Presupposti per lo scioglimento dell'unione civile e discrimen con gli istituti matrimoniali

Giuseppe Spadaro
Margherita Tudisco
18 Settembre 2020

L'unione civile può sciogliersi per cause automatiche (art. 1 co. 22, 23, 26 L. 76/2016) ovvero in seguito alla manifestazione di volontà, congiunta o unilaterale, da parte dei componenti della coppia. Nell'ipotesi in cui l'intenzione di scioglimento dell'unione civile provenga da una...
Massima

L'unione civile può sciogliersi per cause automatiche (art. 1 commi 22, 23, 26 l. 76/2016) ovvero in seguito alla manifestazione di volontà, congiunta o unilaterale, da parte dei componenti della coppia. Nell'ipotesi in cui l'intenzione di scioglimento dell'unione civile provenga da una sola delle parti, questa è tenuta ad informare l'altra mediante l'invio di una raccomandata o altra comunicazione similare e, solo dopo, la stessa potrà presentarsi dinnanzi all'ufficiale di stato civile per formalizzare tale volontà che verrà annotata a margine dell'atto costitutivo dell'unione e da cui decorre il termine di tre mesi per proporre la domanda giudiziale.

Il caso

C. G. e M. G., dopo un breve periodo di fidanzamento durato circa dieci giorni, decidevano di unirsi civilmente presso il Comune di Milano in data 2 ottobre 2018, optando per il regime della separazione dei beni.

Dopo soli quindici giorni dalla celebrazione dell'unione, C. G. scopriva che il compagno faceva uso di sostanze stupefacenti e M. G. gli confessava inoltre che l'unico fine per il quale aveva deciso di unirsi civilmente era l'acquisto della cittadinanza italiana. A quel punto, la relazione affettiva terminava e con essa ogni contatto tra i due.

C. G. si determinava quindi ad inviare all'ex partner una lettera raccomandata con la quale manifestava la propria volontà di sciogliere l'unione civile e, in data 7 febbraio 2019, formalizzava la propria intenzione di scioglimento dinnanzi all'ufficiale di stato civile di Milano il quale annotava la dichiarazione a margine dell'atto di unione civile. Qualche mese più tardi, in data 21 settembre 2019, C. G. presentava ricorso al Tribunale di Milano chiedendo unicamente la cessazione degli effetti dell'unione civile. In sede di prima udienza, il Presidente non provvedeva ad effettuare un tentativo di conciliazione, attesa la contumacia del M. G., e non emetteva alcun provvedimento provvisorio stante l'assenza di figli e la mancanza di domande di contenuto patrimoniale, rinviando per la trattazione della causa e per precisazione delle conclusioni.

La questione

La sentenza in commento desta particolare interesse in quanto è una delle prime a fare applicazione della l. 76/2016 nell'ambito delle “nuove” relazioni familiari e, in particolare, nel momento patologico della crisi della coppia omosessuale.

Lo scioglimento dell'unione civile è un istituto introdotto dall'art. 1 co. 22 ss. della legge cd. Cirinnà ed è nato dall'esigenza di offrire alla coppia same-sex unita civilmente uno strumento parificabile alla separazione coniugale che possa spezzare il vincolo sorto e far cessare gli effetti civili. Quali sono dunque i presupposti e i riflessi dello scioglimento dell'unione civile?

Quali sono i punti di contatto e quali quelli di distanza con la disciplina matrimoniale?

Le soluzioni giuridiche

Il Collegio milanese, prima di addivenire alla risoluzione del quesito posto dal ricorrente, trattandosi di una nuova materia solo recentemente introdotta e regolamentata attraverso la l. 76/2016, ha preferito dapprima illustrare i requisiti necessari ad una pronuncia di scioglimento dell'unione civile, per poi individuarli più agevolmente nel caso sub iudice.

L'autorità giudicante, pertanto, ha rinvenuto la disciplina di riferimento nella suindicata legge istitutiva delle unioni civili, in particolare richiamandone i commi 22 ss. (ricordiamo infatti che la l. 76/2016, pur contenendo al suo interno istituti eterogenei, è costituita da un unico articolo e da plurimi commi) ove vengono riportate le cause di scioglimento dell'unione civile.

Accanto alla dichiarazione di morte, anche presunta, alla rettificazione di sesso e alle cause previste dall'art. 3, n. 1, 2, lett. a), c), d), e) della legge sul divorzio, gli uniti civilmente possono manifestare la propria volontà di scioglimento del vincolo, sia essa unilaterale o condivisa, dinnanzi all'ufficiale di stato civile del luogo in cui l'unione è stata celebrata.

Ai sensi dell'art. 63, comma 1, lett. g-quinquies d.P.R. 396/2000 (introdotta dal decreto del Ministero dell'Interno 27 febbraio 2017, in attuazione dell'art. 28 della legge n. 76), qualora tale volontà provenga da una sola delle parti, questa deve necessariamente comunicare all'altra la propria intenzione di scioglimento dell'unione con l'invio di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento all'ultimo indirizzo noto o con altra forma parimenti idonea, affinché venga informata dell'imminente avvio di una procedura giudiziale e sia al contempo ottemperato il principio della conoscibilità della domanda.

A questo punto, espletata tale formalità, spetta all'Ufficiale di stato civile, che riceve la manifestazione della volontà di scioglimento dell'unione, verificare il perfezionamento della notifica della raccomandata ed infine procedere all'annotazione a margine dell'atto costitutivo dell'unione; da quel momento decorre il termine di tre mesi prima della proposizione della domanda giudiziale.

Il Giudice, ricevuto il ricorso, previo vaglio delle condizioni di procedibilità coincidenti con i presupposti legali sopra menzionati, deve, ove possibile, esperire il tentativo di conciliazione e dichiarare o meno lo scioglimento del legame.

Nel caso in esame, il ricorrente aveva ottemperato a tutte le prescrizioni necessarie a pena di improcedibilità della domanda: infatti il C. G. aveva preliminarmente provveduto all'invio della lettera raccomandata all'ex compagno e poi manifestato la propria volontà di scioglimento dell'unione civile dinnanzi all'ufficiale di stato civile di Milano.

Prima di tale decisione, il Tribunale di Novara (Trib. Novara 5 luglio 2018), aveva dichiarato lo scioglimento di un'unione civile seguendo però un diverso iter logico giuridico: il Collegio, invero, non aveva ritenuto la fase amministrativa svolta dinnanzi all'ufficiale di stato civile e nemmeno il precedente invio della lettera raccomandata una condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

In particolare, ad avviso del Collegio, nel caso in cui l'attore abbia notificato ritualmente al partner il ricorso introduttivo del giudizio e abbia ribadito in sede presidenziale la propria volontà di sciogliere il vincolo, è sufficiente che tra la fase presidenziale ed il momento in cui viene emesso da parte del Tribunale il provvedimento definitorio del giudizio siano trascorsi almeno tre mesi. Con tale decisione, il Tribunale di Novara aveva quindi ritenuto che l'omissione della fase amministrativa innanzi all'ufficiale di stato civile non pregiudicasse in alcun modo la valutazione nel merito della domanda e che anzi fosse la soluzione più idonea a contemperare il rispetto del dato normativo con i principi di economia processuale e ragionevole durata del processo di matrice costituzionale.

Secondo tale lettura, pertanto, i tre mesi decorrenti dalla manifestazione di volontà espressa dinnanzi all'ufficiale di stato civile debbono essere unicamente intesi come spatitum deliberandi, momento di riflessione prodromico alla instaurazione del giudizio.

Le ragioni a sostegno della suddetta interpretazione sono da rinvenire altresì nella mancanza di effetti discendenti dall'annotazione dello scioglimento a margine dell'atto di unione civile: infatti non cessa la comunione dei beni né viene autorizzata la cessazione della convivenza.

Ad ogni modo, verificata la sussistenza dei requisiti richiesti, il Tribunale di Milano aveva accolto la domanda del C. G. e aveva pronunciato con sentenza lo scioglimento dell'unione civile con M. G.

Osservazioni

La più recente fonte Istat conta che in Italia, nel 2018, sono state costituite 2.808 unioni civili sommandosi alle 2.336 già costituite nel corso del secondo semestre del 2016, all'indomani della legge Cirinnà, oltre alle 4.376 celebrate nel 2017, per un totale di 9.520 unioni civili.

Tale informazione invero non soddisfa un mero scopo statistico bensì è volta a far comprendere che tale istituto, sebbene di recente introduzione, è già frequentemente utilizzato quando sopravviene la crisi del rapporto di coppia omosessuale.

Nonostante sussistano, come si è evidenziato, alcune differenze in merito al preciso iter procedurale da seguire, è comunque pacifico che lo scioglimento comporta la cessazione degli effetti giuridici dell'unione civile ovvero l'estinzione del vincolo, lasciando fermi gli effetti già prodottisi e venendo meno i diritti e gli obblighi rannodati all'unione.

La differenza rispetto agli istituti destinati ai coniugi risiede prima facie nel fatto che gli uniti civilmente non devono passare attraverso la separazione prima di addivenire allo scioglimento definitivo del vincolo bensì, al verificarsi di una delle cause automatiche o volontarie sopra descritte, si ha cessazione immediata del rapporto, quasi parificabile al cd. divorzio immediato.

Tuttavia, sebbene la lettera della legge 76/2016 pare aver escluso la possibilità per gli uniti civilmente di ricorrere alla separazione, non mancano frequenti richiami all'istituto: infatti, il comma 5 rinvia all'art. 126 c.c. “separazione dei coniugi in pendenza di giudizio”, il comma 13 rimanda la lettura del libro I c.c., capo VI, sez. da II a VI, ove si rinviene la disciplina del regime patrimoniale della famiglia, incluso l'art. 191 c.c. che prevede lo scioglimento della comunione dei beni in caso di separazione personale, ed infine il comma 21 che richiama le norme in materia successoria del coniuge separato.

Con riferimento invece al divorzio, lo scioglimento dell'unione civile se ne distanzia per l'inapplicabilità delle cause di cui all'art. 3, lett. b) e f) l. 898/1970 ossia per pregressa separazione e inconsumazione del matrimonio.

È ancora discusso in dottrina se la rettificazione di attribuzione di sesso prevista all'art. 1 co.mma 26 l. 76/2016 oltre a spiegare l'effetto di causa automatica di scioglimento dell'unione civile, venendo meno l'identità di sesso dei componenti della coppia, comporti anche l'automatica conversione in matrimonio. Il successivo comma 27, infatti, prevede espressamente che la rettificazione anagrafica di sesso all'interno del matrimonio comporta l'automatica instaurazione dell'unione civile, ove i coniugi non abbiano espresso la volontà di sciogliere il vincolo; il procedimento inverso, invece, non è espressamente previsto né tantomeno precluso. Stante l'impianto normativo a tratti distonico, si auspica un ulteriore intervento legislativo chiarificatore.

Ritornando invece a quanto espressamente disciplinato, una volta terminato l'iter amministrativo dinnanzi all'ufficiale di stato civile, decorre il termine di tre mesi per la presentazione del ricorso, nel corso del quale potrebbe intervenire, così come durante il procedimento di separazione coniugale, la riconciliazione tra gli uniti, venendo meno in tal modo l'interesse allo scioglimento del vincolo. Se invece le parti, dopo i tre mesi, mantengono ferma la propria volontà di recesso, possono sciogliere l'unione civile in via stragiudiziale sia mediante un accordo formalizzato dinnanzi all'ufficiale di stato civile sia attraverso un accordo di negoziazione assistita da avvocati. In caso di controversia, resta aperta la via giudiziale così come delineata ut supra e seguita nel caso posto all'attenzione del Tribunale di Milano. Come si può notare, le opzioni offerte agli uniti civilmente sono pressoché speculari rispetto a quelle dei coniugi.

Anche lo svolgimento delle udienze presidenziali ricalca il modello seguito in caso di separazione personale dei coniugi ove il Giudice detta disposizioni prima transitorie poi definitive, anche di carattere patrimoniale. Ove richiesto dalle parti e ove sussistenti i presupposti, il Giudice può attribuire a carico di una delle parti l'obbligo di versamento di un assegno periodico i cui criteri sono stati recentemente espressi dalle Sezioni Unite con la nota sentenza Cass. civ., sez. un, n. 18287/2018 in tema di assegno divorzile. Nel caso in commento, il ricorrente non ha avanzato alcuna pretesa economica stante l'esiguo lasso di tempo in cui si è protratta l'unione civile che, verosimilmente, non ha determinato scelte di coppia tali da causare importanti spostamenti patrimoniali.

Potremmo quindi affermare in estrema sintesi che la procedura per lo scioglimento dell'unione civile ricalca in parte, almeno per la fase giudiziale, quella prevista per la separazione mentre gli effetti sono speculari a quelli discendenti dal divorzio.

Un ultimo cenno, infine, meritano le disposizioni in tema di prole: com'è noto, infatti, la l. 76/2016 preclude agli uniti civilmente l'estensione degli istituti riguardanti la filiazione sul fondamento della impossibilità biologica di procreare. Senza addentrarci nel merito di tale delicata questione, è sufficiente in questa sede precisare che non è affatto raro che una coppia unita civilmente riesca ad avere figli (mediante PMA o GPA effettuata all'estero) e quindi è altrettanto importante evidenziare che il giudice che pronuncerà lo scioglimento dell'unione civile potrà essere chiamato a pronunciare necessariamente anche prescrizioni riguardanti la prole. Anche se, ad oggi, non si rinviene in tal senso una copiosa giurisprudenza, è realistico immaginare che al provvedimento di scioglimento ne seguiranno anche altri sul mantenimento e la collocazione dei figli al pari di un provvedimento di separazione o divorzio.

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