Termine annuale per la dichiarazione di fallimento di imprese non iscritte nel r.i.
09 Ottobre 2020
Il termine di un anno dalla cessazione dell'attività, prescritto dall'art. 10 legge fallimentare, ai fini della dichiarazione di fallimento, che, tanto per gli imprenditori individuali quanto per quelli collettivi, decorre dalla cancellazione dal registro delle imprese anziché dalla definizione dei rapporti passivi, è applicabile anche alle società non iscritte nel registro delle imprese?
La risposta al quesito deve essere negativa. Sul punto ha avuto modo di interrogarsi in tempi assai recenti la Corte di Cassazione, con una pronuncia dalla motivazione articolata (Cass. civ., 29 maggio 2020, n. 10302). Occorre muovere da una premessa, legata al testo dell'art. 10 legge fallimentare, rubricato “Fallimento dell'imprenditore che ha cessato l'esercizio dell'impresa”. Si legge che “gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo. In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attività da cui decorre il termine del primo comma”. Nei riguardi delle società non iscritte nel registro delle imprese, il bilanciamento tra le esigenze di tutela dei creditori e quelle di certezza delle situazioni giuridiche, necessario in ogni ipotesi di eventuale decozione, si declina diversamente e impone una differente procedura di identificazione del dies a quo. Esso deve ritenersi coincidente con il momento in cui la cessazione dell'attività sia stata portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, o comunque sia stata dagli stessi conosciuta, anche in relazione ai segni esteriori attraverso i quali si è manifestata. Nelle fattispecie concrete occorre sottolineare il discrimine che può intervenire tra la data di cancellazione dal registro delle imprese e la data di effettiva interruzione dell'attività societaria: occorre rammentare, infatti, che se il testo della legge parla puntualmente di data di cancellazione dal registro delle imprese, esso ha un significato solamente laddove sia effettiva espressione della cancellazione dell'impresa. In altri termini, il decorso dell'anno entro il quale può essere dichiarato il fallimento degli imprenditori che abbiano cessato l'attività commerciale, scatta in coincidenza con la cancellazione del registro delle imprese, ma essa deve intendersi quale mero riflesso della cessazione dell'impresa, della chiusura dell'attività di impresa, a prescindere dal motivo che l'abbia cagionata. Il sillogismo impone, dunque, di ritenere che se vi sia stata la cancellazione, ma l'attività sia comunque proseguita, il termine non deve ritenersi decorso sin tanto che non verrà effettivamente esaurita l'attività commerciale. Un'ipotesi ancora più specifica che merita di essere presa in considerazione attiene al caso in cui si verifichi un mutamento della ragione sociale del soggetto esercente l'attività. La giurisprudenza parla al proposito di una trasformazione “regressiva” della formula societaria, laddove si passi da una società di capitali a una società di persone. L'evenienza acquista significato nel nostro ragionamento dal momento che la società di persone - si pensi a una società semplice - è esclusa dell'esito fallimentare. Il caso pratico che si vuole qui proporre e risolvere è proprio quello di una società a responsabilità limitata tramutata in società semplice, sicché, a un anno dalla cancellazione del registro delle imprese, ne risulterebbe preclusa la dichiarazione di fallimento della società trasformata. In particolare, tale società risulterebbe ancora iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese, secondo quanto si legge all'art. 2 del d.p.r. 14 novembre 1999, n. 558, ma contemporaneamente, laddove la società semplice derivante da quella trasformazione continui a svolgere una effettiva attività commerciale, deve ritenersi che essa continui a risultare fallibile. In particolare - e ancora è la sentenza di legittimità citata a illuminare sul punto - una simile realtà fattuale deve intendersi alla stregua di una società irregolare e, in particolare, si tratterebbe di un caso di irregolarità sopravvenuta successiva alla cancellazione dal registro delle imprese. Ritornerebbe, dunque, applicabile il principio formatosi nei confronti delle società non iscritte, per le quali vale l'applicabilità del termine menzionato nel già citato art. 10 legge fallimentare, che inizierebbe a decorrere propriamente dal momento in cui l'effettiva cessazione dell'attività venga in un qualche modo resa evidente ai terzi. In altri termini, anche in simili ipotesi di patologica gestione della delicata fase di cessazione dell'impresa, concorre ad illustrare le dinamiche societarie il principio di pubblicità nei riguardi dei terzi e di concreta attività ‘pubblica' del soggetto societario.
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