Peculato e omesso versamento della tassa di soggiorno, da parte del gestore della struttura, alla luce del decreto rilancio. Nulla cambia, se non per il futuro

Isabella Bricchetti
25 Settembre 2020

A far data dall'entrata in vigore del "decreto rilancio" è ancora ascrivibile al paradigma del delitto di peculato la condotta del gestore dell'attività ricettizia che si appropria delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno, omettendo di riversarle al Comune?
Introduzione

Pronunciandosi sulla legittimità di un sequestro preventivo disposto ai sensi dell'art. 321 comma 2 c.p.p. in relazione al delitto di peculato di cui all'art. 314 c.p., il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini ne ordinava la revoca, per sopravvenuta irrilevanza penale della condotta contestata all'imputato, affermando tra l'altro che “a partire dall'entrata in vigore della legge di conversione del c.d. decreto -rilancio [n.d.a.: decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio 2020, n. 77] la condotta del gestore della struttura ricettiva, che non versa al Comune l'imposta/contributo di soggiorno, dovuta in via principale dagli ospiti, non può più costituire peculato, perché lo stesso non è più incaricato di pubblico servizio”.

Pur non ignorandosi l'esistenza di opinioni adesive [C. Santoriello, Non è più peculato il mancato versamento dell'imposta di soggiorno da parte dell'albergatore, in il Quotidiano Giuridico, 22 settembre 2020], la pronuncia in commento non persuade.

Bene inteso: non che possa dubitarsi della irrilevanza penale di condotte analoghe a quelle oggetto della evocata pronuncia e commesse successivamente all'entrata in vigore del c.d. “decreto rilancio” (19 luglio 2020); semmai, a destar dissenso, è l'idea per cui le predette condotte, se commesse antecedentemente alla novella normativa, debbano ritenersi, proprio per effetto del novum normativo, depenalizzate.

Il caso

Nell'ambito di un procedimento penale aperto per il delitto di peculato, contestato al legale rappresentante di una società gestrice di struttura alberghiera che, incassato per conto del Comune la c.d. “tassa di soggiorno” di cui al d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, si era astenuto dal riversare all'ente pubblico il relativo importo, veniva disposto, ai sensi dell'art. 321 comma 2 c.p.p., in relazione all'art. 322-ter c.p., il sequestro preventivo del profitto del reato.

Detta misura cautelare veniva censurata dall'indagato, secondo il quale l'art. 180 comma 3 del citahttps://www.iusexplorer.it/document?id=3948141_20111725_1_CPX_____19301019000000000001398A0002S00to d.l. 34/2020, introducendo nel corpo dell'art. 4 d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, il comma 1-ter, avrebbe comportato la depenalizzazione della condotta contestata, giacché l'omesso, ritardato o parziale versamento è venuto ad essere sanzionato solo in via amministrativa.

Diversamente argomentava il pubblico ministero, a detta del quale, se è vero che, a far data dall'entrata in vigore della legge di conversione del d.l. 34/2020, la condotta del gestore della struttura ricettiva non può costituire peculato, perché lo stesso non è più incaricato di pubblico servizio, cionondimeno non si è in presenza di alcuna abolitio criminis rilevante ai sensi dell'art. 2, comma 2, c.p. L'art. 180 comma 3 d.l. 34/2020, infatti, non può dirsi integrativo della norma penale, in quanto, ben lungi dall'innovare la nozione astratta di incaricato di pubblico servizio, si limita a circoscrivere le condizioni che consentono di qualificare il singolo albergatore come incaricato di pubblico servizio. Nessuna abolitio criminis, quindi, perché la norma sopravvenuta non espunge, dal genus “incaricati di pubblico servizio”, la species “incaricati alla riscossione delle imposte per conto di un ente pubblico”; semmai la norma sopravvenuta, individuando nei singoli gestori di strutture ricettizie altrettanti obbligati in solido al pagamento della c.d. “tassa di soggiorno”, esclude, pro futuro, di poter qualificare i singoli albergatori alla stregua di “incaricati alla riscossione delle imposte per conto di un ente pubblico”.

Decidendo, quindi, sulla perdurante conformità a legge del disposto sequestro preventivo, il Giudice per le indagini preliminari ne disponeva la revoca, affermando la sopravvenuta irrilevanza penale del fatto oggetto di contestazione. Nel dettaglio, ricordati i più recenti arresti giurisprudenziali sul tema della c.d. “successione di norme integratrici”, la predetta Autorità giurisdizionale – evidenziato che “se per legge incriminatrice deve intendersi il complesso di tutti gli elementi rilevanti ai fini della descrizione del fatto, tra questi elementi, nei reati propri come il peculato, deve essere ricompresa la qualità del soggetto attivo” – affermava, a motivo della ritenuta “applicabilità della disciplina dell'art. 2 secondo comma, c.p.” che “non può (…) negarsi che la modifica normativa introdotta con la legge n. 34/2020 definisca la rilevanza giuridica del fatto concreto, incidendo sull'individuazione di un elemento essenziale del fatto, il soggetto attivo”. Non solo, ma a sostegno delle evocate conclusioni il medesimo giudice precisava che “Oltre a ciò, depone nel senso della abolitio criminis del peculato dell'albergatore, e della sua sostituzione con un illecito amministrativo, il contenuto dei commi 3 e 4 dell'art. 180 ove il legislatore, nel dettare la disciplina sanzionatoria, valida sia per le strutture turistiche ricettive, sia in caso di locazione breve, ha previsto che, in caso di omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile, si applichi la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento dal l 00 al 200 per cento dell'importo dovuto, mentre nel caso di omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno, si applichi la sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell'art. 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, intitolato: "Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi". Il chiaro riferimento a sanzioni di natura non penale denota l'intenzione del legislatore di depenalizzare la condotta e sostenere gli albergatori che versano in difficoltà a causa della pandemia, per i quali è apparsa eccessiva e sproporzionata la pena della reclusione fino a dieci anni e sei mesi di reclusione e la possibilità di sequestro e confisca”.

Osservazioni

Si è persuasi, come per vero già anticipato, che le modifiche normative conseguenti all'entrata in vigore dell'art. 180, comma 3, d.l. 34/2020 legittimano due distinti quesiti, dovendosi stabilire: da un lato, se, a far data dall'entrata in vigore della novella legislativa [19 maggioo 2020], sia ancora ascrivibile al paradigma del delitto di peculato la condotta del gestore dell'attività ricettizia che si appropria delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno, omettendo di riversarle al Comune; dall'altro lato, se a detta novella normativa consegua l'affermazione della irrilevanza penale dei medesimi fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della sua entrata in vigore.

(Segue). Le modifiche apportate dall'art. 180, comma 3, d.l. 34/2020 e l'indubbia irrilevanza penale, pro-futuro, dell'omesso versamento all'ente comunale delle somme riscosse dal gestore della struttura ricettizia a titolo di “tassa di soggiorno”

1. La risposta al primo quesito postula, di necessità, la presa d'atto che, prima della novella normativa in commento, la giurisprudenza di legittimità affermava che al gestore della struttura ricettiva era attribuito il compito di provvedere all'incasso della tassa di soggiorno ed alla successiva trasmissione delle somme all'ente pubblico: “nel quadro di un rapporto intercorrente esclusivamente tra l'Ente e la clientela”, il gestore della struttura alberghiera “assume la veste non di sostituto di imposta, bensì di responsabile del versamento e di agente contabile, quale soggetto che maneggia denaro pubblico ed è tenuto a riversarlo nelle casse dell'ente pubblico” [Cass. pen., Sez. VI, 21 giugno 2019, n. 27707, in motivazione].

Il gestore, quindi, estraneo al rapporto tributario, non era responsabile del pagamento dell'imposta, bensì del versamento dell'imposta da altri (i clienti) dovuta: “collettore” dell'altrui imposta e, di fatto, “riscossore” dell'ente comunale.

Del resto, Corte dei Conti, Sez. un., 22 settembre 2016, n. 22 – investita del quesito “se gli incaricati degli adempimenti tributari (nella specie: i gestori delle strutture ricettive) conseguenti all'introduzione dell'imposta di soggiorno di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, siano qualificabili come agenti contabili sottoposti al giudizio di conto, relativamente alla gestione dell'imposta stessa” – aveva chiarito che “I soggetti operanti presso le strutture ricettive, ove incaricati – sulla base dei regolamenti comunali previsti dall'art. 4, comma 3, del D.lgs n. 23/2011 – della riscossione e poi del riversamento nelle casse comunali dell'imposta di soggiorno corrisposta da coloro che alloggiano in dette strutture, assumono la funzione di agenti contabili, tenuti conseguentemente alla resa del conto giudiziale della gestione svolta”.

E, secondo la giurisprudenza penale, dalla qualifica di “agente contabile” discendeva la qualifica di “incaricato di pubblico servizio” e, pertanto, l'astratta configurabilità del peculato:

a) Cass. pen., sez. VI, 12 luglio 2018, n. 32058, RV 273446 – 01, aveva affermato che “riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio il gestore di struttura ricettiva residenziale che, anche in assenza di un preventivo specifico incarico da parte della pubblica amministrazione, procede alla riscossione dell'imposta di soggiorno per conto dell'ente comunale, trattandosi di agente contabile, e non di un sostituto di imposta, che svolge un'attività ausiliaria nei confronti dell'ente impositore ed oggettivamente strumentale all'esecuzione dell'obbligazione tributaria intercorrente esclusivamente tra il Comune ed il soggetto che alloggia nella struttura ricettiva”;

b) Cass. pen., sez. VI, 21 giugno 2019, n. 27707, RV 276220 – 01, aveva affermato che “integra il delitto di peculato la condotta posta in essere dal gestore di una struttura ricettiva che si appropri delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno omettendo di riversarle al Comune, in quanto lo svolgimento dell'attività ausiliaria di responsabile del versamento, strumentale all'esecuzione dell'obbligazione tributaria intercorrente tra l'ente impositore e il cliente della struttura, determina l'attribuzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo al privato cui è demandata la materiale riscossione dell'imposta”.

2. Oggi, viceversa, il gestore della struttura ricettiva è, per espressa previsione normativa “responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno” e, quindi, posta la necessaria fonte legale di tale qualifica [l'art. 64, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, identifica il responsabile d'imposta in “chi, in forza di disposizioni di legge, è obbligato al pagamento dell'imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi”], “responsabile di imposta” (e non “sostituto di imposta”), ovverosia soggetto che “è obbligato al pagamento dell'imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi ultimi ovvero alla cui realizzazione il responsabile non ha partecipato” [G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, 2020, pag. 271].

Come tale, il gestore della struttura ricettiva: a) non è soggetto passivo dell'imposta [che rimane esclusivamente il cliente], bensì soggetto passivo dell'obbligazione tributaria e tenuto all'adempimento della stessa [la dottrina, infatti, pur riconoscendo che il responsabile è un vero e proprio debitore del tributo, è ferma nell'escluderlo dal novero dei soggetti passivi in quanto estraneo alla situazione di fatto che integra il presupposto del tributo (D. Giannini, Il rapporto giuridico d'imposta, 1934, pag. 134), così distinguendo fra soggetto passivo del tributo, ovverosia il soggetto a cui il presupposto del tributo medesimo si riferisce e soggetto passivo dell'obbligazione tributaria, ovverosia il soggetto tenuto al relativo adempimento (A. Fedele, Diritto tributario e diritto civile nei rapporti interni fra i soggetti passivi del tributo, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1971, I, 437, 25 ss.)]; b) è destinatario sia di un obbligo dichiarativo, dovendo presentare (cumulativamente ed esclusivamente in via telematica) la relativa dichiarazione entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo, sia di un obbligo di pagamento, dovendo provvedere alla corresponsione del tributo dichiarato (secondo le modalità approvate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della novella previsione).

3. Piuttosto evidenti le differenze riscontrabili fra la qualifica di “responsabile del versamento e di agente contabile” [così, in motivazione, Cass. pen., sez. VI, 21 giugno 2019, n. 27707], rivestita dal gestore della struttura ricettizia ante novella del 2020 e la qualifica di “responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno” [così, l'art. 4, comma 1-ter, d.lgs. n. 23/2011, per come introdotto dal d.l. 34/2020] e, quindi, di responsabile d'imposta, rivestita dal medesimo soggetto post novella del 2020.

Prima, il gestore della struttura alberghiera provvedeva all'incasso della tassa di soggiorno, la accantonava e poi la riversava all'ente comunale, operando quindi come soggetto che maneggiava denaro pubblico, o meglio, denaro che, a partire dal momento della sua percezione da parte del medesimo gestore diveniva pubblico, perché appreso da soggetto che, in quanto agente contabile, era incaricato di pubblico servizio: talché, posto l'obbligo del medesimo gestore di riversare all'ente pubblico il denaro così percepito, l'eventuale mancato adempimento – sanzionato, sul piano amministrativo, mediante specifiche sanzioni (previste dalla regolamentazione locale) – era da ascriversi al paradigma normativo dell'art. 314 c.p.

Oggi, invece, il gestore della struttura alberghiera risponde in proprio – perché, appunto, “responsabile di imposta” – del versamento del tributo: egli, in altri termini, è tenuto al pagamento della tassa di soggiorno e a ciò deve adempiere o con denaro proprio (per poi rivalersi sul cliente) o con denaro proveniente dal patrimonio del cliente; denaro che, però, non diviene, al momento della sua percezione da parte del medesimo gestore, “pecunia pubblica”, giacché il predetto gestore [a differenza che per il passato] non lo richiede in qualità di “riscossore”, bensì di coobbligato solidale [e infatti, la c.d. “responsabilità di imposta” è una species del genus “solidarietà tributaria”].

Persa la qualifica di “riscossore dell'imposta di soggiorno” il gestore della struttura alberghiera – non più “agente contabile” – neanche può qualificarsi alla stregua di “incaricato di pubblico servizio” e, siccome non più incaricato di pubblico servizio, non può commettere peculato [ragion per cui, a ben vedere, le considerazioni fin qui esposte non possono valere per il notaio, il quale, pur se, ad esempio con riguardo alla imposta di registro, “responsabile di imposta”, è comunque pubblico ufficiale, atteso che detta qualifica gli compete “in tutta la sua complessa attività, disciplinata da norme di diritto pubblico (legge notarile) e diretta alla formazione di atti pubblici (negozi giuridici notarili), ivi compresa l'attività di adempimento dell'obbligazione tributaria” (Cass. pen., Sez. VI, 14.5.2015, n. 20132); non a caso, Cass. pen., Sez. V, 11.12.2009, n. 47178, ha precisato, in motivazione, che “va disattesa la tesi difensiva secondo cui l'attività del notaio nell'adempimento dell'obbligazione tributaria andrebbe qualificata come estranea alla funzione pubblica svolta per la stipula degli atti. Il fatto che il notaio sia responsabile d'imposta ed assuma come tale la veste di coobbligato solidale (dipendente), che la legge affianca al soggetto passivo d'imposta al fine di agevolare la riscossione dei tributi (cd. Interesse fiscale, tutelato dall'art. 53 Cost.), non vale certo ad escludere la qualifica pubblicistica che gli compete. L'adempimento dell'obbligazione tributaria, nonché elidere la funzione pubblica, la esalta siccome strutturalmente connessa con l'atto rogato e mirata al soddisfacimento di un interesse pubblico”].

4. Volendo quindi fornire un responso al primo dei suesposti interrogativi, può affermarsi che per effetto di quanto stabilito dall'art. 4, comma 1-ter, d.lgs. n. 23/2011 (per come introdotto dal d.l. 34/2020) e a far data dall'entrata in vigore di detta disposizione di legge, non è ascrivibile al paradigma del delitto di peculato la condotta del gestore dell'attività ricettizia che si appropria delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno, omettendo di riversarle all'ente comunale. Non v'è dubbio, infatti, che il predetto gestore, non più qualificabile alla stregua di “responsabile del versamento”e di“agente contabile”, nemmeno più riveste, al momento della percezione della c.d. “tassa di soggiorno”, la qualifica di “incaricato di pubblico servizio”; non solo, ma proprio in ragione del difetto di tale pubblica qualifica, la ricezione del predetto denaro non tramuta il medesimo – siccome non più richiesto, da un “agente contabile” a titolo di riscossione, bensì dal responsabile d'imposta all'obbligato principale – in pecunia pubblica.

(Segue). L'irrilevanza delle modifiche apportate dall'art. 180, comma 3, d.l. 34/2020 rispetto a condotte poste in essere antecedentemente all'entrata in vigore della novella normativa

1. Come detto, se non v'è dubbio circa la irrilevanza penale delle condotte qui in esame, se commesse successivamente all'entrata in vigore del c.d. decreto rilancio (19 maggio 2020), diversamente è a dirsi in ordine alla sopravvenuta irrilevanza delle medesime condotte, se commesse antecedentemente alla novella normativa.

Anzi, proprio il riferimento ai criteri affermati dalla giurisprudenza in tema di successione di leggi penali – valevoli per stabilire se un fatto, divenuto non punibile per la legge extra-penale posteriore, possa rimanere punibile in ragione della legge anteriore e vigente al momento della sua commissione – ammanta l'affermazione dell'avvenuta depenalizzazione delle condotte in rassegna, se anteriori alla legge sopravvenuta, di più di un dubbio.

2. Dirimenti, a giudizio di chi scrive, le affermazioni di Cass. pen., Sez. Unite, 16 gennaio 2008, n. 2451, Magera, a detta della quale l'indagine sugli effetti della successione di leggi extra-penali, ai fini della disciplina dettata dell'art. 2 secondo comma c.p., deve essere condotta facendo riferimento alla fattispecie astratta e non al fatto concreto: per estendere gli effetti della modifica normativa al passato, non è sufficiente riconoscere che, oggi, il fatto contestato non costituisce più reato, ma occorre prendere in esame la fattispecie per come complessivamente tipizzata e stabilire se la norma extra-penale modificata svolga, in collegamento con la disposizione incriminatrice, un ruolo tale da far ritenere che, pur essendo questa rimasta letteralmente immutata, la fattispecie risultante dal collegamento tra la norma penale e quella extra-penale sia cambiata e in parte non sia più prevista come reato.

Orbene, mentre in detta ultima eventualità, si è in presenza di abolitio criminis (parziale), con conseguente applicazione della disciplina prevista dall'art. 2 secondo comma c.p., diversamente è a dirsi allorquando, rispetto alla norma incriminatrice, la modificazione della norma extra-penale comporta solo una nuova e diversa situazione di fatto: in siffatta ipotesi, infatti, la successione di norme extra-penali non incide sulla fattispecie astratta, comportando, più semplicemente, un caso in cui in concreto il reato non è più configurabile.

3. Appare evidente – sulla scorta dei principi anzidetti e mutuando le parole utilizzate dalla evocata giurisprudenza con riferimento alla qualità di “appartenente alla Unione Europea” del cittadino rumeno – che, per individuare la disciplina applicabile ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore dell'art. 180, comma 3, d.l. 34/2020, occorre stabilire se l'acquisto, da parte del gestore della struttura ricettizia, della nuova qualifica di “responsabile d'imposta” (rectius la perdita della qualità di “agente contabile”) abbia inciso sulla fattispecie descritta dall'art. 314 c.p., con effetto retroattivo, o abbia solo dato luogo ad una modificazione della situazione di fatto che ha reso non più punibile l'omesso versamento dell'imposta di soggiorno.

Orbene, la norma prevista dall'art. 4, comma 1-ter, d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (per come introdotto dal d.l. 34/2020) non disciplina un elemento normativo della fattispecie di peculato, né altrimenti integra la norma incriminatrice di cui all'art. 314 c.p.; più semplicemente la norma de qua ha modificato lo status del soggetto attivo: da “agente contabile” che, per consolidata giurisprudenza, riscuoteva, quale incaricato di pubblico servizio, l'imposta di soggiorno, a “responsabile del pagamento dell'imposta” che, quale soggetto passivo dell'obbligazione tributaria, non più è incaricato di pubblico servizio.

Talché, la novella legislativa ha inciso sul fatto concreto (in particolare, sulla qualifica del gestore della struttura ricettizia), non sulla fattispecie astratta.

4. Diverso, giova evidenziarlo, è il caso, richiamato dal Tribunale di Rimini, della qualificazione dei dipendenti degli istituti di credito quali incaricati di pubblico servizio. È vero che Cass. pen., Sez. un., 16 luglio 1987, Tuzet, ribaltando il precedente orientamento, ha riconosciuto efficacia retroattiva alla perdita da parte dei dipendenti bancari della qualità di persone incaricate di pubblico servizio, ma è altrettanto vero che detta perdita è derivata da una modificazione di norme extra-penali incidenti sulla fattispecie astratta, essendo venute meno, in seguito ad una modifica della regolamentazione degli istituti di credito, la regioni a sostegno della sussumibilità del dipendente bancario nel paradigma della “persona incaricata di pubblico servizio”.

Al contrario, nel caso deciso dalla sentenza in commento, per effetto dell'art. 180 comma 3 d.l. 34/2020 nulla è mutato cica la rilevanza e la definizione di “agente contabile”, bensì è mutato, radicalmente, “il ruolo” del gestore della struttura ricettizia che, non più responsabile del versamento del tributo, ma responsabile del pagamento del medesimo tributo, non è più un agente contabile.

Il cambiamento avvenuto nella normativa extra-penale, modificando il contesto giuridico, ha determinato una diversità del fatto concreto e non della fattispecie; di conseguenza, non ha determinato il venir meno della lesività del fatto per il passato e, quindi, per il tempo in cui il gestore della struttura ricettizia, omettendo di versare l'imposta di soggiorno riscossa, si appropriava di denaro che, perché ricevuto nella qualità di “incaricato di pubblico servizio”, era indubbiamente “denaro pubblico”.

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