Come cambia l'associazione mafiosa: le nuove organizzazioni autonome dai clan mafiosi storicamente operanti sul medesimo territorio

Gennaro Iannotti
26 Ottobre 2020

Con riferimento alla nuova formazione in una realtà territoriale già interessata dalla presenza di “mafie storiche”, sussiste la necessità di riscontro probatorio della effettiva capacità di intimidazione del nuovo gruppo o è possibile lo sfruttamento di una condizione di assoggettamento ambientale già manifestatasi in precedenza?
Massima

Sussistono i caratteri tipici della norma incriminatrice di cui all'art. 416-bis c.p., quanto alla condizione di assoggettamento ed omertà correlata alla forza di intimidazione del sodalizio, nel caso in cui – in un territorio già interessato da simili aggregazioni – un gruppo di nuova costituzione sfrutti la caratura mafiosa di uno dei soggetti di vertice del precedente sodalizio, in uno con la consumazione di significativi reati-scopo propri di un'organizzazione di stampo mafioso.

Il caso

La vicenda che giunge al vaglio della II Sezione della Cassazione è la seguente. La Corte d'Appello di Napoli confermava le statuizioni del giudice di primo grado in punto di sussistenza del delitto di partecipazione ad un'associazione di stampo camorristico operante nel territorio di Torre Annunziata. Tra i vari motivi di ricorso avverso il provvedimento della Corte distrettuale, i ricorrenti deducono, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), l'erroneità, illogicità e contraddittorietà della sentenza di secondo grado in relazione al delitto associativo, poiché, con riguardo al sodalizio mafioso, difettavano i requisiti di stabilità e della forza di intimidazione, essendo l'organizzazione ancorata ad una primitiva fase embrionale come costola del clan Gionta, ma ancora priva di una propria capacità di intimidazione esteriormente riconoscibile, consequenziale ad una metodologia criminale improntata - e finalizzata - alla "presa in carico" di quel determinato ambito territoriale.

E ciò in quanto, ad avviso dei ricorrenti, la Corte d'Appello partenopea aveva desunto la mafiosità della “nuova” associazione denominata “Terzo Sistema” solo sulla base dei singoli reati-fine, omettendo di accertare se gli atti di sottomissione delle vittime fossero espressivi di un assoggettamento ascrivibile alla forza di intimidazione tipica di un clan camorristico oppure dalle minacce che i singoli affiliati ponevano in essere nell'ambito, peraltro, di una criminalità di carattere frammentario già presente sul territorio.

La questione

Con riferimento alla nuova formazione in una realtà territoriale già interessata dalla presenza di “mafie storiche”, sussiste la necessità di riscontro probatorio della effettiva capacità di intimidazione del nuovo gruppo o è possibile lo sfruttamento di una condizione di assoggettamento ambientale già manifestatasi in precedenza?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione rigetta – perché infondati o manifestamente infondati – i motivi di ricorso, comuni a tutti i ricorrenti, circa l'insussistenza dei presupposti per ritenere integrato il delitto di cui all'art. 416-bis, codice penale, ritenendo il gruppo denominato Terzo Sistema non un "progetto" associativo ancora in nuce, ma un'organizzazione dotata di quelle connotazioni "tipizzanti" una vera e propria associazione mafiosa. E ciò in base ad una duplice considerazione.

La prima: l'insorgenza di un nuovo "gruppo" finalisticamente e metodologicamente orientato al perseguimento di finalità mafiose, ben può "sfruttare" - volgendole a proprio vantaggio di sodalizio "neonato" - proprio la notorietà e il conseguente assoggettamento omertoso derivante dalla attività - pregressa e perdurante - di gruppi mafiosi già occupanti in maniera stabilmente radicata il medesimo ambito territoriale. In particolare, secondo la sentenza in commento, laddove un nuovo gruppo criminale nasca “per gemmazione” da una cosca già storicamente e stabilmente radicata su di un determinato territorio (anche) attraverso il “passaggio” di un esponente di vertice dalla vecchia alla nuova consorteria, non si è in presenza di una novazione, bensì di una successione a titolo particolare di un consesso che utilizza lo stesso metodo e si pone le medesime finalità criminali del precedente, nell'ambito di un pactum avente eguale natura - perfettamente riconducibile alla medesima societatis sceleris per modello e tipo - e destinato ad insistere in una realtà territoriale notoriamente già adusa a confrontarsi con realtà criminali di tal fatta.

La seconda: la rilevanza della commissione dei delitti fine, posto che, anche attraverso di essi, si manifesta in concreto l'operatività dell'associazione medesima. Al riguardo, infatti, osserva la sentenza che si annota, che il sodalizio criminoso di nuova formazione disponesse di una consistente quantità di armi, anche di allarmante potenzialità, opportunamente occultate; avesse già realizzato degli episodi di natura estorsiva; controllasse anche l'attività di spaccio in una parte del territorio di Torre Annunziata; avesse compiuto due attentati dinamitardi - di carattere eclatante - ai danni di esercizi commerciali; dato luogo ad una specifica struttura con ripartizione di ruoli e responsabilità, con una cassa comune per finanziare le attività illecite, ovvero volta a supportare le necessità dei sodali, anche garantendo l'assistenza legale in caso di arresto; adottato specifiche sanzioni nei confronti di chi aveva mancato di rispetto al capo ovvero minacciato chi aveva deciso di iniziare la collaborazione con la giustizia; predisposto azioni di rappresaglia volte all'eliminazione dei rivali.

Osservazioni

La soluzione della sentenza che si annota sulla configurabilità del reato associativo di cui all'art. 416-bisc.p. è nel suo complesso convincente, ma al contempo suscita interrogativi in talune premesse in diritto, specie in rapporto al criterio di collegamento con le mafie delocalizzate da un lato e al fenomeno del trasferimento di un soggetto dal precedente gruppo in una nuova organizzazione dall'altro.

Infatti, la sentenza esordisce con un'osservazione che – pur trovando qualche punto di aderenza ai contenuti del provvedimento del 17 luglio 2019 con cui il Primo Presidente Aggiunto della Corte, in sede di remissione alle SS.UU., aveva restituito gli atti alla Prima Sezione – tende a riproporre, come criterio di identificazione di un sodalizio mafioso in un territorio diverso da quello in cui si è storicamente radicato, il criterio del collegamento con l'organizzazione principale.

Si tratta però di un'argomentazione sfasata, rispetto al caso concreto, in quanto il nuovo gruppo denominato Terzo Sistema era operante nel territorio di Torre Annunziata, territorio storicamente inquinato da fenomeni camorristici: dunque, il richiamo – sul piano motivazionale – alle mafie delocalizzate appare ingiustificato.

La sentenza poi ricorre a una analogia: così come la giurisprudenza della Suprema Corte ha ritenuto possibile che il mero collegamento funzionale sia un indicatore della mafiosità della cellula di un gruppo criminale operante in un territorio esterno a quello rispetto al quale è radicato, così il criterio del collegamento deve valere anche per le nuove organizzazioni che si radicano in un territorio già attinto da fenomeni mafiosi.

Tale analogia è significativa, ma lascia perplessi laddove – al fine di pervenire alla conclusione dello sfruttamento del capitale mafioso della precedente organizzazione – viene utilizzato il criterio del collegamento con le mafie delocalizzate; criterio il quale, come già detto, non solo non è predicabile al caso esaminato dalla II Sezione, ma si pone in contrasto sia con la “storica” sentenza Crimine (Cass. pen., n. 55359 del 30dicembre 2016, rel. Magi) sia con la più recente sentenza Albanese (Cass. pen., n. 51489/2019 del 20 dicembre 2019, rel. Santalucia), entrambe della Prima Sezione della Corte, con la quale i giudici di legittimità hanno spostato “l'asse ermeneutico” dal piano della vera e propria questione in punto di diritto - considerata appunto non conflittuale o quantomeno componibile dai due provvedimenti presidenziali del 2015 e del 2019-, a quello più malleabile costituito dal ragionamento probatorio.

A questo punto appare utile ripercorrere – a volo radente – il contenuto delle sentenze da ultimo richiamate:

  • per ravvisare gli estremi del delitto associativo con riguardo a una cellula “delocalizzata” in altro territorio ove opera il sodalizio-matrice, ilcollegamento organico-funzionale e la riconoscibilità esterna sono le coordinate concettuali che evitano, se correttamente intese, di dar rilievo a mere potenzialità di estrinsecazione di forza intimidatrice, ossia a forme mute di mafiosità che si pongono, in quanto tali, al di fuori dell'ambito di applicazione della norma incriminatrice”;
  • rimangono comunque estranee alla tipicità, le “forme di collegamento che si consumino soltanto al suo interno, nell'adozione di moduli organizzativi e di rituali di adesione”, perché in tal caso “il raccordo con la casa-madre non definito sul piano funzionale si esprimerebbe in forme di per sé insufficienti – appunto perché confinate nei cd interna corporis del gruppo – a porsi come occasione per la proiezione all'esterno di una realtà criminale, impedendone la percezione sul territorio e quindi l'apprezzamento della capacità di condizionamento mafioso nel contesto sociale ed economico”.

Orbene, tramite una più attenta ed aggiornata rimeditazione, tali sentenze hanno reso anche evidente che la questione della sussistenza del delitto di cui all'art. 416/bis non è nominalistica, come in certi momenti sembra trasparire dalla lettura della sentenza in commento, ma è di sistematizzazione della relazione “prova - tipicità del fatto”: non basta ad integrare tale requisito di tipicità dell'art. 416-bis c.p. la mera riproduzione all'interno del sodalizio di regole, strutture e ripartizioni gerarchiche dei ruoli analoghe a quelle dei gruppi mafiosi storici, essendo imprescindibile l'esteriorizzazione in concreto della capacità di intimidazione e la connessa produzione di un assoggettamento omertoso diffuso. Ciò perché una diversa interpretazione tenderebbe a svuotare di contenuto la previsione incriminatrice, lì dove la stessa richiede come condizione tipizzante, rispetto alla associazione semplice, ‘l'avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva'. Si tratta di condizioni fattuali che solo se dimostrate in concreto consentono di ritenere integrata la fattispecie astratta.

Se ciò è vero, allora risulta un po' spinta la similitudine operata dalla sentenza che si annota tra la semplice evocazione di un potere mafioso derivante dalla cd. casa madre in un territorio diverso da quello di origine e la manifestazione di continuità di un gruppo rispetto a un gruppo precedente in territorio già interessato dal fenomeno mafioso. Sul punto, vale la pena riportare integralmente il (poco convincente) passaggio motivazionale dei giudici della II Sezione: “D'altra parte, nel ribadire i principi anzidetti a proposito delle "locali" di "ndrangheta", questa Corte, in una ipotesi di creazione in Svizzera di una "locale" rappresentante l'articolazione di un clan calabrese, non ha mancato di focalizzare come i moderni mezzi di comunicazione propri della globalità hanno reso noto il metodo mafioso proprio della "‘ndrangheta" anche in contesti geografici un tempo ritenuti refrattari o insensibili al condizionamento mafioso, per cui non è necessaria la prova della capacità intimidatrice o della condizione di assoggettamento o di omertà in quanto l'impatto oppressivo sull'ambiente circostante è assicurato dalla fama conseguita nel tempo dalla consorteria. (Sez. 5, n. 28722 del 24/05/2018 - dep. 21/06/2018, Demasi, Rv. 27309301)”.

Tale affermazione va chiarita perché si rischia di riproporre una lettura astratta, che innesta su una fattispecie carente di tipicità, com'è quella associativa, condotte caratterizzate solo dal criterio di collegamento con la casa madre: al netto dell'improprio richiamo alla sentenza Demasi del 2018, antecedente alla decisione di restituzione del Primo Presidente aggiunto del luglio 2019 e in contrasto con la giurisprudenza successiva (Cfr., sentenza Albanese del 2019), si ritiene che – già sul piano gnoseologico – siano equiparate e sovrapposte situazioni diverse: una cosa è il timore che può incutere nel cittadino svizzero l'evocazione della ‘ndrangheta, altra cosa è professarsi l'erede di Gionta a Torre Annunziata.

Al fine di evitare notevoli confusioni, la giurisprudenza dovrebbe essere più netta nell'evidenziare che il criterio del collegamento non può assumere una valenza “interna” al gruppo, ma deve contenere necessariamente il carattere della esteriorizzazione, attingibile attraverso il riscontro probatorio sulla effettiva intimidazione nel territorio.

A questo punto appare necessario introdurre una brevissima considerazione sul passaggio motivazionale della sentenza relativo alla circostanza che la nuova realtà associativa sia controllata proprio da un elemento che al vecchio gruppo faceva notoriamente riferimento; sul punto, però, va rilevato che il discorso si presenta da un lato abbastanza facile, poiché, trattandosi di gruppo criminale con manifestazione esteriore attraverso il compimento di reati fine tipici dell'organizzazione, i contenuti minimi di cui all'art. 416/bis risultano di agevole dimostrazione; dall'altro lato, però, il discorso si presenta, in via ipotetica, più difficile se – con un giudizio controfattuale – si eliminassero i reati – fine accertati: resterebbero il criterio del collegamento (motivato, come già detto, in maniera un po' scivolosa dalla sentenza in commento) e il transito, all'interno del nuovo gruppo criminale, di un apicale della precedente organizzazione.

Sarebbe sufficiente tale duplice elemento per determinare la riconoscibilità del delitto di cui all'art. 416/bis, codice penale?

Sul punto, la sentenza in commento non è di grande aiuto in ordine alla soluzione del quesito, atteso che si pone in evidente contrasto con la sentenza “Mafia Capitale” (Cass. pen., Sez. VI, n. 18125/2020), laddove, a pag. 284, si legge testualmente: “Ciò che è essenziale è che la fonte della forza di intimidazione derivi dall'associazione, cioè dal gruppo, dal suo prestigio criminale, dalla sua fama, dal vincolo associativo e non dal prestigio criminale del singolo associato”. In altri termini, la presenza di Carminati non ha fatto scattare la mafiosità del gruppo Mafia Capitale, perché il prestigio criminale del soggetto non rende di per sé mafiosa l'organizzazione.

Viceversa, nella sentenza in commento, pare traspaia l'affermazione che il singolo soggetto che transita dal vecchio al nuovo gruppo porti con sé la capacità intimidatrice del gruppo. E ciò non può non essere censurato, in considerazione del fatto che, ai fini dell'affermazione della sussistenza dell'art. 416-bis c.p. in luogo dell'art. 416 c.p., è necessaria una verifica, oltre ogni ragionevole dubbio, che la nuova formazione abbia conseguito un proprio prestigio criminale, differente da quello dei suoi singoli affiliati; abbia manifestato in concreto la sua forza di intimidazione e che tale manifestazione sia stata percepita nell'ambiente circostante producendo un diffuso assoggettamento omertoso.

Si obietterà che Roma non è Torre Annunziata e che Carminati non è Gionta. E ciò è vero. Ma se una siffatta motivazione viene proiettata sul piano traslucido delle attuali coordinate ermeneutiche, sembra destinata a perdere un'ulteriore quota della sua valenza significativa, dappoiché la dimostrazione della sussistenza dell'art. 416-bis prevede “una capacità intimidatrice effettiva ed obiettivamente riscontrabile”.

In conclusione, il dato più significativo della decisione – che consente di ritenere coerente la motivazione in diritto – finisce con l'essere rappresentato dall'ancoraggio alla consumazione di significativi reati-scopo, aspetto che ancora una volta dimostra quanto sia fondamentale, nel settore della identificazione degli agglomerati criminali, la verifica probatoria delle condotte, più che la costruzione di massime di esperienza dalla precaria base empirica.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.