Contagio da COVID e responsabilità civile in ambito scolastico

Giuseppe Chiriatti
12 Ottobre 2020

Analisi delle potenziali responsabilità che potrebbero prospettarsi in capo all'amministrazione ed al personale scolastico per l'eventuale contagio degli alunni; e ancora, passeremo in rassegna le tutele assicurative (sia quelle già approntate, sia quelle rinvenibili sul mercato) in favore dell'intera popolazione scolastica.
Introduzione

Stando ai dati recentemente pubblicati dal Ministero dell'Istruzione, il comparto scolastico coinvolge nel suo complesso una popolazione, tra alunni e docenti, pari a circa 8.585.000,00 unità distribuite su 8.183 istituti (fonte MIUR, Principali dati della scuola – Avvio Anno Scolastico 2020/2021, settembre 2020, disponibile su www.miur.gov.it/web/guest/pubblicazioni).

È già sufficiente una mera lettura di tali dati (che, peraltro, dovrebbero essere altresì integrati con quelli relativi al personale non docente) per guardare al comparto scolastico come ad uno dei settori maggiormente esposti al contagio da COVID e, del tutto conseguentemente, per comprendere le profonde e diffuse preoccupazioni manifestate - in prossimità dell'avvio del nuovo anno - dal personale direttivo e didattico, chiamato a confrontarsi quotidianamente con un rischio che ha già messo a dura prova la tenuta di un altro pilastro pubblico quale il Servizio Sanitario Nazionale.

Nel presente contributo analizzeremo, dunque, le potenziali responsabilità che potrebbero prospettarsi in capo all'amministrazione ed al personale scolastico per l'eventuale contagio degli alunni; e ancora, passeremo in rassegna le tutele assicurative (sia quelle già approntate, sia quelle rinvenibili sul mercato) in favore dell'intera popolazione scolastica.

Ma procediamo con ordine.

Responsabilità per contagio degli alunni (e “assonanze” con l'impianto di cui alla c.d. “riforma Gelli” in ambito sanitario)

È affermazione pressoché pacifica in giurisprudenza quella secondo cui “la domanda di iscrizione alla frequentazione di una scuola e il suo accoglimento fondano un vincolo giuridico tra l'allievo e l'istituto scolastico, da cui scaturisce, a carico dei dipendenti del secondo, accanto all'obbligo contrattuale di istruire ed educare gli allievi, quello di proteggere e vigilare sull'incolumità fisica e sulla sicurezza degli stessi” (così Cass. civ., Sez. III , Sent., 15 maggio 2013, n. 11751).

In altri termini, l'istituzione scolastica (a titolo contrattuale) nonché il personale impiegato (in forza di c.d. contatto sociale) si ritroverebbero in una posizione non dissimile rispetto a quella in cui ha versato il comparto sanitario dai primi anni duemila fino all'approvazione della c.d. riforma Gelli (L. 24/2017). E non è certo casuale che dopo l'epocale crisi affrontata dal Servizio Sanitario Nazionale nella prima parte di quest'anno, sia oggi il personale impiegato in un altro settore (per così dire) “strategico” - quale appunto quello scolastico - a paventare i rischi di un potenziale accanimento giudiziario nei mesi da qui a venire.

Ebbene, a dispetto dell'amplissima formulazione del principio di diritto sopra richiamato, occorre intanto ricordare che il danneggiato, ai sensi dell'art. 1218 c.c., è tenuto a provare il nesso causale tra inadempimento e danno. Nondimeno, già sotto tale profilo dovremmo rilevare come le occasioni di contagio degli alunni possano essere plurime (si pensi soltanto all'impiego dei mezzi pubblici nel tragitto casa-scuola) ed almeno in questi termini la prova del nesso causale potrebbe rivelarsi pressoché “diabolica”.

E ancora, non potremmo omettere di considerare come il danneggiato debba in ogni caso allegare un inadempimento “qualificato”, dovendosi intendere per tale quello idoneo a cagionare il danno lamentato (cfr. Cass. civ., Sez. Un., n. 577/2008).

Alla luce di quanto appena riportato, dovremmo dunque concludere che una domanda risarcitoria non possa giammai risolversi in una “generica” affermazione di responsabilità (in capo al personale e/o all'istituzione scolastica), ma dovrà fondarsi, al contrario, su di una ricostruzione eziologica puntuale del contagio da COVID, quale conseguenza immediata e diretta di uno specifico inadempimento.

Ebbene, non vi è dubbio che, date tali premesse, i margini per incardinare un'iniziativa risarcitoria risultino particolarmente circoscritti.

Sul punto, invero, non potremmo omettere di considerare come in ambito civile sia pienamente ammesso il ricorso alle presunzioni purché “gravi, precise e concordanti” (art. 2729 c.c.). In tal senso, si pensi all'ipotesi in cui un alunno inizi a manifestare i primi sintomi della malattia ed il docente di turno non si attivi per assumere tempestivamente le iniziative prescritte dal Protocollo del 6 agosto 2020 siglato dal Ministero e dai Sindacati di categoria (e cioè l'isolamento immediato): ebbene, non sarebbe irragionevole presumere che il successivo contagio di altri alunni della medesima classe – laddove intervenuto in un lasso di tempo breve - sia stato causato proprio dall'omissione “qualificata” del docente e, pertanto, in un simile caso sussisterebbero gli estremi per provare a fornire una spiegazione causale quantomeno plausibile.

D'altro canto, risulta piuttosto evidente come quello appena esemplificato rappresenti - sia concesso il calembour – un “caso di scuola”, da cui potrebbe originare un'iniziativa non del tutto claudicante, ma comunque incerta nei suoi esiti.

Proprio in tal senso, non si teme smentita nell'affermare che le preoccupazioni manifestate dal personale scolastico (e in particolare dai docenti) attengano non tanto al rischio di responsabilità in sé considerato, quanto all'eventualità - non meno spiacevole - di ritrovarsi coinvolti in una qualche vicenda giudiziaria (e ciò a prescindere dalla fondatezza o meno della pretesa attorea).

Ebbene, non vi è dubbio che un simile rischio si riveli tanto più concreto e attuale in un'epoca in cui la litigiosità “di matrice risarcitoria” risulta sempre più diffusa (come testimoniato, del resto, proprio dalle le vicende che hanno interessato negli ultimi vent'anni il comparto della responsabilità medica).

Nondimeno, rispetto a tale scenario, non potremmo omettere di considerare come l'ordinamento, con stupefacente anticipo rispetto alle “celebrate” novità normative introdotte dalla c.d. riforma Gelli in ambito sanitario, già contemplasse una norma di assoluto favore per il personale scolastico.

Ci riferiamo all'art. 61 d.P.R. n. 312/1980 in cui si dispone “la responsabilità patrimoniale del personale direttivo, docente, educativo e non docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali per danni arrecati direttamente all'Amministrazione in connessione a comportamenti degli alunni è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilanza sugli alunni stessi” (comma 1); e ancora, che “la limitazione di cui al comma precedente si applica anche alla responsabilità del predetto personale verso l'Amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza. Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, l'Amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi“.

In altri termini, volendo “sintetizzare” le disposizioni in commento, il personale (si badi “direttivo, docente, educativo e non docente”) può essere chiamato a rispondere dei danni patiti dagli alunni nei limiti del dolo o della colpa grave e, in ogni caso, solo in sede di eventuale rivalsa per danno erariale.

Ed infatti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass, civ., sent. n. 9346/2002) hanno avuto modo di chiarire, che la norma, nell'affermare che “l'Amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi ... esclude in radice la possibilità che gli insegnanti statali siano direttamente convenuti da terzi nelle azioni di risarcimento danni da culpa in vigilando”; e ancora, che tale esclusione si applica non solo nel caso di azione di risarcimento per danni arrecati, durante l'orario scolastico, da un alunno ad un altro alunno, ma altresì nell'ipotesi di danni arrecati dall'allievo a sé stesso (e, dunque, anche nell'ipotesi in cui sia l'alunno a esporsi volontariamente al contagio).

Ci ritroviamo al cospetto, dunque, di una norma ancor più incisiva rispetto alle tutele introdotte in favore del personale sanitario dalla riforma Gelli, atteso che tale ultimo intervento normativo (modificando il titolo della responsabilità del medico ausiliario, da contrattuale in extra-contrattuale) si è posta il mero obiettivo di “deviare” il contezioso giudiziario verso le strutture, mantenendo comunque ferma la legittimazione passiva del professionista coinvolto; in ambito scolastico, è invece escluso fermamente che il docente (l'ausiliario, appunto) possa essere convenuto dal terzo. Oltretutto (ed anche questa costituisce un'ulteriore differenza rispetto all'assetto di responsabilità così come delineato dalla riforma Gelli in ambito sanitario), la Cassazione ha altresì chiarito che, pur a fronte dell'intervenuto riconoscimento della personalità giuridica agli istituti scolastici (art. 21 L. n. 59 del 1997), il personale ivi impiegato si trova comunque “in rapporto organico con l'Amministrazione della Pubblica Istruzione dello Stato e non con i singoli istituti”: per l'effetto, “essendo riferibili direttamente al Ministero della Pubblica Istruzione e non ai singoli istituti gli atti, anche illeciti, posti in essere dal menzionato personale, sussiste la legittimazione passiva del Ministero ... mentre difetta la legittimazione passiva dell'istituto” (Cass. civ., n. 9752/2005).

In altri termini, il Ministero dell'Istruzione assume, almeno nei confronti degli alunni, il ruolo di “unico centro di imputazione” dei rischi di responsabilità afferenti all'esercizio dell'attività scolastica e ciò potrebbe apparire tanto più giustificato con speciale riguardo ad un rischio pressoché “ingovernabile” quale appunto quello di contagio da COVID.

Giusto per completezza, teniamo comunque ad evidenziare come la previsione di cui all'art. 61 d.P.R. n. 312/1980, si applichi al solo personale impiegato negli istituti statali (con esclusione, quindi, delle scuole private nonché di quelle pubbliche locali – cfr. Cass. civ., n. 9758/2005). Per l'effetto, nel caso di contagio avvenuto, ad esempio, all'interno di scuole per l'infanzia istituite a livello comunale, ben potrebbe accadere che il personale ivi impiegato possa essere chiamato a rispondere unitamente al Comune (ferma, ovviamente, l'applicazione degli artt. 22 e 23 d.P.R. n. 3/1957 in materia di responsabilità erariale del personale pubblico).

Tutela INAIL per contagio del personale e responsabilità datoriale

Dopo aver brevemente analizzato i possibili profili di responsabilità connessa ad un eventuale contagio tra gli alunni, passiamo ora ad affrontare un'altra legittima “preoccupazione” che affligge il personale scolastico e cioè quella di contrarre il virus nello svolgimento delle proprie mansioni. Ma sul punto, invero, è già possibile rinvenire indicazioni particolarmente specifiche, tanto nella decretazione d'urgenza quanto nella normativa di dettaglio.

Dapprima è intervenuto l'art. 42 comma 2 D.L. 18/2020 il quale dispone: “nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all'INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell'infortunato … Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell'infortunato con la conseguente astensione dal lavoro … La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati”.

Successivamente, la circolare n. 13 del 3 aprile 2020 ha poi chiarito come la scelta legislativa di tutelare il contagio alla stregua di un infortunio si ponga in continuità con quell'orientamento giurisprudenziale che equipara a causa violenta d'infortunio anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomico-fisiologico (ex multis, Cass. civ., n. 9968/2005).

E ancora, sempre quella circolare ha avuto modo di evidenziare che “nell'attuale situazione pandemica, l'ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico. Per tali operatori vige, quindi, la presunzione semplice di origine professionale, considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari vengano a contatto con il nuovo coronavirus. A una condizione di elevato rischio di contagio possono essere ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l'utenza. In via esemplificativa, ma non esaustiva, si indicano: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all'interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc. Anche per tali figure vige il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari”.

Ora, è evidente come la circolare non contempli la categoria del personale scolastico, atteso che – al tempo della sua pubblicazione - le attività didattiche “in presenza” erano già state sospese; d'altro canto, proprio sulla scorta dei numeri citati in premessa (supra § 1), è ragionevole ritenere che oggi il personale scolastico debba essere incluso a pieno titolo tra le categorie professionali ad “elevato rischio”. In ogni caso, nella successiva circolare n. 22 del 20 maggio 2020 INAIL ha altresì chiarito che “il riconoscimento dell'origine professionale del contagio, si fonda ... su un giudizio di ragionevole probabilità”: in altri termini, ai fini del riconoscimento delle prestazioni INAIL, l'accertamento dell'origine professionale del contagio risulterebbe soggetto a regole meno stringenti rispetto a quelle che dovrebbero applicarsi in un giudizio di responsabilità (supra § 2). Tant'è che, nel medesimo provvedimento, l'Istituto ha tenuto espressamente a “sottolineare l'indipendenza logico-giuridica del piano assicurativo da quello giudiziario”.

Segue. Contagio del personale e responsabilità del dirigente scolastico

A fronte delle già segnalate difficoltà di provare il momento esatto del contagio, si potrebbe affermare - anche con riguardo alla posizione del datore di lavoro - che un rischio di responsabilità per i danni patiti (in questo caso dal personale) possa prospettarsi solo a fronte di una “crassa” violazione delle regole cautelari volte alla prevenzione del rischio di contagio.

A confermare tale ricostruzione è intervenuto l'art. 29-bis comma 1 D.L. 23/2020 (“Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da COVID-19") che dispone quanto segue:

ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all'obbligo di cui all'articolo 2087 del codice civile mediante l'applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all'articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l'adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Evidente l'assonanza, anche in questo caso, tra la disposizione in commento e l'art. 6 Legge Gelli (che invero esplica la propria portata esclusivamente in ambito penale); in ogni caso, la norma risulta piuttosto inequivoca nell'escludere qualsivoglia responsabilità per coloro che applichino fedelmente i protocolli/linee guida ivi richiamati e ciò potrebbe in parte “alleviare” la posizione dei dirigenti scolastici, i quali devono essere considerati a tutti gli effetti “datori di lavoro”: dispone, infatti, l'art. 2 d.lgs. n. 81/2008 (recante norme “in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”) che “nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [n.d.r. tra cui appunto gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative] per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione”.

Invero, rispetto a tale conclusione occorre considerare come in ambito lavoristico la Cassazione abbia talvolta escluso la legittimazione passiva del dirigente scolastico anche solo come rappresentante dell'istituto (cfr. Cass. civ., n. 6460/2009). In altri termini, nelle controversie relative ai rapporti di lavoro, sussisterebbe la sola legittimazione passiva del Ministero (cfr. Cass. civ., n. 6372/2011) e, per l'effetto, ci ritroveremmo di fronte ad uno scenario processuale non dissimile da quello descritto in precedenza con riguardo ai giudizi risarcitori introdotti da terzi (supra § 2),

Ora, pare a chi scrive che tale difetto di legittimazione possa essere invocato nei limiti in cui ad agire sia il lavoratore (ad esempio per ottenere il risarcimento del c.d. danno differenziale) e ferma in ogni caso la successiva (ed eventuale) rivalsa erariale nei confronti del dirigente per quanto versato dal Ministero in favore del dipendente/danneggiato. D'altro canto, occorre considerare come, oltre al diritto risarcitorio vantato dal lavoratore, sussista altresì il distinto ed autonomo diritto di INAIL ad agire in via di regresso ex art. 11 D.P.R. 1124/1965 nei confronti dei soggetti responsabili dell'infortunio per ottenere la refusione degli importi liquidati a seguito dell'infortunio.

Ebbene non vi è dubbio che tra il Testo Unico INAIL ed il successivo D. Lgs. 81/2008 sussista un evidente collegamento teleologico, atteso che il secondo disciplina gli obblighi che gravano sul datore e che sono finalizzati proprio alla prevenzione dell'infortunio o della malattia (tant'è che l'art. 10 D.P.R. 1124/1965 dispone espressamente che “l'assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro”, salvo appunto i casi accertati di responsabilità per i quali è previsto il regresso).

Alla luce di quanto sopra, pertanto, ben si potrebbe ritenere che il dirigente scolastico sia legittimato passivo quantomeno alla rivalsa di INAIL ed è dunque rispetto a tale scenario che l'art. 29-bis D.L. 23/2020 potrebbe dispiegare la propria utilità.

Resta nondimeno da approfondire un'ultima questione.

Segue. Sull'applicazione ratione temporis delle norme richiamate

Tanto l'art. 42 D.L. 18/2020 quanto l'art. 29-bis D.L. 23/2020 nulla dispongono circa la propria applicazione temporale.

Nondimeno, è noto come la lunga serie di provvedimenti d'urgenza adottati dal Governo al fine di contenere la diffusione del COVID (tra cui, appunto, quelli citati in precedenza) si inscrivano all'interno di uno “stato emergenziale” che è stato deliberato in data 30 gennaio 2020 e che è stato sì prorogato, ma solo fino al giorno 15 ottobre 2020, con ulteriore delibera del 29 luglio 2020.

Per l'effetto, una ricostruzione sistematica della più recente evoluzione normativa dovrebbe indurre a ritenere che, alla cessazione dello stato di emergenza, debba del tutto naturalmente conseguire la caducazione delle norme qui esaminate.

Invero, è notizia di qualche giorno fa quella secondo cui il Governo starebbe valutando di prorogare ulteriormente lo stato di emergenza; in ogni caso, quand'anche le norme di cui sopra venissero effettivamente caducate, occorre considerare quanto segue.

Almeno per quel che attiene al riconoscimento delle prestazioni INAIL in favore del personale, noteremo come l'orientamento giurisprudenziale che equipara il contagio da COVID all'infortunio si fosse affermato in un contesto normativo che negava tutela alle malattie non espressamente contemplate dal d.P.R. n. 1124/1965; d'altro canto, la Corte Costituzionale ha già da tempo ricompreso nell'ambito della copertura INAIL anche le malattie non tabellate (cfr. Corte Cost. n. 179/1988). Pare dunque a chi scrive che, già allo stato attuale della legislazione, il contagio da COVID ben possa essere gestito, ai fini dell'assicurazione obbligatoria, alla stregua di una malattia professionale non tabellata ma pienamente indennizzabile.

Quanto invece all'eventuale caducazione dell'art. 29-bis D.L. 23/2020, rileveremo come, anche più di recente, la Corte di Cassazione abbia espressamente chiarito che il “semplice verificarsi del danno” non consente di per sé di affermare “l'inadeguatezza delle misure di protezione adottate”, atteso che l'art. 2087 c.c. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva;al contrario, è necessario verificare “che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto” (Cass. civ. n. 3282/2020).

Per l'effetto, anche a prescindere dalla caducazione della norma esaminata, il rispetto dei protocolli ivi richiamati ben potrebbe mandare esente da responsabilità il dirigente/datore. In ogni caso, non potremmo omettere di considerare che, ai fini dell'applicazione della norma, risulterebbe pur sempre necessario un accertamento in concreto dell'osservanza di detti protocolli; per l'effetto, la disposizione non recherebbe comunque l'effetto auspicato e cioè quello di “scudare” il datore - non solo da un'eventuale condanna, ma prima ancora - da qualsivoglia iniziativa giudiziaria nei suoi confronti.

Gestione del rischio e ricorso allo strumento assicurativo privato

Giunti a questo punto della nostra trattazione, occorre muovere un passo indietro e tornare brevemente a quanto riferito in precedenza circa i possibili profili di responsabilità in capo ad istituzioni e personale scolastico per il caso di contagio tra gli alunni.

Un'eventuale azione di responsabilità, lo si è visto, imporrebbe al danneggiato di assolvere ad oneri di allegazione e di prova alquanto stringenti. Per l'effetto, il rischio che le istituzioni ed il personale scolastico vengano chiamati a rispondere del contagio eventualmente patito dagli alunni potrebbe essere ritenuto residuale.

D'altro canto, guardando al fenomeno nel suo complesso, non potremmo neppure omettere di considerare che la ricostruzione sopra operata, se da un lato può risultare più o meno “rassicurante” per istituzioni e docenti, dall'altro si rivela piuttosto insoddisfacente per gli alunni, i quali – fatta appunto eccezione per alcune fattispecie “eclatanti” di responsabilità – si ritroverebbero pressoché sprovvisti di tutela. E proprio in tal senso, pur volendo e dovendo rifuggire da perniciose derive risarcitorie, tanto più inaccettabili in un momento storico segnato da una grave crisi economica e sociale, rileveremo come il giurista non possa certo sottovalutare le legittime aspettative di coloro (gli alunni) che, in ogni caso, si ritrovano esposti quotidianamente al rischio di patire un pregiudizio alla propria salute.

Ebbene, in tale prospettiva, non parrebbe poi peregrino attendersi che siano le istituzioni scolastiche, proprio perché di fatto impossibilitate a gestire compiutamente un rischio “ingovernabile” (quale appunto quello di contagio), a provvedere in favore della popolazione studentesca, procurando agli alunni un qualche strumento di tutela alternativo. Ed invero, è prassi piuttosto diffusa quella secondo cui il dirigente scolastico, nell'esercizio delle proprie funzioni gestionali, stipuli ai sensi dell'art. 1891 c.c. una polizza infortuni nell'interesse degli alunni. Ma sul punto occorre procedere con alcune puntualizzazioni.

Segue. Contagio da COVID e polizze infortuni private

È noto come a seguito dell'introduzione dell'art. 42 D.L. 18/2020 (supra § 3) si sia dibattuto sulla corretta definizione di infortunio e sulla possibilità di ritenervi ricompreso, anche nell'ambito delle polizze private, il contagio da COVID.

In particolare, secondo alcuni il contagio da virus non rivestirebbe i caratteri tipici dell'infortunio (violenza, esteriorità e fortuità dell'evento) così come declinato nelle più diffuse definizioni di polizza e percepito, oltretutto, dal “comune cittadino” (in tal senso su questa rivista RONCHI E., L'angelo custode, gli infortuni e le infezioni nell'assicurazione privata, 1° luglio 2020); al contrario, secondo altri autori, tali caratteri sarebbero riscontrabili anche nella causa “infettiva” e ciò proprio in forza di quella tesi che è stata poi propugnata dalla Cassazione al fine di riconoscere la tutela assicurativa obbligatoria anche alle malattie non tabellate (supra § 3.2).

Ora, pur lasciando in disparte la diatriba di natura medico-legale (che dovrà essere più compiutamente affrontata dagli esperti di quella materia), in questa sede non potremmo omettere di considerare come entrambi gli orientamenti richiamati abbiano il pregio di addurre, a favore delle rispettive conclusioni, alcuni argomenti alquanto suggestivi che qui meritano di essere debitamente riportati. Ed infatti:

  • da un lato è stato evidenziato che la riconduzione del contagio alla definizione di infortunio provocherebbe un sensibile incremento delle richieste d'indennizzo (anche a fronte di infezioni determinate da batteri o virus differenti dal COVID) con non trascurabili impatti sulla sana e prudente gestione dell'impresa assicurativa;
  • dall'altro, è stato rilevato come i più diffusi formulari di polizza, nell'escludere espressamente la copertura in caso di determinate malattie, confermino a contrario che il contagio è del tutto naturalmente ricompreso nella definizione di infortunio (in tal senso su questa rivista ZOJA R., SARS-Co-V2 ed infortunio nell'assicurazione privata: annotazioni medico-legali, 19 maggio 2020).

In definitiva, allo stato dell'arte la questione potrebbe risultare pressoché imprendibile. D'altro canto, coglie nel segno il rilievo di un autore che sottolinea come i dati ad oggi disponibili riferiscano che il virus ha colpito in prevalenza soggetti già affetti da patologie pregresse: pertanto, quand'anche si volesse includere il contagio da virus nella definizione di infortunio, in molti casi i sinistri denunciati non potrebbero comunque essere considerati conseguenza “unica, diretta ed esclusiva” così come richiesto sovente dalle condizioni di polizza (in tale senso, su questa MASTROROBERTO L., Polizza infortuni e infezione da Covid-19 nel D.L. n. 18/2020 e nella circolare INAIL n. 3675/2020, 21 aprile 2020).

In ogni caso, rileveremo come, già nel corso del lockdown, numerose compagnie abbiano collocato sul mercato alcune specifiche soluzioni assicurative – anche solo in forma di integrazione/estensione di polizze già vigenti - che riconoscono all'assicurato (il quale abbia contratto il COVID) prestazioni temporanee per i giorni di ricovero e di convalescenza (ad oggi, infatti, non è dato conoscere con esattezza di postumi permanenti connessi all'infezione e ciò anche in quei casi più gravi che hanno richiesto trattamenti sanitari intesivi).

In conclusione, anche a prescindere dagli esiti del dibattito dottrinale di cui sopra, sul mercato assicurativo sono dunque disponibili alcuni strumenti contrattuali che ben potrebbero essere impiegati dalle medesime istituzioni scolastiche per restituire ai potenziali danneggiati una forma di tutela altrimenti negata. Ed anzi, diremmo che la stipulazione in favore degli alunni da parte degli istituti scolastici consentirebbe di meglio allocare il rischio, ponendo gli oneri connessi al pagamento del premio sul soggetto più capiente (ai sensi dell'art. 1891 comma 1 c.c.il contraente deve adempiere gli obblighi derivanti dal contratto, salvi quelli che per loro natura non possono essere adempiuti che dall'assicurato”).

Ma anche su questo ulteriore aspetto occorre un'ultima riflessione di stretto diritto.

Segue. Assicurazione del rischio COVID e pagamento del premio assicurativo: l'art. 3, comma 59 L. 244/2007 (c.d. “Finanziaria 2008”)

La norma appena richiamata dispone espressamente che “è nullo il contratto di assicurazione con il quale un ente pubblico assicuri propri amministratori per i rischi derivanti dall'espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica e riguardanti la responsabilità per danni cagionati allo Stato o ad enti pubblici e la responsabilità contabile ... in caso di violazione della presente disposizione, l'amministratore che pone in essere o che proroga il contratto di assicurazione e il beneficiario della copertura assicurativa sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l'ammontare dei premi complessivamente stabiliti nel contratto medesimo”.

La ratio della disposizione risulta abbastanza evidente: dev'essere fermamente escluso che possa gravare sul bilancio di un'istituzione pubblica (nel nostro caso l'istituto scolastico) il premio della polizza assicurativa a copertura di eventuali responsabilità del personale direttivo (ma lo stesso potrebbe dirsi per il corpo docente) nei confronti dell'erario.

D'altro canto, non vi è dubbio che l'avvenuta stipulazione di una polizza infortuni collettiva - quantomeno in quei casi in cui possa prospettarsi una qualche responsabilità del personale scolastico - potrebbe dissuadere l'alunno dall'agire nei confronti del Ministero (unico legittimato passivo), dal momento che la prestazione conseguita presso l'assicuratore potrebbe essere ritenuta già satisfattiva (e ciò a maggior ragione alla luce dei rischi processuali connessi ad un'eventuale iniziativa risarcitoria). In altri termini, l'effetto indiretto di tali stipulazioni potrebbe essere quello di favorire, in ultima istanza, l'ausiliario/responsabile, che a quel punto non patirebbe alcuna rivalsa erariale.

Almeno in questi termini, pertanto, la stipulazione di una polizza infortuni (formalmente nell'interesse degli alunni) potrebbe risultare latamente elusiva della norma sopra richiamata e, dunque, configurare un negozio in frode alla legge (art. 1344 c.c.).

Sul punto, invero, non potremmo omettere di considerare come il pagamento dell'indennizzo non estingua il debito risarcitorio, ma, al contrario, determini ai sensi dell'art. 1916 c.c. la surrogazione dell'assicuratore nei diritti del danneggiato verso il responsabile (anche in tale ipotesi, ovviamente, unico legittimato passivo resterebbe il Ministero, atteso che la surrogazione comporta il trasferimento del medesimo diritto che il danneggiato – e cioè l'alunno – vanta nei confronti dei responsabili; nondimeno, l‘esborso del Ministero in favore dell'assicuratore ben potrebbe a quel punto determinare l'avvio del procedimento erariale nei confronti dell'ausiliario).

Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che in materia tributaria (e, dunque, in un ambito in cui viene in rilievo, al pari di quello amministrativo-contabile, il più generale interesse dell'erario) un'operazione contrattuale dev'essere ritenuta nulla ai sensi dell'art. 1344 c.c. solo nell'ipotesi in cui sia stata posta in essere con l'unico scopo di eludere la legge fiscale (Cass. civ., Sez. Un., n. 15029/2009). Al contrario, lo si è detto, una stipulazione nell'interesse degli studenti potrebbe avere un effetto solo latamente elusivo; in ogni caso, sarebbe comunque sorretta da una finalità certamente meritevole di tutela (art. 1322 c.c.) e cioè quella di offrire agli alunni una specifica tutela in caso di contagio.

Conclusioni

Alla luce di quanto sopra e pur senza pretesa di esaustività, par dunque di poter concludere che, allo stato attuale della legislazione, “non essendo possibile pretendere negli ambienti di lavoro il rischio zero” (per citare le parole di INAIL), le istituzioni scolastiche possano essere chiamate a rispondere dei danni lamentati da alunni e personale solo in ipotesi di responsabilità “conclamata” (fermo, ovviamente, il differente rischio di subire iniziative giudiziali tanto claudicanti quanto strumentali, che purtroppo non possono essere scongiurate in una fase storica segnata da un'elevata litigiosità di matrice risarcitoria).

Al fine di meglio gestire un rischio di per sé ingovernabile (quale appunto quello relativo al contagio da COVID), si potrebbe nondimeno ricorrere allo strumento assicurativo privato, dal momento che lo stesso – come anche dimostrato dall'implementazione della copertura obbligatoria INAIL – ben potrebbe restituire a tutti gli attori dell'attività scolastica (e dunque anche agli alunni) una più rapida e sicura tutela. Ed anzi, parrebbe del tutto coerente con un'equa allocazione del rischio che i costi connessi al reperimento di tali soluzioni assicurative gravino proprio sull'amministrazione scolastica.

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