La salvaguardia della continuità affettiva nell'interesse del minore

21 Settembre 2020

Qualora un minore rientri nella propria famiglia dopo un periodo di allontanamento, e ove si accerti che risponde al suo interesse mantenere la continuità...
Massima

Qualora un minore rientri nella propria famiglia dopo un periodo di allontanamento, e ove si accerti che risponde al suo interesse mantenere la continuità delle positive relazioni socio affettive consolidate durante l'affidamento a terzi, può prescriversi ai genitori di garantire la frequentazione tra il minore e le persone presso le quali era stato collocato dai servizi sociali affidatari.

Il caso

Il Tribunale per i minorenni di Bologna, nell'ambito di un procedimento ex art 330 c.c. allontana due minorenni dalla famiglia di origine, sospettando abusi sessuali, e li affida ai servizi sociali; i bambini sono collocati presso una famiglia. La vicenda prende mosse da una visita in ospedale eseguita sulla bambina nell'aprile del 2015. La madre dichiara che il padre ne avrebbe abusato e immediatamente i servizi sociali dispongono ex art. 403 c.c. il collocamento protetto di entrambi i figli della coppia (nati rispettivamente, nel 2010 e nel 2013). Il Tribunale per i minorenni, adito dal P.M., adotta provvedimenti provvisori con i quali sospende entrambi i genitori dalla responsabilità genitoriale, dispone la interruzione dei rapporti con il padre e la regolamentazione protetta degli incontri con la madre.

Negli anni successivi il Tribunale per i minorenni monitora il caso tramite i servizi, esegue consulenze tecniche, sente i genitori e nelle more i bambini costruiscono un rapporto di fiducia e amore con la famiglia presso la quale sono stati collocati. Non si tratta di affidatari in termini legali, perché i minori sono affidati ai servizi, però si prendono cura dei bambini e provvedono alle loro esigenze; in altre parole, costituiscono l'unica famiglia dei due bambini per cinque anni che, nel tempo della infanzia, sono un periodo molto lungo.

L'indagine penale non accerta alcuna responsabilità del genitore, mentre nel 2019 inizia una indagine penale nei confronti di alcuni operatori del servizio sociale della Val d'Enza; i fatti sono noti e sono stati oggetto di ampio dibattito mediatico.

Il Tribunale per i minorenni affida il caso ad un altro servizio sociale e perviene una relazione di aggiornamento, nella quale si esprime giudizio positivo sui genitori e si rappresenta la necessità di reintegrarli nella responsabilità genitoriale sui minori. Completate le indagini, si decide di fare rientrare i bambini nella famiglia di origine, ma questi cinque anni trascorsi con una altra famiglia non possono essere cancellati con un colpo di spugna.

La questione

La questione giuridica- cui sono estranei gli aspetti scandalistici sul malfunzionamento dei servizi sociali- è quella dei diritti dei bambini e della necessità di contemperare il potere di predisporre per loro un programma di vita che ne assicuri la crescita in un ambiente armonioso, con il rispetto dei loro legami affettivi. Il bambino ha diritto di crescere nella sua famiglia e di mantenere rapporti constanti con i suoi genitori, salvo che essi si rivelino inappropriati, siano temporaneamente o permanentemente incapaci di assolvere i loro compiti ovvero abbiano tenuto condotta pregiudizievole per i minori (Cass. civ. sez. I, 18 ottobre 2018, n.26293; Cass. civ. sez. I, 14. aprile 2016, n. 7391; Cass. Civ. sez. I 30 giugno 2016 n. 13435).

Può dunque accadere che i bambini- come nel caso di specie- siano allontanati dalla loro famiglia, e costituiscano legami affettivi con altri adulti e cioè con la famiglia affidataria (ex art. 4, l. 3 maggio 1983 n. 184) o con la famiglia presso la quale sono collocati da servizi sociali. Si tratta di situazioni pur sempre transitorie, perché i bambini auspicabilmente dovrebbero rientrare nella famiglia di origine (se le difficoltà hanno termine o se come nella specie si accerta che i genitori non hanno tenuto condotte pregiudizievoli) oppure vengono dichiarati in stato di adottabilità e vengono quindi avviati ad altra famiglia con la quale costituiranno anche un legame giuridico, che sostituisce il precedente status filiationis. Quid iuris però del legame affettivo con coloro che per anni si sono presi cura dei minori? Si può tagliare ogni legame la famiglia affidataria o collocataria senza violare il principio che deve rispettarsi il best interest of the child in ogni decisione che lo riguarda?

Le soluzioni giuridiche

La soluzione offerta dal Tribunale per i minorenni nel caso in questione è quella di tutelare il positivo legame che si è instaurato con la famiglia collocataria attraverso l'applicazione dell'art. 4 comma 5-ter della legge n. 184/1983, prescrivendo ai genitori di garantire ai minori la frequenza con gli affidatari.

La norma in questione, introdotta dalla legge 19 ottobre 2015 n. 173 sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare, prevede che qualora, a seguito di un periodo di affidamento, il minore faccia ritorno nella famiglia di origine o sia dato in affidamento ad altra famiglia o sia adottato da altra famiglia, è comunque tutelata, se rispondente all'interesse del minore, la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l'affidamento. Il mezzo che in concreto è stato utilizzato in questo caso è quello delle prescrizioni ai genitori, cioè uno di quegli interventi sulla responsabilità genitoriale che il Tribunale minorile può adottare per garantire che il miglior interesse del minore sia attuato compiutamente dai genitori. Sebbene i genitori siano stati reintegrati nella responsabilità genitoriale sui minori, il caso sarà ancora monitorato dai servizi sociali per due anni al fine di garantire un sostegno ai genitori ed ai bambini. Le difficoltà di un così lungo periodo di rarefazione dei legami familiari richiedono infatti un supporto ma anche una attenta vigilanza e, in questo contesto, molto può fare il mantenere i contatti con la famiglia che è stata in questo tempo un valido punto di rifermento per i minori. Il tutto in conformità all'orientamento espresso dalla Suprema Corte, la quale rimarca l'importanza «del riconoscimento del ruolo degli affidatari nello sviluppo psicofisico del minore specie quando si sia stabilita una relazione affettiva di media o lunga durata, dovendosi rilevare che la valutazione del tempo cambia in relazione all'età del minore essendo verosimilmente sufficiente una durata minore nei primi anni di vita a fondare una relazione significativa» e «di conservare figure significative e caratterizzanti fasi decisive dello sviluppo psico-fisico del minore» (Cass. civ. n. 14167/2017).

Osservazioni

La legge 19 ottobre 2015 n. 173 ha introdotto significative modifiche alla legge sulle adozioni al fine di riconoscere, formalmente, il diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare. Il provvedimento normativo ha la finalità di salvaguardare il rapporto che si instaura tra il minore e i suoi affidatari. La tutela opera su diversi piani. Si riconosce una sorta di “corsia preferenziale” per la famiglia affidataria nel caso in cui il minore in affido sia stato dichiarato adottabile: infatti, in questo caso, se la famiglia affidataria chiede di potere adottare il bambino che ha in affidamento, il Tribunale per i minorenni, nel decidere sull'adozione, è obbligato a «tenere conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria». Ne consegue, indirettamente, che il bambino, ove venga dato in adozione alla stessa famiglia affidataria, potrebbe mantenere anche un legame di fatto con i suoi genitori biologici, realizzando così una sorta di adozione mite, o quantomeno non completamente chiusa (Cass. civ. sez. I, 23 ottobre 2019, n. 27206). Può accadere, infatti, che tra la coppia affidataria ed i genitori biologici si instaurino rapporti di frequentazione durante il periodo dell'affidamento, che possono essere mantenuti, se non pregiudizievoli per il minore, anche dopo l'adozione. Si tratta comunque del mantenimento del solo legame affettivo, perché l'adozione determina la cessazione delle responsabilità genitoriale dei genitori biologici. La norma non disegna un “diritto all'adozione” degli affidatari, ma riconosce il valore della «conservazione di legami affettivi, che sicuramente prescindono da quelli di sangue, attraverso l'attribuzione di rilievo giuridico ai rapporti di fatto instaurati tra il minore dichiarato adottabile e la famiglia affidataria» (Corte Cost. 18 dicembre 2017 n. 272).

La legge sulla continuità affettiva fa seguito alla nota sentenza di condanna dello Stato italiano da parte della Corte di Strasburgo (Corte EDU, 27.4.2010) per aver violato l'obbligo positivo di assicurare il rispetto effettivo del diritto alla vita familiare di due coniugi affidatari di una bambina che, dopo aver trascorso con loro i primi diciannove mesi di vita, era stata dichiarata adottabile e subito affidata ad un'altra famiglia, senza che fosse esaminata dal Tribunale, prima della dichiarazione di adottabilità e della scelta della nuova famiglia, la domanda di adozione presentata nel frattempo dai coniugi affidatari.

Il suo primo obiettivo è quindi quello di evitare al minore che ha già subito l'abbandono dalla famiglia biologica il trauma di lasciare (anche) la famiglia affidataria e di mantenere, in caso di adozione, i legami già consolidati.

La legge prevede il mantenimento delle relazioni affettive con la famiglia affidataria anche nel caso, come nella specie, che i bambini rientrino nella famiglia di origine, o vengano avviati verso altra e diversa famiglia. In verità la norma è abbastanza generica perché l'art 4 comma 5 ter della legge 184/1983, qui applicato, dispone che sia «comunque tutelata, se rispondente all'interesse del minore, la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l'affidamento». La legge non dice come questa tutela deve essere assicurata, e chi può richiederla, ma sembra debba escludersi che di tratti di un diritto degli affidatari e che essi abbiano legittimazione attiva (Trib. min. Venezia 29 marzo 2019; App. Catania, 6 febbraio 2018). In questi casi, infatti, non si creano legami giuridici tra il minore e la famiglia affidataria/collocataria e si instaura solo una relazione familiare di fatto creando uno di quei legami limping (zoppicanti) che purtuttavia reclamano tutela, e la meritano, se rientrano nel novero di quelle che la Corte EDU definisce come relazioni familiari de facto cioè prive di basi giuridiche o di legame biologico, ma connotate da legami personali genuini, consolidati nel tempo (Corte EDU Grande Camera, 24 gennaio 2017; Corte EDU, 21 gennaio 2014).

La prassi giurisprudenziale si è già occupata della tematica, per certi versi assimilabile, della conservazione dei rapporti con il genitore sociale (App. Palermo, 31 agosto 2015, Trib. Palermo 6 aprile 2015), questione che la Corte Costituzionale ha ricondotto la paradigma della corretta gestione della responsabilità genitoriale (Corte Cost. 20 ottobre 2016, n. 225).

In definitiva, i genitori non possono e non devono impedire che il minore mantenga relazioni, significative e benefiche per la sua crescita, con adulti che hanno costituito un riferimento familiare o parafamiliare, ma la persona interessata, se priva di vincoli giuridici o biologici con il minore, non può agire per ottenere tutela della relazione. In verità anche gli stessi parenti sono privi di una azione che consenta di chiedere la conservazione dei rapporti con il minore, tranne i nonni, per i quali però si tratta di una conquista recente, sancita dalla modifica dell'art. 317-bis c.c. operata dal d.lgs. 154/2013, e pur parlandosi di “diritto dei nonni” si tratta però di una posizione soggettiva recessiva rispetto all'interesse dei minori (Cass. civ. sez. I, 19 maggio 2020, n. 9145)

Così, in questo caso, la tutela è stata accordata mediante un intervento officioso conformativo della responsabilità genitoriale: i genitori sono stati reintegrati, ma con la prescrizione di garantire il mantenimento dei rapporti tra i bambini e la famiglia presso la quale erano in precedenza collocati.

Se in simili casi il Tribunale non provvede d'ufficio, un ruolo importante nella applicazione della legge può giocare il P.M. minorile, il quale ove convinto della rispondenza all'interesse del minore, potrebbe chiedere al Tribunale l'applicazione dell'art. 4 comma 5- ter della legge n. 184/1983, avviando un procedimento ex art. 333 c.c., nell'interesse del minore e non già in quello degli affidatari; ciò non toglie che gli affidatari potrebbero sollecitare un siffatto intervento.

Tuttavia, pur se la continuità affettiva è definita dalla legislazione italiana come un diritto dei bambini, e certamente nella valutazione del suo mantenimento un ruolo primario deve giocare la considerazione del miglior interesse del minore, è difficile negare che vi è anche un interesse qualificato degli affidatari al mantenimento della relazione, se non altro perché quando la relazione familiare di fatto si consolida gli adulti possono far valere innanzi alla Corte di Strasburgo la (eventuale) violazione da parte degli organi statali dell'art. 8 CEDU.

Guida all'approfondimento

Montaruli V., Affidamento del minore e adozione mite: la continuità̀ affettiva come nuova frontiera in tema di adozione, in IlFamiliarista.it

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