Costituzione di fondo patrimoniale, azione revocatoria ordinaria e prova “in re ipsa” della “scientia damni”

10 Agosto 2020

In caso di esperimento dell'azione revocatoria ordinaria nei confronti dell'atto di costituzione di un fondo patrimoniale effettuato da entrambi i coniugi...
Massima

In caso di esperimento dell'azione revocatoria ordinaria nei confronti dell'atto di costituzione di un fondo patrimoniale effettuato da entrambi i coniugi, la prova della conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie è fornita in re ipsa dalla circostanza che tale atto abbia ad oggetto l'unico bene immobile di proprietà dei disponenti.

Il caso

Una banca ha proposto azione revocatoria ordinaria nei confronti di due atti costitutivi di distinti fondi patrimoniali, posti in essere da due coppie di coniugi, quando la società debitrice della banca, garantita dai quasi tutti i disponenti, già mostrava sintomi di criticità. La domanda è stata accolta in primo grado e confermata in appello, con riferimento ad entrambi gli atti di disposizione. In particolare, il giudice del gravame ha ritenuto sussistenti tutti i presupposti per la dichiarazione di inefficacia ex art. 2901 c.c., evidenziando che il conferimento nel fondo patrimoniale dell'unico bene immobile di proprietà di ciascuno dei disponenti, quasi tutti obbligati nei confronti della banca, era senz'altro di pregiudizio alle ragioni di quest'ultima, attese le conseguenti limitazioni alle azioni esecutive esperibili, aggiungendo che la prova della consapevolezza di detto pregiudizio era in re ipsa, tenuto conto che si trattava di atto a titolo gratuito e che con esso veniva destinato ai bisogni della famiglia l'intero compendio immobiliare a disposizione degli obbligati. Una delle due coppie di coniugi ha proposto ricorso per cassazione contro tale decisione, deducendo, con il primo motivo, la violazione degli artt. 2901 e 2697 c.c. e, con il secondo motivo, il mancato esame di fatti decisivi, discussi dalle parti. La banca creditrice e la società che, in pendenza di giudizio, è divenuta cessionaria del credito tutelato si sono difese con controricorso.

La questione

La questione posta al vaglio del giudice di legittimità, in questa sede esaminata, attiene alla prova dell'elemento soggettivo, richiesto dall'art. 2901 c.c. ai fini dell'utile esperimento dell'azione revocatoria contro l'atto di costituzione di un fondo patrimoniale ad opera di entrambi i coniugi mediante destinazione dell'unico bene immobile di proprietà dei medesimi.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha prima di tutto richiamato un orientamento oramai consolidato, secondo il quale, in tema di azione revocatoria ordinaria, la prova della conoscenza, in capo al debitore, del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie con l'atto di disposizione (cd “scientia damni”), può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità (v. da ultimo Cass. civ., sez. VI-3, ord. 18 giugno 2019; Cass. civ., sez. III, sent. 30 dicembre 2014, n. 27546).

La medesima Corte ha quindi ritenuto che la decisione impugnata ha statuito in modo conforme all'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, aggiungendo di avere già affermato che, ai fini dell'esercizio dell'azione pauliana, nel caso di vendita contestuale di una pluralità di beni del debitore, come pure nel caso di vendita dell'unico bene immobile di proprietà di quest'ultimo, l'esistenza e la consapevolezza, in capo al debitore e al terzo acquirente, del pregiudizio patrimoniale che tali atti rechino alle ragioni creditorie, possono ritenersi “in re ipsa”, fermo restando che il debitore può offrire la prova della sufficienza del patrimonio residuo al soddisfacimento delle ragioni del creditorie (in questi stessi termini, v. Cass. civ., sez. II, sent. 27 marzo 2007, n. 7507; con riferimento alla sola vendita contestuale di una pluralità di beni, v. anche Cass. civ., sez. III, sent. 25 luglio 2013, n. 18034 e Cass. civ., sez. I, sent. 18 maggio 2005, n. 10430; Cass. civ., sez. III, sent. 6 aprile 2005, n. 7104).

Sulla scorta di tali osservazioni, la stessa Corte ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell'art. 360-bis, n. 1), c.p.c., la censura formulata.

Osservazioni

La pronuncia si pone in continuità con l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, ma richiede alcune precisazioni, ai fini di una piena comprensione di tutti i passaggi logico-giuridici su cui si fonda.

Come anche di recente ribadito, il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria ordinaria, riconducibile al compimento da parte del debitore di atti di disposizione del patrimonio che rechino pregiudizio alle garanzie creditorie, ricorre non solo quando tali atti compromettano totalmente la consistenza patrimoniale, ma anche nel caso in cui gli stessi determinino una variazione quantitativa o qualitativa del patrimonio, che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito (v. da ultimo Cass. civ., sez. III, ord. 26 giugno 2020, n. 12901 e Cass. civ., sez. III, ord. 18 giugno 2019, n. 16221).

Quest'ultima evenienza si verifica proprio nel caso in cui i coniugi costituiscano un fondo patrimoniale, destinando determinati beni ai bisogni della propria famiglia, perché, anche se non viene effettuato alcun trasferimento di proprietà (art. 168, comma 1, c.c.), per effetto della menzionata stipula non può procedersi all'esecuzione forzata sui beni destinati al fondo e sui relativi frutti (art. 170 c.c.) per i debiti che il creditore sapeva essere stati contratti a fini diversi dal soddisfacimento dei bisogni della famiglia (cfr. Cass. civ., sez. III, sent. 26 agosto 2014, n. 18248, ove si precisa che non assume alcun rilievo la data di insorgenza dei menzionati debiti, rispetto alla data di costituzione del fondo, o il titolo contrattuale od extracontrattuale dei medesimi).

L'atto di costituzione del fondo patrimoniale da parte dei coniugi è, dunque, revocabile, perché è un atto a titolo gratuito, suscettibile di recare pregiudizio alle ragioni creditorie (cfr. Cass. civ., sez. VI-III, ord. 10 febbraio 2015, n. 2530; Cass. civ., sez. III, sent. 18 ottobre 2011, n. 21492; Cass. civ., sez. III, sent. 7 ottobre 2008, n. 24757; Cass. civ., sez. III, sent. 8 agosto 2007, n. 17418; Cass. civ., sez. III, sent. 7 giugno 2007, n. 15310; Cass. civ., sez. III, sent. 17 gennaio 2007, n. 966).

Devono tuttavia sussistere anche le condizioni previste dall'art. 2901, comma 1, n. 1), c.c. e, in particolare, per quanto riguarda gli atti posti in essere dopo l'insorgenza del debito, è necessario che, al momento del compimento dell'atto, il disponente sappia che quest'ultimo è tale da recare pregiudizio alle ragioni creditorie.

Come più volte affermato dalla S.C., ove venga esperita l'azione revocatoria ordinaria nei confronti di un fondo patrimoniale costituito successivamente all'assunzione del debito, ai fini della ricorrenza della “scientia damni”, è sufficiente, come per ogni altro atto a titolo gratuito, la consapevolezza, in capo al debitore, di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, ovvero la previsione di un mero danno potenziale, rimanendo irrilevanti tanto l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo (così Cass. civ., sez. III, sent. 30 giugno 2015; v. già Cass. civ., sez. III, sent. 7 luglio 2007, n. 15310).

Si deve però tenere presente che il fondo patrimoniale si connota per il fatto che favorisce l'adempimento dei debiti sorti per i bisogni della famiglia, destinando determinati beni al loro soddisfacimento, sicché la consapevole destinazione al fondo patrimoniale di tutto il compendio immobiliare del debitore non può non comportare la consapevole sottrazione dello stesso alla garanzia patrimoniale generica in origine offerta indistintamente a tutti i creditori (art. 2740 c.c.).

È in questo senso che, la prova dell' “eventus damni” costituisce “in re ipsa” la prova anche della “scientia damni”, fermo restando che, come precisato nella pronuncia in esame, il debitore può sempre dimostrare che vi è un patrimonio residuo tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore.

Ovviamente, tale dimostrazione deve essere fornita esclusivamente con riferimento al patrimonio dell'obbligato che ha compiuto l'atto dispositivo, a nulla rilevando che, in caso di solidarietà passiva, i patrimoni degli altri debitori siano singolarmente sufficienti a garantire l'adempimento (v. da ultimo Cass. civ., sez. III, ord. 26 giugno 2020, n. 12901; Cass. civ., sez. III, sent. 31 marzo 2017, n. 8315).

Si deve comunque tenere presente che il ricorso dell'azione revocatoria ordinaria in fattispecie analoghe a quella esaminata è destinata ad essere grandemente ridimensionata a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 2929-bis c.c. (introdotto dal d.l. n. 83 del 2015, conv. con modif. in l. n. 132 del 2015, poi modificato dal d.l. n. 59 del 2016, conv. con modif. in l. n. 119 del 2016).

Con tale disposizione è consentito al creditore munito di titolo esecutivo di procedere direttamente all'esecuzione forzata, senza agire in revocatoria, qualora sia pregiudicato da un atto di costituzione di vincolo d'indisponibilità o di alienazione, effettuato dal debitore a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, che abbia ad oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, purché il pignoramento venga trascritto nel termine di un anno dalla data in cui l'atto pregiudizievole è stato trascritto.

Secondo l'opinione dominante, tra gli atti destinati a soggiacere a tale nuova disciplina, rientrano, a pieno titolo, quelli costitutivi di fondo patrimoniale, relativi a beni immobili o mobili registrati, come pure si evince dalla relazione illustrativa alla legge di conversione del d.l. istitutivo, ove, nell'esemplificazione della categoria dei vincoli di indisponibilità, è annoverato, tra gli altri, il fondo patrimoniale.

Rispetto all'azione revocatoria ordinaria, che consente al creditore di conservare le garanzie patrimoniali, rendendo inefficaci nei suoi confronti gli atti compiuti dal debitore, il rimedio previsto ex art. 2929-bis c.c. funge da mezzo di soddisfacimento diretto del credito, sempre che riguardi beni immobili o beni mobili registrati, il creditore sia munito di titolo esecutivo e sussistano gli altri requisiti sopra indicati.

Guida all'approfondimento

Marini, Fondo patrimoniale e azione revocatoria, in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 178;

Cian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011;

Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015;

Garofalo, L'art. 2929-bis c.c. nel diritto di famiglia, in Dir. Fam. Pers., 2018, II, 284.

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