criminis da parte di un soggetto terzo.

A fondamento di questa conclusione, i Giudici di legittimità hanno precisato che la privazione – sia pur provvisoria – di un diritto fondamentale quale è la libertà personale, ad iniziativa della polizia giudiziaria e in assenza di un provvedimento dell'autorità giudiziaria, rappresenta un istituto a carattere eccezionale, con la conseguenza che le disposizioni codicistiche che ne regolamentano l'esercizio vanno interpretate in modo ristretto, in base all'art. 14 delle Preleggi.

Muovendo da tali premesse, le Sezioni Unite hanno precisato che non rientra nello stato di quasi flagranza nemmeno l'ipotesi in cui la polizia giudiziaria si metta sulle tracce del fuggitivo per effetto di informazioni acquisite dai testi circa l'identità dell'autore e la “direzione di fuga” intrapresa da quest'ultimo. Si osserva infatti che “inseguire” e “fuggire” designano azioni differenti e, in particolare, la seconda può prescindere dall'attualità dell'inseguimento.

Secondo la previsione dell'art. 382 c.p.p., l'inseguimento in continenti e non la fuga pone il reo in quel pregnante collegamento con il fatto contestato. Diversamente la mera fuga non permette di inferire la reità del fuggitivo, posto che il precipitoso allontanamento dalla scena del crimine ben potrebbe correlarsi a ragioni diverse dalla colpevolezza (ad esempio, l'esigenza di tutelare la propria incolumità, la richiesta di soccorso ecc.). Pertanto, l'inseguimento che non sia intrapreso immediatamente, ma sulla base delle dichiarazioni acquisite dai testimoni, non corrisponde alla previsione di legge, laddove la norma richiede che ciò avvenga “subito dopo il reato”.

Su tali tematiche si segnalano altre interessanti pronunce che, in parte, sembra aver limitato la portata dei principi affermati dalle Sezioni Unite.

Ci si riferisce in particolare a Cass. pen. Sez. II, 15.09.2017 n. 45322, che ha escluso la quasi flagranza di reato, in quanto l'arresto era stato fornito dalla polizia giudiziaria sulla base delle informazioni fornite dal personale del supermercato dopo che l'indagato, divincolandosi, era riuscito a fuggire con la refurtiva e si era allontanato.

A questa, più di recente, va aggiunta anche Cass. pen.,Sez. IV, 19 febbraio 2020, n. 10230, in una vicenda in cui l'indagata aveva investito una persona sulle strisce pedonali ed era scappata. La polizia giudiziaria, allertata da testimoni, aveva avviato le prime ricerche, avvalendosi anche dei risultati delle telecamere di videosorveglianza e, dopo 11 ore, era riuscita a rintracciare la possibile responsabile. Anche in questo caso, la Suprema Corte ha escluso il ricorrere della quasi flagranza, in quanto l'arresto dell'indagata era avvenuto dopo alcune ore dalla commissione del reato, esclusivamente sulla base delle dichiarazioni rese dalle persone informate dei fatti e della ricostruzione operata attraverso la telecamera della videosorveglianza, senza che ricorresse l'ipotesi dell'inseguimento del reo ed essendo fuori discussione la sussistenza degli altri casi dello stato di flagranza.

La quasi flagranza in caso di scoperta di “cose o tracce del reato”. Finora si è visto che, in relazione alla nozione di “inseguimento” del reo legittimante l'arresto, la giurisprudenza è riuscita ad elaborare un indirizzo conforme.

Diverso è il caso invece della quasi flagranza determinata dalla sorpresa del reo con “cose o tracce del reato” precedentemente commesso, laddove si registrano maggiori problematiche sul piano interpretativo.

Sul punto, è opportuno partire da una prima pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. IV, 10 novembre 2009, n. 7305.

La polizia giudiziaria aveva provveduto ad un arresto in relazione al furto di un portafoglio commesso all'interno di un ospedale. In particolare, i carabinieri avevano notato in ospedale la presenza dell'indagato, dalla cui tasca fuoriusciva un assegno circolare che risultava avere come beneficiaria la persona offesa, poco prima derubata. L'indagato veniva quindi veniva arrestato perché si riteneva vi fosse uno stretto legame temporale tra il furto denunciato dalla vittima e l'intervento dei Carabinieri che lo avevano trovato con addosso le tracce del delitto. L'arresto però non veniva convalidato dal Giudice per le indagini preliminari.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dal Pubblico Ministero, sostenendo che il requisito della “sorpresa” del reo con cose o tracce del reato non richiede la diretta percezione dei fatti criminosi da parte della P.G., né che la “sorpresa” debba verificarsi in maniera non casuale, ma solo l'esistenza di una stretta contiguità fra la commissione del fatto e la successiva sorpresa del presunto autore con le “cose” o “tracce” del reato e dunque il susseguirsi, senza soluzione di continuità, della condotta del reo e dell'intervento degli operanti a seguito della percezione di cose o tracce.

Nel caso di specie, secondo i giudici di legittimità, l'arresto è stato reso possibile per lo stretto legame temporale tra la commissione del fatto, la denuncia della vittima e l'intervento dei Carabinieri che avevano visto l'autore con indosso le tracce del delitto.

Tale principio è stato confermato anche da Cass. pen., Sez. II, 4 aprile 2017, n. 19948.

In questo caso, i carabinieri, durante un controllo di routine, avevano sorpreso l'indagato alla guida di un'autovettura che risultava essere stata rubata alcune ore prima. Ritenendo sussistente l'ultima ipotesi di flagranza dell'art. 382 c.p.p., perché l'indagato era stato sorpreso con cose o tracce (l'autovettura) dalle quali appariva che lo stesso avesse commesso il furto aggravato poco prima (peraltro ammesso dallo stesso ai carabinieri e al GIP in sede di interrogatorio), avevano provveduto all'arresto.

Per i giudici di legittimità, l'arresto è legittimo, in quanto – sebbene non vi sia stata una percezione diretta della commissione del reato né un inseguimento immediatamente successivo – ciò non toglie che la polizia giudiziaria abbia avuto una percezione diretta del fatto delittuoso, attraverso tracce rivelatrici idonee a far ritenere sussistente, con altissima probabilità, la responsabilità dell'indiziato.

Di recente, in subiecta materia, è intervenuta anche Cass. pen., Sez. II, 14 giugno 2019, n. 37303.

L'indagato, dopo essersi avvicinato con la scusa di chiedere un'informazione, era riuscito ad impossessarsi della borsa della vittima, posta sul sedile lato passeggero dell'autovettura, parcheggiata sulla pubblica via. La persona offesa allertava il fratello che, a sua volta, informava il padre; quest'ultimo segnalava prontamente l'accaduto alla polizia, che raggiungeva la persona offesa, raccogliendo i primi dettagli. In seguito, gli operanti si mettevano alla ricerca dell'autore del reato che, grazie alla descrizione puntuale del vestiario operata dalla vittima, veniva rintracciato nelle vicinanze e subito bloccato.

I Giudici di legittimità hanno precisato che, nel caso affrontato dalle Sezioni Unite nel precedente del 2015, l'arresto era stato compiuto sulla base delle sole indicazioni della persona offesa riguardanti le generalità dell'aggressore. Quanto invece al precedente sopra citato della Seconda Sezione Penale del 2017, si era affermato che l'indagato trovato con cose o tracce dalle quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima, non impone che la polizia giudiziaria abbia diretta percezione dei fatti antecedenti, né che la sorpresa avvenga in modo non casuale.

Secondo la Corte, ciò che assume rilievo è la diretta percezione dei soli elementi idonei a far ritenere sussistente, con altissima probabilità, la responsabilità del medesimo, nei limiti temporali determinati dalla commissione del reato “immediatamente prima”. L'elemento rilevante ai fini della flagranza è dunque che la polizia giudiziaria percepisca in modo diretto gli elementi che inducano a ritenere con elevata probabilità la responsabilità dell'arrestato.

Nel caso di specie, vi era stata immediatezza di intervento dopo la consumazione del fatto (aggressione subìta dalla vittima all'interno della propria autovettura e telefonate con intervento degli agenti di polizia e le ricerche effettuate con successo sulla base delle indicazioni relative al vestiario fornite dalla donna). Inoltre, l'indagato era stato sorpreso con cose o tracce del reato, in quanto puntuale era stata l'indicazione del vestiario. A questo poi andava aggiunto che la borsa era stata rinvenuta sulla via percorsa dall'indagato per allontanarsi dal parcheggio in cui aveva compiuto la rapina, a conferma del tragitto intrapreso da quest'ultimo ed infine il diretto riconoscimento della vittima.

In definitiva, secondo la Suprema Corte, vi era stata una linea di ininterrotta e rapida continuità spazio temporale, nella quale trovavano collocazione le “cose”, costituite dalla borsa abbandonata sulla via di futa e dal vestiario indossato, integrando un profilo di elevatissima probabilità che l'indagato fosse l'autore del fatto, ritenendo pertanto legittimo l'arresto operato in quasi flagranza.

Tornando alla vicenda in esame, la Suprema Corte è tornata ad affrontare la questione interpretativa della quasi flagranza nel caso in cui la polizia giudiziaria abbia sorpreso l'indagato con “cose o tracce del reato”.

Si è visto in premessa che la polizia giudiziaria sosteneva di aver avuto diretta percezione di tracce di reato, rappresentata dalla “cosa sottratta”. In particolare, gli inquirenti avevano trovato una banconota del medesimo taglio di quella sottratta dal bancone dell'esercizio nel quale, secondo la persona che ne aveva richiesto l'intervento, l'indagato si sarebbe introdotto.

Tuttavia, osserva la Corte, trattandosi nella specie di denaro, ovverosia di un bene fungibile e per di più di una somma modesta, il suo possesso non può di per sé ritenersi ingiustificato al punto da consentire una provvisoria privazione della libertà personale su iniziativa della polizia giudiziaria.

Del resto, l'istituto dell'arresto ha carattere eccezionale e la sua disciplina è di stretta interpretazione, dovendo escludersi l'operatività ogniqualvolta la traccia del reato sia “intrinsecamente equivoca” ed implichi pertanto “apprezzamenti e valutazioni” incompatibili con la semplice constatazione.

Per questa ragione, in accoglimento al ricorso presentato dall'indagato, la Corte di Cassazione ha annullato l'ordinanza di convalida dell'arresto.

Osservazioni

Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione ha risolto la delicata questione interpretativa, basandosi su un aspetto concernente la “qualità” delle cose o tracce di reato, rinvenute sull'indagato e che possono ritenere idonee a ritenere altamente probabile una sua responsabilità.

In tal senso, proprio perché nella vicenda in esame, l'oggetto rinvenuto rendeva “equivoca” la riconduzione ad un reato immediatamente commesso, trattandosi infatti di un bene “fungibile”, il cui possesso non poteva di per sé ritenersi ingiustificato, si è tenuto conto dell'eccezionalità della misura provvisoria che, in casi come questo, va intesa in senso restrittivo, portando ad escludere la legittimità dell'arresto che, al contrario, impone una situazione di collegamento al reato altamente probabile.

A fondamento del principio sopra esposto, la Corte di Cassazione ha richiamato un precedente della medesima Sezione Penale che, pur decidendo in senso sfavorevole all'arrestato, aveva già individuato tale importante limitazione applicativa.

Si fa riferimento alla vicenda affrontata da Cass. pen., Sez. IV, 26 ottobre 2017 n. 53553.

In quel caso, la polizia giudiziaria era riuscita per tempo a risalire ad uno dei conducenti dei veicoli coinvolti in un grave sinistro stradale. Avviate le prime immediate ricerche, avevano rintracciato tale soggetto, trovando all'interno dell'abitacolo della sua auto un asciugamano intriso di sangue che costui riferiva essere stato utilizzato dall'altra persona per tamponarsi le ferite e che aveva trasportato in ospedale. Giunti così nell'ospedale vicino, gli operanti sorprendevano la seconda persona ricercata mentre ricorreva alle cure mediche per le lesioni riportate, procedendo all'arresto.

Il GIP non convalidava l'arresto, ma la Corte di Cassazione ha successivamente accolto il ricorso presentato dalla Procura. In particolare, è stato affermato che se, da un lato, il GIP aveva correttamente escluso lo stato di flagranza in mancanza di un inseguimento subito dopo il reato della persona indagata, d'altro avrebbe dovuto quantomeno considerare che entrambi gli indagati erano stati “sorpresi” con tracce dalle quali appariva che avevano commesso il reato immediatamente prima (asciugamano sporco di sangue e ferite al capo della persona sottoposta alle cure mediche).

Sulla base di ciò, considerata appunto la “qualità” delle cose o tracce di reato rinvenute, secondo i Giudici di legittimità, ben poteva ritenersi configurata la seconda ipotesi della quasi flagranza regolata dall'ultima parte dell'art. 382 c.p.p. Ciò in quanto i carabinieri, nell'arco di poche ore e in stretta continuità con l'evento avevano rintracciano uno dei conducenti, durante un blocco stradale e in seguito il correo che si trovava in ospedale, riscontrando su entrambi la sussistenza di cose e tracce “inequivocabilmente” riconducibili alla commissione del reato.

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