Il nuovo abuso d'ufficio e la difficile convivenza tra diritto penale e diritto amministrativo

Benedetta Ridarelli
21 Settembre 2020

Il reato di abuso di ufficio palesa, forse più di ogni altro reato contro la pubblica amministrazione, l'osmosi fra patologia del provvedimento amministrativo e diritto penale. Il legislatore è intervenuto su tale disposizione con una molteplicità di interventi normativi, nella prospettiva della progressiva erosione delle condotte suscettibili integrare la condotta tipica. Dopo una prima riforma della fattispecie nel 1997, con il decreto semplificazioni del 2020 (d.l. 76/2020 conv. con modif. l. 120/2020)...
Il decreto semplificazioni e la discrezionalità

Il reato di abuso di ufficio palesa, forse più di ogni altro reato contro la pubblica amministrazione, l'osmosi fra patologia del provvedimento amministrativo e diritto penale.

Il legislatore è intervenuto su tale disposizione con una molteplicità di interventi normativi, nella prospettiva della progressiva erosione delle condotte suscettibili integrare la condotta tipica. Dopo una prima riforma della fattispecie nel 1997, con il decreto semplificazioni del 2020 (d.l. 76/2020 conv. con modif. l. 120/2020) la decretazione d'urgenza è tornata a utilizzare le categorie giuridiche del diritto amministrativo per circoscrivere le condotte suscettibili di avere rilevanza penale, con la finalità di arginare il progressivo affermarsi di una amministrazione c.d. difensiva (1).

Nel perseguire tale obiettivo, è stato introdotto l'elemento negativo della discrezionalità, rimanendo al di fuori dall'ambito di rilevanza penale gli atti caratterizzati da siffatto elemento.

La novella risulta chiaramente ispirata ai principi di determinatezza e legalità nell'intento di ridimensionare la latitudine applicativa di una disposizione che nel tempo ha ampliato molto la sua portata, per effetto di specifici interventi giurisprudenziali al riguardo.

Il reato di abuso di ufficio ha costituito soltanto una delle fattispecie tipiche con cui l'attività giudiziaria ha operato, secondo taluni, una attività di controllo “suppletiva”, riconducibile, in ultima analisi, al fallimento del c.d. diritto amministrativo dell'efficienza (2)e alla mancata implementazione di istituti quali la responsabilità dirigenziale ed i controlli successivi di gestione (3).

La decretazione d'emergenza, mediante una novella di “interpretazione autentica”, torna all'esegesi rigorista e garantista della fattispecie invalsa nei primi anni di applicazione del previgente art. 323 c.p., restringendone ulteriormente la latitudine applicativa. Viene, infatti, introdotta la specificità della regola di condotta violata: rispetto alle prescrizioni di questa non devono residuare margini di discrezionalità in capo al soggetto agente.

Alla luce della novella, lo sviamento di potere e le figure sintomatiche dell'eccesso di potere devono ritenersi nuovamente sottratte al sindacato del giudice penale.

Non sussistono dubbi, inoltre, in ordine all'attuale irrilevanza penale della condotta posta in essere in violazione di principi generali (come, ad esempio, il principio del buon andamento (art.97 Cost.), di imparzialità (art. 111 Cost.) (4).

La norma, tuttavia, si presta ancora ad interpretazioni non univoche.

a. In base ad una prima interpretazione maggiormente radicale, la riforma potrebbe essere interpretata nel senso dell'esclusione della rilevanza penale dell'attività amministrativa discrezionale, intesa in senso stretto: qualora venga in rilievo un apprezzamento discrezionale dell'amministrazione, non potrebbe procedersi alla repressione in sede penale della condotta (5).

In sostanza, le uniche condotte suscettibili di rilevanza penale sarebbero quelle poste in essere relativamente a una attività vincolata dell'amministrazione. Stando a questa prima lettura, il portato della riforma sarebbe quello di escludere la rilevanza penale dell'indebita lesione dell'interesse legittimo, residuando la perseguibilità penale della sola attività amministrativa vincolata, a carattere dichiarativo, generalmente incidente su posizioni di diritto soggettivo - fatta eccezione per i casi di attività vincolata nell'interesse pubblico.

Una simile distinzione può ritenersi coerente, posto che il sindacato penale, in un'ottica di sussidiarietà della sanzione, è volto all'accertamento di una verità processuale e non alla tutela delle situazioni giuridiche del privato.

b. In base ad una seconda lettura, il legislatore non avrebbe escluso la rilevanza penalistica dell'attività discrezionale dell'amministrazione. Invero, anche in caso di attività discrezionale, vi sono degli aspetti regolati dalla legge ed altri lasciati alla discrezionalità amministrativa (6), in proporzioni variabili a seconda dei casi. Intesa in questi termini, la norma intenderebbe reprimere le condotte poste in essere in violazione di quegli aspetti dell'attività amministrativa discrezionale già regolati da specifiche prescrizioni legislative e rispetto ai quali non residuino margini di discrezionalità all'amministrazione. Sarebbero invece destinati all'irrilevanza penale quelle valutazioni rientranti nella vera e propria discrezionalità amministrativa, rispetto ai quali è configurabile il solo vizio di eccesso di potere.

Secondo tale lettura, incorrerebbe nella violazione dell'art. 323 c.p., ad esempio, il RUP della stazione appaltante che in seno al procedimento di verifica di anomalia (nell'ambito della selezione del contraente pubblico a carattere tecnico-discrezionale) utilizzi un procedimento di calcolo non previsto per quel criterio di aggiudicazione o non proceda ad effettuare il c.d. taglio delle ali.

Ciò risulta coerente con la dichiarata ratio di escludere il sindacato del giudice penale sull'eccesso di potere, in quanto vizio connesso al cattivo uso della discrezionalità amministrativa, ma non anche sulla violazione di legge.

Sul punto, potrebbe argomentarsi che laddove il legislatore avesse inteso escludere l'attività discrezionale e non gli aspetti discrezionali dell'attività amministrativa, avrebbe potuto fare direttamente riferimento all'attività vincolata all'interno della fattispecie tipica.

c. L'espressione in questione può essere, altresì, intesa come margine interpretativo e valutativo lasciato in capo al funzionario in ordine all'esatta portata precettiva della disposizione di legge disciplinante la condotta. In tal caso, il riferimento è alla discrezionalità valutativa, nelle ipotesi in cui residuano margini di incertezza interpretativi ed applicativi della disciplina normativa di riferimento, aspetto per il quale assume precipua rilevanza il formante giurisprudenziale, chiamato ad adattare quella norma generale ed astratta al caso concreto.

Una simile interpretazione, se portata alle estreme conseguenze, potrebbe limitare considerevolmente l'applicabilità del reato di abuso di ufficio, persino in caso di attività vincolata. Invero, non può sottacersi come sia lo stesso dossier di accompagnamento alla riforma ad indurre verso tale chiave di lettura. Da un lato, nella ricognizione della giurisprudenza che ha determinato all'intervento, si fa riferimento al problema della repressione in sede penale del vizio di eccesso di potere e, quindi, alla discrezionalità intesa in senso tecnico come libertà di determinazione dell'amministrazione negli aspetti non regolati dalla legge; dall'altro, tuttavia, si afferma che “le regole di condotta violate non contemplino margini di discrezionalità in sede applicativa (7).

Alla luce di quanto sopra, deve ritenersi che la ratio dell'intervento fosse certamente quella di escludere il sindacato penale della discrezionalità amministrativa, ma che probabilmente il legislatore, mediante il riferimento al termine “discrezionalità”, abbia finito col rendere non sanzionabili eventuali violazioni di norme specifiche che si prestino a più interpretazioni in sede applicativa.

Fonti sub-legislative e mediazione dell'elemento normativo: la difficile convivenza fra diritto penale e diritto amministrativo

Seguendo una seconda direttrice, con il decreto semplificazioni, viene meno la perseguibilità della condotta in violazione di fonti del diritto secondarie.

Tale innovazione va rapportata al concreto assetto delle fonti del diritto relative all'esercizio della funzione amministrativa. Gli agenti della pubblica amministrazione, in tale settore, devono fronteggiarsi con una pluralità di fonti di disciplina, alquanto variegate per rango e forza cogente.

Si pensi in particolare agli ambiti dell'edilizia e dell'urbanistica, nei quali la stratificazione degli strumenti di regolazione si manifesta con rilevante intensità, anche in ragione della competenza normativa concorrente tra Stato e Regioni (art. 117, comma 3 Cost.), ma il fenomeno può essere esaminato anche in relazione ad altri ambiti, come a quello degli appalti, in cui finora vi è stata la difficile coesistenza della legge e delle linee guida ANAC, alle quali si aggiungerà il regolamento di prossima emanazione.

Nella casistica giurisprudenziale ha assunto particolare rilievo la problematica dell'integrazione della fattispecie incriminatrice ad opera di una condotta posta in essere in violazione degli strumenti di pianificazione del territorio. All'indomani della riforma del 1997, la Cassazione penale aveva avuto modo di affermare la non ricorrenza del delitto di abuso d'ufficio in caso di condotta posta in essere in violazione degli strumenti urbanistici, in particolare negando la possibilità di integrare l'art. 323 c.p. con disposizioni contenute nelle fonti sublegislativa richiamate da una norma di legge.

Successivamente tale assunto è stato abbandonato, tant'è che, secondo la giurisprudenza penale anteriore alla riforma, il reato di abuso di ufficio poteva essere integrato anche dal rilascio di permessi di costruire in contrasto con il piano regolatore comunale (Cass. pen., sez. III, 22 febbraio 2018, n.15166; in termini, Cass. pen., Sez. VI, 2 aprile 2001, n.16241). Una simile conclusione si imponeva in forza del rinvio contenuto nella legge fondamentale 1150/1942, allo strumento di pianificazione comunale, quale elemento di mediazione con la fonte di livello sublegislativo. Alla stregua di tale orientamento, infatti, “consumandosi la mediazione dell'elemento normativo di fonti primarie, l'apparato prescrittivo degli strumenti urbanistici, si definisce in funzione di presupposto di fatto della norma di legge violata che delimita la possibilità di concessione edilizia" (da parte dell'autorità concedente) alla conformità di questa alle previsioni degli strumenti urbanistici anzidetti, di guisa da impedire possibili, residui margini di incertezza sulla individuazione della condotta "contra legem" (Cass. pen. sez. VI, 14 marzo 2000, n.6247).

Alla luce degli itinerari ermeneutici richiamati, occorre, tuttavia, ritenere che un'interpretazione coerente con l'intento riformatore indurrebbe ad affermare che le fonti sublegislative non possano più rilevare in alcun modo ai fini dell'integrazione della fattispecie di cui all'art. 323 c.p.

In primo luogo, la violazione del regolamento non potrebbe condurre all'integrazione della fattispecie in forza dell'eventuale rinvio contenuto alla fonte secondaria nella fonte di rango primario, come ad esempio il regolamento attuativo del codice dei contratti pubblici, art. 216, co. 27-octies c.c.p.).

In secondo luogo, alla luce delle limitazioni normative, deve escludersi che, in forza del rinvio contenuto nella legge, la violazione della fonte sublegislativa possa continuare ad avere rilevanza penale, anche laddove prescriva condotte rispetto alle quali non residuino margini di discrezionalità.

Deve, tuttavia, osservarsi che la scelta di ancorare nuovamente alla violazione di legge l'integrazione della fattispecie appare alquanto controversa.

In particolare, la dottrina si era già interrogata in passato sull'opportunità di seguire i “percorsi del diritto amministrativo” nella definizione dell'elemento oggettivo del reato e sull'eventualità di prediligere una “concezione autonomistica della fattispecie incriminatrice”, propria della materia penale. Un argomento in favore della concezione autonomistica del reato era rinvenuto nella stessa dottrina amministrativistica, secondo la quale non è possibile distinguere nettamente la violazione di legge dalle altre censure di legittimità, ricorrendo tale vizio anche in caso di eccesso di potere ed incompetenza (8).

L'intervento non sembrerebbe aver considerato la tendenziale commistione dei vizi di legittimità dell'azione amministrativa, prediligendo tuttora una nozione amministrativistica di abuso d'ufficio, in luogo di una costruzione organica della fattispecie in chiave penalistica. Relativamente a tale aspetto, si pone l'interrogativo se le norme di condotta che regolano la competenza e l'onere motivazionale siano sufficientemente specifiche e vincolanti da rendere possibile l'integrazione della fattispecie di cui al novellato art. 323 c.p.

In secondo luogo, la discrezionalità amministrativa diventa nuovamente un dogma del diritto pubblico innestato nel diritto penale, basato su logiche di funzionamento del tutto differenti ed in particolare sull'integrazione della fattispecie tipica. Con la riforma, si è inteso definitivamente limitare la repressione penale di una condotta al solo vizio di violazione di legge, escludendo pertanto la violazione di regolamento, l'incompetenza e l'eccesso di potere.

Tale tecnica di redazione della disposizione potrebbe risultare alquanto problematica laddove si consideri che la gravità della condotta abusiva non dipende sempre dalla tipologia di vizio del provvedimento, né può ritenersi che la violazione di un regolamento, nel momento in cui prescriva obblighi specifici e puntuali a carico dell'amministratore, sia necessariamente meno grave di una violazione di legge. La conseguenza dell'utilizzo delle categorie del diritto amministrativo nel delineare la fattispecie potrebbe essere, quindi, quella di una possibile lesione del principio di uguaglianza (9).

Tuttavia, parte della dottrina ha ritenuto pienamente ammissibile una simile differenziazione delle sogle del sindacato fra le due giurisdizioni, proprio in ragione della diversità della finalità dell'accertamento esercitato dalle stesse, accumunate unicamente dall'individuazione dell'interesse pubblico perseguito dall'amministrazione. Se da un lato il giudice amministrativo deve assicurare, infatti, la tutela di situazioni giuridiche soggettive riconducibili ad un privato (interessi legittimi e diritti soggettivi, in caso di giurisdizione esclusiva), dall'altro il giudice penale deve limitarsi ad operare una valutazione oggettiva sulla legalità dell'operato amministrativo. La previsione della perseguibilità del solo vizio di legittimità, con esclusione del merito amministrativo, risulterebbe, in tale ottica, coerente con il principio di sussidiarietà della sanzione penale (10).

La preclusione della discrezionalità configura quindi un argine invalicabile all'esercizio di un controllo non costituzionalmente riservato alla magistratura ordinaria. Nell'ottica della separazione fra poteri, il legislatore ha scelto di porre tale limite utilizzando le categorie giuridiche tipiche dell'attività amministrativa, nella prospettiva ineludibile, tuttavia, di un intervento giurisdizionale che faccia chiarezza sulla loro effettiva portata.

Gli equilibri all'esito della riforma

A conclusione della presente disamina, si rende necessario valutare quale possa essere il punto di equilibrio fra potere amministrativo e giudiziario risultante dalla riforma.

La recente novella si inserisce, infatti, in una dinamica di ridimensionamento di forme di controllo surrettizie del giudice (penale e contabile) sull'operato dell'amministrazione, a detrimento del buon andamento e dell'efficienza della pubblica amministrazione. Il riferimento non è solo alla temporanea limitazione della perseguibilità del danno erariale a titolo di colpa grave in caso di condotta attiva e alla nuova definizione del dolo erariale, in chiave penalistica, come volontà dell'evento (art. 21 d.l. 76/2020 conv. in L. 120/2020). Deve essere, infatti, operato un richiamo anche alla meno recente introduzione del requisito della “specificità” e “concretezza” della notizia di danno erariale quale presupposto essenziale per la validità di tutti gli atti istruttori e processuali del giudizio contabile (d.l. 103/2009, adesso art. 51 c.g.c.), con cui il legislatore aveva recepito l'orientamento della Consulta alla stregua della quale l'attività del requirente contabile non poteva tradursi in una attività di controllo generalizzata e permanente sulle amministrazioni (Corte cost. 104/1989; Corte cost. 209/1994 e Corte cost. 100/1995).

Con la riforma dell'abuso d'ufficio, in una prospettiva di chiara distinzione delle reciproche sfere di competenza, la legislazione d'emergenza ha introdotto il requisito della “specificità” della regola di condotta violata, impedendo che qualunque discostamento dal dato normativo possa essere penalmente sanzionato.

Il ridimensionamento della potestà cognitiva del giudice erariale e penale è stato specularmente accompagnato da un potenziamento dei controlli propri del diritto amministrativo sostanziale e cioè di quel diritto amministrativo dell'efficienza frustrato nella prassi applicativa. A questo proposito, l'art. 22 del d.l. 76/2020 prevede il potenziamento dei controlli concomitanti della Corte dei conti sulle gestioni pubbliche statali, ponendolo in correlazione con la responsabilità dirigenziale, istituto negletto nella prassi.

La sopra descritta riforma al codice penale si innesta, tuttavia, in una disomogenea riforma amministrativa. Gli eventuali obiettivi di politica criminale perseguiti dal legislatore andranno perciò auspicabilmente coordinati attraverso un ineludibile intervento organico che riguardi tutti i reati contro la pubblica amministrazione.

Guida all'approfondimento

(1) Per una ricognizione del fenomeno, S. Battini, F. De Carolis, “L'amministrazione si difende”, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, n.1/2019.

In analogia al parallelo fenomeno della medicina difensiva, l'amministrazione difensiva si traduce in “una distorsione delle scelte dell'amministratore indirizzate all'autotutela rispetto ai rischi, sia patrimoniali che non”.

(2) La definizione è di S. Battini, F. De Carolis, “L'amministrazione si difende”, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, n.1/2019.

(3) A tale fenomeno è conseguito altresì una reintroduzione surrettizia del controllo preventivo di legittimità sugli atti ad opera degli uffici di ragioneria (art. 10 d.lgs. 123/2011), v. ibidem. In termini analoghi, T. Padovani, Vita, morte e miracoli dell'abuso d'ufficio, in Giurisprudenza penale, 2020, n. 7-8 “Il rilievo cruciale, per chi si occupa di diritto penale, è che il sistema dei controlli amministrativi interni si è da tempo affievolito ed è addirittura scomparso”.

(4) In tal senso, si esprime anche il Dossier sulle “Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale- Edizione provvisoria”, p. 263.

(5) M. Gambardella, Simul Stabunt Vel simul Cadent. Discrezionalità Amministrativa e Sindacato del Giudice Penale: Un Binomio Indissolubile per La Sopravvivenza Dell'abuso D'ufficio, in Sistema penale, n.1/2020.

Sul punto, anche, G. La Gatta Sulla riforma del delitto di abuso d'ufficio ad opera del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (art. 23), in Sistema Penale, 17 luglio 2020.

(6) Su tale connotazione dell'attività discrezionale si veda V. Cerulli Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, G.Giappichelli Editore, 2014, pp. 288-289.

(7) In tal senso, si è scritto “Ad analoghe conclusioni si perviene ove si prenda in considerazione l'ulteriore neo-requisito del reato di abuso d'ufficio, concernente il carattere vincolante delle dette regole di condotta, tali cioè da non lasciare "margini di discrezionalità" all'agente: sennonché la discrezionalità svolge un ruolo nodale per il corretto funzionamento di settori nevralgici dell'apparato pubblico e di fatto permea tutti gli ambiti di esercizio del potere amministrativo che non sono mai davvero vincolati dal momento che ogni norma implica sempre un margine di discrezionalità applicativa o anche solo interpretativa” in tal senso, v. https://www.altalex.com/documents/news/2020/07/30/abuso-d-ufficio-la-riforma-contenuta-neldecreto-semplificazioni, articolo offerto da Leggi d'Italia PA - Il Quotidiano per la P.A.

(8) S. Massi, “Parametri formali e violazione di legge nell'abuso d'ufficio”, in Archivio penale n.1/2019.

(9) Sulla logica di funzionamento del diritto penale, si veda T. Padovani, Vita, morte e miracoli dell'abuso d'ufficio, in Giurisprudenza penale, n. 7-8/2020.

(10) R. Greco, Abuso d'ufficio: per un approccio eclettico, in www.giustiziaamminstrativa.it, 20 luglio 2020.

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