Decreto Rilancio: il contributo a fondo perduto in favore delle imprese
Orazio Lauri
Alessandro Ireneo Baratta
11 Agosto 2020
L'art. 25 del d.l. n. 34/2020 (Decreto Rilancio, conv. con mod. in l. n. 77/2020), al fine di sostenere i soggetti economici colpiti dalla pandemia, prevede dei contributi a fondo perduto. Gli Autori analizzano la norma e la sua applicabilità in favore delle imprese sottoposte a procedure concorsuali o di risanamento anche in relazione alla normativa comunitaria.
L'art. 25 del D.L. n. 34/2020 – Decreto Rilancio
Il decreto legge n. 34 del 2020 (conv. con mod. in l. n. 77/2020) rappresenta il terzo decreto in ordine di tempo contenente misure di carattere economico e finanziario che, nelle intenzioni del Legislatore (rectius: del Governo), dovrebbero rivelarsi idonee a sostenere il settore produttivo del Paese, colpito in modo pesantissimo dalle misure di blocco dello stesso e necessarie per affrontare la pandemia cosiddetta Covid–19.
Più in particolare il D.L. n. 34 del 19 maggio 2020, ormai noto come Decreto Rilancio,dovrebbe essere, nelle intenzioni del Legislatore emergenziale, lo strumento idoneo al rilancio dell'economia italiana e quindi, almeno nella fase attuale, utile per far “ripartire” il Paese.
L'impressione che un lettore moderatamente attento potrà ricavare da tali tipologie di norme, è quello consueto della legislazione italiana soprattutto se d'urgenza (fattore, questo, ormai, peraltro, consueto e raramente ponderato), di una enorme genericità, eterogeneità e disorganicità, soprattutto in relazione al rapporto con normative già in vigore e facenti parte del sistema delle leggi, quest'ultimo, ormai, divenuto elefantiaco anche per l'occhio meno attento del legislatore, figura istituzionale che non è dato più ravvisare nel nostro ordinamento.
Ed allora ecco che anche per il Decreto Rilancio deve ricorrersi, oltre che alla pazienza del lettore, alla sua capacità di applicare l'arte ermeneutica e quindi procedere all'esegesi della norma cercando di interpretarne i contenuti e di comprendere lo spirito del legislatore e i suoi pensieri del momento.
Sul tema del Decreto Rilancio, peraltro e negli ultimissimi periodi, si sta esprimendo la dottrina cercando di formare un pensiero univoco in merito che, però, tarda ad arrivare salvo che per quanto riguarda la convinzione, ormai costantemente riportata in testi e riviste specializzate in materia fiscale ed economica, che si tratta di uno strumento, forse, idoneo a tentare un modesto risarcimento dei danni subiti dal settore produttivo ma, nel contempo, assolutamente insufficiente a rilanciare realmente le attività economiche, a recuperare i livelli di crescita e ad incrementarli nel medio periodo.
Il tutto tralasciando, appunto, di sottolineare quanto già sopra accennato in termini generali e, cioè, che manca nel testo un minimo di accettabile sistematicità e coerenza nel legiferare, in assenza, peraltro, della necessaria linearità e chiarezza.
La finalità perseguita dalla disposizione in esame è quella di sostenere i soggetti colpiti dalla pandemia, demandando, tra l'altro, all'Agenzia delle Entrate la concessione di un contributo a fondo perduto ed il recupero di eventuali somme indebitamente percepite.
La norma, il cui testo è molto articolato, prevede i seguenti capisaldi:
1° comma: è riconosciuto un contributo a fondo perduto (ed escluso dalla base imponibile ai fini delle imposte dirette ed indirette) ai soggetti (tutti i titolari di partita iva) esercenti attività di impresa, anche agricola, e/o lavoro autonomo comprese, inoltre, le associazioni;
2° comma: sono previste delle esclusioni: i) per i soggetti che abbiano cessato l'attività alla data di presentazione dell'istanza; in merito si osserva che l'Agenzia delle Entrate, con provvedimento n. 0230439 del 10 giugno 2020, ha emanato il regolamento attuativo (anche in questo caso come di abitudine del legislatore italiano, il rinvio ai regolamenti attuativi è istituto presente ben 98 volte nei 266 articoli del decreto!), da cui è possibile desumere che il dies a quo previsto per la presentazione della domanda di accesso al contributo è il 15 giugno 2020. ii) per gli enti pubblici di cui all'art. 162 – bis del T.U. delle IIDD, iii) per i contribuenti che hanno diritto alla percezione delle indennità previste dagli artt. 27 e 38 del D.L. n. 18 del 17.3.2020 conv. Con mod. nella L. 24.4.2020 n. 27. iv) per i lavoratori dipendenti e per i professionisti iscritti agli enti di diritto privato e di previdenza obbligatoria.
3° comma: il contributo spetta esclusivamente ai titolari di reddito agrario di cui all'art. 32 del T.U. IIDD, nonché ai soggetti con ricavi di cui all'art. 85 comma 1, lett.re a) e b) del medesimo T.U. o compensi di cui all'art. 54 comma 1 dello stesso T.U., non superiori ad euro 5 milioni calcolati con riferimento all'intero periodo di imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto (quindi anno 2019).
4° comma: il contributo risarcitorio è previsto a condizione che l'ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 sia inferiore ai due terzi dell'ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019. Per la commisurazione degli importi in questione, si deve fare riferimento alla data di effettuazione dell'operazione di cessione di beni o di prestazione di servizi. In caso di soggetto che abbia iniziato l'attività a partire dal 1° gennaio 2019 nonché di soggetti che a far data dall'insorgenza dell'evento calamitoso, hanno il domicilio fiscale o la sede operativa nel territorio dei comuni colpiti dai predetti eventi i cui stati di emergenza erano ancora in corso alla data di dichiarazione dello stato emergenziale da Covid – 19.
5° comma: la misura del contributo è calcolata in percentuale sulla differenza tra l'ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 e quelli dell'aprile 2019 ed è pari al i) 20% per i soggetti con fatturato e corrispettivi anno 2019 non superiori a euro quattrocentomila; ii) 15% per i soggetti con fatturato e corrispettivi anno 2019 compresi tra euro quattrocentomila e euro 1 milione; iii) 10% per i soggetti con fatturato e corrispettivi anno 2019 superiori a euro 1 milione e sino a euro 5 milioni.
Comma 6°: il contributo è comunque riconosciuto per un importo non inferiore a euro 1.000 per le persone fisiche e a euro 2.000 per le persone giuridiche, fatte salve tutte le altre condizioni della norma.
Comma 7°: il contributo non concorre alla formazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi del beneficiario, non rileva ai fini del rapporto ex artt. 61 e 109 comma 5 del T.U. IIDD e del valore della produzione netta ex d.lgs. n. 446 del 15.12.1997.
Comma 8°: per ottenere il contributo è necessario presentare una domanda telematica secondo le disposizioni emanate dal provvedimento attuativo n. 0230439 del 10 giugno 2020 dell'Agenzia delle Entrate anche tramite intermediario abilitato, ex art. 3 comma 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 22.7.1998, al servizio del cassetto fiscale dell'Agenzia delle Entrate o ai servizi di fatturazione Elettronica. L'istanza deve essere presentata entro sessanta giorni dall'avvio delle procedure di presentazione e quindi entro il 14 agosto 2020 (i termini in questione, peraltro, vanno dal 25 giugno 2020 al 24 agosto 2020 nel caso in cui l'istanza venga presentata dall'erede del de cuis che abbia maturato il diritto al ristoro).
Comma 9°: l'istanza di cui al comma 8 contiene anche l'autocertificazione che i soggetti richiedenti, nonché i soggetti di cui all'articolo85, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non si trovano nelle condizioni ostative di cui all'articolo 67 delmedesimo decreto legislativo n. 159 del 2011.
Comma 10°: le modalità di effettuazione dell'istanza, il suo contenuto informativo, i termini di presentazione della stessa e ogni altro elemento necessario all'attuazione delle disposizioni del presente articolo sono definiti con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate. Come detto, tale provvedimento, al quale pertanto si rinvia, è stato emanato il 10.6.2020 ed è entrato entra in vigore dal 15.6.2020.
Comma 11°: sulla base delle informazioni contenute nell'istanza di cui al comma 8, il contributo a fondo perduto è corrisposto dall'Agenzia delle entrate mediante accreditamento diretto in conto corrente bancario o postale intestato al soggetto beneficiario.
Comma 12°: prevede le sanzioni e le conseguenze in genere nel caso in cui il contributo non risulti spettante in esito ad attività di controllo dell'Agenzia delle Entrate.
Comma 13°: qualora successivamente all'erogazione del contributo, l'attività d'impresa o di lavoro autonomo cessi o le società e gli altri enti percettori cessino l'attività, il soggetto firmatario dell'istanza inviata in via telematica all'Agenzia delle entrate ai sensi del comma 8 è tenuto a conservare tutti gli elementi giustificativi del contributo spettante e a esibirli a richiesta agli organi istruttori dell'amministrazione finanziaria.
Comma 14°: nei casi di percezione di contributo in tutto o in parte non spettante si applica l'art- 316-ter del c.p..
Requisiti e modalità di calcolo
Sulla base di quanto sopra riportato il contributo a fondo perduto spetta alle imprese che soddisfano i seguenti requisiti:
a) hanno conseguito nel corso del 2019 ricavi o compensi non superiori a 5 milioni di euro;
b) l'ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 deve essere inferiore ai due terzi dell'ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019.
Inoltre, se:
c) hanno iniziato l'attività a partire dal 1° gennaio 2019;
d) hanno il domicilio fiscale o la sede operativa nel territorio dei Comuni in cui lo stato di emergenza per eventi calamitosi era in vigore quando è stato dichiarato lo stato di emergenza sanitaria (ovvero il 31 gennaio 2020).
hanno diritto al contributo a fondo perduto anche senza il requisito di riduzione di un terzo del fatturato.
Per determinare l'ammontare del contributo a fondo perduto sono previsti tre scaglioni percentuali, da applicare alla differenza tra l'ammontare del fatturato e dei corrispettivi relativi ai mesi di aprile 2020 ed aprile 2019.
Le tre percentuali da applicare per il calcolo sono così stabilite:
20% se i ricavi e i compensi dell'anno 2019 sono inferiori o pari a 400.000 euro;
15% se i ricavi e i compensi dell'anno 2019 superano i 400.000 euro ma non l'importo di 1.000.000 di euro;
10% se i ricavi e i compensi dell'anno 2019 superano 1.000.000 di euro ma non l'importo di 5.000.000 euro.
Si specifica, inoltre, che il contributo non concorre alla base imponibile delle imposte sui redditi, né alla formazione del valore della produzione netta.
Le esclusioni dalle agevolazioni
L'art. 25 del decreto legge stabilisce che il contributo non spetta nel caso in cui l'attività sia cessata alla data di presentazione dell'istanza.
La circolare dell'Agenzia delle Entrate del 13.06.2020, della quale tratteremo in seguito, chiarisce altresì che il contributo non spetta alle «imprese in difficoltà» alla data del 31.12.2019.
La cessazione dell'attività
Il comma 2 dell'art. 25 del D.L. n. 34/2020, stabilisce che "il contributo non spetta laddove l'attività sia cessata alla data di presentazione dell'istanza" (che, come detto, decorre dal 15 giugno 2020 e sino al 14 agosto 2020, salvo il caso dell'erede di cui si è dato cenno supra).
In merito alla data di cessazione dell'attività bisogna comunque osservare che la relazione illustrativa al decreto legge indica che non possono beneficiare del contributo i soggetti la cui attività risulti cessata alla data del 31 marzo 2020.
Sul punto gli scriventi osservano che il tenore letterale del comma 2, “Il contributo a fondo perduto di cui al comma 1 non spetta, in ogni caso, ai soggetti la cui attività risulti cessata alla data di presentazione dell'istanza di cui al comma 8 …..”, a differenza di quanto riportato nella relazione illustrativa, indica quale data di cessazione dell'attività quella della presentazione dell'istanza che è ovviamente successiva al 31 marzo 2020.
Quale diretta conseguenza dei contenuti del precedente paragrafo, preliminarmente è necessario soffermarsi sul tema della cessazione dell'attività.
Anche in questo caso è opportuno svolgere un'accurata analisi esegetica della norma e soffermarsi, separatamente, sui termini “attività” e, quindi, “cessazione”.
Per attività, limitando la sua analisi ai soggetti interessati dalla norma, deve necessariamente intendersi attività di impresa (anche agricola) ovvero di lavoro autonomo, caso che, peraltro, può interessare la presente trattazione con riferimento ai soggetti sottoposti a procedure da sovra indebitamento ex L. n. 3 del 2012.
Quindi, nell'ambito dell'attività imprenditoriale, quest'ultima sarà presente tutte le volte in cui esiste un'aggregazione di beni organizzati ed aggregati per l'esercizio dell'impresa.
Nel caso del lavoro autonomo, non essendo rilevante la presenza di beni aziendali, ci si dovrà riferire alla specifica presenza dell'attività intesa come formale abilitazione, civilistica, fiscale e amministrativa, all'esercizio della specifica attività di lavoro autonomo.
Procedendo a rapportare le definizioni, molto succintamente rappresentate, indicate in termini di attività imprenditoriale e di lavoro autonomo con l'analisi del termine “cessazione”, è possibile, tentare di formulare una prima conclusione.
Nel caso di attività imprenditoriale la stessa può dirsi cessata quando è venuta meno l'aggregazione dei beni aziendali o, per meglio dire, la “possibilità di fare impresa”. La funzione aggregativa dei beni deve essere valutata con riferimento ai beni stessi e non al soggetto titolare dei medesimi: in altri termini, nel caso di gestione dei beni in forma aggregata affidata, ad esempio, ad un affittuario del ramo d'azienda, l'esercizio dell'impresa permane così come permangono i fondamentali patrimoniali, reddituali e finanziari delle performance aziendali, seppur in capo ad altro e separato soggetto rispetto all'affittante.
L'eventuale cessazione ai fini fiscali e civilistici dell'ente titolare dei beni aggregati, assume, pertanto valore marginale e, comunque, non determinate ai fini dell'assoggettabilità o meno del contribuente – imprenditore, ai contributi risarcitori ex art. 25 del D.L. n. 34 del 2020.
Nel caso, invece, di un soggetto titolare di reddito di lavoro autonomo, l'analisi non potrà prescindere dall'effettivo stato civilistico e fiscale dello stesso.
L'attività di lavoro autonomo può avere termine per il tramite di due uniche fattispecie operative: i) la cessione dell'attività quale atto a titolo oneroso (ovvero anche gratuito) dal soggetto venditore al soggetto compratore con conseguente cancellazione (rectius: cessazione), con riferimento allo specifico codice dell'attività ceduta, della posizione del cedente. ii) cancellazione (rectius: cessazione) della posizione fiscale e contributiva del titolare dell'attività qualora la stessa non sia stata oggetto di cessione a terzi e quindi, esclusivamente, oggetto di sua volontaria interruzione.
Dalla esposizione di cui sopra, emerge quanto segue:
a) contribuente titolare di reddito di impresa (persona fisica ovvero ente giuridico): l'analisi ai fini del comma 2 dell'art. 25 del D.L. n. 34/2020, deve essere svolta con riferimento all'attività di impresa potendosi ritenere che la stessa sia cessata (entro la data di presentazione dell'istanza di contributo a fondo perduto), tutte le volte in cui sia venuta meno la medesima per disaggregazione dei beni aziendali in assenza, peraltro, di qualsivoglia affitto dei medesimi che ne mantenga inalterata la loro propensione a svolgere impresa e produrre reddito. Nel caso in cui tale esercizio di impresa, anche per via “indiretta”, permanga alla data di presentazione dell'istanza ex comma 8 dell'art. 25 in esame, a giudizio di chi scrive, v'è il diritto previsto da tale ultima norma anche se servirebbe chiarire quale dovrebbe essere il soggetto legittimato a richiedere il contributo; per ragioni logiche e fondate sul fatto che tale legittimazione deve, necessariamente, essere rapportata al momento della presentazione dell'istanza anche per le responsabilità che la stessa contempla per il richiedente, il soggetto legittimato sarà l'affittuario che potrà rappresentare l'eventuale perdita dei rendimenti economici dell'azienda (o del ramo della stessa affittato) tra il mese di aprile 2019 (anche se l'azienda o ramo della tessa, non era stata ancora oggetto di affitto ed il mese di aprile 2020). Come si vedrà nel proseguo, però, tale teoria restrittiva in merito all'applicabilità alle procedure concorsuali di tipo liquidatorio dell'art. 25 del D.L. n. 34/2020, presuppone un'analisi “più ampia” del termine cessazione, non potendosi prescindere, se così fosse, dal coniugare il termine cessazione con quello della continuità aziendale che, invece, non appare essere stato preso nella benché minima considerazione dal legislatore di Governo. In altri termini l'attività intesa come fenomeno aziendale e quindi “commerciale”, ha il suo termine secondo le indicazioni testé fornite; l'attività intesa come fenomeno civilistico-fiscale, invece, soggiace alle norme tipicizzanti tali fenomeni (T.U. II.DD. ovvero d.p.r. 633/72).
b) Contribuente titolare di reddito di lavoro autonomo: in tali casi l'analisi (che, per il contesto in esame dovrà riguardare i soggetti sottoposti a procedura di sovraindebitamento) è, certamente, più agevole e in quanto la cessazione dell'attività di lavoro autonomo coinciderà con la cancellazione della stessa presso gli uffici fiscali e previdenziali come per legge ovvero con la cessione della relativa attività.
Le considerazioni di cui alla precedente lettera a), in effetti, sembrerebbero sgomberare il campo da ogni e ragionevole dubbio in merito alle modalità della individuazione della data formale e/o effettiva di cessazione dell'impresa ovvero del contribuente titolare di reddito di impresa.
Il tema è stato oggetto di specifica trattazione, peraltro e per quanto occorrer possa, da parte del Consiglio Nazionale del Notariato, trattazione, peraltro, perfettamente in linea con i lavori preparatori della norma in esame che inducono a ritenere l'evidenza della “cessazione” dell'attività, quale fattore esclusivamente di tipo fiscale (chiusura della posizione IVA).
Il Consiglio Nazionale del Notariato, mediante lo studio n. 226-2011/T, osserva quanto segue: «In termini generali, è possibile affermare che la fase di liquidazione costituisce ancora un momento di esercizio dell'impresa, con applicazione del relativo regime tributario.
Nell'imposta sul valore aggiunto, l'art. 35, comma 4, d.P.R. n. 633/72 fa decorrere il termine di trenta giorni per la presentazione della dichiarazione di cessazione della attività, dalla “data di ultimazione delle operazioni relative alla liquidazione dell'azienda”, per le quali, è specificato, “rimangono ferme le disposizioni relative al versamento dell'imposta, alla fatturazione, registrazione, liquidazione e dichiarazione.
Le imprese individuali, così come le società, che terminano la fase di gestione per dare inizio alla liquidazione dei beni aziendali, devono dunque rispettare le ordinarie regole, sostanziali come formali, in materia di Iva.
Anche qualora l'impresa individuale termini per il decesso dell'imprenditore, è possibile che gli eredi subentrino nella posizione del de cuius al fine di liquidare il complesso aziendale. L'art. 35 bis, comma 2, D.P.R. 633/72, prevede l'applicazione della disciplina ordinaria anche alle operazioni effettuate, “ai fini della liquidazione dell'azienda, dagli eredi dell'imprenditore”. L'erede di una azienda che non intende esercitare o continuare l'attività di impresa del de cuius, potrà dunque procedere alla vendita dei beni aziendali, continuando, ma solo a questi fini, nella posizione fiscale dell'imprenditore deceduto (e, quindi, utilizzando il suo numero di partita Iva, compensando l'Iva a debito con quella a credito, ecc.). Nelle imposte sui redditi, la previsione dell'art. 182 Tuir prevede l'assoggettamento alla disciplina del reddito di impresa per i redditi realizzati durante la fase liquidatoria, confermando dunque la sussistenza dell'”impresa fiscale” anche in questa fase. Al tempo stesso, però, la norma prevede un peculiare meccanismo di determinazione della base imponibile, fondato sul bilancio finale di liquidazione e sulla “provvisorietà” degli utili o delle perdite dei singoli esercizi in cui la liquidazione si protrae».
Imprese in difficoltà
La Circolare n. 15/E dell'Agenzia delle Entrate del 13 gigno 2020 avente ad oggetto Chiarimenti ai fini della fruizione del contributo a fondo perduto di cui all'articolo 25 del Decreto-Legge 19 maggio 2020, n. 34 recante «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19», ritiene che le disposizioni previste nell'articolo 25 si applicano nel rispetto dei limiti e delle condizioni previsti dalla Comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2020 C(2020) 1863 final «Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'economia nell'attuale emergenza del COVID-19», e successive modifiche, escludendo di fatto dai beneficiari del contributo le imprese che si trovavano già in difficoltà al 31.12.2019 in base alla definizione di cui all'art. 2, punto 18, del regolamento (UE) n. 651/2014.
Il regolamento suddetto definisce «impresa in difficoltà» quella che soddisfa almeno una delle seguenti circostanze:
a) nel caso di società a responsabilità limitata (diverse dalle PMI costituitesi da meno di tre anni o, ai fini dell'ammissibilità a beneficiare di aiuti al finanziamento del rischio, dalle PMI nei sette anni dalla prima vendita commerciale ammissibili a beneficiare di investimenti per il finanziamento del rischio a seguito della due diligence da parte dell'intermediario finanziario selezionato), qualora abbia perso più della metà del capitale sociale sottoscritto a causa di perdite cumulate. Ciò si verifica quando la deduzione delle perdite cumulate dalle riserve (e da tutte le altre voci generalmente considerate come parte dei fondi propri della società) dà luogo a un importo cumulativo negativo superiore alla metà del capitale sociale sottoscritto. Ai fini della presente disposizione, per «società a responsabilità limitata» si intendono in particolare le tipologie di imprese di cui all'allegato I della direttiva 2013/34/UE (1) e, se del caso, il «capitale sociale» comprende eventuali premi di emissione;
b) nel caso di società in cui almeno alcuni soci abbiano la responsabilità illimitata per i debiti della società (diverse dalle PMI costituitesi da meno di tre anni o, ai fini dell'ammissibilità a beneficiare di aiuti al finanziamento del rischio, dalle PMI nei sette anni dalla prima vendita commerciale ammissibili a beneficiare di investimenti per il finanziamento del rischio a seguito della due diligence da parte dell'intermediario finanziario selezionato), qualora abbia perso più della metà dei fondi propri, quali indicati nei conti della società, a causa di perdite cumulate. Ai fini della presente disposizione, per «società in cui almeno alcuni soci abbiano la responsabilità illimitata per i debiti della società» si intendono in particolare le tipologie di imprese di cui all'allegato II della direttiva 2013/34/UE;
c) qualora l'impresa sia oggetto di procedura concorsuale per insolvenza o soddisfi le condizioni previste dal diritto nazionale per l'apertura nei suoi confronti di una tale procedura su richiesta dei suoi creditori;
d) qualora l'impresa abbia ricevuto un aiuto per il salvataggio e non abbia ancora rimborsato il prestito o revocato la garanzia, o abbia ricevuto un aiuto per la ristrutturazione e sia ancora soggetta a un piano di ristrutturazione;
e) nel caso di un'impresa diversa da una PMI, qualora, negli ultimi due anni:
1) il rapporto debito/patrimonio netto contabile dell'impresa sia stato superiore a 7,5; e
2) il quoziente di copertura degli interessi dell'impresa (EBITDA/interessi) sia stato inferiore a 1,0.
Le implicazioni per le imprese sottoposte a procedure concorsuali e di risanamento
Svolte le considerazioni con riguardo a cosa abbia voluto intendere il legislatore di Governo (ovviamente in tale ambito, svolgendo una considerazione più che ottimistica) con la disposizione di cui al comma 2 dell'art. 25 del D.L. n. 34/2020, e quindi, con il mancato accesso al contributo per i soggetti che abbiano cessato l'attività, è necessario esaminare gli effetti della normativa sulle procedure concorsuali ovvero di risoluzione della crisi di impresa o di trattamento dell'insolvenza, previste dalla normativa vigente, soffermandoci, per ragioni di opportunità, sul disposto della legge fallimentare tutt'ora in vigore, come modificata o integrata, peraltro, anche dalla legislazione d'urgenza conseguente la pandemia da Covid-19, e tralasciando, per ragioni di opportunità e praticità visto che la norma in esame, in ogni caso, scadrà il prossimo 14 agosto 2020, ogni altra considerazione in relazione alle procedure previste dal nuovo Codice della Crisi e dell'insolvenza che entrerà in vigore il prossimo anno.
In tale contesto è necessario ricordare, che i soggetti sottoposti a fallimento, si trovano in uno stato di scioglimento tipico anche delle procedure di liquidazione ex art. 2484 c.c. ma assolutamente vigenti ai fini civilistici e fiscali (seppur, in quest'ultimo caso, con previsioni normative, in taluni casi, specifiche).
Ferma restando l'interpretazione fornita dall'Agenzia delle Entrate mediante la circolare n. 15/E in merito all'esclusione dai soggetti beneficiari del contributo delle «imprese in difficoltà», si passa ad esaminare, pertanto, di seguito gli effetti del tenore letterale della norma, sulle procedure in corso alla data di presentazione dell'istanza, analizzando gli stessi in relazione a ciascuna tipologia di procedura ivi incluse quelle, non propriamente trattabili come procedure concorsuali.
Il fallimento
Come è noto il fallimento ha finalità liquidatorie. Attraverso il fallimento si ottiene la liquidazione del patrimonio dell'imprenditore in stato di insolvenza e la ripartizione del ricavato fra tutti i creditori; a seguito del fallimento cessa di fatto l'attività di impresa come sopra definita e il patrimonio passa nella piena gestione della curatela fallimentare in forza del fenomeno giuridico dello spossessamento.
Peraltro, l'art. 10 l.fall. prevede che «gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo. In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attività da cui decorre il termine del primo comma».
Il combinato disposto delle considerazioni rappresentate nel presente paragrafo e del tenore letterale dell'art. 10 l.fall. nonché della tesi sostenuta dal Consiglio Nazionale del Notariato a parere degli scriventi, comporta che le imprese sottoposte a fallimento non sarebbero escluse dal contributo a fondo perduto. A supporto di tale tesi soccorre anche la formulazione dell'art. 25 del D.L. 34/2020 laddove, per la quantificazione del contributo e l'identificazione dei beneficiari, si fa esclusivo riferimento alla normativa fiscale e segnatamente al TUIR. Orbene secondo la normativa fiscale (art. 35, comma 4, D.P.R. 633/72), l'impresa è cessata quando si procede alla dichiarazione di cessazione di attività che notoriamente in sede di fallimento viene presentata dal curatore solo a seguito della chiusura della procedura dopo il relativo provvedimento emesso dal Tribunale in composizione collegiale.
Peraltro anche la circolare n. 15/E dell'Agenzia delle Entrate sopra richiamata, chiarisce che «sono, in ogni caso, esclusi i contribuenti la cui attività risulti cessata alla data di presentazione dell'istanza di cui al comma 9 dell'articolo 25 del Decreto rilancio. In altri termini, quindi, non è consentito presentare l'istanza di accesso per soggetti per i quali la relativa partita IVA è stata cessata».
D'altronde, coerentemente con quanto affermato dagli scriventi in apertura (cfr. par. 1), è evidente che lo spirito della legge è quello di “risarcire” in quanto non si ravvisano, nel complesso organico della stessa, elementi idonei alla salvaguardia delle imprese “vitali” e, quindi, inserite in un contesto di continuità aziendale alla data dell'insorgenza della pandemia. A ciò si aggiunge, comunque, l'infelice formulazione della norma.
Ovviamente ben diversa si presenta la situazione qualora l'ente fallito sia stato sottoposto ad esercizio provvisorio di impresa, poiché in tale caso non è neppure venuta meno l'aggregazione dei beni aziendali, e fermo restando quanto sopra esposto, in tutti i casi trattasi di impresa in piena attività, tale da renderla, a parere degli scriventi, beneficiaria del contributo a fondo perduto.
I piani attestati di risanamento
Il piano attestato di risanamento ex art. 67 l.fall., ha quale finalità quella di promuovere gli interventi di tempestiva gestione della crisi d'impresa mediante soluzioni negoziali mirate a evitare il fallimento e soprattutto, ad evitare la disgregazione dei beni organizzati per l'esercizio dell'impresa.
Trattasi di uno strumento privatistico di risoluzione della crisi d'impresa avente natura puramente negoziale, in quanto, a differenza degli altri istituti disciplinati dalla legge fallimentare, non prevede l'intervento dell'autorità giudiziaria né nella fase delle trattative, né nel processo di definizione degli accordi con i creditori. Si evidenzia altresì la sua discrezionalità (riservatezza della sua redazione e del suo contenuto) che discende dalla non assoggettabilità del piano ad alcun regime pubblicitario obbligatorio, che lo configura come lo strumento ideale nel caso in cui si voglia evitare di compromettere, con la diffusione di notizie sulla situazione di crisi dell'imprenditore, la regolare prosecuzione dell'attività d'impresa.
Per tali ragioni le imprese che hanno adottato tale strumento possono accedere al contributo a fondo perduto, rispettate, anche in questo caso, tutte le altre condizioni previste dalla norma.
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.fall.
L'accordo di ristrutturazione dei debiti è uno strumento disciplinato dalla legge come mezzo di risanamento cui l'impresa in crisi può ricorrere quando vuole ridurre la propria esposizione debitoria ed, eventualmente, tentare il risanamento economico. Esso si fonda su un accordo con tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti e sulla relazione di un professionista che ne attesta l'attuabilità.
Il contenuto dell'accordo con i creditori aderenti, anche di crediti tributari e previdenziali, è liberamente determinabile mentre per quelli non aderenti si deve assicurare l'integrale pagamento nei termini fissati dalla legge.
Seppure soggetto ad omologazione da parte del Tribunale ed a pubblicazione nel registro delle imprese, si tratta di un mezzo di risoluzione della crisi “atipico” che lo rende una sorta di “via di mezzo” tra gli accordi di natura stragiudiziale e quelli di natura giudiziale. In ogni caso, ormai, giurisprudenza e dottrina sono concordi nel ritenere l'accordo di ristrutturazione dei debiti una vera e propria procedura concorsuale. Per le considerazioni già svolte, si ritiene che le società che ne facciano ricorso non siano escluse, ferma restando l'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate che è il soggetto deputato all'erogazione del contributo, dal novero dei soggetti beneficiari dello stesso, a prescindere dagli effettivi connotati, sia che siano liquidatori ovvero di risanamento, dell'accordo di ristrutturazione.
Il concordato preventivo
Il concordato preventivo è un accordo, mediante il quale i creditori accettano un pagamento in misura ridotta o dilazionata che si perfeziona nell'ambito di una procedura giurisdizionale che diviene efficace a seguito del giudizio di omologazione da parte del Tribunale.
Detta procedura, può avere anche la finalità di anticipare l'emersione dello stato di crisi dell'impresa prima che la stessa diventi irreversibile e che comporti, quale inevitabile conseguenza, la cessazione dell'attività e la liquidazione atomistica dei singoli beni senza alcuna valorizzazione sistemica di tutti o di parte degli stessi, con conseguente danno per tutti gli stakeholders.
Come è noto il concordato preventivo può essere di natura liquidatoria, oppure prevedere di proseguire l'attività economica ab origine intrapresa conservando la titolarità dell'impresa consentendo altresì al debitore di riportare in bonis l'impresa con soluzione di continuità aziendale (art. 186 bis. l.fall.).
Per quanto attiene il concordato preventivo liquidatorio che consente il soddisfacimento dei creditori attraverso il ricavato della liquidazione del patrimonio, valgono le medesime considerazioni già svolte per quanto attiene il fallimento.
In relazione invece al concordato preventivo in continuità aziendale, stante il proseguimento dell'attività d'impresa, si ritiene i soggetti vi abbiano fatto ricorso, rientrino, ferma restando la più volte richiamata circolare dell'Agenzia delle Entrate, tra i beneficiari del contributo a fondo perduto.
In relazione invece ai soggetti economici che hanno invece presentato il concordato cd “prenotativo o in bianco”, sebbene la società debitrice non abbia ancora predisposto il piano di risanamento con la relativa attestazione, si ritiene che possa rientrare tra i soggetti beneficiari del contributo a fondo perduto poiché in tale fase la società, essendosi riservata di presentare nei tempi stabiliti dal Tribunale la proposta ai creditori, nonché la possibilità di rinunciarvi, non ha ancora chiarito se intende proseguire l'attività anche in via indiretta (concordato in continuità aziendale) oppure procedere alla liquidazione dei propri beni (concordato liquidatorio).
Peraltro, l'art. 9 comma 2, D.L. n. 23/2020, convertito nella Legge n. 27/2020, stabilisce che, per causa della emergenza da Covid-19, “nei procedimenti per l'omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione pendenti alla data del 23 febbraio 2020 il debitore puo' presentare, sino all'udienza fissata per l'omologa, istanza al tribunale per la concessione di un termine non superiore a novanta giorni per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato ai sensi dell'articolo 161 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 o di un nuovo accordo di ristrutturazione ai sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Il termine decorre dalla data del decreto con cui il Tribunale assegna il termine e non è prorogabile. L'istanza è inammissibile se presentata nell'ambito di un procedimento di concordato preventivo nel corso del quale è già stata tenuta l'adunanza dei creditori e non siano state raggiunte le maggioranze di legge”
In tale contesto, è evidente che, proprio in forza di tale e articolata modulabilità delle procedure concorsuali di concordato preventivo anche prenotativo aperte alla data della possibile istanza ex art. 25 del D.L. n. 34/2020, gli scriventi ritengono che tale tipologia di procedure concorsuali, ferma restando il contenuto della più volta richiamata circolare dell'Agenzia delle Entrate, potrebbe beneficiare del contributo in argomento.
Le procedure da sovraindebitamento ex L.n. 3/2012
Con la disciplina introdotta dalla legge n. 3 del 27 gennaio 2012 il legislatore ha regolamentato lo stato di crisi delle situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali vigenti, garantendo tutele ai soggetti che, secondo quanto disposto dall'art. 1 l.fall., non sono assoggettabili alle procedure concorsuali.
Il debitore civile, non essendo titolare di reddito di impresa, è escluso dal beneficio del contributo a fondo perduto, mentre per gli imprenditori “non fallibili” sono valide le medesime considerazioni già svolte per le imprese sottoposte a fallimento.
Le implicazioni per le «imprese in difficoltà» alla luce della Circolare n. 15/E dell'Agenzia delle Entrate
Come già riportato supra, non si può, però, non ribadire che l'Agenzia delle Entrate, mediante la Circolare n. 15/E, con il riferimento alle “imprese in difficoltà”, ha di fatto inteso estendere la platea dei soggetti esclusi dal contributo anche alle società sottoposte a procedure concorsuali. In merito a quanto riportato nella circolare gli scriventi osservano che, fermo restando il fatto che l'Agenzia delle Entrate è il soggetto che, come stabilito dalla legge, è deputato all'erogazione del contributo, l'art. 25 non contiene alcun riferimento alla normativa comunitaria ed alle «imprese in difficoltà».
In altre parole, gli scriventi ritengono che, stante il tenore letterale dell'art. 25 del decreto legge e la sua infelice formulazione, anche le imprese sottoposte a procedure concorsuali potrebbero beneficiare dei contributi a fondo perduto.
Come bene noto, il sistema giuridico è basato sul rispetto delle fonti del diritto e alla loro gradualità piramidale.
Notoriamente all'apice della piramide vi è la Carta Costituzionale, a cui seguono le leggi di revisione della stessa, gli statuti delle Regioni Speciali, i trattati costitutivi europei, i regolamenti e le leggi UE. Si tratta, in sostanza, delle fonti di primo livello.
A queste, seguono quelle di secondo livello, tra cui, al vertice, troviamo le leggi ed i decreti legge.
In ultimo, vengono collocate le fonti del diritto di terzo livello, tra cui vengono annoverati i decreti Governativi, i regolamenti ministeriali, le leggi regionali.
Ogni livello deve rispettare le norme annoverate nel livello precedente e non può mai disporre in contrasto con quest'ultime.
In nessun livello vengono annoverate le circolari che, pertanto, non rappresentano una fonte del diritto.
Le circolari, in termini generali, sono atti interni che non possono derogare ai principi di legge né esserne in contrasto della eventuale loro interpretazione.
La circolare con la quale l'Agenzia delle Entrate interpreta una norma tributaria, infatti, esprime esclusivamente un parere dell'amministrazione non vincolante per il contribuente, “e non è, quindi, impugnabile né innanzi al giudice amministrativo, non essendo un atto generale di imposizione, né innanzi al giudice tributario, non essendo atto di esercizio di potestà impositiva” (Cass. Civ., SS.UU., sentenza 02/11/2007 n° 23031). Ciò in quanto le circolari non possono né contenere disposizioni derogative di norme di legge, né essere considerate alla stregua di norme regolamentari vere e proprie, che, come tali vincolano tutti i soggetti dell'ordinamento, essendo dotate di efficacia esclusivamente interna nell'ambito dell'amministrazione all'interno della quale sono emesse.
Tale concetto, oltre ad essere stato ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, è univocamente riconosciuto dalla dottrina più autorevole in materia. Non può, pertanto, essere posto in discussione.
Né è stata messa in discussione la questione laddove lo stesso legislatore abbia demandato all'Agenzia delle Entrate di regolamentare l'applicazione della norma di legge: tale regolamentazione, infatti, oltre a non essere mai stata oggetto di specifica e separata trattazione da parte della giurisprudenza, proprio per quanto più sopra affermato, non potrà mai trovarsi in contrasto ovvero integrarne i contenuti, con la norma di legge che ha richiamato l'uso della medesima regolamentazione senza avere, in precedenza, dettagliatamente sancito i principi che, eventualmente, la circolare richiama.
Agli scriventi, ovviamente, non sfugge come, soprattutto nel periodo attuale caratterizzato dall'emergenza derivante dalla diffusione del Covid-19, il legislatore abbia inteso utilizzare il rinvio ai regolamenti in molteplici occasioni al fine di chiarire l'applicazione di normative, come detto, assai spesso poco chiare e quindi suscettibili di diverse e complesse interpretazioni; ciò non toglie che in nessun caso potrà essere consentito il ribaltamento delle norme di civile convivenza e quindi dei criteri stabiliti dalle fonti del diritto.
Peraltro, l'art. 25 del Decreto Rilancio in esame, non sembra rinviare ad alcun regolamento attuativo e/o interpretativo ma definisce, come fonte primaria, il perimetro di applicazione del contributo.
Stabilito, pertanto, il peso, assolutamente relativo della circolare n. 15/E della Agenzia delle Entrate e quindi l'estensione arbitrariamente svolta rispetto al disposto del Governo, gli scriventi non intendono tralasciare il tema, correttamente ma fuori perimetro, toccato dall'Agenzia delle Entrate con riguardo ai cosiddetti aiuti di stato e quindi alla esclusione del contributo per quelle imprese che abbiano situazioni di oggettiva difficoltà stabilita, come visto, secondo i parametri prestabiliti in tale normativa e nella quale rientrano le imprese sottoposte a procedure concorsuali, almeno laddove ne è prevista la liquidazione.
In tale contesto è opportuno chiedersi se sia applicabile alla legislazione, certamente d'urgenza in quanto idonea a fronteggiare la gravissima crisi economica da pandemia Covid-19, la normativa Europea, più sopra tratteggiata, in merito al divieto degli aiuti di stato.
In altri termini, l'Agenzia delle Entrate, smarcandosi da ogni altra considerazione più approfondita che, forse, sarebbe stata ben più necessaria volendosi trattare in modo approfondito il caso di specie, nega l'applicazione dell'art. 25 del Decreto Rilancio alle imprese in difficoltà, rinviando alla normativa europea in questione.
Non v'è dubbio che laddove quest'ultima fosse applicabile, il contributo non potrebbe estendersi alle imprese in difficoltà secondo i parametri dei divieti di aiuti di stato.
In tale contesto soccorre in aiuto degli scriventi, il documento del 24 giugno 2020 della Camera dei Deputati – Servizio Studi – intitolato: “Gli aiuti di Stato nell'attuale epidemia da Covid: il nuovo quadro UE”.
In tale studio si afferma, tra l'altro, che:
tra le misure adottate in sede europea a sostegno dell'economia dell'UE e dei diversi Stati membri, duramente colpiti dalla crisi, rientra l'adozione di norme maggiormente flessibili in materia di aiuti di Stato. La Comunicazione della Commissione "Temporary framework for State aid measures to support the economy in the current COVID-19 outbreak - COM 2020/C 91 I/01", è volta a consentire agli Stati membri di adottare misure di sostegno al tessuto economico in deroga alla disciplina ordinaria sugli aiuti di Stato.
Il Temporary Framework è stato esteso ed integrato il 3 aprile, con la Comunicazione C(2020) 2215 final e ulteriormente modificato ed esteso con la Comunicazione dell'8 maggio (C(2020 3156 final). Cesserà di essere applicabile il 31 dicembre 2020, tranne che per la disciplina sugli aiuti di Stato alla ricapitalizzazione delle imprese non finanziarie che sarà efficace sino al 1° luglio 2021. Prima di tale data potrà essere modificato e prorogato, sulla base di considerazioni di politica della concorrenza o economiche.
La Commissione ha proposto molto recentemente, (cfr. comunicato stampa del 12 giugno) di estendere ulteriormente la portata del Temporary Framework al fine di autorizzare il sostegno pubblico a tutte le piccole e micro imprese, anche a quelle che si trovavano in difficoltà finanziarie al 31 dicembre 2019, a condizione che non siano sottoposte a una procedura di insolvenza, non abbiano ricevuto aiuti per il salvataggio non rimborsati o non siano sottoposte ad un piano di ristrutturazione ai sensi delle norme sugli aiuti di Stato. La Commissione propone inoltre di adeguare le condizioni per le misure di ricapitalizzazione nell'ambito del quadro temporaneo per i casi in cui gli investitori privati contribuiscono all'aumento di capitale delle società insieme allo Stato.
In sintesi, per aiutare l'economia dell'UE e le iniziative dei diversi Stati membri nell'attuale situazione, la Commissione europea ha dunque adottato, il 19 marzo 2020, un Quadro di riferimento temporaneo per gli aiuti di Stato a sostegno dell'economia nell'attuale emergenza del COVID-19 (GUCE serie C 91I del 20.3.2020, pag. 1) volto a consentire agli Stati membri di approntare misure di sostegno alle imprese duramente colpite dalla crisi, sfruttando la flessibilità massima prevista dalle norme sugli aiuti di Stato. La Commissione ha poi adottato, il 3 aprile 2020, una modifica alla Comunicazione di marzo che include nel perimetro degli aiuti di Stato ammissibili ulteriori e più ampie possibilità di sostegno pubblico. L' 8 maggio la Commissione ha adottato una seconda modifica che amplia il campo di applicazione del quadro temporaneo, per dare agli Stati membri la possibilità di varare misure di ricapitalizzazione per le imprese in difficoltà. L'ulteriore ampliamento del quadro è stato preceduto da una procedura di consultazione con gli Stati membri, avviata all'inizio di aprile.
Il "Temporary Framework" si basa sull'articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), che:
i. al paragrafo 2, lettera b), dichiara compatibili con il mercato interno gli aiuti pubblici destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali (esimendo, dunque, tali tipi di aiuti dall'obbligo di previa approvazione da parte della Commissione UE); e,
ii. al paragrafo 3, lettera b), dispone che possono essere compatibili con il mercato interno gli aiuti destinati a porre rimedio ad un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro (previa approvazione della Commissione UE, al fine di valutare il carattere mirato alla finalità e la loro adeguatezza e proporzionalità).
Il nuovo quadro non sostituisce, ma integra gli altri strumenti consentiti di intervento pubblico sulla base delle norme già vigenti sugli aiuti di Stato. Si richiama, in particolare, il Regolamento generale di esenzione per categoria, Regolamento n. 651/2014/UE della Commissione, del 17 giugno 2014, cd. GBER, che dichiara, a date condizioni, alcune categorie di aiuti di Stato compatibili con il mercato interno, esentandole dall'obbligo di notifica preventiva alla Commissione UE. Si richiama inoltre la disciplina degli aiuti di Stato di importanza minore, cd. "de minimis", di cui al Regolamento n. 1407/2013/UE, al Regolamento n. 1408/2013/UE, come da ultimo modificato dal Regolamento n. 2019/316/UE, per il settore agricolo, e al Regolamento n. 717/2014/UE per il settore ittico. Inoltre, rimane comunque applicabile la disciplina sugli aiuti di Stato alle imprese in difficoltà ammissibili alle condizioni previste dai relativi Orientamenti (Comunicazione 2014/C 249/01).
Nella Comunicazione del 19 marzo 2020 la Commissione ha indicato le misure temporanee di aiuti di Stato ritenute compatibili con il mercato interno, a norma del citato articolo 107, paragrafo 3, lettera b), del TFUE, in quanto finalizzate a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro. Tali misure possono essere approvate dagli Stati membri dopo la notifica alla Commissione europea. Le tipologie di aiuti ammissibili e le intensità di aiuto sono state implementate dalla successiva Comunicazione del 3 aprile. Tra le misure ammissibili, gli aiuti finalizzati a garantire la liquidità e l'accesso ai finanziamenti per le imprese: gli Stati membri sono stati, tra l'altro, autorizzati a concedere, fino al valore nominale di 800 mila euro per impresa, prestiti a tasso zero, garanzie su prestiti che coprono il 100% del rischio o fornire capitale. L'intervento può essere cumulato, con altre misure consentite in via ordinaria, come gli aiuti "de minimis" (portandosi dunque l'entità dell'aiuto per impresa a 1 milione di euro) e con altre misure consentite in via straordinaria dal Temporary Framework (secondo le condizioni di cumulo ivi previste). La Comunicazione dell'8 maggio (C(2020) 3156 final) ha infine apportato una seconda modifica del Temporary Framework per consentire, secondo regole temporanee e straordinarie efficaci sino al 1° luglio 2021, interventi pubblici mirati sotto forma di aiuti alla ricapitalizzazione a favore delle società non finanziarie che li necessitano, in modo da contribuire a ridurre il rischio per l'economia dell'UE nel suo complesso. La Comunicazione introduce inoltre la possibilità per gli Stati membri, fino a dicembre 2020, di sostenere le imprese in difficoltà finanziarie dovute alla pandemia fornendo loro debito subordinato a condizioni favorevoli. Il 12 giugno la Commissione europea ha inviato per consultazione agli Stati membri una proposta di ulteriore estensione del Temporary Framework finalizzata ad ammettere il sostegno pubblico a tutte le piccole e micro imprese, anche a quelle che si trovavano in difficoltà finanziarie al 31 dicembre 2019. Tale sostegno sarebbe applicabile a condizione che le imprese non siano sottoposte a una procedura di insolvenza, non abbiano ricevuto aiuti per il salvataggio non rimborsati o non siano oggetto di un piano di ristrutturazione ai sensi delle norme sugli aiuti di Stato. La Commissione propone inoltre di adeguare le condizioni per le misure di ricapitalizzazione nell'ambito del quadro temporaneo per i casi in cui gli investitori privati contribuiscono all'aumento di capitale delle società insieme allo Stato.
Come si è visto, lo studio, per quanto concerne il tema in analisi, ricostruisce in modo sufficientemente analitico e completo la questione degli aiuti di stato, che invece viene citata soltanto sommariamente dall'Agenzia delle Entrate nella circolare 15/E.
In effetti permane il tema degli aiuti di stato ma lo stesso è stato fortemente ridimensionato, almeno sino al 31.12.2020, dalla Commissione UE che si è attivata per consentire agli stati membri di avviare procedure di leggi idonee a fronteggiare la grave crisi economica in atto.
Il lavoro succintamente delineato più sopra, sancisce alcuni punti cardine:
agli Stati membri è consentito, secondo i criteri indicati, aiutare le imprese in difficoltà;
gli interventi di aiuto in deroga ai principi generali, possono essere di vario tipo e, perlopiù, sotto forma di moratorie fiscali, sconti di imposte, interventi di integrazione salariale, interventi finanziari risarcitori anche sotto forma di aiuti alla ricapitalizzazione delle piccole e medie imprese ovvero di sostegno al reddito dei lavoratori autonomi, prestiti bancari garantiti dallo stesso e finanziamenti in conto interessi oltre altri;
le regole in deroga si applicano per un periodo provvisorio (la prima scadenza, al momento, è prevista per il 31.12.2020); taluni aiuti devono essere, comunque, approvati dalla Commissione UE;
gli aiuti di tipo finanziario non potrebbero essere erogati alle imprese in difficoltà, ammissibili soltanto alle condizioni previste dai relativi Orientamenti (Comunicazione 2014/C 249/01).
è in corso una consultazione degli stati membri per approfondire e valutare ulteriori ed altre deroghe alla normativa comunitaria degli aiuti di stato finalizzata ad ammettere il sostegno pubblico a tutte le piccole e micro imprese, anche a quelle che si trovavano in difficoltà finanziarie al 31 dicembre 2019. Tale sostegno sarebbe applicabile a condizione che le imprese non siano sottoposte a una procedura di insolvenza, non abbiano ricevuto aiuti per il salvataggio non rimborsati o non siano oggetto di un piano di ristrutturazione ai sensi delle norme sugli aiuti di Stato.
Orbene, il quadro della normativa di riferimento, come si può constatare è molto articolato e, soprattutto, deve tenersi conto di taluni passaggi imprescindibili sul piano aziendalistico e societario.
In primo luogo, infatti, le norme sugli aiuti di Stato, parlano di applicabilità delle stesse alle società che versano in stato di difficoltà ai sensi del par. 2.2. della Comunicazione della Commissione 2014/C – 249/01. In tale ambito viene citato, in maniera generica ed a-tecnica, il termine difficoltà, accompagnato, comunque, da una serie di parametri, già ricordati e dettagliati più sopra (cfr. par. 3) che rendono lo stesso ancor più insignificante ai fini che interessano il presente approfondimento.
La ricordata comunicazione rafforza i suoi connotati di genericità, quando, al par. 2.2. – 20, osserva che “ai fini dei presenti orientamenti, si ritiene che un'impresa sia in difficoltà se, in assenza di un intervento dello Stato, è quasi certamente destinata al collasso economico a breve o a medio termine”.
Viene, pertanto, introdotto un ulteriore termine, non inquadrabile in ambito aziendalistico, rappresentato dal collasso economico a breve o a medio termine.
In ogni caso, non viene svolto alcun accenno di ordine finanziario ma sembra si voglia riferire, unicamente, a temi di carattere economico (perdite) con conseguente interessamento del patrimonio netto.
Cenni a tematiche di carattere finanziario (insolvenza) vengono svolti, unicamente al par. 2.2. – 20 – c), laddove si evidenza l'applicabilità della normativa in materia di aiuti di stato, alle imprese soggette a procedure concorsuali per insolvenza.
Pertanto la normativa richiamata dalla Agenzia delle Entrate, non rinvenuta nel disposto dell'art. 25 del Decreto Rilancio, in continua evoluzione emergenziale e parzialmente, come visto, già derogata da quest'ultima, è tutt'altro che inquadrabile nei limiti richiamati dalla Agenzia delle Entrate stessa.
In secondo luogo, la Comunicazione della commissione n. 2014/C – 249/01, sancisce anche i requisiti soggettivi degli aiuti di stato in tale ambito. Infatti individua tre tipologie di aiuti di stato (par. 2.3.):
aiuti per il salvataggio;
aiuti per la ristrutturazione (del debito ovvero aziendale n.d.r.);
aiuti per il sostegno temporale alla ristrutturazione.
Peraltro, in tale contesto, il par. 2.3. n. 29 stabilisce che:
in deroga al punto 19 (impresa in dimostrata difficoltà n.d.r.), gli aiuti per il salvataggio e, nel caso delle PMI e delle piccole imprese pubbliche, il sostegno temporaneo per la ristrutturazione possono essere concessi anche alle imprese che non si trovano in difficoltà ai sensi del punto 20 ma che versano in stato di grave fabbisogno di liquidità a causa di circostanze eccezionali e impreviste.
Il tenore letterale della comunicazione, pertanto, esclude che possa essere configurato come aiuto di stato, qualsivoglia altra erogazione “liberale” e/o “risarcitoria”, quale quella prevista dall'art. 25 del decreto rilancio.
Il quadro testè delineato, secondo gli scriventi, porta alle seguenti naturali conclusioni che rimodulano soltanto in parte il tema dell'erogazione del contributo ex art. 25 del decreto rilancio, in favore di enti o soggetti imprenditori sottoposti a procedure concorsuali:
la normativa sugli aiuti di stato invocata dall'Agenzia delle Entrate, è in continua evoluzione emergenziale tantè che la medesima Agenzia non tiene esplicitamente conto degli atti successivi al 19.3.2020 costituiti dai pronunciamenti della Commissione e soprattutto della richiesta di rivisitazione e aggiornamento della procedura datata 12.6.2020.
Non è spiegato come dovuto, il concetto di impresa in difficoltà; quest'ultimo non ha alcun significato tecnico – aziendalistico; è possibile dedurre che ci si riferisca al disequilibrio economico (crisi) che abbia causato perdite tali da avere eroso il patrimonio netto ai sensi degli artt. 2447 e 2482 ter c.c. Peraltro, come noto, tali normative, in forza del DL 23/2020 (noto come decreto liquidità) convertito con la L. 40/2020 sono state oggetto di sospensione sino al 31.12.2020 e quindi non si applicano in tale fase emergenziale a cui si lega anche il disposto dell'art. 25 del Decreto legge Rilancio.
Non rileva, pertanto, l'indebitamento finanziario dell'impresa salvo nel caso sia già sfociata in insolvenza alla data del 31.12.2019.
La crisi economica, per quanto affermato ai precedenti punti B) e C), non può rilevare ai fini della norma in esame, laddove sia intervenuta una procedura di risanamento (piano attestato ex art. 67 lett. d) l.fall., art. 182 bisl.fall. con previsione di continuità aziendale, art. 186 bis l.fall. e pertanto in presenza di concordato preventivo con continuità aziendale. In tali casi, infatti, è presente una difficoltà, identificabile, come detto, come crisi di carattere economico con effetti sul piano patrimoniale, senz'altro soggetta a riequilibrio e pertanto non rilevante per i fini che interessano. Inoltre, in tali casi, non è osservabile, in via di principio e necessariamente, una situazione finanziaria identificabile in insolvenza. Peraltro la stessa formulazione degli artt. 182 bis e 160 l.fall. fa espresso riferimento allo stato di crisi dell'impresa che come noto non è necessariamente identificabile nell'insolvenza richiamata dai regolamenti comunitari. In ambito di procedure concorsuali con continuità aziendale, inoltre, vista la finalità delle deroghe al principio di divieto degli aiuti di stato, incentrata, sostanzialmente, sulla previsione di interventi idonei a mantenere sul mercato imprese in difficoltà, non può, evidentemente, negarsi che tra quest'ultime rientrano anche quelle sottoposte alle suddette procedure i cui piani industriali, adottati, nell'ambito dei piani sottoposti al Tribunale, prevedano, appunto, il riequilibrio economico, l'esercizio di impresa e quindi il mantenimento della continuità aziendale.
Ad analoghe conclusioni deve giungersi in presenza di soggetto sottoposto a procedura fallimentare ma in presenza di esercizio provvisorio; tale fattispecie, infatti, continua a non essere interessata né dalla normativa sugli aiuti di stato né dalla norma in esame seppur impropriamente “rivisitata” dall'Agenzia delle Entrate.
Da ultimo, volendosi comunque accedere ad una teoria più espansiva di applicabilità dell'art. 25 del decreto rilancio, vista la natura risarcitoria del contributo in esame, quest'ultimo, per suoi propri requisiti soggettivi, non rientra tra quelli previsti dal par.2.3. della Comunicazione della Commissione UE n. 214/C- 249/1 e quindi esula dalla normativa sugli aiuti di stato alle imprese.
Alcun requisito tra quelli analiticamente indicati dalla medesima Comunicazione della Commissione, interessa il soggetto non fallibile ma sottoposto a procedura di sovraindebitamento ex L. 3 del 2012 che quindi può accedere, salve tutte le altre condizioni previste, al contributo di cui all'art. 25 del decreto Rilancio.
Da ultimo ed in ogni caso, non può essere trascurato che la natura risarcitoria, al momento non contestabile, del contributo previsto dall'art. 25 del Decreto in esame, renderebbe inapplicabile la normativa comunitaria sugli di stato a prescindere dallo stato giuridico del soggetto beneficiario dello stesso.
In conclusione
Al fine di fare definitiva chiarezza sul tema, introdurre una logica distinzione, almeno tra soggetti in crisi e soggetti insolventi e quindi tra procedure concorsuali liquidatorie e con continuità aziendale, che consentirebbe di affrontare anche a livello europeo tale fondamentale differenza frutto delle più recenti revisioni normative in materia di trattamento concorsuale dei debiti dei soggetti “fallibili”, è auspicabile che il legislatore in sede di conversione del decreto voglia trattare in modo più conforme al diritto il tema.
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Sommario
L'art. 25 del D.L. n. 34/2020 – Decreto Rilancio
Requisiti e modalità di calcolo
Le implicazioni per le «imprese in difficoltà» alla luce della Circolare n. 15/E dell'Agenzia delle Entrate