Il sovraindebitamento: legge vigente e legge di riforma

Mauro Di Marzio
22 Luglio 2020

Nel 2012 il legislatore ha introdotto procedimenti volti a porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento riguardanti debitori non fallibili. I debitori hanno facoltà di concludere un «accordo» con i creditori attraverso una procedura di composizione della crisi. Il consumatore può inoltre proporre un piano di ristrutturazione. Nei casi stabiliti dalla legge, la procedura può essere convertita, su istanza del debitore o dei creditori, in una «procedura di liquidazione del patrimonio». L'articolo esamina la disciplina dettata dalla l. n. 3/2012, in raffronto con quella introdotta dal Codice della crisi di impresa, di prossima entrata in vigore, prestando attenzione alla giurisprudenza, anche più recente, formatasi in materia.
Dalle origini ai giorni nostri

Il debitore - proclama solennemente l'articolo 2740 c.c. - risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, e le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi prescritti dalla legge. Ora, a parte le molteplici ipotesi normative di limitazione di responsabilità, man mano introdotte nell'ordinamento, in particolare derivanti dalla formazione di patrimoni separati finalisticamente destinati ad un determinato scopo, oggi il diritto fallimentare, e la disciplina del sovraindebitamento, contemplano l'istituto della esdebitazione, che, a non voler troppo sottilizzare, si pone in conflitto frontale con l'art. 2740 c.c.

Eppure, la norma reca una previsione dotata di una indubbia logica interna: ben più cupe erano le prospettive che attendevano il debitore inadempiente nel diritto romano arcaico. L'esecuzione nei confronti del debitore seguiva difatti il sistema legislativo delle XII tavole: l'obbligatus era soggetto all'azione esecutiva della manus iniectio: dunque, trascorso il termine di trenta giorni (dies iusti) dalla sentenza di condanna al pagamento di una somma di danaro, il creditore poteva condurre il debitore innanzi al magistrato e, dopo aver pronunciato la formula sacramentale, ottenere l'autorizzazione a trascinare il debitore a casa sua (addictio) e a tenerlo legato per sessanta giorni. A conclusione dei sessanta giorni, il debitore poteva essere venduto come schiavo trans Tiberim, o venire messo a morte.

L'idea che il creditore potesse rifarsi non solo sul patrimonio, ma sulla persona del debitore è poi rimasta viva per secoli, tanto che, nel nostro Paese, l'abolizione della prigione per debiti è stata conquista relativamente recente: l'istituto prettamente civilistico, e regolato sino a quel momento dal codice di procedura civile, è stato cancellato, ma non del tutto, soltanto dalla l. 6 dicembre 1877, n. 4166: l'arresto personale è stato mantenuto per le ipotesi di mancato pagamento dei risarcimenti civili conseguenza del danno da reato, ipotesi anche questa infine abrogata a seguito dell'emanazione del codice penale nel 1931 che ha novato l'intera materia del risarcimento civile per danno da reato. Ed è una curiosità rammentare che la fine dell'arresto per debiti non ha avuto in effetti nulla a che vedere con l'affermarsi del principio di inviolabilità della persona: il fatto è che l'istituto aveva una connotazione, come si diceva, strettamente civilistica, sicché il creditore, ottenuto il titolo esecutivo, procedeva all'arresto del debitore a mezzo dell'ufficiale giudiziario che conduceva il debitore in carcere, ove questi, sulla scia della previsione romanistica cui si è accennato, era mantenuto a spese del creditore. Sicché, in fin dei conti, egli non soltanto non vedeva in tal modo soddisfatto il suo credito, ma ci rimetteva anche del denaro.

Il sistema dualistico

Nel 1942, anno di promulgazione della legge fallimentare, il legislatore introduce, in materia di responsabilità patrimoniale, il sistema cd. «dualistico», distinguendo tra imprenditori e non:

  • agli imprenditori insolventi, e solo ad essi, si applicano le regole speciali della legge fallimentare;
  • ai debitori civili si applica la disciplina comune del codice civile (anzitutto l'art. 2740 c.c., appunto) e del libro terzo del codice di procedura civile, dedicato al procedimento esecutivo.

E tuttavia, nel sistema dualistico, non può certo dirsi che la posizione del debitore-imprenditore sia più agevole, maggiormente favorita, rispetto a quella del debitore civile, anzi. D'altronde il fallimento è riguardato in definitiva proprio come esito riconducibile alla previsione dell'art. 2740 c.c.: si tratta, in buona sostanza, della estrema applicazione del principio per cui il debitore risponde con tutti i suoi beni, beni che, conseguentemente, vengono sottoposti ad un procedimento di esecuzione forzata complessiva, finalizzata alla integrale liquidazione del patrimonio del debitore-imprenditore per i fini del pagamento dei suoi debitori.

Fino alle riforme della legge fallimentare del 2005-2007 la non fallibilità del debitore civile costituisce allora una sorta di beneficio, in considerazione del carattere penalizzante della dichiarazione di fallimento, tenuto conto anche delle sue ricadute personali.

Il ribaltamento di prospettiva del 2005-2007

In seguito alle riforme della legge fallimentare del 2006-2007 i termini della questione si ribaltano: il fallimento perde la connotazione di afflittività, e si trasforma in un'opportunità.

Difatti:

  • è soppresso il registro dei falliti;
  • viene ridimensionato il disvalore della procedura fallimentare, nonché l'ignominia sociale da sempre connessa allo status di fallito;
  • si riduce l'ambito dell'azione revocatoria;
  • la dichiarazione giudiziale d'insolvenza cessa di essere essenzialmente finalizzata all'eliminazione dell'azienda decotta dal mercato, il che si manifesterà poco dopo attraverso la radicale modificazione della disciplina del concordato preventivo;
  • è introdotto il procedimento di esdebitazione (scompare la riabilitazione) ossia la liberazione dai debiti residui.

È così che il debitore civile da privilegiato che era, giacché non fallibile, viene a trovarsi in posizione deteriore rispetto al debitore-imprenditore.

Difatti, il debitore civile, a differenza dell'imprenditore commerciale:

  • è tenuto all'integrale pagamento dei creditori;
  • non ha accesso ai concordati;
  • i suoi beni (tendenzialmente tutti: v. art. 514 c.p.c.) possono essere oggetto di azioni esecutive individuali finché non provvede all'esatto adempimento delle obbligazioni.
La legge sul sovraindebitamento

Per rimediare alla situazione di eccessivo indebitamento dei non fallibili la l. 27 gennaio 2012, n. 3, conosciuta con la formula giornalistica di legge «salva-suicidi», introduce il procedimento di composizione delle crisi da sovraindebitamento.

Viene in tal modo incrinato il sistema dualistico, al quale abbiamo accennato: almeno tendenzialmente, e volendo semplificare, il fallibile è soggetto al fallimento, il non fallibile alla disciplina del sovraindebitamento.

Lo scopo della disciplina sul sovraindebitamento, almeno nelle intenzioni, è chiaro.

Si tratta anzitutto di allineare l'ordinamento italiano agli altri ordinamenti continentali e di common law, realizzando piene condizioni di libertà di stabilimento: di modo che il cittadino europeo possa trovare in Italia un istituto paragonabile a quello di cui potrebbe fruire negli altri paesi dell'unione.

Alla legge sul sovraindebitamento si attribuiscono altresì effetti sistemici volti al complessivo miglioramento del funzionamento del sistema economico. La legge intende cioè far sì che, attraverso la prospettiva della cd. second chance, ovvero del cd. fresh start, il debitore non sia spinto verso l'economia sommersa, né incentivato a trasferirsi in altri paesi per accedere a regimi più favorevoli.

Inoltre la nuova disciplina persegue l'intento di convogliare le iniziative individuali dei creditori, realizzando economie di scala e sollevando i singoli da oneri personali di impulso processuale.

Si è detto ancora che la legge concorrerebbe finanche allo scopo di decongestionare il carico delle esecuzioni civili.

Il codice della crisi e dell'insolvenza

La materia del sovraindebitamento, a tutt'oggi regolata dalla l. 27 gennaio 2012, n. 3 (legge frettolosamente approvata, tanto che è stata poi subito modificata in misura importante dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, in legge 17 dicembre 2012, n. 221), è oggetto altresì del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, ossia del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza.

Le procedure istituite dalla l. n. 3/2012 non hanno trovato, nella pratica, diffusa applicazione, come si desume anche dall'esiguità del dato giurisprudenziale: ciò per ragioni legate ai costi ed alla complessità dell'iter previsto, sicché il Codice ha inteso razionalizzare e semplificare la materia.

Il Codice, che regola ex novo anche il sovraindebitamento, entra in vigore nell'agosto del 2020, cioè decorsi diciotto mesi dalla data della pubblicazione in G.U., ai sensi dell'art. 389 c.p.c.: sul che è però intervenuto il d.l.8 aprile 2020, n. 23, che ha spostato il termine al 1° settembre 2021.

Dunque, attualmente, come appena accennato, trova applicazione la disciplina sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento contenuta nella legge del 2012. Con la precisazione che le domande proposte prima dell'entrata in vigore del Codice rimarranno regolate dalla legge antevigente. Sicché qui si presterà attenzione essenzialmente alla legge vigente, con raffronti al Codice.

Che cos'è il sovraindebitamento?

La nozione di sovraindebitamento ha evidentemente una connotazione prettamente economica, che il legislatore traduce in nozione giuridica. Nozione giuridica che è stata rielaborata nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza.

Secondo la legge del 2012 sovraindebitamento è la «situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità ad adempierle regolarmente» (art. 6, comma 2, l. n. 3/2012). Nella giurisprudenza di merito si è sostenuta però la coincidenza del concetto di sovraindebitamento con quello di insolvenza (Trib. Napoli Nord 21 dicembre 2018).

Secondo il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, sovraindebitamento è «lo stato di crisi o di insolvenza» (art. 2, lett.c, c.c.i.). Il codice precisa in proposito che : «Ai fini del presente codice si intende per: a) “crisi”: lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l'insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate; b) “insolvenza”: lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni».

Chi può avvalersi della procedura di sovraindebitamento?

Secondo la legge sul sovraindebitamento possono avvalersi della procedura i soggetti che versino in «situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo» (art. 6, comma 2, l. n. 3/2012)

Secondo il Codice della crisi e dell'insolvenza - che amplia la platea degli interessati - possono avvalersi della procedura: consumatore, professionista, imprenditore minore, imprenditore agricolo, start-up innovative, ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza (art. 2, lett.c, c.c.i.).

Requisito comune per l'accesso alle procedure di sovraindebitamento è la meritevolezza.

Il debitore, secondo l'art. 7, comma 2, l. n. 3/2012:

  • non deve aver fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, ai procedimenti previsti dalla legge sul sovraindebitamento;
  • non deve aver subito per cause a lui imputabili uno dei provvedimenti di cui agli artt. 14 (Impugnazione e risoluzione dell'accordo) e 14-bis (Revoca e cessazione degli effetti dell'omologazione del piano del consumatore);
  • deve aver fornito documentazione che consenta di ricostruire compiutamente la sua situazione economica e patrimoniale;
  • non deve aver compiuto atti in frode ai creditori.

Si trova in tema affermato che il presupposto della meritevolezza del debitore in relazione alle cause del sovraindebitamento sussiste tutte le volte in cui l'indebitamento non derivi da una condotta colposa del debitore stesso, in quanto i finanziamenti richiesti ed ottenuti – che hanno provocato l'indebitamento – si siano resi necessari in virtù di esigenze familiari imprevedibili ovvero in virtù dell'intento di sostenere membri della famiglia nella costruzione del proprio futuro (Trib. Rimini 9 luglio 2019).

Le procedure nella legge sul sovraindebitamento

Sia nella l. n. 3/2012 che nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, le procedure riservate al debitore civile sono tre, destinate a svolgersi nel contraddittorio con creditori: procedure che, essendo configurate come benefici riconosciuti al debitore sovraindebitato, sono azionabili ad iniziativa del solo debitore, fatta salva l'eventualità che due delle procedure confluiscano infine nella terza, di carattere liquidatorio, in presenza di comportamenti del debitore che, approssimativamente, possiamo dire scorretti.

Esse sono:

  • l'accordo di composizione della crisi (nel c.c.i. diviene concordato minore, artt. 74 ss., ed il consumatore, a differenza di quanto avviene attualmente, non vi ha accesso);
  • il piano del consumatore (nel c.c.i. diviene «Procedura di ristrutturazione dei debiti» del consumatore, artt. 67 ss., può eccedervi solo il consumatore);
  • liquidazione del patrimonio (nel c.c.i. diviene «Liquidazione controllata del sovraindebitato, artt. 268 ss.).

Nel complesso le procedure della legge sul sovraindebitamento sono modellate su discipline tratte dalla legge fallimentare. La l. n. 3/2012, tuttavia, non contiene rinvii (se non marginali) alla legge fallimentare: ne discendono gravi lacune (in materia di domande tardive, di riparto dell'attivo, di atti pregiudizievoli ai creditori, di rapporti giuridici preesistenti, di sanzioni penali).

Varrà inoltre qui ricordare, in collegamento, che l'art. 480 c.p.c., concernente la forma dell'atto di precetto, impone l'avvertimento rivolto al debitore della facoltà di avvalersi dell'accordo di composizione della crisi (con il c.c.i. concordato minore) o al piano del consumatore (con il c.c.i. piano di ristrutturazione dei debiti). Tuttavia, è stato detto in giurisprudenza, l'omessa indicazione dell'avvertimento della facoltà di avvalersi di o.c.c. non comporta la nullità del precetto (Trib. Perugia 25 giugno 2019, n. 1019).

Accordo e piano del consumatore: i contenuti della proposta

Tanto nel caso di accordo di composizione della crisi, quanto di piano del consumatore (v. art. 7 l. n. 3/2012), i crediti impignorabili (crediti alimentari, crediti aventi per oggetto sussidi di grazia ecc., stipendi, salari, pensioni ecc., nei limiti della impignorabilità stabilita dalla legge) vanno pagati per intero.

I creditori possono essere suddivisi in classi.

Anche i crediti assistiti da privilegio, pegno o ipoteca possono essere falcidiati, entro certi limiti. Negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei piani del consumatore è inoltre possibile prevedere, a determinate condizioni, la dilazione del pagamento dei crediti prelatizi (Cass. civ., 3 luglio 2019, n. 17834).

La legge del 2012 disponeva originariamente che non potessero essere falcidiati i tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, l'IVA e le ritenute operate e non versate, ma potesse essere prevista una dilazione del pagamento. Tuttavia la Consulta ha di recente dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma che nega la possibilità di prospettare il pagamento parziale dell'IVA: e ciò in considerazione del parallelismo che corre tra l'accordo di composizione della crisi da indebitamento e il concordato preventivo disciplinato dalla legge fallimentare (Corte cost. 29 novembre 2019, n. 245).

Ai sensi dell'art. 8 l. n. 3/2012, la proposta di accordo o di piano del consumatore prevede la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri.

È precisato, nella norma, che, qualora i beni e i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità dell'accordo o del piano del consumatore, la proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentono il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per assicurarne l'attuabilità. In proposito è stato chiarito che è ammissibile la procedura qualora il debitore sovraindebitato non abbia beni, ma solo salari (Trib. Matera 24 luglio 2019).

La proposta di accordo può prevedere che il debitore si sottoponga a limitazioni all'accesso al credito al consumo, all'utilizzo degli strumenti di pagamento elettronico a credito, alla sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari.

La proposta di accordo con continuazione dell'attività d'impresa e il piano del consumatore possono prevedere una moratoria fino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.

L'accordo, come già detto, può in determinati casi convertirsi in liquidazione del patrimonio: in tal caso può nominarsi come liquidatore lo stesso professionista che svolge le funzioni di organismo della composizione della crisi (Trib. Brescia 16 dicembre 2019).

Deposito della proposta di accordo o di piano

La proposta di accordo di composizione della crisi è depositata presso il tribunale del luogo di residenza o sede principale del debitore. Il consumatore deposita la proposta di piano presso il tribunale del luogo ove ha la residenza. La legge del 2012 fa riferimento al rito camerale, sicché può ritenersi che l'atto introduttivo abbia forma di ricorso. Diremo poi della difesa tecnica.

La proposta deve essere inoltre contestualmente presentata, a cura dell'organismo di composizione della crisi, all'agente della riscossione e agli uffici fiscali, con l'indicazione della posizione fiscale e eventuali contenziosi pendenti.

Con la proposta l'istante deve depositare l'elenco di tutti i creditori, con l'indicazione delle somme dovute, di tutti i beni del debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, corredati delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni e dell'attestazione sulla fattibilità del piano, nonché l'elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia, con indicazione della composizione del nucleo familiare.

Il debitore che svolge attività d'impresa (l'imprenditore cd. sotto soglia) deve depositare inoltre le scritture contabili degli ultimi tre esercizi.

Occorre, poi, una relazione particolareggiata dell'organismo di composizione della crisi che deve esaminare una pluralità di aspetti, tutti convergenti ai fini della verifica della bontà della proposta.

Nessun obbligo ricorre di deposito preventivo delle spese della procedura (Cass. civ., 19 dicembre 2019, n.34105).

L'accordo di composizione della crisi

Il giudice, nelle forme del rito camerale, sussistendone i presupposti, fissa un'udienza che va comunicata ai creditori, e con il medesimo decreto, oltre ad adottare gli opportuni provvedimenti in ordine alla pubblicità della proposta, dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali, né disposti sequestri conservativi, né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore. A far data dal decreto, inoltre, gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione compiuti senza l'autorizzazione del giudice sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto.

Le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano.

Una volta omologato, l'accordo vincola i non aderenti, quando gli aderenti abbiano raggiunto la soglia prevista. Dinfatti, secondo l'art. 12, il giudice, nonostante la contestazione sulla convenienza dell'accordo mossa da creditori non aderenti, omologa comunque l'accordo medesimo, se ritiene che tali creditori possano essere soddisfatti in misura non inferiore a quella ottenibile mediante la liquidazione del patrimonio del debitore (comma 2). Dopo di che l'accordo omologato «è obbligatorio per tutti i creditori anteriori» (comma 3).

Avverso il decreto del tribunale che abbia dichiarato inammissibile il ricorso del sovraindebitato non è proponibile ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., perché il provvedimento è privo dei caratteri della decisorietà e definitività, e pertanto non è suscettibile di passaggio in giudicato. Tale conclusione non determina alcun vulnus al diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., dal momento che il decreto, in relazione al quale non è prevista alcuna forma di impugnazione, non preclude la riproposizione della medesima domanda, anche prima del decorso dei cinque anni di cui all'art. 7, comma 2, lett. b), l. n. 3/2012, operando tale termine preclusivo nella sola ipotesi che il debitore abbia concretamente beneficiato degli effetti riconducibili a una procedura della medesima natura (Cass. civ., 26 novembre 2018, n. 30534).

Il piano del consumatore

Anche in questo caso il giudice fissa l'udienza, disponendo, a cura dell'organismo di composizione della crisi, la comunicazione a tutti i creditori.

Quando, nelle more della convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano, il giudice, con lo stesso decreto, può disporre la sospensione degli stessi sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo.

Verificata la fattibilità del piano e l'idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili, nonché degli altri crediti non falcidiabili, e risolta ogni altra contestazione anche in ordine all'effettivo ammontare dei crediti, il giudice, quando esclude che il consumatore abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che abbia colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali, omologa il piano, disponendo per il relativo provvedimento una forma idonea di pubblicità.

Quando uno dei creditori o qualunque altro interessato contesta la convenienza del piano, il giudice lo omologa se ritiene che il credito possa essere soddisfatto dall'esecuzione del piano in misura non inferiore all'alternativa offerta dalla procedura di liquidazione del patrimonio. Viceversa, ritenuti insussistenti i presupposti previsti dalla legge per considerare meritevole il piano rispetto all'alternativa liquidatoria, va rigettata la richiesta di omologa del piano del consumatore (Trib. Como 7 novembre 2019).

Dalla data dell'omologazione del piano i creditori con causa o titolo anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali. Ad iniziativa dei medesimi creditori non possono essere iniziate o proseguite azioni cautelari né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di piano.

Il piano omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità. I creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano.

L'omologazione del piano non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso.

Gli effetti favorevoli al debitore vengono meno in caso di mancato pagamento dei titolari di crediti impignorabili, nonché dei crediti non falcidiabili.

L'omologa può essere reclamata. Il creditore è legittimato però solo se ha partecipato alla fase anteriore: il reclamo, rimedio di natura impugnatoria, presuppone necessariamente che il reclamante abbia visto in qualche modo disattese le sue richieste nella fase precedente oppure lamenti di non aver potuto partecipare per un vizio procedurale (Trib. Udine 2 maggio 2019).

Il decreto di accoglimento del reclamo proposto nei confronti del provvedimento di omologazione del piano proposto dal consumatore è poi ricorribile per cassazione, tenuto conto del carattere contenzioso del procedimento e dell'idoneità del provvedimento che lo definisce ad incidere su diritti soggettivi (Cass. civ., 10 aprile 2019, n. 10095).

Esecuzione dell'accordo o del piano del consumatore

Se per la soddisfazione dei crediti sono utilizzati beni sottoposti a pignoramento ovvero se previsto dall'accordo o dal piano del consumatore, il giudice, su proposta dell'organismo di composizione della crisi, nomina un liquidatore che dispone in via esclusiva degli stessi e delle somme incassate.

L'organismo di composizione della crisi risolve le eventuali difficoltà insorte nell'esecuzione dell'accordo e vigila sull'esatto adempimento dello stesso, comunicando ai creditori ogni eventuale irregolarità. Sulle contestazioni che hanno ad oggetto la violazione di diritti soggettivi e sulla sostituzione del liquidatore per giustificati motivi decide il giudice investito della procedura.

Il giudice, sentito il liquidatore e verificata la conformità dell'atto dispositivo all'accordo o al piano del consumatore, anche con riferimento alla possibilità di pagamento dei crediti impignorabili e dei crediti non falcidiabili, autorizza lo svincolo delle somme e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento, delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro vincolo.

I crediti sorti in occasione o in funzione di uno dei procedimenti in esame sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti.

Liquidazione dei beni

Ai sensi dell'art. 14-ter l. n. 3/2012, in alternativa alla proposta per la composizione della crisi, il debitore in stato di sovraindebitamento e per il quale non ricorrono le condizioni di inammissibilità normativamente previste, può chiedere la liquidazione di tutti i suoi beni.

La domanda di liquidazione è proposta al tribunale del luogo di residenza o sede principale del debitore, e deve essere corredata da apposita documentazione (elenco creditori, elenco dei beni del debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, dichiarazioni dei redditi, eventuali scritture contabili, ecc.), oltre che da una relazione particolareggiata dell'organismo di composizione della crisi che deve una pluralità di elementi.

Secondo una pronuncia, in assenza di beni liquidabili e di attivo costituito da crediti futuri, il debitore può ugualmente essere ammesso alla procedura prevista dagli artt. 14-ter e ss. l. n. 3/2012 e poi giovarsi dell'effetto esdebitatorio (Trib. Verona 21 dicembre 2018).

La S.C. ha escluso l'ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione avverso il rigetto del reclamo proposto contro il rigetto della domanda d'apertura della liquidazione del patrimonio del sovraindebitato, trattandosi di provvedimento che difetta dei requisiti della definitività (in quanto la domanda di apertura della procedura è riproponibile) e della decisorietà (in quanto non incide su un diritto del debitore) (Cass. civ., 3 luglio 2019, n. 17836).

Ricorso per sovraindebitamento ed automatic stay

Fondamentale, nella disciplina del sovraindebitamento, è il funzionamento dell'automatic stay: il congegno in forza del quale la situazione in cui versa il debitore rimane cristallizzata al momento in cui è proposta la domanda.

Al funzionamento dell'automatic stay si è già accennato: il giudice, a seguito del ricorso, istituito il contraddittorio, pronuncia decreto con cui «dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore».

Quanto ai caratteri dell'automatic stay:

È automatico, appunto, perché il giudice non ha discrezionalità al riguardo, né occorre un'esplicita istanza del debitore in tal senso.

È assoluto, perché riguarda tutte le azioni esecutive pendenti, inclusi i sequestri conservativi di cui all'art. 671 c.p.c., e quelle non ancora iniziate, neppure potendo essere acquistati diritti di prelazione, sulla falsariga di quanto prevede l'art. 168 l.fall. per il concordato preventivo.

È di lunga durata, perché mutuando un regime analogo a quello dell'art. 168 l.fall., protegge il debitore fino al momento in cui il decreto di omologa diventa definitivo.

Il legislatore del 2012 non si è preoccupato di favorire la celerità e la serietà della domanda, subordinandola alla condizione che l'espropriazione fosse ancora in una fase iniziale (v. invece l'art. 495 c.p.c. in forza del quale il debitore può accedere al beneficio della conversione del pignoramento solo prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione).

Laddove il bene sia stato già aggiudicato, il giudice dell'esecuzione deve comunque pronunciare il decreto di trasferimento, atteso che l'art. 187-bis disp. att. c.p.c. sancisce l'intangibilità degli effetti sostanziali dell'aggiudicazione.

La difesa tecnica

Nulla dice la legge sul sovraindebitamento sulla necessità della difesa tecnica. Secondo alcuni occorrerebbe distinguere la fase di accesso all'o.c.c. (non necessaria la difesa tecnica) e quella del deposito del ricorso introduttivo corredato dal piano (necessaria).

La giurisprudenza ha viceversa affermato che la necessità ab origine della difesa tecnica si desume dal fatto che la proposta è una domanda giudiziale in forma di ricorso (Trib. Massa 28 gennaio 2016)

È stato affermato, peraltro, che l'assistenza del legale può non essere necessaria (finché non si aprano fasi contenziose in senso stretto), nell'ipotesi in cui Nell'o.c.c. vi sia anche un legale, che si faccia carico della cura degli aspetti tecnico-giuridici (Trib. Vicenza 29 aprile 2014).

Il c.c.i., all'art. 69, comma 1, ultimo inciso, stabilisce, per la procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, che la domanda deve essere di regola presentata al giudice tramite un o.c.c. e che: «Non è necessaria l'assistenza di un difensore»; nulla è detto per il concordato minore.

Il «gratuito patrocinio»

Quanto all'applicabilità del patrocinio a spese dello Stato sembra preferibile la soluzione affermativa, considerando che la normativa fa riferimento ad un limite reddituale, nulla prevedendo circa il patrimonio.

Anche secondo la giurisprudenza di merito, il gratuito patrocinio trova applicazione nell'ambito delle procedure di sovraindebitamento.

È stato detto cioè che il diritto di ciascuno di agire in giudizio ex art. 24, comma 1, Cost., deve essere letto in connessione con il diritto di difesa di cui al comma 2, che si sostanzia tra l'altro nel diritto alla cd. difesa tecnica. L'art. 24, comma 3, Cost. garantisce il concreto esercizio del diritto alla difesa giurisdizionale e del diritto di difesa anche ai soggetti non abbienti in via generale. I procedimenti di cui alla l. n. 3/2012 sono tecnicamente complessi e comportano la necessità di una difesa tecnica del sovraindebitato, difesa che non può essere svolta dall'o.c.c., proprio per la differenza di funzione del medesimo. Poiché il procedimento è sostanzialmente unitario, in quanto la fase di nomina dell'o.c.c. è prodromica alla seconda fase, e stante il fatto che la legge prevede il gratuito patrocinio anche nei procedimenti di volontaria giurisdizione, l'istituto si deve trovare applicazione applicare anche a tale prima fase (Trib. Torino 16 novembre 2017).

Il socio illimitatamente responsabile

Secondo l'art. 6 l. n. 3/2012 la normativa si applica alle situazioni che «non sono soggette né assoggettabili a procedure concorsuali».

Si discute se il socio illimitatamente responsabile possa avvalersi delle procedure di sovraindebitamento in pendenza del rapporto societario. Come è stato osservato, «sembra incongruente procedere ad una sistemazione della situazione debitoria senza considerare tutti i debiti sociali oltre a quelli della socia …. Va altresì considerato che in qualunque momento la società potrebbe fallire trascinando il socio nel fallimento» (Trib. Milano 18 agosto 2016).

Ammettono l'accesso del socio alle procedure in questione, p. es., Trib. Prato 16 novembre 2016; Trib. Rimini 13 marzo 2018.

Anche l'art. 2, lett.c), del nuovo Codice discorre di «debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale», ecc.; tuttavia si legge alla lett. e) dello stesso articolo che è consumatore «la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale», ecc., «anche se socia di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali».

Si può ipotizzare che il socio di società in nome collettivo, l'accomandatario di società in accomandita semplice e per azioni e, l'accomandante ingeritosi nell'amministrazione ex art. 2320 c.c. possano accedere alle procedure di sovraindebitamento.

Sorgono ovviamente problemi di coordinamento per il caso che la società fallisca.

Imprenditore agricolo

Nella legge sul sovraindebitamento anche l'imprenditore agricolo può avvalersi delle procedure normativamente previste, ma non di quelle riservate al consumatore.

L'art. 7, comma 2-bis, stabilisce che «…l'imprenditore agricolo in stato di sovraindebitamento può proporre ai creditori un accordo di composizione della crisi secondo le disposizioni della presente sezione».

Può inoltre avvalersi della liquidazione del patrimonio anche in assenza di espressa previsione da parte dell'art. 7, comma 2-bis: la liquidazione può infatti derivare, da un lato, dalla patologia dell'accordo (per conversione) oppure, dall'altro, dalla richiesta del debitore stesso ex art. 14 quater (Trib. Ravenna 15 febbraio 2016).

Fideiussore

Con riguardo alla legge sul sovraindebitamento, la giurisprudenza trae argomento dalla natura accessoria del debito di firma, così da estendere alla garanzia personale la disciplina del debito garantito.

È quindi stato affermato che: «Colui che presta fideiussione in favore di un professionista sarà anch'egli sempre professionista se è l'amministratore societario; negli altri casi può pure essere considerato consumatore a seconda delle specifiche circostanze del caso» (Trib. Palermo 31 luglio 2017).

La qualità del debitore principale attrae, cioè, quella di fideiussore (Trib. Bergamo 12 dicembre 2014; Trib. Foggia 23 luglio 2015).

Se il fideiussore ha garantito debiti relativi ad attività di impresa o professionale, non può essere considerato consumatore (Trib. Milano 16 maggio 2015; Trib. Treviso 21 dicembre 2016; ma v. Trib. Rovigo 13 dicembre 2016, concernente garanzia prestata a favore di terzi per consentire l'inizio di un'attività imprenditoriale non riconducibile al debitore).

In dottrina vi è chi ammette la figura del «consumatore-garante».

Enti pubblici

L'art. 1 del nuovo Codice esclude dal suo campo di applicazione gli enti qualificati pubblici dalla legge.

Nel vigore della legge sul sovraindebitamento la questione è stata discussa (si è presentato il caso di un accordo di ristrutturazione proposto da un ente pubblico, omologato dal Trib. Treviso il 10 ottobre 2015 con provvedimento riformato dal medesimo tribunale il 12 maggio 2016).

Il concordato minore

Non vi può accedere il consumatore.

L'art. 74 del nuovo Codice distingue tra concordato in continuità e concordato liquidatorio.

Nel secondo caso occorre «l'apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori».

Viene fatto rinvio alla disciplina del concordato preventivo: «Per quanto non previsto dalla presente sezione, si applicano le disposizioni del capo III del presente titolo in quanto compatibili».

I crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possano essere falcidiati «allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi».

In caso di concordato in continuità si può prevedere il rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all'esercizio dell'impresa se il debitore, alla data della presentazione della domanda di concordato, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data.

Gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione richiedono l'autorizzazione del giudice.

La maggioranza per l'approvazione scende al 50%.

L'organismo di composizione della crisi (cenni)

La competenza dell'o.c.c. si individua secondo la competenza del Tribunale ai sensi dell'art. 7, comma 1 l. n. 3/2012 e art. 9, comma 1,l. n. 3/2012 cioè in base alla residenza del ricorrente. La sede dell'o.c.c., come quella del debitore, deve essere quella principale ed effettiva, non potendosi ammettere una competenza diffusa dell'o.c.c., giacché esso (Ordini professionali ed articolazioni della Camere di Commercio o del Comune, come il Segretariato sociale) ha inequivocabilmente competenza limitata ad un solo circondario di tribunale (Trib. Vicenza 29 aprile 2014).

Al debitore non è preclusa la possibilità di avvalersi per la redazione del piano di un soggetto di sua fiducia.

Tuttavia ai sensi degli artt. 7 e 15l. n. 3/2012, l'affidamento dei compiti e delle funzioni attribuite agli o.c.c. anche a soggetti idonei a svolgere le funzioni di curatore fallimentare (o ai notai) deve ritenersi riferita ai soli casi di mancata costituzione degli o.c.c. (con iscrizione nell'apposito registro) (Cass. civ., 8 agosto 2017, n. 19740).

È inammissibile la proposta formulata dal ricorrente senza l'ausilio dell'o.c.c. (Trib. Pordenone 15 luglio 2014).

L'esdebitazione

L'esdebitazione consente ad un soggetto indebitato di liberarsi dei propri debiti.

Nella legge sul sovraindebitamento, accordo di composizione e piano del consumatore determinano automaticamente l'esdebitazione del debitore (artt. 12, comma 3, e 12-ter, comma 2, l. n. 3/2012).

Il c.c.i. non contiene analoga formulazione, ma sembra che l'esito di automatica esdebitazione permanga invariato: difatti il concordato minore è dato a chi non è stato «già» esdebitato.

In particolare è consentito l'accesso a piano e concordato al soggetto solo quando non sia già stato esdebitato nei cinque anni precedenti la domanda e non abbia beneficiato dell'esdebitazione per più di due volte.

Viene in sostanza concessa ad un soggetto, sia essa persona fisica che società, non solo una second ma anche una third chance.

Nel concordato minore l'esdebitazione si trasmette inoltre anche ai soci illimitatamente responsabili.

L'esdebitazione del nullatenente

Il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all'esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l'obbligo di pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice laddove sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al dieci per cento. Non sono considerate utilità, ai sensi del periodo precedente, i finanziamenti, in qualsiasi forma erogati (art. 283 c.c.i.).

Non è soggetto a votazione dei creditori bensì soltanto a vaglio del giudice e consente ai soggetti sovraindebitati nullatenenti di esdebitarsi pur non essendo in grado di offrire alcunché ai creditori.

Riferimenti
  • Battaglia, La crisi da sovraindebitamento nella giurisprudenza: lo stato dell'arte, in Fall., 2018, 233;
  • Durello, Profili processuali del procedimento per la composizione della crisi da sovraindebitamento, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 651;
  • Farina, Le procedure concorsuali di cui alla legge n. 3 del 2012 e la (limitata) compatibilità con la legge fallimentare. Le problematiche della domanda e dell'automatic stay, in Dir. Fall., 2017, 43;
  • Forcellini, Sovraindebitamento e statuto dell'obbligazione pecuniaria, in Europa e dir. priv., 2015, 109;
  • Picchione, Start up innovative e procedure di sovraindebitamento, in Riv. not., 2017, 975;
  • Valerini, Sovraindebitamento, in www.ilfallimentarista.it.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario