Diritto all'informazione in carcere: no ai canali televisivi sportivi a pagamento

Attilio Ievolella
24 Agosto 2020

Respinta definitivamente la richiesta avanzata da un detenuto, cioè ottenere l'attivazione a proprie spese di due canali televisivi sportivi a pagamento. Legittima, per i Giudici, la limitazione decisa dall'amministrazione penitenziaria, che consente solo la visione dei principali canali della rete nazionale.

Nessun diritto all'informazione sportiva a pagamento per l'uomo costretto in carcere. Legittimo il ‘no' della struttura alla richiesta di attivazione, a spese del detenuto, dei canali televisivi ‘Sky Sport' e ‘Premium Sport'.
Sufficiente, secondo i giudici, la visione dei programmi limitata ai principali canali della rete nazionale, vale a dire ‘pacchetto Rai', Canale 5, Rete 4, Italia 1, La7, Cielo, Iris e Tv2000, come stabilito dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Cassazione, sentenza n. 23533/20, sez. I Penale, depositata oggi).

Assolutamente singolare la richiesta avanzata da un detenuto, cioè «l'attivazione, a sue spese, dei canali televisivi ‘Sky Sport' e ‘Premium Sport'». A suo parere non sono sufficienti i circa venti canali visibili in carcere. Di diversa opinione è però il magistrato di sorveglianza, che dichiara inammissibile il reclamo, evidenziando «l'assenza di violazioni della legge penitenziaria e del relativo regolamento da parte dell'amministrazione penitenziaria» e la evidente mancanza di «un attuale e grave pregiudizio all'esercizio dei diritti, e in particolare del diritto all'informazione» del detenuto, diritto adeguatamente garantito, invece, dalla «possibilità di fruire di oltre 20 canali televisivi, secondo la previsione dell'articolo 14, circolare D.A.P. del 2 ottobre 2017» con cui si stabilisce che «la visione dei programmi sarà limitata ai principali canali della rete nazionale vale a dire ‘pacchetto Rai' (1-2-3-4-5, News, Movie, Scuola, Storia, Rai Sport 1 e 2, Premium, Yoyo, Gulp), Canale 5, Rete 4, Italia 1, La7, Cielo, Iris e Tv2000, preventivamente sintonizzati e abilitati dal tecnico di fiducia della direzione».

Per l'uomo in carcere però la battaglia va portata sino in fondo, cioè sino in Cassazione.
Col ricorso il legale del detenuto sostiene che erroneamente si è ritenuto che «l'interesse tutelato dal detenuto con il reclamo, connesso all'attivazione di un canale televisivo avente l'esclusiva di taluni eventi sportivi, non fosse riferibile a una posizione giuridica di diritto soggettivo», mentre, invece, tale interesse è, secondo la tesi difensiva, «riconducibile al diritto all'informazione tutelato dall'articolo 21 della Costituzione».
Dalla Cassazione arriva però la conferma della decisione adotta dal magistrato di sorveglianza. Per il detenuto, quindi, nessun diritto violato se gli viene negata la possibilità di usufruire, a proprie spese, di alcuni canali televisivi sportivi a pagamento.
I giudici tengono a ribadire che «la prospettazione difensiva del detenuto» non ha alcun «fumus di fondatezza», poiché, in questo caso, «la richiesta di accesso a canali televisivi tematici, che il ricorso ha radicato nel pacifico riconoscimento del diritto all'informazione anche in capo ai soggetti detenuti, sottintende una censura alla soluzione organizzativa adottata dall'amministrazione penitenziaria all'atto della emanazione della circolare D.A.P. del 2017» che «ha inteso circoscrivere l'accesso ai principali canali della rete nazionale, nell'ambito di un ragionevole contemperamento tra il diritto all'informazione e le esigenze di organizzazione del D.A.P., chiamato ad esercitare il necessario controllo sulle informazioni provenienti dall'esterno».
Legittimo, quindi, il ‘no' alla richiesta avanzata dal detenuto, poiché non si incide così sui suoi « diritti soggettivi» ma solo sulle «modalità di esercizio di esso, che restano affidate alla discrezionalità dell'amministrazione penitenziaria in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne», discrezionalità che, concludono i giudici, «è stata esercitata in maniera del tutto corretta nell'ambito di un provvedimento organizzativo di portata generale, rispetto alla quale non è configurabile alcun diritto soggettivo del detenuto».

Fonte: Diritto e Giustizia

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