Invio di comunicazioni del difensore via PEC: no per impugnazioni, forse per generiche istanze, si (con riserva) per legittimo impedimento

19 Agosto 2020

Dal 2011 si resta (ancora) in attesa dell'attuazione dell'art. 35 del D.M. n. 44. Nessuna preclusione (invece) alle cancellerie penali: le due facce delle modalità telematiche nel processo penale.

L'evento processuale. Il difensore del già condannato produsse richiesta di rinvio per legittimo impedimento del difensore – per l'astensione dalle udienze proclamata dalle Camere penali - via posta elettronica certificata al Tribunale di sorveglianza competente all'accoglimento delle istanze di affidamento ai servizi sociali e di detenzione domiciliare.
Il giudice penale dichiarò irricevibile l'istanza, l'udienza si svolse e le richieste parimenti rigettate. Il difensore lamenta per Cassazione la violazione degli artt. 178 e 179 c.p.p.: i Giudici elaborano la cernita dei casi di ammissibilità delle comunicazioni via PEC del difensore nel corso del processo penale.

“Via libera” alle cancellerie penali. Le cancellerie penali sono autorizzate ad inviare ogni comunicazione (o a perfezionare ogni notifica) via PEC al difensore, ad ogni effetto, ai sensi della l. n. 221/2012 – che ha convertito il d.l. n. 179/2012.

“No” per le impugnazioni del difensore. Le forme previste dall'art. 583 c.p.p. non possono essere superate dall'utilizzo del mezzo telematico certificato in ragione sia delle ristrettezze previste dall'art. cit. sia per l'inapplicabilità del Codice dell'amministrazione digitale (d.lgs. n. 82/2005) al processo penale – espressamente derogato da decreti e regolamenti ministeriali (ancora non emanati) specificamente atti a regolare il regime delle comunicazioni nel processo penale -. La PEC, secondo il ragionare giudiziale, consente di certificare la provenienza dell'atto dalla casella PEC del difensore, non la sua paternità (l'utilizzo della firma digitale è altresì precluso finché non sarà emanato il decreto ministeriale previsto dall'art. 35 del D.M. n. 44 del 2011).

“Forse” per le generiche istanze. Per istanze, memorie ed altre comunicazioni (per le quali trova applicazione l'art. 121 c.p.p. che consente la sola comunicazione per iscritto), il consolidato giurisprudenziale consente la conoscibilità legale dell'atto, ad ogni effetto, se le predette comunicazioni “sono poste all'attenzione del giudicante” (espressione utilizzata in più sentenze, anche di legittimità). Si tratta, ovviamente, di un infelice inciso letterale che rende incerto al difensore il destino dell'atto (e della richiesta ivi contenuta) ed assolutamente discrezionale la conoscenza dell'atto da parte di chi giudica.

“Sì” (con qualche dubbio) in caso di richiesta di rinvio per legittimo impedimento del difensore. Stavolta l'art. 420 ter c.p.p., applicabile anche al procedimento di sorveglianza, non prescrive forme così rigide da impedire al difensore la comunicazione via PEC del proprio legittimo impedimento. Tuttavia, fra le righe, i Giudici paiono non voler prescindere dalla circostanza della prova che la comunicazione sia comunque giunta all'attenzione del giudicante (che infatti dichiarò irricevibile quella del difensore nel caso de quo). In caso di mancato riscontro però, la comunicazione si avrebbe per non ricevuta.
Sul punto la Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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