Reati di terrorismo: la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare è legittima

05 Agosto 2020

La presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare a carico dei soggetti indagati per reati di terrorismo appare sostenuta da una congrua base empirico-fattuale, sì da sottrarsi al giudizio di irragionevolezza. Basti pensare alle recenti e ben note esperienze di sanguinosi attentati terroristici eseguiti senza alcuna particolare pianificazione ed, anzi, con mezzi di fortuna agevolmente reperibili anche da parte di chi si trovi agli arresti domiciliari.

La presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare a carico dei soggetti indagati per reati di terrorismo appare sostenuta da una congrua base empirico-fattuale, sì da sottrarsi al giudizio di irragionevolezza. Basti pensare alle recenti e ben note esperienze di sanguinosi attentati terroristici eseguiti senza alcuna particolare pianificazione ed, anzi, con mezzi di fortuna agevolmente reperibili anche da parte di chi si trovi agli arresti domiciliari.

Lo ha affermato la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 191, pubblicata il 31 luglio 2020.

Il caso. La pronuncia in commento trae origine dalle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 275, comma 3, c.p.p., nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 270-bis c.p. (partecipazione ad un'associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico), è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure meno afflittive.

Terrorismo: i limiti della custodia cautelare in carcere. L'art. 275 c.p.p. dispone in via generale che, nella scelta della misura cautelare da adottare in presenza di gravi indizi di colpevolezza, il giudice debba tenere conto della “specifica idoneità” di ciascuna misura in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, nonché della proporzionalità della misura all'entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata. La disposizione chiarisce, inoltre, che la più gravosa delle misure cautelari personali coercitive, vale a dire la custodia cautelare in carcere, può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate.
Rispetto alla generalità delle persone indiziate di reato, la triplice valutazione imposta dall'art. 275 c.p.p. – compendiabile nella verifica della idoneità, necessità e proporzionalità della misura cautelare – è interamente affidata alla discrezionalità del giudice, salvi i limiti puntualmente indicati dalla legge in favore dell'interessato. Rispetto a coloro che sono indiziati di avere commesso specifiche categorie di reato individuate dal legislatore, la scelta del giudice sulla misura cautelare è, tuttavia, variamente limitata anche a sfavore dell'interessato.

La presunzione di adeguatezza della custodia in carcere non è, di per sé, incostituzionale. Nelle numerose occasioni in cui sono state dichiarate costituzionalmente illegittime le presunzioni assolute di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere previste dall'art. 275, comma 3, c.p.p. nel testo previgente, la Consulta non ha mai affermato l'assoluta incompatibilità con i principi costituzionali, in materia di misure cautelari e di tutela della libertà personale della persona indiziata di reato, di ogni ipotesi di presunzione assoluta stabilita del legislatore. La dichiarazione di illegittimità costituzionale è stata, invece, sempre motivata in esito ad una puntuale ricognizione dell'irragionevolezza della presunzione in relazione alle caratteristiche specifiche delle singole fattispecie delittuose di volta in volta esaminate, rispetto alle quali si è ritenuto “agevole” ipotizzare situazioni nelle quali potesse smentirsi la valutazione legislativa sull'adeguatezza della sola misura custodiale a soddisfare le pur ritenute esigenze cautelari: rispetto a tali fattispecie, pertanto, è stata affermata la necessità di restituire al giudice la facoltà di disporre una misura cautelare meno restrittiva della custodia in carcere, allorché essa si dimostri nel caso concreto eccessiva rispetto a tali esigenze.
Proprio per assicurare la possibilità di una puntuale verifica circa l'irragionevolezza della presunzione legislativa, le pronunce di illegittimità costituzionale che hanno colpito, nel corso degli anni, la disposizione censurata hanno sempre circoscritto la dichiarazione alla sola figura di reato che veniva in considerazione nel giudizio a quo o a quelle immediatamente contigue. Ne consegue, specularmente, che laddove la presunzione legislativa concernente determinate fattispecie criminose – ancorché assoluta – resista al vaglio di ragionevolezza, la presunzione stessa non potrà considerarsi costituzionalmente illegittima nemmeno in base ai parametri di cui agli artt. 13 e 27 costantemente evocati insieme all'art. 3 Cost. a fondamento delle questioni di legittimità costituzionale in materia di misure cautelari personali.

Legittimità della presunzione di adeguatezza della custodia in carcere: occorre una puntuale dimostrazione. La pronuncia in commento ribadisce quanto già affermato in precedenti occasioni dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost., n. 265/2010): la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, da un lato, non può essere considerata intrinsecamente ragionevole per la sola gravità astratta del reato, e, dall'altro, non potrebbe rinvenire la sua fonte di legittimazione nell'esigenza di contrastare situazioni causa di allarme sociale.
Necessaria ad escludere l'illegittimità costituzionale di una disposizione come quella in esame è, invece, la puntuale dimostrazione della ragionevolezza dell'assunto secondo cui, anche rispetto alla fattispecie associativa in esame, così come per quella di tipo mafioso, quando il giudice abbia ritenuto sussistenti nel caso concreto le esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p., ogni altra misura cautelare meno afflittiva non sarebbe idonea a garantire il soddisfacimento di quelle medesime esigenze. Tale dimostrazione, d'altra parte, dovrà essere calibrata, non già sulla generalità dei reati compiuti con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, bensì proprio e specialmente sulle condotte associative (di promozione, costituzione, organizzazione, direzione, finanziamento e mera partecipazione) contemplate dalla norma incriminatrice in questione.

Associazioni di stampo terroristico: i rischi giustificano la presunzione di adeguatezza della sola custodia cautelare. La “partecipazione” ad un'associazione terroristica non si esaurisce nel compimento, pur necessario, di azioni concrete espressive del ruolo acquisito all'interno del sodalizio, ma presuppone altresì l'adesione a un'ideologia che, qualunque sia la visione del mondo ad essa sottesa e l'obiettivo ultimo perseguito, teorizza l'uso della violenza in una scala dimensionale tale da poter cagionare un grave danno a intere collettività. Ed è proprio una simile adesione ideologica a contrassegnare nel modo più profondo la “appartenenza” del singolo all'associazione terroristica: un'appartenenza che – proprio come quella che lega, pur con modalità diverse, il partecipe all'associazione mafiosa – normalmente perdura anche durante le indagini e il processo e, comunque, non viene meno per il solo fatto dell'ingresso in carcere del soggetto, continuando così a essere indicativa di una sua pericolosità particolarmente accentuata.
La pratica impossibilità di impedire che la persona sottoposta a misura extramuriaria riprenda i contatti con gli altri associati ancora in libertà attraverso l'uso di telefoni e di internet crea inevitabilmente il pericolo che il soggetto si allontani senza autorizzazione dalla propria abitazione e commetta gravi reati in esecuzione del programma criminoso dell'associazione, di cui continua a far parte e dalla quale potrebbe continuare a ricevere ordini. E ciò tanto più a fronte delle recenti e ben note esperienze di sanguinosi attentati terroristici eseguiti senza alcuna particolare pianificazione ed, anzi, con mezzi di fortuna agevolmente reperibili anche da parte di chi si trovi agli arresti domiciliari (come un furgone o addirittura un semplice coltello).
A fronte della magnitudine di simili rischi, la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare appare sostenuta da una congrua base empirico-fattuale, sì da sottrarsi al giudizio di irragionevolezza che ha colpito l'analoga presunzione che operava rispetto ad altre figure di reato diverse dalla partecipazione all'associazione di tipo mafioso.

Fonte: Diritto e Giustizia

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