La sicurezza del personale sanitario e la tutela penale contro le aggressioni: un nuovo strumento legislativo

31 Agosto 2020

Dopo un percorso parlamentare durato poco meno di due anni e iniziato con il precedente Governo, viene approvata in via definitiva il 5 agosto 2020, con il sostegno di tutte le forze politiche, la nuova legge volta a tutelare...
Cosa c'è all'origine della nuova normativa

Dopo un percorso parlamentare durato poco meno di due anni e iniziato con il precedente Governo, viene approvata in via definitiva il 5 agosto 2020, con il sostegno di tutte le forze politiche, la nuova legge volta a tutelare gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie dalle condotte aggressive, violente o minacciose di cui essi vengano fatti oggetto nell'esercizio o a causa della loro attività al servizio della collettività.

La cronaca quotidiana offre sovente conoscenza di episodi anche molto gravi verificatisi a carico di medici o infermieri presso i nosocomi, gli ambulatori pubblici o privati o gli studi professionali. Episodi consistiti in aggressioni verbali o anche fisiche nei loro confronti, con esiti lesivi o talora addirittura mortali; o, in qualche caso, perfino in violenze sessuali.

È noto che chi esercita una professione sanitaria, oltre a essere a disposizione di una pluralità indeterminata di persone, è tenuto in alcuni casi a prestare il proprio servizio (magari caratterizzato in turni distribuiti nelle più varie fasce orarie) in condizioni di sostanziale isolamento, ed è perciò spesso esposto a rischi riconducibili al comportamento aggressivo di alcuni utenti, o di loro congiunti, o comunque di soggetti che possono agevolmente relazionarsi con loro, necessariamente senza la presenza di alcun diaframma o di alcuna protezione. Non di rado tale stato di cose si verifica in luoghi isolati, o comunque poco frequentati (come accade in certe strutture ambulatoriali situate in zone a scarsa densità abitativa), o in aree caratterizzate da tensioni e disagi sociali, magari in orario notturno; spesso il sanitario viene a trovarsi da solo, esposto a situazioni assai critiche e difficili da gestire, e con poche possibilità di ricevere un soccorso tempestivo in caso di necessità.

L'idea di offrire al personale sanitario uno strumento di tutela di fronte a tali rischi emerge chiaramente nella relazione al testo originario dell'iniziativa legislativa (D.d.l. A.S. n. 867, 18^ Legislatura), che ricorda come sia nota l'esposizione dei sanitari ad atti di violenza a cagione della loro attività professionale, soprattutto a causa del rapporto fortemente interattivo con soggetti (il paziente o i suoi familiari) che sovente si trovano in uno stato di vulnerabilità, frustrazione e perdita di controllo, specie se sotto l'effetto di alcool o droga.

Rispetto all'articolato originario (elaborato d'iniziativa del Ministro della Salute pro-tempore, on. Giulia Grillo, d'intesa con i ministri dell'Interno, della Giustizia e degli Affari regionali del primo governo Conte), il testo definitivo risulta ampliato e arricchito di più articoli; accanto ad alcune disposizioni di carattere generale alle quali si farà cenno infra - finalizzate al monitoraggio del fenomeno e all'informazione e sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul tema -, ve ne sono altre alle quali si dedicherà particolare attenzione nei paragrafi seguenti, che intervengono sul fronte repressivo, anche con la modifica di talune disposizioni del codice penale e l'inasprimento di alcune previsioni sanzionatorie. L'ampio consenso che si è registrato sull'iniziativa dimostra, da un lato, che il problema è diffusamente sentito; dall'altro, che si continua largamente a confidare, in sede politica, sull'efficacia dissuasiva (o, forse soprattutto, sull'approvazione da parte dell'opinione pubblica) della risposta penale a determinati fenomeni che destano allarme sociale, quale è sicuramente quello in esame.

Le professioni tutelate: quelle sanitarie e quelle socio-sanitarie

Procedendo con ordine, l'articolo 1 del testo legislativo chiarisce che le nuove disposizioni sono poste a tutela degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie di cui agli articoli 4 e da 6 a 9, nonché all'articolo 5 della legge 11 gennaio 2018, n. 3 (c.d. Legge Lorenzin, dal nome del Ministro della salute dell'epoca).

Vi è quindi un riferimento normativo ben preciso che si prefigge di perimetrare le categorie di soggetti “protetti” dalla nuova legge.

In base al richiamo all'art. 4 della legge n. 3/2018, il criterio identificativo di tali categorie è, in primo luogo, quello dell'appartenenza a professioni costituite negli ordini professionali ivi richiamati. E, dunque, saranno senz'altro qualificabili come esercenti la professione sanitaria i soggetti appartenenti agli ordini professionali «dei medici-chirurghi e degli odontoiatri, dei veterinari, dei farmacisti, dei biologi, dei fisici, dei chimici, delle professioni infermieristiche, della professione di ostetrica e dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione».

Invece, in base all'articolo 6 della stessa legge, vi è in prospettiva la possibilità di individuare ulteriori figure professionali di esercenti la professione sanitaria «in sede di recepimento di direttive dell'Unione europea ovvero per iniziativa dello Stato o delle regioni, in considerazione dei fabbisogni connessi agli obiettivi di salute previsti nel Piano sanitario nazionale o nei Piani sanitari regionali, che non trovino rispondenza in professioni già riconosciute, ovvero su iniziativa delle associazioni professionali rappresentative di coloro che intendono ottenere tale riconoscimento».

In base al successivo articolo 7, sempre ai fini dell'inquadramento fra gli esercenti la professione sanitaria, sono poi individuate le professioni dell'osteopata e del chiropratico; gli articoli 8 e 9 della legge n. 3/2018 introducono infine ulteriori regole riguardanti le professioni di chimici e fisici, nonché di biologi e psicologi.

Quanto alle professioni socio-sanitarie di cui all'articolo 5 della legge n. 3/2018, a loro volta richiamate dall'articolo 1 della legge in commento, si tratta di un'area professionale di nuova istituzione, i cui profili di appartenenza devono essere individuati mediante una particolare procedura basata su accordi tra Stato, Regioni e Province Autonome. A tale area professionale appartengono comunque le professioni di operatore socio-sanitario, assistente sociale, sociologo ed educatore professionale.

L'ampiezza delle categorie appena richiamate, basata sul richiamo operato dall'articolo 1 della nuova legge alla disciplina ordinistica introdotta dalla legge Lorenzin, salta agli occhi e rende evidente che la tutela (anche agli effetti penali) degli esercenti le professioni sanitarie e socio – sanitarie (individuate e da individuarsi) si estende ben oltre il perimetro delle situazioni che, in base a fatti di cronaca, hanno reso necessario l'intervento legislativo in commento, arrivando ad interessare attività professionali che, almeno sul piano statistico, non sembrano – se non in termini alquanto marginali – realmente toccate da fenomeni così allarmanti e, in qualche caso, vengono esercitate al riparo da contatti diretti con il pubblico.

Va comunque precisato fin d'ora che la tutela (soprattutto penale) approntata dalla nuova legge si estende anche ai soggetti che espletino attività ausiliarie (di cura, assistenza sanitaria o di soccorso) che risultino funzionali allo svolgimento delle professioni sanitarie o socio-sanitarie. L'ampia nozione che indica tali soggetti (emblematico il riferimento a chiunque, sia nel nuovo testo dell'art. 583-quater c.p., sia nel nuovo art. 61, n. 11-octies, c.p.) rende evidente che essa è estesa a chi presti la predetta attività di assistenza anche in modo occasionale o estemporaneo; del resto, i soggetti che prestano professionalmente tale attività di assistenza saranno di regola destinatari diretti della tutela, quali esercenti le attività sanitarie o socio-sanitarie di cui si è detto.

Un cenno agli strumenti di monitoraggio, divulgativi e celebrativi

Non potevano mancare, nella legge in commento, previsioni volte a implementare e a sostenere la prevenzione del fenomeno delle aggressioni ai danni di personale sanitario.

Fin dalla prima edizione dell'articolato, l'iniziativa legislativa che ha condotto all'approvazione della legge conteneva la previsione dell'istituzione di un “Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie” (è successiva l'estensione alle professioni socio-sanitarie). L'organismo, oggi previsto dall'articolo 2 del testo di legge, è istituito presso il Ministero della Salute, con apposito decreto emanato di concerto con i ministri dell'Interno e dell'Economia e Finanze, nonché previa intesa con le Regioni e le Province Autonome; esso avrà lo scopo di monitorare gli episodi di violenza commessi ai danni degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni, nonché gli “eventi sentinella” che possono preannunciare tali episodi; compito dell'Osservatorio sarà poi quello di promuovere studi e analisi per la formulazione di proposte e misure idonee a ridurre i fattori di rischio negli ambienti più esposti, nonché di monitorare l'attuazione delle misure di prevenzione e protezione a garanzia dei livelli di sicurezza sui luoghi di lavoro ai sensi del testo unico approvato con d.lgs. n. 81/2008, anche promuovendo l'utilizzo di strumenti di videosorveglianza; è inoltre previsto che l'organismo in esame promuova la diffusione di “buone pratiche” in materia di sicurezza del personale esposto e lo svolgimento di appositi corsi di formazione finalizzati alla gestione delle situazioni di conflitto e al miglioramento della qualità della comunicazione con gli utenti.

Per il suo funzionamento l'Osservatorio non disporrà tuttavia di alcuna risorsa finanziaria, atteso che esso funzionerà «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» e che i suoi componenti (che per la metà saranno donne e che verranno scelti tra il personale dei Ministeri, delle organizzazioni sindacali, delle associazioni di settori e delle Regioni) non avranno diritto alla corresponsione di alcuna indennità, rimborso spese od emolumento.

A parte tale non irrilevante aspetto, comunque, solo alla prova dei fatti sarà possibile stabilire se l'istituzione dell'organismo – animata da commendevoli intenzioni e con una mission sicuramente interessante, sebbene al momento solo genericamente descritta – potrà sortire effetti realmente utili al contrasto del fenomeno, o se si risolverà comme d'habitude nel solito, liturgico ricorso alla creazione di un organo collegiale inutile, fondata su vuote ed enfatiche dichiarazioni d'intenti e rivelatrice dell'incapacità di risolvere concretamente il problema sottostante (un po' quello che si diceva, secondo un aforisma in voga molti anni fa, a proposito dell'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta…).

Su un piano apparentemente diverso, ma sempre nell'ottica della prevenzione, l'articolo 3 stabilisce che il Ministero della Salute promuova iniziative informative sull'importanza del rispetto del lavoro del personale sanitario o socio-sanitario.

Nel solco della rilevanza attribuita al contrasto al fenomeno delle aggressioni ai danni del predetto personale, l'articolo 8 della legge istituisce poi una “Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari”.

Va da sé che, anche a tale riguardo, saranno solo i fatti a dimostrare se i propositi di sensibilizzazione dell'opinione pubblica espressi dalla legge in commento possano essere efficacemente perseguiti con siffatti strumenti.

Le disposizioni penali: l'estensione dell'applicazione dell'art. 583-quater c.p.

Veniamo ora agli strumenti di dissuasione di tipo sanzionatorio.

Di preminente interesse è, al riguardo, l'articolo 4 della legge. La disposizione estende il trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 583-quater c.p. (la cui rubrica recitava finora Lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive) all'ambito che qui interessa (ossia ai casi di lesioni personali volontarie gravi o gravissime in danno di esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria, o del personale ausiliario che gli presti assistenza, nell'esercizio o a causa di tale professione o attività). Viene conseguente integrata, in base al secondo comma dell'articolo 4 della legge, anche la rubrica dell'articolo 583-quater.

In sostanza, la norma di nuova introduzione estende ai casi in esame l'inasprimento delle sanzioni sia in caso di lesioni gravi, sia in caso di lesioni gravissime previsto dal vecchio testo dello stesso articolo del codice penale. È noto che, nei casi ordinari, le lesioni gravi sono punite dall'art. 583 c.p. con una pena compresa tra 3 e 7 anni di reclusione; quelle gravissime con una pena compresa tra 6 e 12 anni di reclusione; mentre il previgente testo dell'art. 583-quater prevedeva che, nel caso di lesioni gravi in danno di pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, la cornice edittale fosse compresa tra 4 e 10 anni; e che, in caso di lesioni gravissime, la pena fosse compresa tra 8 e 16 anni.

In base al nuovo testo dell'articolo, un analogo aggravamento delle sanzioni penali viene introdotto anche per i casi di «lesioni personali gravi o gravissime cagionate a personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria nell'esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, nonché a chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, nell'esercizio o a causa di tali attività».

Si ricorderà che il vecchio articolo 583-quater era stato introdotto dal d.l. n. 8 dell'8 febbraio 2007, convertito con modifiche nella legge n. 41 del 4 aprile 2007, dopo un tormentato iter parlamentare. Già in tale occasione era stata sottoposta a critiche molto serrate la decisione di limitare l'inasprimento sanzionatorio alle sole lesioni in danno di una specifica casistica di pubblici ufficiali (quelli in servizio di ordine pubblico “in occasione di manifestazioni sportive”), creando un'irrazionale – e potenzialmente incostituzionale - disparità di trattamento quoad poenam rispetto a soggetti impegnati in altri servizi di ordine pubblico (tant'è che, dopo la precipitosa conversione in legge del d.l. n. 8/2007, si era tentato invano di far passare un nuovo disegno di legge - il n. 1452 A.S. - che estendeva le pene in parola ai casi di lesioni gravi o gravissime in danno di tutti i pubblici ufficiali in servizio di ordine pubblico, senza distinzione alcuna). A ben vedere, insomma, la “storia” del previgente testo dell'art. 583-quater fu così tormentata perché si trattava di uno dei tanti casi di legislazione schizofrenica e frutto del trascinamento di singole vicende di cronaca nelle aule parlamentari: una tendenza che si è smisuratamente sviluppata nel corso di questi ultimi anni.

Il punto nodale del dibattito riguardante il “vecchio” art. 583-quater – che si ripropone tal quale con riguardo all'odierno testo dello stesso articolo – è costituito dall'inquadramento della disposizione in parola come circostanza aggravante, oppure come ipotesi autonoma di reato. Naturalmente la questione è di non poco rilievo sul piano pratico, atteso che, ove prevalesse la prima opzione, l'aggravamento della cornice edittale potrebbe agevolmente essere vanificato mediante il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p., in caso di concessione di attenuanti (in primo luogo, di quelle ex art. 62-bis c.p.).

Anche allo scopo di evitare siffatto esito, che renderebbe affatto precaria la scelta legislativa di inasprire sensibilmente le sanzioni in relazione alla fattispecie in esame, tende a prevalere la tesi che qualifica quella di cui all'art. 583-quater come ipotesi autonoma di reato: ciò che pare ulteriormente accreditato sia dalla posizione sistematica della norma (a una certa distanza dalla collocazione codicistica dell'eventuale ipotesi – base), sia dal fatto che si tratterebbe a ben vedere (almeno alla luce della dottrina e della giurisprudenza prevalenti circa la natura circostanziale delle fattispecie di cui all'art. 583 c.p.) di un' “aggravante di aggravante”. La tesi dell'ipotesi autonoma risulta in sostanza preferibile; del resto, essa trova solido fondamento anche nei lavori parlamentari del 2007, dai quali si ricava che vi fu un preciso orientamento delle Camere verso un incremento di pena che non costituisse un mero aumento percentuale di altra previsione sanzionatoria e che si svincolasse dal possibile inquadramento della fattispecie come semplice circostanza aggravante (come tale soggetta a bilanciamento).

(Segue). La nuova aggravante comune (art. 61, n. 11-octies c.p.)

L'articolo 5 della nuova legge, dando seguito a quanto era già stato proposto con l'originario d.d.l., aggiunge una nuova aggravante comune all'art. 61 c.p., inserendola al n. 11-octies, che troverà applicazione nei casi in cui il soggetto attivo del reato abbia «agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nonché di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, a causa o nell'esercizio di tali professioni o attività».

Vien fatto di chiedersi, innanzitutto, per quale ragione si continui ad aggiungere ulteriori aggravanti a effetto comune inserendo le nuove fattispecie “in coda” al n. 11 dell'articolo 61 (-septies, -octies ecc.) anziché proseguire con la numerazione di cui all'elenco già presente nell'articolo (es. n. 12, n. 13 ecc.); peraltro, non può sottacersi che le ipotesi inserite da ultimo (dal n. 11-bis al n. 11-octies) riguardano per lo più casistiche riconducibili a scelte legislative molto settoriali, adottate come reazione a determinati fenomeni sociali contemporanei (dai reati commessi contro i minori all'interno o nelle adiacenze di istituti d'istruzione, a quelli commessi da soggetto ammesso a una misura alternativa alla detenzione, ai reati contro la vita e l'incolumità individuale o contro la libertà personale commessi in presenza o in danno di soggetti deboli, ecc.).

A parte tali osservazioni, alcune precisazioni si impongono.

In primo luogo la disposizione di nuovo conio, nelle ipotesi di delitti commessi con violenza o minaccia, va raccordata con i casi in cui l'esercente la professione sanitaria o socio-sanitaria o l'ausiliario espletino funzioni di pubblico ufficiale ex art. 357 c.p., o di incaricato di pubblico servizio ex art. 358 c.p.; in tali casi risulta già applicabile l'art. 61, n. 10 c.p., che scatta qualora il soggetto attivo abbia agito «contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio (…) nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio». È di tutta evidenza che le due aggravanti, in siffatte ipotesi, non potranno concorrere; la questione della prevalenza dell'una rispetto all'altra dovrà essere risolta in base al principio di specialità, tenendo presente che l'aggravante da ultimo introdotta è caratterizzata da due elementi specializzanti (il riferimento ai delitti commessi con violenza o minaccia e l'appartenenza della vittima a una specifica categoria di soggetti).

In secondo luogo, è evidente che tra i delitti commessi con violenza o minaccia di cui alla nuova circostanza aggravante non rientrano le lesioni gravi o gravissime, in relazione alle quali troverà invece applicazione il nuovo art. 583-quater c.p. (vds. supra), sempre in virtù del principio di specialità; ovviamente, ma per motivi del tutto diversi, non rientreranno nell'area di applicazione della nuova aggravante le condotte “violente, ingiuriose, offensive o moleste” ma che non costituiscano reato e che siano perciò assoggettabili alle sanzioni amministrative di cui all'art. 9 della nuova legge (v. infra).

In terzo luogo, l'aggravante da ultimo istituita appare per certi versi coniata “a rime obbligate”, quale completamento di quelle previste ai numeri 11-sexies e 11-septies.

Quanto all'aggravante di cui all'art. 61, n. 11-sexies, che come noto si applica ai delitti non colposi commessi in danno di persone ricoverate presso strutture sanitarie o presso strutture sociosanitarie residenziali o semiresidenziali, pubbliche o private, ovvero presso strutture socio-educative (e quindi, in sostanza, in danno di soggetti “utenti” dei servizi sanitari o socio-sanitari), il legislatore ha ritenuto evidentemente caratterizzata da analogo disvalore aggiuntivo la condotta di chi agisca in danno di coloro i quali somministrano le predette prestazioni sanitarie o socio-sanitarie.

Quanto all'aggravante di cui all'art. 61, n. 11-septies – che si applica in relazione ai fatti commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni – si registra una certa assonanza, quanto meno sul piano “ambientale”, con l'art. 583-quater c.p. (che, come si è visto nel paragrafo che precede, si applica in caso di lesioni gravi o gravissime commesse in danno di pubblici ufficiali in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, e che l'articolo 4 della nuova legge estende ai fatti commessi in danno di esercenti la professione sanitaria o socio – sanitaria o di chi presti loro assistenza); con l'avvertenza però che l'aggravante di cui al n. 11-septies non è limitata ai fatti commessi in danno di soggetti qualificati, di tal che in questo caso la simmetria con l'aggravante di nuovo conio è solo apparente e generica.

(Segue). Le modifiche in tema di procedibilità

Di interesse penalistico è poi l'articolo 6 della nuova legge, in base al quale è prevista la procedibilità d'ufficio per i reati di percosse (art. 581 c.p.) e di lesioni personali lievi (art. 582, comma 2, c.p.) aggravati ex art. 61, n. 11-octies. Ben poco è a dirsi al riguardo, se non che la scelta del legislatore appare finalizzata, da un lato, a sottolineare il particolare disvalore delle condotte caratterizzate da violenza fisica nei confronti degli esercenti le professioni sanitarie o socio-sanitarie o di chi presti loro assistenza, anche qualora le conseguenze di tali condotte siano modeste o nulle; e, dall'altro, a introdurre un nuovo fattore di dissuasione dal compimento di tali condotte, mediante la prospettazione di conseguenze penali irretrattabili e non “negoziabili”.

Ulteriori disposizioni preventive e sanzionatorie: gli articoli 7 e 9 della nuova legge

L'articolo 7 della legge stabilisce che, al fine di prevenire episodi di aggressione o di violenza, le strutture presso le quali opera il personale di cui all'articolo 1 (ossia gli esercenti le professioni sanitarie o socio-sanitarie) prevedono, nei propri piani per la sicurezza, misure volte a stipulare specifici protocolli operativi con le forze di polizia, per garantire il loro tempestivo intervento. La formulazione dell'articolo appare assai vaga, probabilmente per lasciare il più ampio spazio possibile all'individuazione degli strumenti operativi nelle singole situazioni concrete. Resta il fatto che, così com'è concepita, la disposizione appare di dubbia utilità, nulla vietando comunque ai soggetti responsabili dei presidi sanitari o socio-sanitari ove opera il personale di cui all'art. 1 di coordinarsi con le forze di polizia presenti sul territorio, allo scopo di assicurarsene l'intervento in tempi rapidi, anche a prescindere da una norma in tal senso.

Di maggiore interesse è invece l'articolo 9. Esso prevede che, «salvo che il fatto costituisca reato», chiunque tenga «condotte violente, ingiuriose, offensive o moleste» nei confronti di «personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria o di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso funzionali allo svolgimento di dette professioni presso strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche o private» è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 5.000.

La presenza della clausola di salvaguardia («salvo che il fatto costituisca reato»), in aggiunta alla soggezione dei responsabili a una sanzione amministrativa (di tipo pecuniario), traccia i contorni della fattispecie in esame. Deve trattarsi necessariamente di una violazione di esclusiva rilevanza amministrativa (altrimenti troverebbe applicazione la legge penale) la cui condotta consista in comportamenti violenti, oppure ingiuriosi, o ancora offensivi, o infine molesti.

Si tratta di vedere, almeno in via sommaria ed esemplificativa, a quali comportamenti non penalmente rilevanti siano applicabili siffatte categorie.

Una condotta violenta commessa in danno di qualcuno dei soggetti tutelati dalla legge in esame ben difficilmente si sottrarrebbe a una qualificazione penale. Ad esempio, è difficile immaginare un comportamento con violenza alla persona che non costituisca reato, tanto più che – come si è visto poc'anzi - la stessa legge esige oggi la procedibilità d'ufficio perfino per le percosse ex art. 581 c.p. o per le lesioni personali lievi ex art. 582, comma 2, c.p. commesse in danno di esercenti le professioni sanitarie o socio-sanitarie. Quanto alla violenza sulle cose, pur a fronte del ridimensionamento dell'area interessata dal delitto di danneggiamento ex art. 635 c.p. (a seguito della riforma recata dal d.lgs. n. 7/2016), quest'ultimo delitto sarà configurabile ogni volta che la res sia danneggiata contestualmente a una violenza alla persona o a una minaccia, o nel caso di violenza commessa su edifici pubblici o destinati a uso pubblico; negli altri casi, ove ne ricorrano i presupposti, è piuttosto probabile che essa possa integrare il delitto p. e p. dall'art. 340 c.p. (in relazione all'interruzione o alla turbata regolarità di un servizio di pubblica necessità), perseguibile d'ufficio; o, in certi casi, quello di cui all'art. 392 c.p., perseguibile a querela.

Una condotta ingiuriosa, laddove non integri altra fattispecie penale, potrà rientrare nel paradigma del vecchio reato di ingiuria di cui all'articolo 594 c.p., la cui abrogazione è stata disposta dal d.lgs. n. 7/2016: il quale come noto prevede oggi, per gli illeciti ivi abrogati (come, appunto, l'ingiuria), sanzioni pecuniarie civili di importo che, almeno nel massimo, risulta sensibilmente superiore a quello della sanzione amministrativa di cui all'articolo 9 della nuova legge; sembra lecito manifestare perplessità al riguardo, atteso che – sulla base di un'interpretazione convenzionalmente orientata del principio del ne bis in idem (basata cioè sull'applicazione dei ben noti Engel Criteria enunciati dalla Corte di Strasburgo) - la sanzione civile pecuniaria già prevista per le condotte “ingiuriose” dal d.lgs. n. 7/2016 ben potrebbe non essere considerata cumulabile con quella amministrativa oggi introdotta per quelle commesse nei confronti del personale sanitario o socio-sanitario.

Quanto poi alle condotte offensive o moleste, a parte i casi in cui siano certamente configurabili fattispecie criminose (es. di oltraggio; oppure di molestia ex art. 660 c.p.) o altri illeciti (es. le condotte “ingiuriose” di cui si è appena detto), occorre un notevole sforzo di fantasia per individuare ipotesi di comportamenti non penalmente rilevanti che presentino tali caratteristiche.

Sembra, in definitiva, che l'articolo 9 sia stato concepito come “norma di chiusura”, senza però un'adeguata analisi in ordine alla sua effettiva applicabilità, e con un ricorso generico e “atecnico” a richiami aggettivali che non valgono a delineare la riferibilità dell'illecito amministrativo “residuale” di nuovo conio a fattispecie concrete.

Guida all'approfondimento

LOMBARDo M., art. 583-quater, in Codice Penale commentato, a cura di M. Ronco – B. Romano, UTET 2012

STRANO LIGATO S., art. 583-quater, in Commentario Breve al Codice Penale, a cura di G. Forti – S. Seminara – G. Zuccalà, CEDAM/WKI 2017

G. Fiandaca – E. Musco, Diritto Penale – Parte speciale (Volume II, Tomo primo – delitti contro la persona), Zanichelli 2011

DI TULLIO D'ELISIS A., Le nuove depenalizzazioni dopo i decreti legislativi 15 gennaio 2016 n. 7 e n. 8, Maggioli 2016

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