Associazioni con finalità di terrorismo: non è irragionevole la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere

Marzia Minutillo Turtur
04 Settembre 2020

Non è irragionevole la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere ex art. 275, comma 3, c.p.p. per il delitto di cui all'art. 270-bis c.p., atteso il normale permanere del vincolo di appartenenza del singolo all'associazione terroristica, intesa anche nella sua dimensione di “casa ideale”, nella quale il partecipe...
Massima

Non è irragionevole la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere ex art. 275, comma 3, c.p.p. per il delitto di cui all'art. 270-bis c.p., atteso il normale permanere del vincolo di appartenenza del singolo all'associazione terroristica, intesa anche nella sua dimensione di “casa ideale”, nella quale il partecipe investe non solo le proprie energie criminali, ma anche la propria intera dimensione personale, sicché le misure non custodiali si devono considerare inidonee a controllare tale peculiare pericolosità.

Il caso

La Corte di assise di Torino si trovava a dover valutare una richiesta d revoca o attenuanzione della misura cautelare della custodia in carcere in essere nei confronti di un imputato già condannato dalla stessa Corte alla pena di cinque anni di reclusione per il delitto di cui all'art. 270 - bis c.p., con particolare riferimento ad un'associazione di stampo anarchico.

Il condannato si trovava di fatto da oltre tre anni in stato di custodia cautelare, il suo ruolo nell'associazione era stato riconosciuto dalla sentenza di condanna come di mero ausilio rispetto agli altri associati.

La Corte ha rilevato l'assenza di elementi indicativi all'attualità della effettiva esistenza e operatività della associazione a delinquere per finalità di eversione per la quale era intervenuta condanna, anche considerata l'avvenuta individuazione e conseguente detenzione degli altri membri del sodalizio criminale.

Il soggetto sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere viene descritto dalla Corte di assise di Torino come attualmente pericoloso, avendo lo stesso manifestato piena, risalente e convinta adesione al progetto anarco-insurrezionalista. Nonostante sia stata, dunque, evidenziata la permanenza della pericolosità dell'imputato, si è comunque riscontrata una sostanziale attenuazione delle esigenze di tutela poste alla base dell'originario provvedimento restrittivo, sicché tali esigenze avrebbero potuto trovare, secondo la prospettazione del giudice remittente, adeguata tutela nella misura degli arresti domiciliari.

La Corte di assise ha osservato, tuttavia, che la presunzione assoluta di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p. preclude la concessione di tale misura.

Con ordinanza del 19 novembre 2019, è stata quindi sollevata, con riferimento agli artt. 3, 13, primo comma e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 275, comma 3, del c.p.p. nella parte in cui, nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 270-bis c.p., è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva altresì l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari potrebbero essere garantite con altre misure meno afflittive.

Nell'ordinanza di rimessione viene richiamata la rilevanza delle questioni prospettate, e, quanto alla non manifesta infondatezza, sono stati elencati i numerosi precedenti con i quali la stessa Corte cost. ha dichiarato costituzionalmente illegittime analoghe presunzioni assolute di adeguatezza della custodia in carcere rispetto a diverse figure di reato, anche a carattere associativo (e specificamente in tema di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti).

Nel rimettere la questione la Corte di assise di Torino ha sottolineato come tale disposizione possa effettivamente trovare giustificazione, anche quanto ai principi costituzionali richiamati, quanto all'associazione di stampo mafioso, in considerazione della peculiarità del fenomeno crimonoso, della forza intimidatrice del vincolo associativo, nonché della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva anche a livello territoriale; caratteristiche queste che non sussisterebbero per le associazioni con finalità di terrorismo, connotate invece da una sostanziale eterogeneità di struttura e portata, dovendosi quanto meno mettere in dubbio che solo il carcere rappresenti, per questo genere di delitto, la modalità di ledere effettivamente e recidere i legami tra le persone interessante e il loro ambito criminale di origine.

Infatti, così come per le associazioni finalizzate al traffico di stupefacenti, tali organizzazioni non sarebbero indefettibilmente caratterizzate da strutture complesse e gerarchicamente ordinate, apparendo invece nella sostanza spesso la loro natura di organizzazioni rudimentali finalizzate al perseguimento di un fine comune, in sostanziale assenza di radicamento sul territorio.

La questione

La questione che la Corte costituzionale ha dovuto affrontare è, dunque, relativa all'effettiva ragionevolezza della presunzione assoluta di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p., nella versione attualmente vigente, a carico delle persone indiziate del delitto di cui all'art. 270 - bis c.p.

Nell'affrontare il tema sollevato, la Corte ha ricostruito genesi e portata della disposizione di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p., nonché l'evoluzione interpretativa, nel diritto vivente della giurisprudenza di legittimità, relativa al delitto di cui all'art. 270-bis c.p.

Quanto all'art. 275 c.p.p. si è richiamata la portata generale della disposizione secondo la quale, nella scelta della misura cautelare da adottare, in presenza dei presupposti di cui agli art. 273 e 274 c.p.p., il giudice debba tenere conto della specifica idoneità di ciascuna misura in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto (comma 1), nonché alla proporzionalità della misura all'entità del fatto e alla sanzione che sia stata o che si ritiene possa essere irrogata, anche tenendo conto dei precisi criteri indicati dal comma 2-bis (comma 2). Ovviamente, tali principi operano non solo per la fase genetica della misura, ma anche durante la sua esecuzione, nell'ottica di una costante verifica della perdurante idoneità della misura.

La disciplina riflette, secondo la motivazione della Corte, il rango assegnato, ai sensi dell'art. 13 della Cost., alla libertà personale, nonché dell'art. 5 della Conv. EDU e della giurisprudenza conseguente della Corte EDU, che ha sempre affermato come la carcerazione preventiva debba apparire come la extrema ratio, giustificabile solo quando tutte le altre opzioni disponibili si rivelino insufficienti. La considerazione, ai sensi della Conv. EDU, vale ad integrare anche il diverso principio costituzionale di cui all'art. 27 della Cost. (comma secondo) quanto alla presunzione d'innocenza dell'indagato e del condannato sino alla condanna definitiva.

Nel ricostruire il contesto nell'ambito del quale si impone la triplice valutazione del giudice ai sensi dell'art. 275 c.p.p. (idoneità, proporzionalità e necessità della misura cautelare), così come l'effettiva eccezionalità della deroga prevista dal comma 3 della disposizione citata, la Corte cost. ne ha richiamato gli originari elementi caratterizzanti ai sensi dell'art. 5, comma 1, del d.l. 13 maggio 1991, le modifiche introdotte poco dopo dal d.l. n. 292 del 1991 all'art. 1, con la trasformazione da relativa in assoluta della presunzione di adeguatezza della custodia carceraria, escludendo la possibilità per il giudice di valutare se le esigenze cautelari potessero essere soddisfatte mediante l'adozione di misure meno gravose per i reati indicati dall'art. 275 c.p.p.

Nel considerare l'introduzione della disposizione, la Corte ha richiamato una propria precedente decisione (ordinanza n. 450 del 1995) secondo la quale non risulta in contrasto con il paramentro dell'art. 3 della Cost. la predeterminazione in via generale della necessità della cautela più rigorosa, non potendosi ritenere soluzione costituzionalmente obbligata quella di affidare sempre e comunque al giudice la determinazione del punto di equilibrio e contemperamento tra il sacrificio della libertà personale e gli antagonisti interessi collettivi, anch'essi di rilievo costituzionale.

È stata quindi richiamata l'ulteriore modifica del secondo periodo del comma 3 dell'art. 275 c.p.p. ad opera dell'art. 2 del d.l. n. 11 del 2009, che ha esteso il criterio dell'adeguatezza della sola custodia in carcere a tutti i reati previsti dall'art. 51, comma 3-bis e 3-quater c.p.p. ed altri gravi delitti contro la persona.

La disposizione, nonostante la sua complessa evoluzione è stata tuttavia oggetto, dal 2010 in poi, di una serie di dichiarazioni d'illegittimità costituzionale sul punto, tutte riferite a singole e specifiche figure delittuose (pornografia minorile, omicidio ex art. 575 c.p., alcuni delitti di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina di cui all'art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, delitto di cui all'art. 416 c.p. finalizzato alla commissione dei delitti previsti dagli art. 473 e 474 c.p., delitti aggravati ai sensi dell'art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, sequestro di persona ex art. 630 c.p., violenza sessuale di gruppo ex art. 609 – octies c.p., delitto di concorso esterno in associazione mafiosa ex art. 110 e 416 bis c.p.).

Alla base della dichiarazione di illegittimità la considerazione che ricorre una violazione del principio di uguaglianza quando le presunzioni assolute si presentino come arbitrarie ed irrazionali, cioè “se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit”.

Proprio in considerazione delle ragioni sottese alle dichiarazioni di illegittimità sopravvenute nel tempo, l'art. 4 della l.n. 47 del 2015 ha nuovamente modificato la disposizione oggetto di rilievo, considerando la presunzione di adeguatezza a carattere sostanzialmente relativo in generale, mantenendo invece la natura di presunzione assoluta per i soli delitti di associazione a delinquere di tipo mafioso, di associazione sovversiva e di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale e di eversione dell'ordine democratico.

La Corte ha evidenziato come la legittimità costituzionale della disposizione è stata vagliata, proprio con riguardo alla presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere, con riferimento al delitto di associazione di tipo mafioso dall'ordinanza n. 136 del 2017, che ha ritenuto manifestamente infondate le censure formulate con riferimento agli art. 3, 13, primo comma, e 27 della Costituzione.

Le soluzioni giuridiche

Nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative all'art. 275, comma 3, c.p.p. la Corte cost. ha rilevato come non sia mai stata affermata - anche nelle diverse decisioni che hanno in precedenza dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione quanto alla presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere - l'incompatibilità della previsione predetta con i principi costituzionali in materia di misure cautelari e di tutela della libertà personale.

L'illegittimità costituzionale ha, invece, trovato fondamento, ad esito di una puntuale ricognizione di irragionevolezza della presunzione, “in relazione alle caratteristiche specifiche delle singole fattispecie delittuose di volta in volta esaminate, rispetto alle quali si è ritenuto agevole ipotizzare situazioni nelle quali potesse smentirsi la valutazione legislativa sull'adeguatezza della misura custodiale a soddisfare le pur ritenute esigenze cautelari”.

Dunque, emerge come - per giungersi alla valutazione circa la ricorrenza di un'irragionevolezza della disciplina legislativa - occorra riferirsi sempre alla singola fattispecie di reato scrutinata, senza alcuna possibilità di estensione diretta ad altre fattispecie di reato della ratio decidendi di sentenze d'illegittimità costituzionale riferite a diversi delitti, proprio perché è l'atteggiarsi in concreto del delitto, e la sua connotazione sulla base dell'id quod plerumque accidit, ad evidenziare la ragionevolezza o meno della presunzione assoluta introdotta dal legislatore quanto alla adeguatezza della sola custodia in carcere nel caso in cui ricorrano le esigenze cautelari.

La conseguenza è che, ove la presunzione legislativa sia da ritenere ragionevole, proprio in considerazione della sua solida rispondenza all'id quod plerumque accidit, non essendo possibile riscontrare agevolmente casi che la possano smentire, tale presunzione non potrà essere considerata costituzionalmente illegittima.

In tal senso l'interpretazione costante della Corte cost. ha valorizzato il carattere eccezionale e derogatorio della presunzione in questione, chiarendo che la specificità è da riferire proprio ai delitti indicati, unica misura idonea a neutralizzare il periculum libertatis connesso al verosimile protrarsi dei contatti tra imputato e associazione

In questo senso, la Corte ricostruisce, sulla scorta del diritto vivente, e dell'interpretazione in costante evoluzione della Corte di cassazione, la portata del delitto di cui all'art. 270-bis c.p., chiarendo che proprio le condotte associative (di promozione, costituzione, organizzazione, direzione, finanziamento e mera partecipazione) rappresentano l'oggetto della riflessione.

Richiamando alcune decisioni della Corte di cassazione, la Corte cost. ha sottolineato l'importanza del doppio livello finalistico che caratterizza l'art. 270-bis c.p., caratterizzato appunto ad un primo livello dal compimento di atti di violenza, e, ad un livello ulteriore, dalla finalità di terrorismo o eversione dell'ordine democratico (da individuare ai sensi della disposizione di cui all'art. 270-sexies c.p.).

Ciò che certamente emerge, come dato fattuale costante del tipo di condotta disciplinata da tale disposizione, è, dunque, la potenzialità di arrecare un grave danno al paese o ad una organizzazione internazionale, da leggere in correlazione con il requisito dimensionale della capacità della condotta di arrecare grave danno, direttamente incidente sulla pubblica autorità, involgente interessi estesi alla intera collettività.

Tali finalità, secondo l'interpretazione della Corte cost., che richiama esplicitamente alcune decisioni di legittimità sul tema, può essere perseguita anche da organizzazioni rudimentali - ricorrendo con frequenza una struttura fluida o a rete di simili sodalizi, spesso caratterizzati dalla presenza di cellule territoriali - che possono operare autonomamente rispetto a gruppi orientati dalla stessa ideologia o dal generico programma criminoso di destabilizzazione dell'ordinamento democratico.

Il limite negativo, quanto a tale caratterizzazione della condotta, è rappresentato dalla necessità di evitare che la mera adesione ad un'astratta ideologia, sebbene evidentemente finalizzata all'abbattimento dell'istituzione democratica, possa apparire elemento sufficiente ad integrare il delitto di cui all'art. 270 – bis c.p.

Sicché, pur non essendo richiesta la predisposizione di uno specifico programma operativo, quanto al compimento di azioni terroristiche, occorre tuttavia il riscontro quanto alla presenza di una struttura organizzativa effettiva, tale da rendere sostanzialmente possibile la realizzazione del progetto criminoso. L'associazione deve quindi avere individuato gli atti terroristici come obiettivo da realizzare grazie alla capacità della struttura associativa di dare agli stessi effettiva realizzazione.

Nel considerare la portata del delitto in questione la Corte richiama le specifiche caratteristiche della condotta di partecipazione, nel senso di un effettivo inserimento nella struttura organizzata, desumibile da condotte unicamente evocative e sintomatiche, ovvero la realizzazione di condotte preparatorie per l'esecuzione del programma, così come l'assunzione di un ruolo concreto nell'organigramma criminale. È in questo senso che ci si avvicina alla affermazione della giurisprudenza di legittimità secondo la quale occorre che siano effettivamente ricorrenti contatti tra l'associazione e il singolo partecipe, dovendo l'associazione stessa essere consapevole dell'adesione.

Nel tenere conto della rudimentalità di tale tipo di associazione, la Corte cost. richiama l'interpretazione della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale occorre un contatto con la casa madre, seppur flebile, che rappresenti un'evidente adesione ad un'ideologia che teorizza un uso della violenza tale da poter cagionare un reale e concreto danno per la collettività.

Nel considerare tali elementi caratterizzanti le associazioni per finalità di terrorismo, anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico, la Corte cost. sottolinea che ”è proprio una simile adesione ideologica a contrassegnare nel modo più profondo l'appartenenza del singolo all'associazione terroristica: un'appartenenza che – proprio come quella che lega, pur con modalità diverse, il partecipe all'associazione mafiosa – normalmente perdura anche durante le indagini e il processo e comunque non viene meno per il solo fatto dell'ingresso in carcere del soggetto, continuando così ad essere indicativa di una sua pericolosità particolarmente accentuata”.

Proprio quest'appartenenza ad una comunità unita da “un preciso collante ideologico”, che trascende i confini nazionali, rappresenta per la Corte la differenza fondamentale, secondo l'id quod plerumque accidit, di tale associazioni rispetto alle altre scrutinate per vagliare la legittimità costituzionale dell'art. 275, comma 3, c.p.p., atteso che le altre fattispecie sono risultate caratterizzate, al massimo, dalla convergenza delle attività dei partecipi verso la realizzazione di un obiettivo immediato quale la realizzazione di determinate condotte criminose per acquisire i conseguenti profitti (come ad esempio in materia di stupefacenti), mentre l'associazione ex art. 270-bis c.p. si caratterizza per una sua dimensione più ampia quale “casa ideale nella quale il partecipe investe spesso non solo le proprie energie criminali, ma l'intera propria dimensione personale, essendo spesso disposto a sacrificare la propria vita in nome del progetto condiviso”.

Nel considerare questi elementi significativi, la Corte cost. evidenzia un dato ulteriore, particolarmente pregnante, proprio quanto alla ragionevolezza della previsione di adeguatezza di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p., rappresentato dall'impossibilità di impedire che l'indagato o condannato, sottoposto a misura diversa dalla custodia in carcere, riprenda contatti con gli altri associati in considerazione dell'evoluzione delle comunicazioni e della tecnologia digitale, che consente diversissime, e certamente proficue, modalità di comunicazione (in molte occasioni difficilmente tracciabili in considerazione di quello che è il c.d. deep web).

Viene, quindi, ritenuto un pericolo reale la possibilità che l'indagato o condannato si allontani senza autorizzazione dalla propria abitazione, e possa così commettere ulteriori gravi reati in esecuzione di un programma criminoso riferibile all'associazione della quale continua a fare parte e dalla quale, in tal modo, (decisamente non controllabile con la misura degli arresti domiciliari) potrebbe continuare a ricevere ordini.

La considerazione da parte della Corte cost. della particolare struttura di tali associazioni contemporanee, caratterizzate da particolare fluidità, oltre che dalla presenza di reti e cellule radicate sul territorio nei contesti più diversi, quale che sia la rispettiva matrice ideologica, porta a ritenere come un dato fattuale acquisito l'utilizzo della tecnologia digitale, dei social media e dei diversi canali web come mezzo di reclutamento e indottrinamento degli associati, ma anche come strumento di pianificazione e organizzazione degli attentati nei quali si concretizza il programma criminoso della associazione (in questo senso particolarmente rilevante Cass. pen., Sez. II, n. 7808 del 2020).

Il pericolo in questione si caratterizza poi, a parere della Corte cost., per potenzialità ulteriore di contatti da parte del soggetto indagato non solo con la sua associazione di riferimento (che potrebbe anche essere stata nel frattempo smantellata), ma anche con tutte le altre strutture organizzate, a rete o cellule, diverse dalla sua, ma accumunate dalla medesima ideologia e finalità, sì da rendere di fatto possibile la programmazione di nuove condotte criminose insieme a nuovi sodali.

È proprio, dunque, l'eccezionale ampiezza di tali rischi, la potenzialità espansiva derivante dall'utilizzo del mezzo informatico e digitale, a portare a considerare la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare, che costituisce una “marcata deroga ai principi generali del codice di rito”, sostenuta da ”una congrua base empirico – fattuale, sì da sottrarsi al giudizio di irragionevolezza che ha colpito l'analoga presunzione che operava rispetto a figure criminose diverse dalla partecipazione ad associazione all'associazione di tipo mafioso”.

La particolarità del fenomeno associativo sanzionato dall'art. 270 – bis c.p. e l'evidente rilevanza della finalità di tutela della collettività contro gravissimi rischi che potenzialmente potrebbero derivare dall'eventuale sopravvalutazione da parte del giudice dell'adeguatezza di una misura non carceraria a contenere il pericolo della commissione di reati porta la Corte cost. a non ritenere censurabile la disposizione oggetto dell'ordinanza di rimessione.

Osservazioni

Sono di particolare rilevanza alcuni aspetti sottesi al ragionamento della Corte cost. nella decisione in esame:

  • il richiamo all'ordinanza n. 450 del 1995, secondo la quale non risulta in contrasto con il parametro dell'art. 3 della Cost. la predeterminazione in via generale della necessità della cautela più rigorosa, non potendosi ritenere soluzione costituzionalmente obbligata quella di affidare sempre e comunque al giudice la determinazione del punto di equilibrio e contemperamento tra il sacrificio della libertà personale e gli antagonisti interessi collettivi, anch'essi di rilievo costituzionale; questo principio non è mai stato posto in discussione e rappresenta il presupposto interpretativo della soluzione ermeneutica proposta dalla Corte cost.; da ciò consegue la possibilità di ritenere effettivamente una violazione del principio di uguaglianza se la presunzione si dovesse caratterizzare per abitrarietà e irrazionalità;
  • la precisazione che una tale scelta legislativa non appare arbitraria quando corrisponde a “dati di esperienza generalizzati”, indicativi di un determinato atteggiarsi in concreto del delitto, atteggiarsi che, appunto, viene ritenuto indicativo di una consistente pericolosità, elemento questo che giustifica la scelta di ritenere adeguata solo la custodia in carcere;
  • la considerazione del nuovo modo di atteggiarsi di tali delitti, tenendo conto del diritto vivente e dell'ermeneusi di legittimità quanto all'art. 270 – bis c.p., che non può prescindere dalla modalità che molto spesso caratterizza la relazione tra i singoli partecipi ed associati, tenendo conto della estrema invasività, diffusività ed efficacia delle nuove tecnologie, nonchè della sempre più frequente smaterializzazione del contatto tra associato e casa madre (descritta con sintesi efficacissima anche come “casa ideale”, ovunque la stessa si collochi e chiunque ne faccia parte, caratterizzata dalla volontà di aggredire la struttura democratica con attività dalla potenzialità espansiva dannosa non quantificabile);
  • la rilevanza - proprio dal punto di vista dei dati di esperienza generalizzati, che giustificano la scelta del legislatore in favore di una presunzione assoluta di adeguatezza - delle caratteristiche della fattispecie, e, dunque, la potenzialità di arrecare grave danno al paese e il requisito dimensionale di tale capacità della condotta;
  • la completa considerazione dei limiti, in tema di offensività, circa la condotta di partecipazione ad associazioni sanzionate ex art. 270-bis c.p., per cui, nel considerare il dato di esperienza generalizzato che giustifica tale presunzione assoluta di adeguatezza, si è chiarito come non si possa ritenere sufficiente al fine di integrare tale reato la mera adesione ideologica, occorrendo, come evidenziato dalla Corte di cassazione, un contatto, seppur flebile con la casa madre; contatto che tuttavia si atteggia, tenendo conto degli approdi ermeneutici più recenti della giurisprudenza di legittimità, in modo nuovo e diverso, sostanzialmente smaterializzato, sebbene reciproco e biunivoco, in quanto realizzato mediante la nuova tecnologia digitale, spesso con canali riservati, di difficile accesso per estranei e controllati in modo verticistico dai promotori della associazione;
  • l'oggettiva pericolosità derivante dalla diffusività e pervasività di tali mezzi di comunicazione, promozione e incentivazione delle finalità della associazione terroristica, che non possono in alcun modo essere arginati dalla diversa misura cautelare degli arresti domiciliari, non potendo tale misura portare ad un controllo effettivo, costante ed efficace di tali attività, dei contatti con altri componenti della associazione, al fine di proseguire nelle attività tipiche della stessa;
  • la considerazione della circostanza che, perciò, sebbene non possa essere ritenuta sufficiente la mera adesione ideologica al fine di ritenere il ruolo di partecipe ad una associazione di tal genere, tuttavia l'adesione ideologica si presenta come elemento caratterizzante della partecipazione stessa, che trova un proprio incidente momento di caratterizzazione proprio in quel contatto dematerializzato con la casa madre, sintomatico di estrema pericolosità;
  • la conseguente rilevanza dell'appartenenza collegata ad una comunità, unita da un pervasivo e diffuso collante ideologico, che sopravvive anche ad un eventuale smantellamento provvisorio dell'associazione, considerata l'estensione potenzialmente amplissima delle stesse, che possono portare l'indagato o condannato a trovare con facilità altri sodali al fine di commettere le condotte sanzionate dall'art. 270 – bis c.p.;
  • la considerazione della associazione come “casa ideale” del partecipe, rispetto alla quale appare evidente l'eccezionale “ampiezza dei rischi” e la potenzialità espansiva derivante dall'utilizzo del mezzo informatico e digitale.

In conclusione, appare opportuno evidenziare come la decisione in questione, nel confermare l'orientamento della Corte cost. già espresso con l'ordinanza n. 450 del 1995, consideri in modo coerente la portata eccezionalmente espansiva delle associazioni ex art. 270 – bis c.p. proprio in relazione alla espansione ed efficacia della tecnologia digitale, condividendo così l'interpretazione evolutiva della Corte di cassazione che, nel ritenere effettivamente necessario un contatto con la casa madre, ha puntualmente ricostruito le modalità con le quali tale contatto si articola, la dematerializzazione dello stesso, la pluralità di canali mediante i quali si realizza, la consistente difficoltà di individuare tali canali e metodi di comunicazione digitale, elementi questi che proprio in quanto considerati dalla Corte cost. dati di esperienza generalizzati, valgono a formare proprio quella base empirica di riscontro indicativa di particolare pericolosità e giustificativa della presunzione di assoluta adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere per i delitti ex art. 20-bis c.p. ai sensi dell'art. 275, comma 3, c.p.p.

In tal senso la decisione appare condividere gli approdi della più recente giurisprudenza di legittimità su questo tema, gia commentati su questa rivista (Minutillo- Turtur, Al Qaeda: messa a disposizione e partecipazione. La strumentalità delle cellule “figlie” in favore della casa madre, su questa rivista 8 aprile 2020). La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito che la mera adesione ideologica all'associazione terroristica non è elemento sufficiente ad integrare la prova del ruolo di partecipe alla stessa, non potendosi prescindere dalla necessità di raccordare il contributo individuale del singolo con l'entità associativa, occorrendo, tuttavia, al fine di riscontrare un'effettiva partecipazione, una meditata analisi delle concrete caratteristiche dell'associazione e dei comportamenti dei singoli, onde coglierne la specifica portata incriminante. Dunque, nel valutare la portata della singola condotta, sempre ritenuta l'insufficienza della mera adesione ideologica nel rispetto di diritti fondamentali tutelati dall'art. 21 della Cost., la Corte di cassazione ha chiarito che occorre raggiungere necessariamente una visione di insieme, un inserimento di contesto del contributo individuale rispetto alle caratteristiche della associazione.

Emerge, quindi, la necessità di considerare il mutamento di prospettiva che ha caratterizzato questo tipo di fenomeno criminale, rispetto al quale occorre essere pronti ad una valutazione che deve imprescindibilmente tenere conto del suo divenire riconoscibile non tanto per la struttura, ma bensì per il “metodo”, nonché per le caratteristiche conseguenti della “messa a disposizione”, che non può essere intesa in senso del tutto omologo alle tradizionali interpretazioni in tema di associazioni a delinquere di tipo mafioso, proprio attesa la particolarità del metodo, la diffusività dello stesso, le nuove tecnologie utilizzate, che non escludono tuttavia la possibilità di riscontrare una organizzazione interna, con funzioni e ruoli, correlate anche all'elevata informatizzazione e partecipazione telematica.

La Corte, sebbene in relazione alla fattispecie esaminata, sembra voler tenere in considerazione il dato oggettivo della smaterializzazione del contatto con la associazione o casa ideale, elemento questo che tuttavia non impedisce di connotare la condotta posta in essere in senso altamente offensivo rispetto al bene protetto. Proprio le caratteristiche di tali associazioni, le possibilità di contatti svariati e difficilmente tracciabili, rendono evidente la ragionevolezza della presunzione di adeguatezza e, dunque, la necessità di realizzare un'effettiva interruzione dei collegamenti con un gruppo connotato dalla sua pervasività e dalla sua matrice ideologica come comune collante della potenziale attività dannosa.

Guida all'approfondimento

Corte cost., ord. n.450 del 1995

Corte. cost., sent. n. 265 del 2010

Corte cost., sent. n. 57 del 2011

Corte cost., sent. n.231 del 2011

Corte cost., sent. n. 110 del 2012

Corte cost., sent. n. 132 del 2013

Corte cost., sent. n. 48 del 2015

Corte cost., ord. n. 136 del 2017

Cass. pen., Sez. Unite, n. 33748 del 12/07/2005

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Cass. pen., Sez. II, n. 7808 del 04/12/2019

, Rv. 278680 -02

Cass. pen., Sez. II, n. 22163 del 21/02/2019

, Rv. 276065 - 01

Cass. pen., Sez. VI, n. 13421 del 05/03/2019

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Cass. pen., Sez. V, n. 10380 del 07/02/2019

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Cass. pen., Sez. VI, n. 51218 del 12/06/2018

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Cass. pen., Sez. V, n. 1970 del 26/09/2018

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Cass. pen., Sez. I, n. 51654 del 09/10/2018

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Cass. pen., Sez. V, n. 1970 del 26/09/2018

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Cass. pen., Sez. VI, n. 40348 del 23/02/2018

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Cass. pen., Sez. VI, n. 46308 del 12/07/2012

, Rv. 253944 – 01

Cass. pen., Sez. VI, n. 46308 del 12/07/2012

, Rv. 253943 – 01

Cass. pen., Sez. V, n. 31389 del 11/06/2008

, Rv. 241175 – 01

***

Viganò, Terrorismo di matrice islamico – fondamentalista e art. 270 – bis c.p. nella recente esperienza giurisprudenziale, in Cass. Pen. 2007, p.3953;

De Marinis Considerazioni minime intorno al tentativo di arruolamento, tra legislazione prassi giurisprudenziale, in Diritto penale contemporaneo, 2017;

Masarone, Politica criminale e diritto penale nel contrasto al terrorismo internazionale. Tra normativa interna, europea ed internazionale, Napoli , 2013;

Fasani, Il decreto antiterrorismo – Le nuove fattispecie antiterrorismo: una prima lettura, in Dir. Pen. proc. 2015, n. 8, 947;

Marino, Lo statuto del terrorista: tra simbolo e anticipazione, in Diritto penale contemporaneo, 1/2017;

Minutillo – Turtur, Associazione con finalità di terrorismo internazionale. Requisiti minimi di partecipazione e struttura organizzativa, su questa rivista, su questa rivista 17 Ottobre 2018;

Minutillo- Turtur, Al Qaeda: messa a disposizione e partecipazione. La strumentalità delle cellule”figlie” in favore della casa madre, su questa rivista 8 aprile 2020;

Bendoni, Assalto al cantiere TAV di Chiomonte, non fu terrorismo, Cass. pen. 2015, fasc. 6, sez.4, pagg. 2265.

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