Lavoro notturno: tutela e limiti per il lavoratore prestatore di assistenza al soggetto disabile

Michol Fiorendi
24 Luglio 2020

Può il lavoratore avente a suo carico un soggetto disabile, pur non essendone il padre, beneficiare della tutela e delle garanzie previste nel Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità?
Massima

Nel caso di un lavoratore avente un soggetto disabile a carico che non sia suo figlio non può applicarsi il d.lgs. n. 151/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) poiché, come stabilito dall'art. 1, tale testo disciplina i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternità e paternità di figli nati fuori dalmatrimonio, adottivi e in affidamento, nonché il sostegno economico alla maternità e alla paternità e, quindi, ha lo scopo di tutelare la paternità e la maternità di lavoratori e lavoratrici e non quello di disciplinare, in via generale, il lavoro notturno di qualsiasi prestatore di lavoro.

Il caso

La Corte d'Appello di Venezia respinge il gravame proposto da Trenitalia s.p.a. nei confronti di un proprio dipendente contro la pronuncia del Tribunale della stessa sede con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento del ricorso proposto dal lavoratore, aveva dichiarato il diritto di quest'ultimo a non prestare attività lavorativa nella fascia oraria compresa tra le ventiquattro alle sei del mattino, ed ordinato alla società datrice di lavoro di assegnare il medesimo a turni di lavoro che non implicassero la prestazione lavorativa nella predetta fascia oraria.

Trenitalia s.p.a. propone ricorso in Cassazione trovandone accoglimento.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso del datore di lavoro, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d'Appello territoriale che, in diversa composizione, dovrà attenersi ai principi individuati dalla Suprema Corte, che ora andremo ad analizzare.

La questione

Può il lavoratore avente a suo carico un soggetto disabile, pur non essendone il padre, beneficiare della tutela e delle garanzie previste nel Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità ovvero non gli è dovuta, assurgendo così lo status di paternità a condicio sine qua non ai fini dell'applicazione di tale normativa?

Le soluzioni giuridiche

Ci sono tre aspetti da approfondire in questa pronuncia della Corte di Cassazione: quello più generale legato al lavoro notturno del dipendente, quello riservato al lavoratore dipendente avente a carico un soggetto disabile e quello legato alla particolare tutela che viene riservata alla lavoratrice in maternità.

Iniziamo con l'analizzare la disciplina del lavoro notturno che fa riferimento essenzialmente alle norme contenute nel d. lgs n. 66/2003 (in particolare da 11 a 15), emanato in attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE, e tramite i rinvii in esse contenute, alla disciplina stabilita in sede di autonomia collettiva.

Sappiamo che lo svolgimento del lavoro notturno è subordinato al possesso da parte del lavoratore della relativa idoneità, certificata dagli organi e dagli enti di controllo.

Si parla di lavoro notturno tutte le volte in cui l'attività lavorativa è svolta nell'arco del tempo di almeno sette ore consecutive nell'intervallo tra mezzanotte e le cinque del mattino e viene definito lavoratore notturno colui che A) svolga, durante il periodo notturno sopra definito, almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale (primo criterio legale); B) in difetto di disciplina collettiva, svolga, per almeno tre ore, lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno, limite minimo riproporzionato in casi di lavoro a tempo parziale (secondo criterio legale); C) svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro (criterio contrattuale).

Il lavoratore non può rifiutare il lavoro notturno salvo per ragioni di salute accertate dalle competenti strutture sanitarie pubbliche.

Se sussiste detta condizione, è possibile trasferire il lavoratore al lavoro diurno, sempre che sia disponibile un posto di lavoro per mansioni equivalenti.

In mancanza di tale condizione, il datore di lavoro può licenziare il lavoratore il cui stato di salute deve essere certificato a cura e spese del datore di lavoro, o per il tramite delle competenti strutture sanitarie pubbliche o del medico competente, attraverso controlli preventivi e periodici (almeno uno ogni due anni).

Sull'orario in cui si svolge il lavoro notturno, quello dei lavoratori notturni non può superare le otto ore medie nell'arco delle ventiquattro ore (art. 13 del d.lgs. 66/2003), calcolate dall'inizio della prestazione lavorativa.

Il Ministero del Lavoro chiarisce che per calcolare tale limite bisogna effettuare una media tra le ore lavorate e non lavorate, anche su un periodo settimanale e che il rapporto deve essere pari ad un terzo.

Per i lavoratori part-time, il limite deve essere riproporzionato, vista la ridotta prestazione lavorativa.

La disciplina del lavoro notturno non si applica per i dirigenti, il personale direttivo, il personale viaggiante del trasporto stradale, ferroviario, aereo, marittimo e altri lavoratori che dispongono del potere di determinazione autonoma del proprio tempo di lavoro.

Una particolare tutela viene garantita alle donne nel periodo che intercorre tra l'accertamento dello stato di gravidanza e il compimento di un anno di età del bambino, per i minori per un periodo di almeno dodici ore consecutive comprendente l'intervallo tra le ventidue e le sei del mattino o tra le ore ventitre e le sette del mattino, per la madre di un figlio sotto i tre anni o, in alternativa, padre convivente, ovvero per l'unico genitore affidatario di figlio convivente sotto i dodici anni, e per i lavoratori che hanno a carico un soggetto disabile ex l. 104/1992.

Ai sensi dell'art. 11 d. lgs. 66/2003, è infatti vietato adibire al lavoro notturno le predette categorie, e ciò come forma di tutela e protezione nei loro confronti, poiché il lavoro notturno è considerato maggiormente “usurante” delle energie psico-fisiche del lavoratore (ed in considerazione di ciò, il legislatore è intervenuto introducendo un accesso alla pensione agevolato per la categoria professionale che lo svolge).

Nel caso di specie, però, la Suprema Corte, dissentendo da quanto affermato dal Tribunale di merito, sostiene che non possa attribuirsi all'espressione “lavoro notturno” il medesimo significato che va attribuito a quello indicato per le donne in gravidanza e per le madri di bambini sino ad un anno di età perché non è possibile estendere il lavoro notturno oltre la durata del periodo notturno, periodo di almeno sette ore comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino, senza violare l'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 66/2003. Ed invero, dalla previsione del divieto assoluto di adibire al lavoro notturno le suddette categorie di lavoratrici-madri dalle ore ventiquattro alle ore sei del mattino, si evince la chiara intenzione del legislatore di tutelare in modo diverso le esigenze legate agli obblighi scaturenti dalla maternità, rispetto all'altra categoria di lavoratori, di cui nella fattispecie si tratta, per i quali è previsto che non siano obbligati a prestare lavoro notturno”.

Osservazioni

La normativa vigente prevede una terza categoria che non può essere adibita al lavoro notturno. Si tratta, appunto, dei lavoratori che abbiano a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della Legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Sulla locuzione “a carico” il Ministero del lavoro, con la Risoluzione n. 4 del 6 febbraio 2009, ha fornito alcune precisazioni.

Il Ministero si rifà alle indicazioni della Legge 104/1992 (che pur non tratta del lavoro notturno), sostenendo che la definizione “a carico” vada ricollegata e resa omogenea a quanto disposto dalla norma a proposito della concessione dei permessi lavorativi.

Pertanto, il disabile va considerato “a proprio carico” anche ai fini dell'esenzione dal lavoro notturno quando il lavoratore presti a questi effettiva assistenza.

Il Ministero riprende, a tal proposito, le indicazioni della Circolare INPS 23 maggio 2007 n. 90, adottando il principio che «tale assistenza non debba essere necessariamente quotidiana, purchè assuma i caratteri della sistematicità e dell'adeguatezza rispetto alle concerete esigenze della persona con disabilità in situazione di gravità».

Va, altresì, ricordato che l'INPS non ha però precisato i concetti di “sistematicità” e “adeguatezza”, lasciando quindi ampio margine interpretativo alle proprie sedi periferiche e ai datori di lavoro.

E' altresì opportuno svolgere un cenno sulla condizione della lavoratrice in maternità, che contempla una tutela particolarmente rafforzata di questa categoria (anche nel caso in cui il lavoro è parzialmente notturno), e ciò in osservanza dell'art. 37 Cost., secondo cui le condizioni di lavoro devono assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione ed essere estese anche al lavoratore padre convivente.

Le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento che effettuano un lavoro a turni svolto parzialmente in orario notturno devono ritenersi svolgere un lavoro notturno e godono della tutela specifica contro i rischi ai quali tale lavoro può essere associato. Questo è, peraltro, l'esito di una sentenza della quinta sezione della Corte UE, del 19 settembre 2018.

Infine, la direttiva europea 92/85 stabilisce i diritti fondamentali di tutte le donne nell'Unione europea (UE) prima e dopo la gravidanza e fa parte di diverse «direttive derivate» adottate ai sensi della direttiva quadro 89/391/CEE sulla sicurezza e la salute dei lavoratori sul posto di lavoro,.

Tale direttiva dispone, in particolare, che dette lavoratrici non devono essere obbligate a svolgere un lavoro notturno durante la gravidanza o nel periodo successivo al parto, con riserva della presentazione di un certificato medico che ne attesti la necessità per la loro sicurezza o la loro salute.

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