Sospensione della responsabilità genitoriale per condotte pregiudizievoli e collocamento temporaneo del minore in struttura protetta

07 Ottobre 2020

Il trasferimento temporaneo della bambina (n.d.r. in una struttura protetta), pur rappresentando l'extrema ratio, appare al Collegio l'intervento più efficace, il cui vantaggio è...
Massima

Il trasferimento temporaneo della bambina (n.d.r. in una struttura protetta), pur rappresentando l'extrema ratio, appare al Collegio l'intervento più efficace, il cui vantaggio è rappresentato dal fatto che, da un lato permette di interrompere il legame disfunzionale della minore con la madre e, dall'altro, consente alla bambina uno spazio intermedio tra i due genitori

Il caso

Il provvedimento provvisorio in esame è stato emesso a seguito di una CTU disposta in un procedimento introdotto con ricorso del PM ex art. 333 c.c. e segg., avanti il Tribunale per i Minorenni di Perugia, per far cessare le condotte poste in essere da entrambi i genitori di una minore, ritenute pregiudizievoli per un suo sano sviluppo. Dopo un periodo di partecipazione dei genitori alla CTU, mantenendo entrambi un comportamento congruo ed adeguato al contesto di valutazione della stessa consulenza, il padre della minore interrompeva la sua partecipazione impedendo così al consulente di rispondere pienamente ai quesiti, ma, soprattutto, impedendogli di osservare la relazione della diade padre-figlia. Per contro emergeva in consulenza che la madre condizionava la qualità della relazione tra la figlia ed il padre, fino a contribuire ad alienare completamente dalla vita della bambina la figura paterna, costituendo questo un rischio di pregiudizio per un sano sviluppo psicoaffettivo della minore stessa, che in consulenza appariva condizionata nell'espressione libera di sé stessa e mostrava una preoccupazione profonda nei confronti degli stati depressivi.

In motivazione:

«L'atteggiamento della madre prima e il suo quadro psicopatologico emerso in CTU, poi, a parere di questo Collegio, impongono la valutazione di altre misure di intervento finalizzate, da un lato al ripristino del rapporto padre-figlia e dall'altro alla protezione della minore dall'atteggiamento alienante della madre e dall'esposizione della bambina agli stati emotivi depressivi della donna, di cui la stessa non è ancora consapevole, nonostante le consulenti (d'ufficio e di parte) abbiano riconosciuto la necessità di un intervento urgente;

Che l'aspetto più complesso e delicato di ogni procedimento civile riguardante genitori con condotte alienanti è rappresentato dalla necessità di stabilire l'intervento giudiziario più idoneo ed efficace nell'interesse del minore;

Che, nel caso di specie, la situazione è ancora più complessa tenuto conto che il procedimento si trova in una situazione di stallo, tale per cui la minore non ha rapporti con il padre da mesi;

Che se si lasciasse la situazione invariata con la minore collocata presso la madre, si coltiverebbe il rapporto simbiotico con questo genitore e la figlia continuerebbe a subire il forte condizionamento psicologico materno, a discapito del legame con il paterno, comportando un grave pregiudizio per la salute psico fisica della figlia e la violazione dei suoi diritti;

Che, viceversa, il trasferimento temporaneo della bambina, pur rappresentando l'extrema ratio, appare a questo Collegio l'intervento più efficace, il cui vantaggio è rappresentato dal fatto che, da un lato permette di interrompere il legame disfunzionale della minore con la madre e, dall'altro, consente alla bambina uno spazio intermedio tra i due genitori;

Che questo Collegio ritiene come tale trasferimento si renda necessario a fronte dell'impossibilità di poter effettuare un'immediata inversione di collocamento poiché il padre, al momento, non è stato ancora valutato nelle sue funzioni genitoriali, nonostante la CTU riconosca “il desiderio della bambina di stare con il padre e di dormire dal padre e la forte preoccupazione della bambina rispetto alla tristezza della madre”;

Che, nel caso in esame, questo Collegio non ritiene si possa prendere in considerazione neppure il trasferimento presso terzi (n.d.r. parenti);

Che pertanto questo Collegio ritiene che l'unico intervento possibile per la realizzazione delle finalità sopra dette sia l'inserimento della minore in una struttura protetta, soluzione che si ritiene, allo stato, la più idonea a salvaguardare il benessere psico fisico della minore ed a contenere i fattori di rischio insiti nell'attuale situazione di collocamento della minore;

Che il collocamento in struttura, si ritiene comunque una misura temporanea per consentire la valutazione del padre e delle sue capacità' genitoriali e per poter prendere in considerazione la sua istanza di collocamento che, anche per l'incompiutezza della valutazione effettuata con la CTU, al momento non può essere accolta;

Che la permanenza della minore in struttura dovrà prevedere la programmazione di incontri con entrambi i genitori, seppure i contatti con la madre dovranno essere, specie in una prima fase, temporaneamente interrotti per impedire che gli stessi attivino nella bambina quel conflitto di lealtà che, fino ad ora, ha ostacolato la relazione con il padre”.

La questione

Accertato che entrambi i genitori pongono in essere condotte pregiudizievoli impedendo un sano sviluppo dei figli, tanto da essere sospesi dall'esercizio della responsabilità genitoriale, e sono stati anche accertati comportamenti alienanti da parte del genitore collocatario, qual è l'intervento più efficace e più idoneo che il giudice, nella specie il Tribunale per i Minorenni, può disporre nell'interesse del minore?

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento torna su un tema molto dibattuto per il quale oggi si preferisce parlare di un problema relazionale genitore-bambino associato ad una compromissione del funzionamento in ambito comportamentale, cognitivo o affettivo, che rappresenta un fattore di rischio per l'insorgenza di disturbi nel corso dello sviluppo, che possono comparire in adolescenza oppure in età adulta.

Le soluzioni adottate dai Tribunali Italiani variano tra loro e, normalmente dopo l'espletamento di una CTU, che accerti comportamenti del genitore collocatario tali da alienare più o meno completamente dalla vita del figlio l'altro genitore, costituendo questo un rischio di pregiudizio per una sano sviluppo psicoaffettivo del minore stesso, nei provvedimenti emessi si dispone il cambio di affidamento (da condiviso ad esclusivo) o di collocamento (da un genitore all'altro) e, nei casi più gravi, il minore viene collocato temporaneamente in una struttura protetta per ristabilire una relazione corretta genitore-figlio.

Il provvedimento in esame, evidenzia come non vi fossero valide alternative al collocamento temporaneo della figlia in una struttura protetta, dal momento che la mamma collocataria, risultava alienante la figura paterna, il padre si era ad un certo punto della consulenza sottratto alla stessa, presentando sì degli esposti a sostegno della sua scelta ma, comunque, impedendo la valutazione delle sue capacità genitoriali ed i parenti non risultavano adeguati al ruolo di affidatari. Questi i motivi addotti a sostegno del provvedimento emesso, ritenuto l'intervento più efficace rappresentando l'extrema ratio. Il trasferimento della minore in una comunità protetta, ritiene il Tribunale, sia l'unica possibilità di interrompere il legame disfunzionale della minore con la madre ed al contempo consentire alla bambina uno spazio intermedio fra i due genitori. Nel caso di specie, inoltre, la madre aveva anche eluso l'accesso dell'educatore domiciliare a casa e si era mostrata inefficace nel portare la figlia agli incontri psicoeducativi di gruppi adducendo giustificazioni varie e dando prova di non essere in grado di garantire la realizzazione degli interventi organizzati a tutela della figlia.

Il Tribunale Ordinario di Brescia, sez. III, con ordinanza del 19.11.2018 -in un caso in cui la figlia manifestava un rifiuto immotivato nei confronti del padre mentre il fratello mostrava di aver stretto un patto di lealtà con la stessa e la madre, manifestando segnali molto simili alla sorella- all'esito di una CTU, scelse di non assecondare i legami dei figli con la madre e di forzare i minori, disponendo l'affidamento esclusivo al padre, la collocazione immediata di uno di essi presso il padre e la collocazione provvisoria dell'altro presso una casa famiglia per un breve periodo con graduali visite al padre, fino alla collocazione definitiva presso la dimora paterna. Il Tribunale motiva rilevando come, al di là delle questioni circa il consenso della comunità scientifica in ordine alla Sindrome di Alienazione Genitoriale, laddove è evidente la grave situazione in cui versa un minore, connotata da sostanziale elisione della figura paterna, è necessario intervenire onde evitare che la situazione evolva verso l'irreversibilità.

Sempre il Tribunale Ordinario di Brescia, in data successiva, il 7.3.2019, con sentenza n. 815/19, ribadendo che il consenso della comunità scientifica alla Sindrome di Alienazione Genitoriale non è unanime, recependo l'elaborato del CTU -che, dando atto anche lui che non vi è unanime consenso nella comunità scientifica, evidenziava come “gli otto sintomi (campagna di denigrazione, razionalizzazione debole dell'astio, mancanza di ambivalenza, fenomeno del pensatore indipendente, appoggio automatico al genitore alienante, assenza di senso di colpa, scenari presi a prestito, estensione dell'ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato) che caratterizzerebbero la PAS sono comunque utili a valutare i punti critici nelle relazioni disfunzionali tra il minore ed il genitore rifiutato” -, ritenendo che la madre avesse tenuto una condotta tale da determinare l'insorgenza nella figlia dell'alienazione parentale, evidenziando appunto gli 8 sintomi elencati dal CTU, ha affidato la minore al padre.

Il Tribunale di Milano, sez. IX, decr. 11 marzo 2017, affermando che il termine alienazione genitoriale non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, bensì un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore collocatario per emarginare o neutralizzare l'altra figura genitoriale, si interroga su quali siano gli strumenti di intervento laddove si accerti che la relazione tra la figlia ed il padre sia stata inficiata da comportamenti alienanti del genitore collocatario e nel disporre l'affido all'Ente gradua l'intervento prevendendo che il mantenere il collocamento della minore presso la mamma sia da intendersi in senso provvisorio, come possibilità per la mamma di recuperare le proprie problematiche anche seguendo i suggerimenti e le prescrizioni datele, prevendendo che l'Ente, in difetto, e come extrema ratio, collochi in ambiente protetto la minore, con modalità ancora una volta graduali: prima con un collocamento diurno e poi integrale. La pronuncia è interessante perché si spinge oltre affermando che, avendo la madre proposto un ricorso contro il padre, per questioni relative alla figlia, e essendo risultato essere l'autrice di comportamenti alienanti, ha proposto una azione processualmente viziata da colpa grave e come tale meritevole di sanzione ex art. 96 comma 3,c.p.c..

La Corte di Appello di Roma in un recente decreto (n. 2 del 10.1.2020) ha revocato il provvedimento emesso dal Tribunale per i Minorenni di Roma in data 5.7.2019, con il quale era stato disposto l'allontanamento del minore dall'abitazione della madre disponendo, di conseguenza, che il minore venisse immediatamente collocato nuovamente presso la madre e garantita un'effettiva e non episodica frequentazione con il padre, così che quest'ultimo potesse assumere un ruolo attivo di accudimento del figlio prelevandolo a scuola ed accompagnandolo alle attività sportive, ludiche o di socialità del figlio, prevedendo l'inserimento della figura dell'educatore che potrà inizialmente accompagnarlo nelle predette attività onde garantirle.

Il Tribunale per i minorenni di Roma, con il provvedimento in data 5.7.19, a seguito di una CTU, aveva ritenuto che il figlio fosse prigioniero di una relazione assolutizzante con la madre, che gli negava ogni rapporto con il padre e gli forniva una comunicazione strutturalmente incongrua e disorganizzante, clinicamente associata ad un funzionamento psicotico, con il serio rischio psicopatologico di sviluppare negativamente la propria personalità e l'identità del proprio sé, con possibile sostituzione della figura paterna e, disposto, l'allontanamento coatto del minore dall'abitazione della madre ed il suo collocamento presso il padre.

Osservazioni

La pronuncia del Tribunale di Perugia offre spunti interessanti per individuare quale sia l'intervento più efficace e più idoneo che il giudice può disporre nell'interesse del minore laddove si accertino nel genitore affidatario dei comportamenti genitoriali alienanti rispetto all'altro genitore.

Il Tribunale per i Minorenni di Perugia giustifica, infatti, il suo provvedimento di collocamento temporaneo della minore in struttura protetta come extrema ratio per essere stata accertata in corso di CTU una condotta alienante in capo alla mamma nei confronti del papà, per essersi quest'ultimo sottratto ad un certo punto della consulenza dal partecipare alla stessa impedendo la valutazione delle sue capacità genitoriali e non potendo essere presi in considerazione come affidatari i parenti della minore. Rispetto ai comportamenti dei genitori il Tribunale di Perugia sottolinea come entrambi hanno capacità di autodeterminarsi e, quindi, di decidere a quali percorsi terapeutici e valutativi sottoporsi (riferendosi non solo a quelli terapeutici suggeriti dal CTU alla mamma ma alla CTU stessa con riferimento al padre, che per le denunce proposte, che verranno valutate in altra opportuna sede, decide di non partecipare più alla consulenza impedendo al CTU di valutare la relazione tra lo stesso e la figlia).

Il Tribunale evidenzia, inoltre, che nel corso del giudizio era già stata disposta una assistenza domiciliare a casa della mamma, fallita in quanto la stessa era sempre riuscita ad eludere gli appuntamenti nonostante venissero preventivamente concordati e, soprattutto, era stato accertato un comportamento materno poco collaborativo nel portare la figlia agli incontri psicoeducativi, evitati adducendo come giustificazione che la figlia non voleva andare.

La Corte di Appello di Roma nel suo recente provvedimento, n. 2/2020 sopra accennato, ribadendo che l'aspetto più complesso e delicato di ogni procedimento civile riguardante genitori con condotte alienanti è rappresentato dalla necessità di stabilire l'intervento giudiziario più idoneo ed efficace nell'interesse del minore offre ulteriori argomenti utili all'individuazione del predetto intervento.

Innanzitutto, la Corte sottolinea la necessità di una valutazione comparativa degli effetti sul minore del trauma dell'allontanamento dalla casa familiare rispetto al beneficio atteso e, quindi, la necessità che il principio della bigenitorialità, da intendersi un valore posto nell'interesse del minore, sia adeguato ai tempi e al benessere del minore stesso. Prosegue, poi, la Corte nel sottolineare che la scelta dell'intervento debba rispettare il principio di gradualità della misura scelta e, quindi, sia onere del giudice impartire prescrizioni puntuali e concrete che tengano conto degli impegni attuali e concreti del minore ed, infine, che sia preventivamente verificata la fattibilità /sostenibilità dei provvedimenti adottati, anche in via provvisoria, condizionandone l'efficacia.

Il provvedimento di allontanamento del minore dalla casa del genitore collocatario, che pone in essere comportamenti alienanti rispetto all'altro genitore, può essere giustificato solo laddove sia davvero l'extrema ratio e siano stati posti precedentemente in essere tutti gli interventi possibili in quel caso specifico, secondo un principio di gradualità, con preventiva verifica della fattibilità degli stessi, anche tenuto conto delle risorse presenti sul territorio e di quell'Ente affidatario e, soprattutto, ogni intervento deve essere garante del superiore interesse del minore che non potrà mai essere sacrificato, o anche solo limitato, dal diritto alla bigenitorialità.

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito, da ultimo nella sentenza n. 13274/2019, come il giudizio sulla capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell'unione, debba essere formulato sulla base di elementi oggettivi e concreti, tra cui l'ascolto del minore e, soprattutto, che spetta giudice di merito di spiegare «per quale ragione l'affidamento in via esclusiva al padre, previo collocamento temporaneo dello stesso in una comunità o casa-famiglia, costituirebbe l'unico strumento utile ad evitare al minore un più grave pregiudizio ed ad assicurare al medesimo assistenza e stabilità affettiva, sempre nell'ottica di assicurare l'esercizio del diritto del minore ad un'effettiva bigenitorialità”.

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