Adozione in casi particolari, vincolo di parentela e di fratria

Alberto Figone
19 Ottobre 2020

Con la dichiarazione di adozione ex art. 44 lett. d) della l. 184/1983, da parte di una donna, del figlio generato dalla compagna, secondo un progetto genitoriale condiviso, può essere dichiarata l'estensione del vincolo di parentela del minore con i figli dell'adottante.
Massima

Con la dichiarazione di adozione ex art. 44 lett. d) della l. 184/1983, da parte di una donna, del figlio generato dalla compagna, secondo un progetto genitoriale condiviso, può essere dichiarata l'estensione del vincolo di parentela del minore con i figli dell'adottante.

Il caso

Tizia a Caia, legate affettivamente e conviventi, intendono realizzare un progetto di genitorialità. Si rivolgono quindi ad una clinica straniera, dove Tizia si sottopone a fecondazione eterologa con seme di donatore ignoto, all'esito della quale nasce una bambina. Successivamente anche Caia si sottopone alla medesima tecnica e nascono due gemelli. Caia chiede al Tribunale minorile di adottare la figlia di Tizia, e di riconoscere alla bambina un vincolo di parentela con i propri figli. Entrambe le domande sono accolte.

La questione

L'adozione in casi particolari, pronunciata ex art. 44 lett. d) della l. 184/1983, all'interno di una coppia same sex, comporta l'instaurazione di un vincolo di parentela tra l'adottando ed i figli dell'adottante?

Le soluzioni giuridiche

In questi ultimi anni si è manifestata una rinnovata attenzione nei confronti dell'adozione in casi particolari, nella fattispecie di cui alla lett. d) dell'art. 44 l. 184/1983, quale strumento per realizzare quella che, con termine più generale, viene definita “omogenitorialità” (da ultimo v. Montalcini G., Omogenitorialità: ultime novità, stato civile e prospettive di armonizzazione europea, in IlFamiliarista.it). L'adozione in casi particolari, che si distingue da quella “piena” (a suo tempo “legittimante”), può prescindere dall'esistenza dello stato di abbandono del minore, rilevando altri e diversi presupposti. Quella sub d) del cit. art. 44 si riferisce infatti all'impossibilità di affidamento preadottivo che, nell'interpretazione giurisprudenziale, si riferisce tanto ad un'impossibilità di fatto quanto ad una di diritto, avuto riguardo alla mancanza di stato di abbandono di un minore il quale abbia instaurato una relazione significativa con il partner del genitore biologico (se invece si fosse in presenza di matrimonio, la fattispecie rilevante sarebbe quella sub b) dell'art. 44). A base dell'adozione in casi particolari vi è la rispondenza all'interesse del minore, che il tribunale deve valutare. Dopo le prime pronunce del Tribunale per i minorenni di Roma, seguite da diverse altre, la stessa Corte di Cassazione, Cass. 22 giugno 2016, n. 12962 (Fasano A., Anche la Cassazione riconosce la stepchild adoption, in IlFamiliarista.it) ha legittimato quella che, con terminologia anglosassone poco coerente viene solitamente definita come stepchild adoption. La sentenza annotata ripercorre con precisione l'evoluzione di questo orientamento giurisprudenziale.

In oggi, il ricorso all'art. 44 lett. d) della l. 184/1983 rappresenta lo strumento “ordinario”, per attribuire ad una coppia (per lo più composta da due donne, ma non sono mancate fattispecie di coppie formate da due uomini: cfr. ad es. Trib. min. Bologna 7 luglio 2017, con nota Figone A., Adozione coparentale per le coppie same sex: prevale l'interesse del minore ad avere due genitori, in IlFamiliarista.it) un rapporto di comune genitorialità sui figli nati da un progetto familiare condiviso e venuti al mondo, rispettivamente, tramite fecondazione artificiale con seme di donatore anonimo, piuttosto che di maternità surrogata con seme di uno dei componenti della coppia maschile. In giurisprudenza si è anche dichiarata contestualmente l'adozione in casi particolari “incrociata”, da parte di due donne, rispettivamente quanto al figlio concepito dall'altra (App. Milano 9 febbraio 2017, con nota di Winkler M., Adozione in casi particolari e coppie dello stesso sesso: si pronuncia la Corte d'appello di Milano in IlFamiliarista.it).

Come è noto, la disciplina dell'adozione in casi particolari è strutturata in buona parte sulla base di quella di persona maggiore di età. L'art. 55 l. 184/1983 richiama infatti diverse norme di quel regime, attesa una parziale identità di ratio, ben diversa da quella propria dell'adozione legittimante o piena. L'adozione di maggiorenni, per sua natura finalizzata storicamente alla trasmissione del cognome e del patrimonio, prescinde del tutto da uno stato di abbandono ed instaura una relazione parafamiliare tra le parti, senza che si instaurino rapporti di parentela con le rispettive famiglie, come prevede l'art. 300 comma 2 c.c.. Similmente l'adozione ex art. 44 l. 184/1983 non rescinde i rapporti tra il minore e la propria famiglia, ma formalizza gli obblighi di cura, assistenza e mantenimento di cui l'adottante intende farsi carico nei confronti dell'adottato, il quale ne assume il cognome.

L'art. 1 della l. 219/2012 di riforma della filiazione ha novellato l'art. 74 c.c. ed ha optato per una definizione di parentela, conforme al comune sentire, come vincolo tra persone che discendono da uno stesso stipite, a prescindere dalle condizioni della nascita (all'interno, ovvero al di fuori del matrimonio) ed anche in caso di filiazione adottiva, con la previsione che il vincolo non sorge in caso di adozione di maggiorenni. La riforma, in attuazione dello status unico di figlio, ha così inteso attribuire giuridica rilevanza a quella che in precedenza veniva definita come parentela naturale, sulla cui esistenza molto si era discusso. Nulla di specifico è previsto in ordine all'adozione in casi particolari. La dottrina si è subito interrogata se la predetta esclusione della rilevanza della parentela potesse valere anche per essa, assumendo posizioni diverse, distinguendo anche fra le varie fattispecie contemplate dall'art. 44 l. 184/1983. Vero è infatti che in base alla lett. d), come si è visto, in questi ultimi anni si è attribuito un particolare status filiationis all'interno di quelle coppie, strutturate su una relazione same sex, biologicamente incapaci di procreare. L'adozione ha perso così finalità assistenziali, ovvero rispondenti all'interesse dell'adottante di tipo patrimoniale (la trasmissione del patrimonio mortis causa, usufruendo altresì di un regime fiscale agevolato), ovvero personale (la trasmissione del cognome che l'adottato antepone a quello che gli appartiene per nascita). La problematica della parentela ha assunto poi ulteriore rilevanza quanto ai rapporti di “fratria” in casi come quello esaminato dalla sentenza in commento di adozioni “incrociate”. Una lettura strettamente legata al rigoroso disposto normativo dovrebbe arrivare all'esclusione di detti rapporti, pur avendo i figli in comune gli stessi genitori, ma con ruoli invertiti (uno biologico ed uno adottivo). È peraltro ipotizzabile, come con precisione affermato dalla pronuncia in commento, un diverso percorso interpretativo, declinato sulla base della disciplina costituzionale e della CEDU, che riconosca giuridica rilevanza ad un modello familiare basato su un progetto condiviso di genitorialità, piuttosto che sul vincolo genetico.

Osservazioni

La sentenza in esame è particolarmente significativa, perché affronta una questione inedita in giurisprudenza, circa i possibili rapporti di parentela tra adottato e parenti dell'adottante (nella specie, i figli) in caso di adozione in casi particolari. In tale prospettiva, minor rilevanza assume l'aspetto (preliminare) dell'accesso all'adozione, ai sensi dell'art. 44 lett. d) l. 184/1983, del figlio nato all'interno di una coppia same sex, da parte del partner del genitore biologico, in conformità ad un progetto familiare condiviso. Sul tema infatti già ha avuto occasione di pronunciarsi in senso favorevole la giurisprudenza sia di merito che di legittimità, come puntualmente tiene a rimarcare il Tribunale bolognese; in oggi si può dire che l'adozione in questione rappresenti il “minimo sindacale” per l'instaurazione di un rapporto genitoriale in un contesto in cui la nascita è frutto della volontà consapevole della coppia di avere un figlio in comune, piuttosto che di un legame biologico.

L'approccio alla questione, come già in precedenza osservato, muove da una rivalutazione dell'adozione in casi particolari, operata tanto dal legislatore, quanto dalla giurisprudenza e dalla dottrina in questi ultimi anni. Introdotta nel 1983, agli artt. 44 e segg., questa forma di adozione, priva di effetti “legittimanti”, rappresentava per i minori, l'omologo dell'adozione, originariamente “ordinaria”, dei maggiorenni. Escluso per lo più lo stato di abbandono morale e materiale (nel qual caso si sarebbe dovuto aprire un procedimento volto a farne dichiarare lo stato di adottabilità), un minore poteva essere inserito con un titolo giuridicamente rilevante in una famiglia, composta da due coniugi (con effetti adottivi nei confronti di entrambi), ma anche presso una persona singola, ovvero una comunità di tipo familiare: una platea di soggetti molto più ampia rispetto a quella di cui all'art. 6 della l. 184/1983. Proprio i “casi particolari”, contemplati nell'originaria formulazione della norma davano atto della funzione vicaria di assistenza, cura e mantenimento che l'adottante assumeva in luogo (o in affiancamento) della famiglia d'origine del minore, il quale non recideva i rapporti giuridici con la stessa (in primis, quello di parentela). Erano infatti individuate tre diverse fattispecie di minori adottabili: a) minore orfano di padre e di madre, legato a un parente fino al sesto grado a altri da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori; b) figlio dell'altro coniuge; c) minore per il quale vi fosse la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. La linea rossa che univa tutte le fattispecie, era quella dell'accoglienza di un minore, legato ai genitori o ai parenti, con attribuzione dei poteri inerenti l'allora “potestà” genitoriale ad altra persona, non necessariamente in regime di esclusiva. In ogni caso si trattava di minore già nato, legato da un rapporto preesistente con altro soggetto, ovvero ancora da costruire. In questo senso, alla lett. c) si riteneva farsi riferimento ai minori, pur dichiarati in stato d'abbandono, che peraltro avrebbero trovato estreme difficoltà ad essere adottati nella forma “legittimante”, a causa dell'età non più tenera, della presenza di patologie fisiche e caratteriali.

Con l. 149/2001 è stata inserita nell'art. 44 cit. la nuova lettera c), facendo così slittare l'ipotesi ivi contemplata sub d). Ci si riferisce al minore orfano, affetto da handicap in base alla l. 104/1992, con una parziale sovrapposizione di quanto già in precedenza stabilito. A sua volta, la l. 173/2015, ha integrato la formulazione della lett. a), con la precisazione che il rapporto stabile e duraturo può essersi costituito anche durante il periodo di affidamento preadottivo. L'evoluzione normativa ha evidenziato la specificità della previsione della fattispecie di cui all'art. 44 lett. d), legittimando quell'interpretazione accreditata oramai in giurisprudenza, per cui l'impossibilità di affidamento preadottivo, può essere intesa non solo come impossibilità di fatto (ossia come estrema difficoltà del minore ad accedere ad un'adozione piena, per i motivi sopra esposti), ma anche come impossibilità di diritto, non versando certamente il minore in stato di abbandono. Ciò si verifica, nella sua massima estensione, quando il minore sia frutto di un progetto genitoriale condiviso, come accade nella coppia same sex e sussistal'interesse del minore stesso a formalizzare una genitorialità non solo con il genitore biologico, ma anche la/il partner di questi (a prescindere dall'esistenza tra gli stessi del vincolo di un'unione civile).

Questione molto dibattuta attiene alla configurabilità di un rapporto di parentela tra adottato e parenti dell'adottante (mentre è da escludersi nell'ipotesi simmetrica quanto ai rapporti tra adottante e parenti dell'adottato). Già si è dato atto dell'attuale quadro normativo non certo omogeneo. L'art. 55 l. 184/1983 richiama l'art. 300 c.c., proprio del regime dell'adozione di maggiorenni; l'attuale art. 74 c.c. esplicita vieppiù tale esclusione, ma con riferimento alla sola adozione di maggiorenni. Il Tribunale minorile di Bologna, correttamente limitando la propria domanda nel rapporto tra minore adottato e figli dell'adottante, perviene alla soluzione affermativa, in ragione della particolare tipologia di adozione in casi particolari oggetto del procedimento. Ciò nel presupposto di una tacita abrogazione dell'art. 55 cit. “nella parte in cui richiama l'art. 300, comma 2, c.c., ultimo periodo, soprattutto per ragioni di ordine sistematico e di armonia formale”, non potendosi negare “ciò che, avviene con pienezza, sul piano delle relazioni esistenziali, pregiudicando relazioni del minore con propria cerchia parentale”. La conclusione, con l'estensione del vincolo di parentela tra “fratelli”, figli biologici del genitore e figli adottati da quest'ultimo con adozione in casi particolari, è condivisibile, avuto riguardo non solo ai rapporti di natura personale (a cominciare dagli impedimenti matrimoniali), ma anche patrimoniale (sotto il profilo della successione e dell'obbligo alimentare). In effetti, la circostanza che l'attuale art. 74 c.c. escluda espressamente quale fonte di parentela solo l'adozione di maggiorenni non può che indurre a ritenere incompatibile con esso l'art. 300 c.c., quanto meno nell'ipotesi di adozione in casi particolari per impossibilità di affidamento preadottivo del minore nato a seguito di un progetto di genitorialità condiviso da una coppia fisiologicamente incapace di procreare.

Solo apparentemente le predette argomentazioni potrebbero essere riprese nella fattispecie sub b) dell'art. 44, di adozione del figlio del coniuge da parte di adottante che abbia già figli. In realtà le situazioni appaiono differenti: nell'adozione del figlio del coniuge, questi è già esistente, siccome concepito all'interno di una relazione in cui l'adottante è estraneo e che ha determinato per l'adottato l'acquisizione di una parentela con entrambi i rami genitoriali biologici, ovvero con quello dell'unico genitore che lo abbia riconosciuto. Nell'adozione in casi particolari di figlio generato dal partner same sex, questo non può accadere, e quindi non potrebbe verificarsi un concorso di ben tre rami di parentela. Si potrebbe semmai ipotizzare, portando alle estreme conseguenze il ragionamento, di attribuire il vincolo di fratria e genitorialità quando il minore, figlio del coniuge, non fosse stato riconosciuto dall'altro genitore biologico.

Ove si intendesse perseguire la contraria interpretazione, per cui l'esclusione del vincolo di parentela previsto dall'attuale art. 74 c.c. si dovrebbe estendere anche all'adozione in casi particolari, si darebbe luogo ad un grave pregiudizio per i figli nati da un progetto condiviso di una coppia same sex, penalizzati sempre e comunque con la mancata instaurazione del rapporto di parentela con il genitore che non condivide con lui l'elemento genetico.

Correttamente il Tribunale minorile ordina la comunicazione all'ufficiale dello stato civile per le trascrizioni ed i provvedimenti di competenza. Vi sarà dunque annotazione sull'atto di nascita del minore adottato che, parrebbe, fratello unilaterale dei figli dell'adottante. Se venisse effettuata l'adozione “incrociata”, è da ritenere che i figli diventerebbero fratelli germani. Un'osservazione estemporanea che richiederà ulteriori approfondimenti.

Guida all'approfondimento

Dogliotti, Adozione di maggiorenni e minori, Milano, 2002.

Fasano-Figone, Filiazione, in Famiglia. Pratica professionale, II, Milano, 2019

Figone, Adozione in casi particolari, in IlFamiliarista.it

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