La riconciliazione non è incompatibile con il rispetto della parte economica dell'accordo di separazione nè con l'accoglimento della modifica delle condizioni

13 Ottobre 2020

È improcedibile la domanda di scioglimento del matrimonio se i coniugi dopo la separazione sono tornati a vivere insieme per anni, pur avendo altre soluzioni abitative. L'eccezione di sopravvenuta riconciliazione non può essere rilevata d'ufficio, non investendo profili di ordine pubblico, ma aspetti strettamente attinenti al rapporto tra coniugi...
Massima

È improcedibile la domanda di scioglimento del matrimonio se i coniugi dopo la separazione sono tornati a vivere insieme per anni, pur avendo altre soluzioni abitative. L'eccezione di sopravvenuta riconciliazione non può essere rilevata d'ufficio, non investendo profili di ordine pubblico, ma aspetti strettamente attinenti al rapporto tra coniugi, in ordine ai quali è onere della parte convenuta eccepire e provare tempestivamente l'avvenuta riconciliazione. Deve inoltre escludersi che il procedimento di modifica delle condizioni di separazione dei coniugi, il cui thema decidendum è rappresentato dall'esistenza di rilevanti mutamenti di fatto delle condizioni poste a base della decisione, comporti anche un accertamento con efficacia di giudicato sull'assenza dell'avvenuta riconciliazione dei coniugi, ove la questione non sia stata posta da alcuna delle parti processuali

Il caso

Nell'anno 2003 era stata omologata la separazione personale di due coniugi, successivamente, nel corso del 2006, in nome e per conto della moglie, un avvocato aveva invitato il marito a valutare la possibilità di proporre un ricorso congiunto per lo scioglimento del vincolo, ma alla richiesta non era seguita alcuna iniziativa giudiziaria. Nell'aprile del 2013 le parti avevano poi depositato un ricorso congiunto per la modifica delle condizioni di separazione, accolto integralmente dal Tribunale.

In seguito, il marito aveva introdotto un giudizio per ottenere la pronuncia di divorzio, ma il Tribunale, accogliendo l'eccezione della moglie resistente, aveva dichiarato improcedibile la domanda per intervenuta riconciliazione delle parti.

La corte d'appello aveva confermato la pronuncia e avverso tale decisione il marito aveva proposto ricorso per cassazione deducendo:

- l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e precisamente, la richiesta della donna di conseguire l'esatto adempimento delle condizioni economiche della separazione, la proposizione di una domanda congiunta di modifica delle condizioni di separazione e, infine, l'invito a procedere al divorzio pervenuto proprio dal difensore della moglie nel 2006;

- la violazione e falsa applicazione degli artt. 157 c.p.c. e 2697 c.c., sia in quanto il giudice dell'appello avrebbe valorizzato esclusivamente il fatto della “coabitazione”, senza considerare che il ricorrente aveva escluso che fra le parti sussistesse il dovere di fedeltà (nel periodo intercorrente tra l'omologa della separazione e l'introduzione del giudizio di divorzio aveva avuto una figlia nata da un'altra donna e aveva riconosciuto la bambina alla nascita), sia perché avrebbe erroneamente posto a carico del marito l'onere di dimostrare l'insussistenza dell'intervenuta riconciliazione, invece di onerare la donna di provare i fatti posti a fondamento dell'eccezione dalla stessa proposta;

- la violazione e falsa applicazione dell'art. 157 c.c., degli artt. 3, n. 2 lett. b, l. n. 898/1970 e 2909 c.c. per non avere tenuto conto del fatto che, per effetto del decreto di accoglimento della richiesta congiunta di modifica delle condizioni di separazione, si era formato il giudicato sull'assenza, in data anteriore a tale provvedimento, della eccepita riconciliazione.

La questione

Quali sono le circostanze di fatto rilevanti al fine di dimostrare l'intervenuta riconciliazione di una coppia, su quale soggetto grava l'onere di provare i fatti costitutivi della riconciliazione e quali sono gli effetti della modifica delle condizioni di separazione.

Le soluzioni giuridiche

Nel procedimento di divorzio, l'art. 3, comma 4, lett. b) l. 1 dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall'art. 5 l . 6 marzo 1987, n. 74) dispone che l'interruzione della separazione, in quanto fatto impeditivo della condizione temporale prevista dalla medesima norma, non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, ma deve essere eccepita dal convenuto, che ha l'onere di provare l'effettiva ripresa di una stabile relazione, e la ricostruzione spirituale e materiale del rapporto coniugale. Nel giudizio di separazione dei coniugi, invece, la riconciliazione integra un'eccezione in senso lato poiché, in relazione al regime previsto dagli artt. 154 e 157 c. ci., non costituisce un fatto impeditivo, ma la sopravvenienza di una nuova condizione, il cui accertamento può avvenire anche d'ufficio da parte del giudice, ancorché sulla base di deduzioni ed allegazioni delle parti (Cass. civ. sez. I, 17 settembre 2014, n. 19535; Tribunale Bari 24 luglio 2018 n. 3244).

Con la pronuncia in commento la Corte di cassazione ha confermato tale orientamento, ribadendo che se effettivamente la corte territoriale avesse onerato il marito di dare la prova – negativa – della insussistenza della riconciliazione, si sarebbe “discostata dal condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità” secondo il quale il giudice non può rilevarla d'ufficio, non investendo essa profili d'ordine pubblico, ma aspetti strettamente attinenti ai rapporti tra i coniugi, ed “è onere della parte convenuta eccepire e conseguentemente provare l'avvenuta riconciliazione” (Cass. 19 novembre 2010, n. 23510).

Nel caso specifico, però, a parere degli ermellini, la corte d'appello non ha posto in essere la lamentata inversione dell'onere della prova, ma ha valutato tutta una serie di circostanze, dedotte e provate dalla moglie resistente, ritenute – con valutazione di fatto non censurabile in sede di legittimità – idonee a dimostrare l'effettiva ripresa della comunione di vita tra i coniugi.

Il ricorrente, in merito, lamentava la mancata ammissione dei capitoli di prova testimoniale dal medesimo articolati nella memoria autorizzata ex art. 183, comma 6 n. 3 C.p.c., ritenuti inammissibili dai giudici di primo grado e di appello perché tardivamente formulati. La richiesta infatti, a parere dei giudici di merito, avrebbe dovuto essere proposta con la seconda memoria autorizzata.

La Suprema Corte, dopo aver ribadito che effettivamente la prova di fatti estintivi dell'eccezione avrebbe dovuto essere richiesta tempestivamente - con la prima memoria istruttoria autorizzata e non in sede di replica - ha precisato comunque che dalla lettura della motivazione della corte territoriale emerge che la decisione non è stata assunta dando esclusivo rilievo alla ripresa della coabitazione (della quale, anzi, era stata confermata l'irrilevanza, se considerata isolatamente), ma che sono stati valorizzati più elementi, ovvero: che la donna era stata “convinta” dal marito a rientrare nell'abitazione coniugale insieme ai figli, che i coniugi avevano condotto una vita comune, avevano trascorso le vacanza insieme, si erano recati insieme dai parenti e insieme li avevano ricevuti nella casa familiare, che entrambi disponevano di risorse economiche sufficienti a permettere di vivere separati in abitazioni diverse, cosicché era da escludersi che la ripresa della convivenza fosse stata determinata da motivi meramente economici.

La Corte ha evidenziato altresì che il fatto che il marito avesse riconosciuto la figlia nata da altra donna non era idoneo a dimostrare che la moglie fosse a conoscenza della relazione extraconiugale, né che l'avesse accettata e tollerata, mentre erano irrilevanti le circostanze di cui ai capitoli di prova non ammessi, in quanto relativi al fatto che i coniugi talvolta avessero trascorso separatamente dei periodi di vacanza e avessero dormito in letti diversi, questo perché dall'istruttoria espletata era emerso chiaramente che la nuova crisi coniugale era stata determinata dalla scoperta della relazione con altra donna, e dalla mancata cessazione di tale frequentazione.

Nell'ordinanza si precisa inoltre che l'adempimento delle condizioni economiche previste nell'accordo di separazione non è di per sé incompatibile con l'intervenuta riconciliazione, poiché il versamento di denaro (in unica soluzione o con pagamenti periodici) può essere espressione dell'adempimento del dovere di contribuzione previsto dall'art. 143 c.c..

In merito alla censura relativa al fatto che non era stata accolta l'eccezione relativa al fatto che l'accoglimento della richiesta congiunta della modifica delle condizioni di separazione aveva implicitamente confermato che tra le parti non era intervenuta riconciliazione, la Suprema Corte ha affermato, in via preliminare, che il marito, pur avendo sollevato l'eccezione di giudicato esterno, non aveva fornito la prova dell'avvenuto passaggio in giudicato del relativo provvedimento, non avendo prodotto la specifica certificazione prevista dall'art. 124 disp. att. c.p.c., non essendo sufficiente, al riguardo, la mancata contestazione della controparte (Cass. 18 aprile 2017, n. 9746).

Si è affermato inoltre che il procedimento di modifica delle condizioni di separazione non determina accertamento con efficacia di giudicato dell'assenza di riconciliazione dei coniugi, se la questione non è stata specificamente dedotta da una delle parti.

Il giudizio di modifica delle condizioni di separazione, infatti, richiede necessariamente la verifica della definitività del titolo della stessa (Cass. 24 luglio 2007, n. 16398), ma non comporta uno specifico accertamento sull'eventuale ripresa della relazione coniugale.

In assenza di precedenti specifici sul punto, la Corte richiama una pronuncia emessa in tema di divorzio, con la quale si era precisato che se le parti non hanno espressamente introdotto questioni relative alla esistenza e validità del matrimonio (che non possono essere adottate incidenter tantum), tali questioni sono un presupposto della sentenza di divorzio, ma nel relativo giudizio non sono oggetto di accertamento suscettibile di giudicato (Cass. 23 marzo 2001, n. 4202).

Analogamente, l'esistenza di una separazione personale tra coniugi è un presupposto della decisione sull'eventuale modifica delle condizioni(Cass., sez. un., 27 luglio 1993, n. 8389), ma il giudizio relativo alla modifica non contiene alcuna statuizione idonea al giudicato relativa al perdurare della separazione, ciò in quanto l'oggetto della procedura di modifica è il mutamento della situazione di fatto esistente al momento della separazione, verificatosi in epoca successiva alla definitività della relativa sentenza, mentre tutte le altre questioni sono escluse da giudizio, e pertanto non possono essere oggetto di accertamento.

Osservazioni

L'ordinanza in commento ribadisce i principi che informano l'istituto della riconciliazione, con particolare riferimento al rilievo da dare alla ripresa della coabitazione. Si ricorda al riguardo che sin dal 2000 (Cass. civ., sez. I, 20 marzo 2000 n. 3323) la Suprema Corte aveva chiarito che la semplice ripresa della convivenza non poteva essere considerata idonea a dimostrare l'effettiva ripresa della comunione di vita materiale e spirituale, e il principio è stato poi ribadito con la decisione Cass. civ., 24 dicembre 2013, n. 28655.

In seguito, con ordinanza del 06 giugno del 2017, il Tribunale di Como (Trib. Como 6 giugno 2017) ha precisato che un accordo di separazione non può essere omologato se prevede che le parti debbano continuare a coabitare per un tempo indeterminato e, infine, il Tribunale di Terni (Trib. Terni 5 marzo 2020) ha affermato che la coabitazione di coniugi legalmente separati può non determinare riconciliazione se sussiste una motivazione esplicita e legittima che giustifichi la ripresa della sola convivenza (nel caso specifico i genitori avevano chiesto di poter tornare a vivere insieme esclusivamente nell'interesse del figlio minore affetto da una grave patologia).

La decisione in commento si inserisce nel solco di tale giurisprudenza, ribadendo che di per sé il dato della ripresa della convivenza può essere del tutto irrilevante, e, pur affermando che le censure del ricorrente si riferiscono a valutazioni di fatto, non proponibili con il giudizio di legittimità, il giudice delle leggi entra comunque nel merito per precisare che le circostanze dedotte dalla parte che ha eccepito la riconciliazione sono state correttamente valutate e che dall'istruttoria sono emersi elementi - ulteriori rispetto alla mera ripresa della coabitazione - idonei a dimostrare che si era ricostituita la comunione materiale e morale tipica del vincolo coniugale.

Anche in punto di onere della prova la decisione non si discosta dai principi generali, ribadendo che la parte che solleva un'eccezione deve provarne i relativi fatti costitutivi, ciò che incuriosisce, al di là dell'affermazione di principio è la declaratoria di inammissibilità delle prove perché tardive.

Non è dato sapere nel dettaglio quali sono i capitoli non ammessi – solo incidentalmente ai si afferma che sarebbero comunque irrilevanti perché volti a dimostrare che talvolta le parti avevano trascorso vacanze separate e non avevano dormito insieme – ma non può sfuggire che se l'onere della prova di dimostrare l'intervenuta riconciliazione gravava sulla moglie che l'aveva eccepita, l'eventuale prova contraria ben poteva essere dedotta con la memoria autorizzata ai sensi dell'art. 183, comma 6 c.p.c. n. 3 che, appunto, è finalizzata all'articolazione di tali specifiche prove.

Per quanto riguarda infine l'eccezione di giudicato, parimenti la Corte di cassazione ha fatto corretta applicazione delle regole processuali generali: in applicazione dell'art. 34 c.p.c. infatti non si può ritenere che l'accertamento dell'assenza di riconciliazione costituisca una questione pregiudiziale che il giudice della modifica delle condizioni è chiamato a decidere con efficacia di giudicato. L'unico presupposto che il giudice deve verificare, infatti, è la definitività della sentenza o del decreto di omologa della separazione, e la successiva intervenuta modifica delle condizioni di fatto che avevano determinato le parti a regolare i loro rapporti in un certo modo.

È certamente curioso che una coppia che si è riconciliata ritenga necessario formalizzare con un ricorso congiunto la modifica dell'assetto che si era data al momento della separazione, ma è comunque possibile che la domanda si sia resa necessaria per fini diversi.

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