Aprire una nuova porta sul pianerottolo comune può essere vietato dal regolamento di condominio

Adriana Nicoletti
30 Settembre 2020

Il condomino ha diritto di trarre dal bene comune il massimo dei vantaggi a condizione che siano rispettati i limiti imposti dal legislatore a tutela del bene stesso e dei diritti degli altri partecipanti, che non possono essere compressi o estromessi dal pari uso della cosa. Ma questo non basta: è necessario anche dare uno sguardo al regolamento di condominio che, solo se di natura contrattuale, può imporre restrizioni più rigide.
Massima

Un regolamento condominialedi natura contrattuale può legittimamente apportare esclusioni o restrizioni alle facoltà che ordinariamente, secondo le previsioni della norma di cui all'art. 1102 c.c., competono ai singoli partecipanti relativamente alle parti comuni (1).

La norma regolamentare, che vieti le “modifiche” delle parti comuni, si riferisce evidentemente ad ogni opera che, anche laddove non alteri l'essenza della cosa comune o il suo aspetto funzionale, tuttavia comporti una alterazione dello stato di fatto che, in sede convenzionale, i condomini hanno dimostrato di voler preservare.

Il caso

Una condomina agiva in giudizio avverso il Condominio per sentire annullare la delibera assembleare che aveva respinto la sua richiesta di aprire, sul pianerottolo comune dal quale si accedeva all'ascensore, un'ulteriore porta d'ingresso all'appartamento di sua proprietà. Chiedeva, altresì, l'attrice che fosse accertata la nullità di una clausola del regolamento contrattuale nella parte relativa al divieto generico di apportare modifiche sulle parti comuni, con conseguente legittimità dell'intervento che la stessa intendeva realizzare.

Il Condominio si costituiva formulando, in via preliminare, eccezione (non tradotta in appello incidentale) in ordine all'inammissibilità della domanda di accertamento della nullità della clausola regolamentare, in quanto non introdotta con l'atto di citazione. Nel merito, il convenuto chiedeva il rigetto dell'impugnativa in quanto del tutto infondata.

Disattesa l'eccezione preliminare, il Tribunale, pur avendo rilevato che l'intervento in questione non rivestiva il carattere innovativo e non alterava l'originaria destinazione delle mura che delimitavano il pianerottolo, così come non interferiva sul decoro architettonico, affermava la piena validità della clausola impositiva contenuta nel regolamento del condominio, così decidendo per il rigetto della domanda.

Avverso tale decisione, l'originaria attrice ricorreva in appello e la Corte confermava la decisione di prime cure.

La questione

La questione da esaminare emerge proprio dalla motivazione della sentenza di secondo grado, là dove il giudicante ha individuato la necessità di comparare il tenore della clausola regolamentare con l'art. 1102 c.c. verificandone il grado di genericità al fine dell'applicabilità del divieto in essa contenuto.

Le soluzioni giuridiche

La Corte d'Appello, nel respingere il gravame, ha fatto proprie le argomentazioni espresse dal giudice di prime cure.

In via primaria ha affermato che l'intervento proposto dalla condomina, ed effettuato su una parte comune quale il muro comune del pianerottolo, non costituiva violazione dell'art. 1102 c.c. poiché non presentava le caratteristiche che ne impedivano la realizzazione. L'opera, inoltre, non poteva neppure essere considerata - come preteso dal Condominio - un'innovazione vietata, in quanto non lesiva del decoro architettonico, trattandosi di intervento interno al condominio.

Detto questo, doveva essere preso in considerazione il problema della nullità della clausola contrattuale per la sua genericità che - a detta dell'attrice - le impediva di costituire una valida deroga all'art. 1102 c.c. il quale, secondo l'insegnamento della Corte di Cassazione, potrebbe essere modificato solo in presenza di una norma regolamentare specifica e precisa nel rendere più stringenti e limitative le facoltà riservate ai condomini sulle parti comuni. Esaminata la clausola del regolamento oggetto di controversia, la Corte meneghina non solo ha escluso il carattere di genericità della prescrizione, ma ha anche rilevato come l'appellante ne avesse dato un'interpretazione “isolata” dal contesto dell'intero atto, tutto finalizzato a stabilire divieti stabiliti nell'interesse generale.

Osservazioni

La norma posta al centro della controversia è l'art. 1102 c.c. che regolamenta l'uso delle cose comuni da parte di tutti i partecipanti - va rammentato che la disposizione è attinente all'istituto della comunione, ma è applicabile anche al condominio, giusto il rinvio dell'art. 1139 c.c. - fissando dei limiti precisi negli interessi degli stessi: divieto di alterare la destinazione del bene e di impedire agli altri partecipanti il pari uso del medesimo. Una volta che sia stato accertato, in concreto, che il condomino non abbia violato nessuna delle due prescrizioni qui richiamate il comportamento messo in atto è pienamente legittimo.

Giova evidenziare che la lettera dell'art. 1102 c.c., con l'espressione “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune….”, indica che il condomino è titolare di un diritto che potrebbe esercitare autonomamente e liberamente, ovvero senza la necessità di chiedere preventivamente l'autorizzazione dell'assemblea, potendo il medesimo trarre dai beni comuni tutte le utilità possibili ma sempre nei limiti qui richiamati. Tuttavia, quando gli interventi programmati, per la loro rilevanza, potrebbero essere fonte di contestazione è opportuno farne oggetto di delibera assembleare.

La Corte d'Appello ha, in primis, osservato che - come affermato dal primo giudice - l'apertura dell'ulteriore porta sul pianerottolo comune aveva tutte le caratteristiche che escludevano una violazione dell'art. 1102 c.c. e, aggiungiamo noi, se non vi fosse stata la clausola del regolamento contrattuale più restrittiva in relazione all'uso delle parti comuni, il diniego dell'assemblea doveva essere considerato illegittimo. Del resto in una situazione ordinaria, ovvero libera da implicazioni derivanti dal regolamento di condominio, la Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. VI, 14 novembre 2014, n. 24295; Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16097) aveva già riconosciuto in favore del condomino il diritto di aprire un nuovo ingresso per il proprio immobile presso l'androne condominiale, in modo da realizzare unicamente un uso più intenso di tale bene comune e senza escludere gli altri condomini dall'uso dello stesso. Se - come osservato dai giudici di legittimità - l'apertura della nuova porta nell'androne della scala non impediva agli altri condomini di fruire dello spazio medesimo per raggiungere le proprie unità abitative appare evidente che, per come risulta dai fatti di causa, lo stesso può valere in via analogica anche nel caso in cui il nuovo ingresso interessi il muro che delimita il pianerottolo comune.

Malgrado questo l'impugnativa doveva essere rigettata per la sussistenza di una clausola del regolamento la cui formulazione - a dispetto di quanto sostenuto dall'appellante - non era generica ed in ogni caso doveva essere valutata con riferimento all'intero contesto dell'atto condominiale. Il punto deve richiamare l'attenzione sotto due profili: da un lato, se una norma regolamentare può imporre al condomino maggiori restrizioni rispetto a quelle imposte per legge e, dall'altro, se la stessa clausola essendo inserita all'interno di un regolamento contrattuale, nel dubbio, può essere rimessa all'interpretazione da parte del giudice.

Quanto al primo e proprio con espresso riferimento all'art. 1102 c.c., la giurisprudenza è orientata nel senso di affermare che tale norma, nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile, con la conseguenza che, i suddetti limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con i quorum prescritti dalla legge, fermo restando che non è consentita l'introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2018, n. 2114). Peraltro, queste prerogative riconosciute al regolamento di natura contrattuale riferito a limitazioni dei diritti dei condomini, anche sulle parti comuni, trovano una vasta applicazione considerato che restrizioni più severe sono state ritenute ammissibili, ad esempio, anche in materia di nozione di decoro architettonico che può essere più rigorosa rispetto a quella compresa nell'art. 1120 c.c. (Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2013, n. 1748), anche se va evidenziato che la norma è meramente enunciativa, mentre il concetto di decoro, inteso come armonia esterna dello stabile, è una costruzione giurisprudenziale.

La decisione della Corte meneghina è stata, poi, chiamata a decidere su di un tema già al centro di molteplici controversie giudiziarie in materia condominiale: ovvero il rapporto tra il divieto posto dalla previsione regolamentare e la disposizione di legge di riferimento, con il risultato che l'eccessiva generalità della prima può impedire l'applicazione della seconda, nonché determinarne la nullità.

La questione, che trova soluzione nel caso concreto, richiede un rigoroso esame testuale della clausola che, a fronte di una sua eventuale indeterminatezza, deve essere considerata alla luce dell'intero atto regolamentare. A questo proposito, la Corte d'Appello ha correttamente affermato che, con riferimento al caso di specie, la disposizione regolamentare in contestazione - che vietava, tra l'altro, modifiche da apportare sui muri perimetrali e sulle parti comuni, oltre a numerosi divieti inequivocabilmente indicati - anche se isolata dal contesto integrale dell'atto dava conto della sua puntualità, che emergeva proprio dal corpo del regolamento una cui parte preponderante era stata dedicata a rappresentare i divieti stabiliti nell'interesse generale di tutti i condomini ed i loro aventi causa.

Ora, se in un regolamento di condominio il divieto riguarda - come nella nostra fattispecie - le “modifiche” che vengano apportate al bene comune, il termine non contiene quel connotato di genericità che determina la nullità della disposizione stessa, essendo evidente che la ratio posta a suo fondamento è quella di scongiurare che il condomino od il suo avente diritto alteri quello stato di fatto che il regolamento stesso (contrattuale oppure assembleare ma adottato con l'unanimità dei consensi) mirava a proteggere. Il tutto, tuttavia, lasciando spazio all'interprete di valutare il grado di incidenza e rilevanza della “modifica” per dichiarare se il divieto in questione sia stato violato. Da qui la decisione del giudice del gravame, il quale ha ritenuto che, nel caso specifico, l'apertura di una nuova porta sul pianerottolo da parte dell'appellante, non poteva che costituire una modifica vietata, tanto per il fatto che l'intervento aveva interessato il muro che delimitava la proprietà esclusiva rispetto alla parte comune, quanto per la circostanza che in ogni caso l'opera era di per sé significativa e visibile.

Ancora una riflessione finale. L'eventuale violazione di clausole regolamentari da parte di altri partecipanti può mettere il condomino al riparo dal proprio abuso? La risposta non può che essere negativa poiché il regolamento del condominio, che è destinato a ciascun condomino anche in ragione del carattere personale delle norme da rispettare, non consente di appellarsi a presunti precedenti illeciti commessi dai condomini e tacitamente assentiti dagli altri, dal momento che l'oggetto della controversia è limitato alla specifica inadempienza imputata al singolo condomino. Infatti sul punto è intervenuta anche la Corte Suprema, la quale ha affermato che le obbligazioni assunte dai condomini con il regolamento contrattuale sono indipendenti l'una dall'altra e garantiscono contemporaneamente il diritto di tutti i contraenti, con la conseguenza che, in ipotesi di violazione del regolamento condominiale contrattuale effettuata da un condomino, ciascuno degli altri condomini può richiedere, oltre al risarcimento la riduzione in pristino, senza che possano essere opposte eventuali violazioni del suddetto regolamento cui il richiedente medesimo abbia dato causa (Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2000, n. 977).

Guida all'approfondimento

Di Rago, I divieti regolamentari devono essere specifici, in CondominioWeb.com, 23 marzo 2020;

Mattiello, Regolamento condominiale: quali le conseguenze per le clausole limitative non trascritte, in Altalex.com, 13 aprile 2018;

Bordolli, Divieti chiari e manifesti nel regolamento contrattuale, in Immob. & diritto, 2010, fasc. 5, 21.

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