Fondamentale la formazione dei dipendenti per escludere la responsabilità dell'ente in caso di infortunio sul lavoro

Ciro Santoriello
17 Luglio 2020

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il vantaggio di cui all'art. 5 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, operante quale criterio di imputazione oggettiva della responsabilità, può consistere anche nella velocizzazione degli interventi manutentivi che sia tale da incidere sui tempi di lavorazione
Massima

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il vantaggio di cui all'art. 5 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, operante quale criterio di imputazione oggettiva della responsabilità, può consistere anche nella velocizzazione degli interventi manutentivi che sia tale da incidere sui tempi di lavorazione

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, la predisposizione di un adeguato modello organizzativo, idoneo ad escludere la responsabilità della società per l'infortunio subito dai dipendenti, non può prescindere dalla individuazione e determinazione di un programma di formazione dei dipendenti in tema di sicurezza sul lavoro

Il caso

Nell'ambito di un procedimento per infortunio sul lavoro nei confronti dell'amministratore di una società - che veniva poi dichiarato improcedibile dalla Cassazione per intervenuta prescrizione – la persona giuridica alle cui dipendenze operava l'infortunato era dichiarata responsabile dell'illecito amministrativo ex art. 25-septies, comma 3, d.lgs. n. 231 del 2001 ed era stata condannata al pagamento della sanzione di euro trentamila, con l'ulteriore ed assai gravosa sanzione interdittiva di contrarre con la pubblica amministrazione per la durata di mesi tre.

I fatti erano i seguenti: a seguito del blocco di una presa ad iniezione dovuto all'intasamento di uno degli iniettori con del materiale plastico, l'operaio, senza indossare idonei guanti ad alta protezione termica, senza attendere che la camera calda si raffreddasse prima di procedere e con l'ausilio di una bacchetta di rame, rimuoveva la plastica che ostruiva l'iniettore; durante tali operazioni un getto di plastica liquida lo colpiva alla mano sinistra, cagionandogli lesioni significative. Il profilo di colpa rimproverato alla persona fisica concerneva la violazione degli artt. 29, comma 3 (non aggiornata valutazione dei rischi in relazione all'operazione di sbloccaggio della plastica di seguito descritta, considerato il frequente numero degli infortuni per la medesima causa verificatasi nel corso degli anni), e 77, comma 3 (omessa fornitura di guanti ad alta protezione termica), d.lgs. n. 81 del 2008, mentre l'ente veniva condannato per l'adozione di un modello organizzativo insufficiente rispetto alle finalità di prevenzione e protezione contro i rischi derivanti dalla rimozione della plastica e per il vantaggio economico consistito in un risparmio di spesa per il mancato acquisto dei guanti di protezione nonché maggior guadagno determinato dal non rallentamento della produzione dovuta all'attesa del raffreddamento del materiale plastico nei casi frequenti (3 o 4 volte per turno di lavoro) di intasamento delle presse.

In sede di ricorso per Cassazione, si contestava le conclusioni circa la mancata consegna all'infortunato di adeguati dispositivi di protezione individuale e la violazione dell'obbligo di aggiornare il documento di valutazione dei rischi; si sottolineava inoltre come i lavoratori fossero stati adeguatamente formati circa la procedura da seguire in sicurezza per lo sbloccaggio dell'iniettore nonché le rilevanti dimensioni dell'azienda. Veniva poi contestata la ricostruzione del nesso di causalità non essendosi verificato se l'infortunio si sarebbe realizzato anche qualora il lavoratore avesse adoperato i guanti forniti dall'azienda, né era stata esaminata la sussistenza del nesso causale tra mancato aggiornamento del DVR e verificazione dell'infortunio, essendo pacifico il mancato rispetto da parte dei lavoratori delle disposizioni di sicurezza loro impartite.

Infine, si sostiene essere stata affermata la responsabilità dell'ente, pur in assenza di vantaggio o di interesse, secondo quanto prescritto dall'art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001. In particolare, tenuto conto della presenza di due stabilimenti e di 163 dipendenti, non sussisteva un effettivo e concreto vantaggio connesso al contestato mancato acquisto dei guanti idonei. Quanto alla circostanza che, come sostenuto nella decisione di condanna impugnata, la mancata formazione dei lavoratori avrebbe realizzato un vantaggio, si evidenzia come tale profilo non avesse formato oggetto di contestazione nel capo di imputazione, con conseguente violazione dell'art. 521 c.p.p.

La questione

Sul tema della compatibilità fra reati colposi e responsabilità ex d.lgs. n. 231 del 2001 degli enti collettivi, la sentenza non presenta profili di novità in quanto si ribadisce che la sussistenza dell'interesse dell'ente si deve accertare in relazione alla condotta colposa e non all'evento verificatosi, per cui l'interesse può essere correlato anche ai reati colposi d'evento, rapportando i due criteri indicati dal citato art. 5 non all'evento delittuoso, bensì alla condotta violativa di regole cautelari che ha reso possibile la consumazione del delitto, mentre l'evento andrebbe ascritto all'ente per il fatto stesso di derivare dalla violazione di regole cautelari (sul tema, dopo la decisione delle Sezioni Unite Thyssen, cfr. Cass., Sez. IV, 27 novembre 2019, n. 49775; Cass., Sez. IV, 24 settembre 2019, n. 43656; Cass., Sez. IV, 19 marzo 2019, n. 15335; Cass., Sez. IV, 21 marzo 2019, n. 28097). In effetti, non c'è dubbio che solo la violazione delle regole cautelari poste a tutela della salute del lavoratore può essere commessa nell'interesse o a vantaggio dell'ente – allo scopo di ottenere un risparmio dei costi di gestione – e che l'evento lesivo in sé considerato è semmai controproducente per l'ente, per cui il collegamento finalistico che fonda la responsabilità dell'ente non deve necessariamente coinvolgere anche l'evento, quale elemento costitutivo del reato, giacché l'essenza del reato colposo è proprio il risultato non voluto.

A questa conclusione non può obiettarsi che – in questa prospettiva - gli eventi della morte o delle lesioni finirebbero con l'essere imputati automaticamente ed oggettivamente all'ente tutte le volte in cui si accerti un suo interesse o vantaggio in relazione alla condotta imprudente della persona fisica che li ha causalmente determinati. In proposito, va evidenziato come non sia sufficiente a radicare la responsabilità dell'ente collettivo la circostanza che lo stesso abbia ottenuto un vantaggio o perseguito un suo interesse a seguito della (o mediante la) commissione di uno dei fatti di reato di cui agli artt. 25 ss. d.lgs. n. 231 del 2001, dovendosi anche rinvenire una colpevolezza dell'ente medesimo – la cosiddetta colpa di organizzazione –, da individuare nell'incapacità della persona giuridica di darsi una organizzazione e di fornirsi degli strumenti necessari ad evitare che nell'ambito della propria attività imprenditoriale vengano poste in essere determinate tipologie di illeciti (C. SANTORIELLO, Violazioni delle norme antinfortunistiche e reati commessi nell'interesse o a vantaggio della società, in Riv. resp. amm. enti, 1, 2008, 161; ID., I requisiti dell'interesse e del vantaggio della società nell'ambito della responsabilità da reato dell'ente collettivo, ivi, 3, 2008, 49; ID., Riflessioni sulla possibile responsabilità degli enti collettivi in presenza dei reati colposi, ivi, 4, 2011, 71). Proprio il necessario ricorrere di questo deficit organizzativo in capo alla persona giuridica – quale presupposto necessario per la sua dichiarazione di responsabilità – consente di comprendere come sia possibile sostenere che la condotta criminosa del singolo amministratore, pur connotata da colpa e negligenza, possa dirsi comunque essere stata assunta nell'interesse dell'ente collettivo di appartenenza: infatti, pur non avendo l'ente interesse né alla lesione del lavoratore né alla violazione della regola cautelare il concreto esame della vicenda potrà comunque far emergere prospettive puntuali, di regola collegate alla organizzazione e/o all'andamento della produzione – ad esempio, un risparmio mediante il taglio dei costi connessi alla sicurezza o un maggior livello produttivo – delle quali si può dire che manifestino l'interesse della compagine organizzata a non evitare il reato (si v. sul punto N. SELVAGGI, L'interesse dell'ente collettivo quale criterio di iscrizione della responsabilità da reato, Napoli, 2006.

Le soluzioni giuridiche

Detto che la posizione dell'imputato persona fisica è stata oggetto di pronuncia di prescrizione, quanto alla condanna dell'ente il ricorso è stato rigettato.

Secondo la Cassazione, la contestazione mossa all'amministratore della società (la cui fondatezza si è proceduto comunque a valutare stante il principio secondo cui in tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 231 del 2001, il giudice deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una veri- fica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato: Cass., Sez. IV, 18 aprile 2018, n. 22468) era fondata. Infatti, quanto al nesso causale la motivazione della sentenza impugnata ha adeguatamente giustificato la conclusione secondo cui l'incidente si era verificato principalmente per l'omesso utilizzo da parte del lavoratore di idonei guanti ad alta protezione termica e del compimento della manovra diretta a rimuovere il tappo di plastica formatosi sull'iniettore, senza attendere il raffreddamento della camera calda prima di procedere. Ai dipendenti erano stati forniti inadeguati guanti in gomma, utili a proteggere dal rischio di taglio ma non dalle ustioni, e della loro pericolosità, in quanto si incollavano alle mani del lavoratore aumentando la probabilità di verificarsi di eventi lesivi.

Quanto al contenuto del documento di valutazione dei rischi, la possibilità di un infortunio quale quello verificatosi era stata effettivamente individuata e valutata ma l'imputato non aveva fornito ai lavoratori gli strumenti idonei, i quali erano stati consegnati solo successivamente all'incidente.

La sentenza poi evidenzia altri profili di colpa rinvenibili in capo al datore di lavoro, posto che l'infortunio non era dovuto soltanto al mancato utilizzo dei guanti, ma anche ad una serie di gravi carenze riscontrate in materia di sicurezza, tra le quali principalmente l'omessa adeguata formazione dei lavoratori, l'assenza della scheda – stampo, l'omessa indicazione nel DVR dei rischi dei rischi e delle modalità per farvi fronte. Tali censure consentono, secondo la Cassazione, di addebitare al datore di lavoro anche i comportamenti non corretti assunti dal lavoratore, perché conseguenti alle carenze informative relativamente alla dotazione necessaria e alle modalità di intervento in caso di intoppi al normale processo produttivo; in particolare, la Cassazione attribuisce significativo rilievo alla circostanza sottolineata dai giudici di merito secondo cui l'infortunio era stato sì determinato da un comportamento non corretto del lavoratore, il quale, come i suoi colleghi, per non interrompere il ritmo della lavorazione non attendeva il raffreddamento della macchina, ma ciò a sua volta dipendeva dalla circostanza che l'azienda non aveva mai prospettato agli operai tale eventualità e non aveva fornito spiegazioni relative alla tecnica di rimozione dei tappi di plastica che ostruivano l'iniettore, per cui la prassi seguita, secondo quanto esposto da tutti i testi, consisteva nel non interrompere il ciclo produttivo, senza attendere il raffreddamento per venti o trenta minuti nel caso in cui si fosse verificato l'inconveniente del tappo.

Sulla scorta di queste considerazioni la Cassazione procede a verificare la sussistenza di una responsabilità dell'ente, concludendo, come detto, per il riconoscimento di tale colpevolezza.

In primo luogo, si sottolinea che, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il vantaggio di cui all'art. 5 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, operante quale criterio di imputazione oggettiva della responsabilità, può consistere anche nella velocizzazione degli interventi manutentivi che sia tale da incidere sui tempi di lavorazione (Cass., Sez. IV, 28 maggio 2019, n. 29538). In linea con tale principio, conseguentemente all'affermazione della responsabilità dell'imputato, viene ritenuta corretta la pronuncia con cui la Corte di appello aveva confermato anche la condanna della società, la quale aveva risparmiato il danaro necessario all'acquisto di guanti di protezione, non aveva curato la formazione dei lavoratori mediante appositi corsi e si era avvantaggiata per l'imposizione di ritmi di lavoro, che prescindevano dalla messa in sicurezza della macchina, tramite il raffreddamento della stessa, prima dell'intervento riparatore, in tal modo conseguendo, a scapito della sicurezza dei lavoratori, un aumento della produttività.

Quanto alla dedotta violazione dell'art. 521 c.p.p., la Cassazione la esclude – sia ricordando come nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 c.p.p. (Cass., Sez. IV, 15 febbraio 2018, n. 18390), ma soprattutto – evidenziando che alla società era stata ritualmente contestata un'ipotesi di colpa specifica concernente l'omessa adeguata previsione di un modello organizzativo adeguato, nel quale rientra anche la mancata formazione dei dipendenti.

Considerazioni conclusive

Se la sentenza della Cassazione ora in commento non presenta profili di novità con riferimento al tema della compatibilità fra reati colposi e responsabilità da illecito degli enti collettivi, la stessa è apprezzabile per l'attenzione che dedica al profilo attinente all'individuazione dell'interesse o del vantaggio che l'ente deve trarre dalla violazione della normativa in tema di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro.

In proposito, va premesso che quanto alla possibilità di rinvenire in capo all'ente un profitto economico maturato e derivante dalla commissione di un reato colposo secondo la giurisprudenza il profitto del reato è qualsiasi vantaggio economico che costituisca un beneficio aggiunto di tipo patrimoniale che abbia una diretta derivazione causale dalla commissione dell'illecito (Cass., Sez. Unite, 3 luglio 1996, Chabni, in Mass. Uff., n. 205707; Cass., Sez. Unite, 24 maggio 2004, Focarelli, in Mass. Uff., n. 228166; Cass., Sez. Unite, 25 ottobre 2005, n. 41936, Muci, in Mass. Uff., n. 232164). Tale impostazione però non comporta che tale beneficio debba essere individuato nell'utile che il reo trae dalla sua condotta delittuosa né tanto meno che debba tradursi in un accrescimento materiale del suo patrimonio – insomma non è necessario che in conseguenza del reato il responsabile dello stesso acquisisca la disponibilità di beni o somme di denaro, ulteriori rispetto a quello di cui era già in possesso -, giacché il profitto del crimine è nozione comprensiva anche di qualsivoglia utilità che il criminale realizza come effetto anche mediato ed indiretto della sua attività criminosa (Cass., Sez. Unite, 25 ottobre 2007, n. 10280, Miragliotta, in Mass. Uff., n. 238700. Si v. anche Cass., Sez. Unite, 30 gennaio 2014, n. 10561 Gubert, in Mass. Uff., n. 258647).

Sulla scorta di queste riflessioni diventa agevole riconoscere – come fa appunto la sentenza in commento – che nulla preclude la possibilità di rinvenire un profitto anche in presenza di reati colposi, ed in specie laddove la condotta colposa si concreti nella violazione della normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. In tale ipotesi, infatti, il profitto può individuarsi, quanto meno, nel risparmio di spesa inerente l'ammodernamento e la messa a norma degli impianti e più in generale la mancata adozione delle doverose misure di sicurezza e prevenzione degli infortuni e malattie professionali – dovendosi poi considerare, accanto a tale profilo, anche il beneficio pervenuto in capo alla società dalla prosecuzione dell'attività funzionale alla strategia aziendale ma non conforme ai canoni di sicurezza.

Al contempo però non si può ritenere che, nell'ambito di illeciti colposi addebitabili ad un soggetto che riveste la qualifica di datore di lavoro in una società, possa qualificarsi quest'ultima come beneficiata dal reato ogni qualvolta e per il solo fatto che si sia in presenza di una mera ricaduta patrimoniale favorevole in capo alla persona giuridica, giacché questa impostazione finirebbe per comportare che «la verifica della sussistenza del criterio [del vantaggio darebbe] esiti positivi anche soltanto valorizzando fatti del tutto esteriori al reato, come se, nell'ottica dell'imputazione, il giudice dovesse ricostruire il presupposto di responsabilità chiedendosi ‘a chi giova il reato'?» (N. SELVAGGI, L'interezze, cit., 30).

Per evitare tale rischio occorre verificare se la vicenda tragica sia il frutto di una isolata violazione della normativa in tema di sicurezza sul lavoro o siano il risultato di una sistematica violazione di tale disciplina, avendo l'ente realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto; ciò significa che occorre accertare in concreto le modalità del fatto e verificare se la violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro, che ha determinato l'infortunio, rispondesse ex ante ad un interesse della società o abbia consentito alla stessa di conseguire un vantaggio (Cass., Sez. IV, 13 settembre 2019, n. 16713). Di conseguenza, come è stato riconosciuto in alcune occasioni, in presenza di un reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, sussiste l'interesse dell'ente nel caso in cui l'omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, mentre si configura il requisito del vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività o, come contestato nel caso di specie, una riduzione dei tempi di lavorazione (Cass., Sez. IV, 27 novembre 2019, n. 49775; Cass., Sez. IV, 24 settembre 2019, n. 43656; Cass., Sez. IV, 24 gennaio 2019, n. 16598, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell'ente in un caso in cui, sebbene i lavoratori fossero stati correttamente formati e i presidi collettivi ed individuali fossero presenti e conformi alla normativa di riferimento, le lavorazioni in concreto si svolgevano senza prevedere l'applicazione ed il controllo dell'utilizzo degli strumenti in dotazione, al fine di ottenere una riduzione dei tempi di lavoro). Ciò significa che, nel decidere circa la sussistenza di un vantaggio in capo alla società in conseguenza di un illecito criminale posto in essere dai suoi amministratori, la valutazione non va svolta isolando le singole conseguenze del reato ma considerando in termini complessivi ed in un'ottica temporale più vasta rispetto a quella che considera il solo momento di svolgimento della condotta illecita quali siano gli effetti che in capo alla persona giuridica sono derivati dal reato stesso (Cass., Sez. V, 19 settembre 2017, n. 42778).

A questa impostazione si è correttamente rifatta la decisione in commento, la quale, anziché limitarsi a riscontrare un profilo di colpa in capo all'amministratore con riferimento all'infortunio occorso al dipendente, ha dimostrato come le violazioni al d.lgs. n. 81 del 2008 contestate al datore di lavoro si iscrivessero in un atteggiamento di disinteresse per la salute dei lavoratori più ampio e generale, tale da poter fondatamente far sostenere che la società intenzionalmente traeva un significativo vantaggio, identificato nel risparmio dei tempi di lavorazione, dalla continua (o quanto meno frequente) inosservanza delle prescrizioni antinfortunistiche.

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