Molestie ai vicini di casa con segni e pugni

29 Luglio 2020

La sentenza in commento concerne un caso di condanna per molestie, consistente nell'aver inciso un segno minaccioso (una croce) dall'esterno di una persiana in legno di un vicino di casa, e di aver ripetutamente e nelle ore serali, battuto colpi contro la suddetta persiana, così da arrecare disturbo alla quiete pubblica e di riflesso, alla parte offesa. In merito, i giudici hanno accertato la lesività e ripetitività della suddetta condotta come disturbo o molestia alla quiete pubblica rilevante ex art. 660 c.p., anche in considerazione delle ore in cui i fatti si sono svolti, sulla base delle sole dichiarazioni della parte offesa che ha riconosciuto l'autore del fatto attraverso la videoregistrazione effettuata da una telecamera appositamente installata, senza richiedere ulteriori elementi probatori (quali la produzione in giudizio di foto o di video) a supporto.
Massima

Risponde penalmente del reato di molestie ex art. 660 c.p. colui che incide dall'esterno una croce sulla persiana in legno dell'abitazione della vittima e nel corso di diverse serate, durante le ore di riposo serale, ripetutamente e non occasionalmente, provoca rumori molesti battendo colpi sulla suddetta persiana.

Il caso

Un tizio, che si rivela poi essere il vicino di casa, incide una croce sulla persiana in legno dell'abitazione della vittima e nel corso di diverse serate, durante le ore di riposo, ripetutamente e non occasionalmente, provoca rumori molesti battendo colpi sulla suddetta persiana, così da concretizzare la condotta punita dall'art. 660 c.p.

In sede di giudizio di merito, il fatto e l'identità dell'autore vengono ricostruiti esclusivamente sulla base delle dichiarazioni rese della parte offesa, di nazionalità non italiana e con difficoltà a esprimersi in lingua italiana, la quale, dopo aver notato il segno minaccioso intagliato sulla persiana, aveva intenzionalmente collocato una telecamera in prossimità della finestra, e in tal modo aveva riconosciuto l'autore del fatto, ma non aveva prodotto in giudizio né foto né video ritraenti il l'autore delle molestie.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di condanna, la difesa dell'imputato propone ricorso in Cassazione, contestando l'attendibilità della teste parte offesa e il vizio della motivazione, lì dove si specifica che la teste ha dichiarato di non aver sorpreso l'imputato sferrare i colpi alla sua finestra e, quindi, di non aver osservato direttamente la scena.

Inoltre, la difesa eccepisce la mancanza del requisito della ripetitività della condotta, indispensabile affinchè si possa raffigurare il reato di molestie di cui all'art. 660 c.p. in quanto sintomatico della petulanza o di un motivo biasimevole, e rispetto al quale i giudici di merito si erano limitati a constatare solo la non occasionalità, senza aggiungere altro in merito.

La questione

La questio iuris concerne l'applicazione dell'art. 660 c.p. e, in particolare, se la contravvenzione che punisce la condotta di “recare molestie a taluno per petulanza o per altro biasimevole motivo” in luogo pubblico o aperto al pubblico possa essere integrata anche da una singola condotta e non richieda il suo protrarsi nel tempo, essendo, nel caso concreto, la ricostruzione fattuale delle diverse condotte avvenuta sulla base delle mere dichiarazioni della parte offesa, la quale però non aveva osservato direttamente l'autore del fatto, ma lo aveva individuato attraverso la telecamera appositamente collocata.

A monte, ci si chiede se possa costituire disturbo e molestia il battere violentemente in ore serali la finestra della vittima, averla imbrattata con segni minacciosi (una croce).

In ordine ad entrambe le questioni interpretative, i giudici di merito avevano accertato, per il tramite delle sole dichiarazioni della parte offesa, la lesività e ripetitività della suddetta condotta come disturbo o molestia alla quiete pubblica, anche in considerazione delle ore in cui i fatti si sono svolti, senza richiedere ulteriori elementi probatori (quali la produzione di foto o di video) a supporto delle dichiarazioni rese dalla teste parte offesa, che ha riconosciuto l'autore del fatto attraverso la videoregistrazione.

Le soluzioni giuridiche

Innanzitutto, con riferimento alla qualifica della condotta come molestia rilevante ex art. 660 c.p., occorre premettere che la giurisprudenza di legittimità, per la configurazione dell'elemento oggettivo della contravvenzione in esame, ritiene necessaria una significativa ed effettiva intrusione nell'altrui sfera personale che assurga al livello di “molestia o disturbo” e che può essere ingenerata da qualunque comunicazione, a prescindere dal suo contenuto e dalle sue modalità, compresi gesti e azioni minacciose.

In merito all'eccezione secondo cui l'intrusione nella sfera personale del destinatario non possa prescindere da una dimensione temporale del fenomeno, il quale dovrebbe raggiungere una certa consistenza, occorre osservare che la tesi, sebbene sostenuta da un minoritario indirizzo interpretativo, appare contraria alla prevalente opinione giurisprudenziale secondo cui il reato in questione non si configura come necessariamente abituale in quanto suscettibile di perfezionarsi anche con il compimento di una sola azione da cui derivino gli effetti della molestia o disturbo della sfera personale (Cass. pen., sez. I, 12 giugno 2018, n. 19631; Cass. pen., sez. I, 16 marzo 2010, n. 11514; Cass. pen., sez.I, 9 aprile 2008, n.17787).

In ogni caso, tale requisito nel caso di specie sarebbe integrato anche a voler aderire all'indirizzo minoritario. Infatti, nella sentenza di merito impugnata risulta descritta la ripetitività della condotta, che comprende tanto l'imbrattamento della persiana in legno, tanto il turbamento alla tranquillità privata e, di riflesso, pubblica, arrecato dall'improvviso battere alla finestra in ore di riposo serale, peraltro talmente dilazionato nel tempo da consentire alla vittima di collocare una telecamera.

Inoltre, con riferimento alle eccezioni concernenti l'attendibilità della teste e il vizio di motivazione, la Corte di Cassazione risponde ribadendo la logicità e linearità della motivazione dei giudici di appello, posto che nella ricostruzione della vicenda, costoro hanno dato atto che la teste, pur dichiarando di non aver potuto riconoscere l'autore in flagranza durante la realizzazione del fatto, ha dichiarato di averlo potuto riconoscere attraverso le immagini della telecamera appositamente installata. I giudici non hanno ritenuto opportuno visionare tali immagini, solo acquisite e riferite dalla parte offesa, che aveva collocato la telecamera proprio allo scopo di individuare il responsabile, e pertanto ritenuta pienamente attendibile e coerente nella ricostruzione narrativa della vicenda.

Pertanto, anche sotto questo profilo, le censure non si confrontano con l'iter logico argomentativo di tutta la motivazione, cogliendone solo un frammento.

Osservazioni

Il caso si presta a qualche osservazione in ordine alla contravvenzione di molestie e disturbo alla quiete pubblica nell'ambito dei rapporti di vicinato. Va, infatti, ricordato che il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, secondo l'orientamento tradizionale, sarebbe l'ordine pubblico, inteso in generale come pubblica tranquillità. In base a tale orientamento, il legislatore, attraverso la previsione di un fatto recante molestia alla quiete privata, ha inteso tutelare la tranquillità pubblica per l'incidenza che il suo turbamento ha sull'ordine pubblico. Non per nulla l'art. 660 c.p. esige il requisito “pubblicità del luogo”, il quale sussiste tanto nel caso in cui l'agente si trovi in luogo pubblico o aperto al pubblico ed il soggetto passivo in un luogo privato, tanto nell'ipotesi in cui la molestia venga arrecata da un luogo privato nei riguardi di chi si trovi in un luogo pubblico o aperto al pubblico. Infatti, per maggiore precisazione, anche se il bene giuridico è la quiete pubblica, occorre che la molestia e il disturbo devono raggiungano una persona determinata, e non il pubblico in genere. La sfera intima di quiete e libertà della persona offesa riceve una protezione soltanto riflessa cosicché la tutela penale viene accordata anche senza, e persino contro la volontà delle persone molestate o disturbate, posto che la contravvenzione è perseguibile d'ufficio.

Sulla base di queste osservazioni, possiamo ritenere che anche il battere in ore serali dall'esterno la persiana della parte offesa, dopo averla imbrattata dall'esterno con segni minacciosi, ben potrebbe integrare la condotta di molestia o di disturbo.

Non è neppure necessario che la condotta sia tenuta in presenza della persona offesa (come ad esempio nell'ipotesi del reato commesso con l'uso del telefono), essendo sufficiente qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare ed a disturbare terze persone, sulla base di una valutazione media, in relazione cioè al modo di sentire e di vivere comune. L'atto per essere molesto deve non soltanto risultare sgradito a chi lo riceve, ma dev'essere anche ispirato da biasimevole, ossia riprovevole, motivo o rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri (Cass. pen., sez. I, 8 febbraio 2018, n. 6064).

Petulanza e intento biasimevole sono motivi specifici che connotano oggettivamente la condotta e non implicano una particolare indagine sulle motivazioni dell'agire dell'autore.

Inoltre, certamente la molestia o il disturbo non ha natura di reato necessariamente abituale, sicchè può essere realizzato anche con una sola azione, purché particolarmente sintomatica dei requisiti della fattispecie tipizzata. Solo l'agire per petulanza implica un atteggiamento di arrogante e ripetuta invadenza nell'altrui sfera di libertà. In tal caso, la realizzazione di una pluralità di azioni di disturbo integra l'elemento materiale costitutivo del reato e non è, quindi, riconducibile all'ipotesi del reato continuato (Cass. pen., sez.I, 30 giugno 2010, n.24758).

Il biasimevole motivo, invece, indica in via residuale ogni altro movente riprovevole in se stesso o in relazione alle qualità o condizioni della persona molestata e che abbia su quest'ultima gli stessi effetti della petulanza. Sono del tutto irrilevanti gli intenti perseguiti dall'agente, una volta che si sia accertato comunque che, a prescindere dalle motivazioni alla base del comportamento, esso è connotato da un modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto che finisce, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone.

Guida all'approfondimento

Fiandaca - Musco, Diritto penale parte speciale, Bologna, 2015

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