Procedura di “firma automatizzata” del consenso informato e nullità della sua apposizione

28 Ottobre 2020

La procedura di “firma automatizzata” del consenso informato comporta la nullità della sua apposizione in quanto contraria ai principi di certezza tipica dell'atto pubblico avente fede privilegiata.
L'origine storica della cartella clinica in una analisi dommatica della sua rilevanza giuridica

Nonostante l'importanza della cartella clinica, già riconosciuta sin dai tempi di Ippocrate, è singolare che il nostro sistema positivo abbia omesso di fornire una definizione della stessa.

La definizione di cartella clinica è sostanzialmente desunta indirettamente dalle norme che definiscono le responsabilità dei soggetti che sono tenuti a conservarla, dai principi di diritto tracciati, nel tempo, dalla giurisprudenza e dai recenti codici deontologici medici (sostanzialmente ricognitive dei principi giurisprudenziali).

L'origine della cartella clinica nasce quando il medico abbandona l'empirismo per la scienza medica i cui fondamenti sono stati definiti da Ippocrate.

Secondo Aristotele, mentre l'empirismo si limita ad osservare il fatto, senza indagare la ragione dell'accadimento e l'evoluzione della patologia, la scienza, invece, si basa non solo sull'esperienza ma è indagatrice: osserva e descrive l'evoluzione della malattia in modo da ricercare la genesi ed analizzare il suo decorso.

In effetti, ricorda Platone, la scelta del medico non poggiava tanto sulla sua competenza, difficilmente comprovabile, ma sull'arte oratoria del medico intesa come capacità di impressionare l'assemblea che lo sceglieva (Plat. Gorg. 514 d-e; Xen. Mem. IV 2, 5).

La cartella clinica, dunque, nasce con la rivoluzione del concetto di medicina compiuta da Ippocrate che supera l'oratoria e la teurgia tradizionale per identificarla come scienza.

Sui muri e sulle colonne degli Asclepei, fondati da Ippocrate, strutture in cui veniva insegnata ed esercitata l'ars medica, sono stati ritrovati scolpiti i nomi dei pazienti e la storia clinica dei mali che li affliggevano.

Più tardi, a Roma, Galeno, basandosi sullo studio epidemiologico, pubblicava i resoconti delle sue osservazioni cliniche nei Romana Acta Diurna Populi Romani nel Foro romano (una sorta di Gazzetta Ufficiale ante litteram).

L'utilizzo ordinario della cartella clinica come metodologia scientifica avviene intorno alla prima metà del ‘500 quando, il medico Leonardo Botallo, sulle orme degli insegnamenti di Ippocrate, scrisse il volume Commentarioli duo, alter de medici, alter de aegroti munere (Lione 1565) nel quale afferma i canoni deontologici moderni che sono alla base, tuttora, della responsabilità medica. Secondo Botallo “l'arte medica è finalizzata alla cura del paziente”. “L'audacia incontrollata” privo di “giudizio ponderato” impedisce al medico di mantenere una “condotta scrupolosa”. Affrontando il metodo di relazione di cura basato sul dialogo afferma: “Non è sufficiente che il medico ….. si dedichi ai fondamenti dell'arte e viva rettamente: la sua stessa diligenza richiede ben altre qualità oltre a questa, in modo da essere accolto con fiducia e gratitudine dagli ammalati e da chi li assiste”.

Solo il decreto legislativo 6972 del 1890 (Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) ha introdotto, anche in Italia, l'obbligo di realizzare per ogni paziente la cartella clinica, prima sostanzialmente solo consigliato.

Una curiosità patriottica. Durante il governo austro-ungarico su Trieste, Carlo Antonio Lorenzutti, nel 1846, chiamato a dirigere il Civico Ospedale, impose nei documenti e nelle cartelle cliniche, l'utilizzo della lingua italiana al posto di quella tedesca imposta dal regime anche dopo gli avvenimenti sanguinosi del 1848 e l'inizio della guerra di indipendenza.

La perdita del ruolo primariale e le attribuzioni del dirigente medico nella tenuta della cartella clinica

Il R.D. 30 settembre 1938, n. 1631 (cosiddetta Legge Petragnani), oltre ad avere il merito di aver introdotto in ogni ospedale la figura di un Direttore Sanitario, all'art. 24, lett. e), assegna al Primario il compito di curare la regolare tenuta delle cartelle cliniche e dei registri nosologici.

La norma sopra richiamata si limita esclusivamente ad attribuire al Primario la cura della regolare tenuta della cartella clinica e dei registri nosocomici senza offrire una definizione o esplicitare le modalità “regolare tenuta”.

Nemmeno l'art. 7 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, a dire il vero, fa un maggiore sforzo, limitandosi a ribadire che, tra le responsabilità del Primario, v'è quella di garantire la “regolare compilazione delle cartelle cliniche, dei registri nosocomici e della loro conservazione, fino alla consegna all'archivio centrale”.

Con d.P.R. 14 marzo 1974, n. 225 si introduce una sorte di “cartella clinica infermieristica” ante litteram la cui responsabilità della conservazione, sino al momento della consegna agli archivi centrali, spetta all'infermiere professionale in ambito pubblico.

Nelle Case di Cura Private l'art. 254 del D.M. 5 agosto 1977 precisava per ogni ricoverato occorreva la compilazione della cartella clinica, con numerazione progressiva, completa dei dati anagrafici e rilievi clinico-terapeutici la cui conservazione compete alla Direzione Sanitaria. Il medesimo Decreto, inoltre, prevedeva anche che, in caso di cessazione dell'attività d'impresa, le cartelle cliniche dovevano essere messe a disposizione dell'ufficio Comunale o Consorziale di Igiene (ora presso il servizio medico-legale della ASL territorialmente competente).

Occorre arrivare al DPCM 27 giugno 1986 per avere contezza del contenuto che la cartella clinica deve avere: “In ogni casa di cura privata è prescritta, per ogni ricoverato, la compilazione della cartella clinica da cui risultino le generalità complete, la diagnosi di entrata, l'anamnesi familiare e personale, l'esame obiettivo, gli esami di laboratorio e specialistici, la diagnosi, la terapia, gli esiti e i postumi. Le cartelle cliniche, firmate dal medico curante e sottoscritte dal medico responsabile di raggruppamento, dovranno portare un numero progressivo ed essere conservate a cura della direzione sanitaria."

E' bene precisare, però, sin d'ora, che mentre la cartella clinica dell'Ospedale o della Casa di Cura Privata Convenzionata riveste natura di atto pubblico, in quanto ricompresi nell'ambito della pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 1 del D. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il medico privato o esercente la professione nella Casa di Cura Privata non acquista la funzione di pubblico ufficiale e nemmeno quella di incaricato di pubblico servizio essendo la struttura sanitaria privata inquadrabile come un servizio di pubblica necessità. In questo caso, la cartella clinica è un mero atto interno non redatto da pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio e pertanto non ha valore di atto pubblico e nemmeno di certificazione.

Per completezza, occorre ricordare che, in passato, anche nel servizio sanitario pubblico solo il Primario e il suo Aiuto rivestivano la funzione di Pubblico Ufficiale, mentre gli altri medici, non avendo un ruolo apicale, erano inquadrati come Incaricati di un Pubblico Servizio.

Alla progressiva perdita delle prerogative apicali del primario, i Dirigenti medici hanno acquisito l'autonomia professionale nella gestione del paziente (e della cartella clinica).

In effetti, l'art. 7, d.P.R. n. 128/1969 riservava al Primario, in modo “esclusivo”, la definizione dei criteri diagnostici o terapeutici che dovevano essere seguiti dagli aiuti e dagli assistenti, praticando direttamente sui malati gli interventi diagnostici e curativi che riteneva di non affidare ai suoi collaboratori, nonché la formulazione della diagnosi definitiva sino a disporre le dimissioni.

Successivamente, con l'introduzione dell'art. 63, d.P.R. n. 761/1979, al Primario venivano riconosciute (solo) funzioni di indirizzo e di verifica sulle prestazioni di diagnosi e cura, nel rispetto della autonomia professionale operativa del personale dell'unità assegnatagli, potendo impartire all'uopo solo istruzioni e direttive. In questo modo si delineava una attività sanitaria “condivisa” con gli altri sanitari.

Solo con la pubblicazione del D. lgs. n. 502/1992 (art. 15) al Direzione di Struttura Complessa (ex Primario) è attribuita funzione “paritaria” riguardo l'autonomia di cura al pari dei dirigenti medici afferenti alla sua struttura, posto che la dirigenza medica è stata collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali, ed in un unico livello, articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali.

La natura giuridica della cartella clinica e il suo contenuto

Occorre arrivare al Decreto Ministeriale del 17 giugno 1992 per avere una definizione amministrativa, ancorché parziale, di cartella clinica intesa come “strumento informativo individuale finalizzato a rilevare tutte le informazioni anagrafiche e cliniche significative relative ad un paziente e ad ogni singolo episodio”.

Secondo la giurisprudenza consolidata, la cartella clinica, redatta dal medico di un ospedale o struttura convenzionata, rientra nella categoria degli atti pubblici, essendo caratterizzata dalla produttività di effetti costitutivi, traslativi, modificativi o estintivi rispetto a situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica, nonché dalla documentazione delle attività compiute dal pubblico ufficiale che redige l'atto e ne assume la paternità, come la scheda operatoria, quella anestesiologica, le dimissioni e lo stesso consenso informato (tra le tante: Cass. Pen. Sez. 5, 27 gennaio 1998, n. 1098; Cass. Pen. Sez. 5, 23 marzo 2004, n. 13989; Cass. Pen. Sez. 4, 4 luglio 2010, n. 37925; Cass. Pen. Sez. 5, 09 giugno 2011, n. 23255).

La cartella clinica è, dunque, considerata un “atto pubblicoex artt. 2699 e 2700 del codice civile e come tale gode di fede privilegiata (Cass. 7.7.2010, n. 37295; 16.4.2009 n. 31858) in quanto rappresentazione “storica” dell'attività diagnostica-terapeutica, con la descrizione del decorso della patologia, con il diario dei fatti clinici, con l'attestazione delle diagnosi, delle terapie praticate e con la complessiva ricognizione delle scelte e degli interventi dei medici sul paziente sottoscritta dal medico, in relazione alle attività da questi svolte, in funzione di “pubblico ufficiale autorizzato”.

Detta sottoscrizione del medico, nella sua qualità, vale ad attribuire al documento pubblica fede in quanto partecipa direttamente all'espletamento del servizio sanitario, che è un servizio pubblico (tra le tante Cass. 4/3/2003, R.P. 2005,1593; Cass.13/11/2000, R.P. 2001, 271) e fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti Corte di Cassazione 27 settembre 1999, n. 10695).

Costituisce parte integrante della cartella clinica la scheda di dimissione istituita con D.M. del 28 dicembre 1991 e, successivamente, regolamentata con D.M del 27 ottobre 2000 n. 330 il quale ha aggiornato il contenuto informativo della scheda, ai fini di armonizzazione internazionale, in base alla classificazione ICD-9-CM (International Classification of Deseases, Clinical Modification) per la codifica delle diagnosi e delle procedure diagnostiche e terapeutiche, in sostituzione della precedente classificazione ICD9, successivamente modificata con D.M. 8 luglio 2010, n. 135. Il contenuto della scheda di dimissioni è stato definito con la Circolare 23 ottobre 2008, approvata dalla Cabina di Regia del Nuovo Sistema Informativo, nella seduta del 9 luglio 2008.

In conseguenza, l'Accordo Stato-Regioni del 29 aprile 2010 ha definito un ulteriore aggiornamento delle linee guida per la codifica delle informazioni della Scheda di Dimissione Ospedaliera successivamente integrato dal D.M.7 dicembre 2016, n. 261 il quale ha stabilito, nella cartella clinica digitale, la necessità di tracciare i trasferimenti interni del paziente fra le diverse unità operative (discipline e reparti), con data e ora di ammissione, trasferimento e dimissione; quali diagnosi erano già presenti al momento del ricovero nonché la possibilità di tracciare l'equipe chirurgica che ha eseguito gli interventi, nonché numerose informazioni più prettamente cliniche.

Allo stesso modo, costituiscono parte integrante della cartella clinica l'anamnesi e il consenso informato.

L'anamnesi è insieme all'esame obiettivo, il fulcro della prestazione medica posto che la narrazione del male e le informazioni ricevute consentono al medico di esprimere una prima diagnosi e di formulare una prognosi (così come ricordava lo stesso Ippocrate). Lo scambio dialettico è dinamico e, come tale, non può sostanziarsi in un vuoto formulario, ma in una ampia dialettica definita relazione di cura.

Il consenso informato originariamente finalizzato esclusivamente per scriminare la condotta del medico astrattamente lesiva del diritto alla salute del paziente artt. 51, 52 e 54 c.p., con la Legge n. 833/1978, che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale, viene stabilito che “gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari …. [e] …devono comunque rispettare la dignità della persona, i diritti civici e politici, compreso, per quanto possibile, il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura”. Con l'approvazione della Convenzione di Oviedo del 1987, adottata a Nizza il 07.12.00 e ratificata dallo Stato italiano con l. 28 marzo 2001, n. 145, il consenso informato diviene diritto all'autodeterminazione del paziente rispetto alle prestazioni erogate, avuto riguardo le conseguenze e le alternative terapeutiche e dunque ricondotto al principio costituzionale definito dall'art. 13 Cost., nonché all'art. 5 c.c. in relazione all'art. 32, comma 2, della Costituzione, secondo cui “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge, la quale non può, in ogni caso, violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Sulla base degli orientamenti giurisprudenziali nelle more formatisi in materia, il legislatore ha definito i criteri per fornire una adeguata informazione e acquisire validamente il consenso del paziente con la l. 22 dicembre 2017 n. 219 la quale stabilisce che all'art. 1 che “Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi” (per una analisi analitica dei requisiti sul consenso informato: Pasceri: L'anamnesi e il consenso informato come atto medico radiologico anche alla luce della legge 22 dicembre 2017 n. 219, "Il Radiologo", Anno LIX, n. 1, Gennaio-Marzo, 2020, Ed. SIRM - SNR; http://dx.doi.org.bibliopass.unito.it/10.26413/ilradiol.01202024). A prescindere il tenore letterale della norma, il consenso informato costituisce un atto medico posto che i presupposti pretesi per acquisire validamente il consenso necessitano delle necessarie conoscenze mediche in quanto il paziente deve essere messo in grado di conoscere, ex ante, non solo i rischi specifici della prestazione sanitaria consigliata, ma anche delle scelte alternative in caso di diniego del consenso, le cui conseguenze possono essere valutate solo dal personale medico.

La cartella clinica come atto amministrativo

Afferendo l'erogazione del servizio sanitario nazionale, la cartella clinica costituisce, altresì, un atto amministrativo di cui all'art. 22, lettera d) della legge n. 241/1990 trattandosi di atti interni detenuti dalla struttura ospedaliera, in relazione all'attività di pubblico interesse dalla stessa svolto al fine di assicurare al cittadino una adeguata assistenza sanitaria, e così il diritto primario e fondamentale alla salute. Tale conclusione può essere senz'altro condivisa se il “documento” viene in considerazione in un'ottica di rapporto diretto tra cittadino-utente (o soggetto comunque legittimato in conseguenza del rapporto con questi) e struttura ospedaliera che detiene la cartella clinica e cioè tutte le volte che la conoscenza del contenuto della cartella stessa sia strumentale a verificare il corretto agire dell'amministrazione che ha erogato il servizio sanitario (T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, sez. II, 13 luglio 2011 n. 1043; sulla natura amministrativa in generale anche dei dati informatici si veda Cons. Stato Sez. VI, 04/02/2020, n. 881).

Quale atto amministrativo, la cartella clinica deve rispondere ai principii cardini dell'azione amministrativa e precisamente ai seguenti criteri:

i) principio di legalità e trasparenza (secondo cui l'attività amministrativa deve conformarsi alle prescrizioni di legge e il potere amministrativo adottato in modo discrezionale non esercitato in modo arbitrario ma rispettando gli alti standard qualitativi previsti nel caso di specie);

ii) principio di buon andamento e di imparzialità sancito dagli artt. 54 e 97 Cost. per cui i pubblici ufficiali devono assicurare “il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione” e “svolgere il loro dovere con disciplina ed onore”;

iii) efficienza e economicità che impongono il conseguimento dei propri fini con il minor dispendio di mezzi e risorse in relazione alla appropriatezza delle cure;

iv) principio di ragionevolezza secondo cui ogni decisione della PA deve conformarsi al canone di razionalità

Linee guida alla compilazione, codifica e gestione della cartella clinica

Dalle norme sopra richiamate e dalla giurisprudenza formatasi nel tempo circa il contenuto della cartella clinica si può affermare che la stessa, oltre a riportare un numero progressivo nosologico che permette la corretta identificazione e archiviazione, deve riportare i seguenti dati:

  1. dati anagrafici completi (salvo i rari casi in cui è possibile mantenere l'anonimato);
  2. data e ora di ammissione al nosocomio;
  3. provenienza della persona assistita;
  4. motivo del ricovero;
  5. diagnosi iniziale d'accettazione;
  6. eventuale verbale di Pronto Soccorso;
  7. anamnesi;
  8. esame obiettivo;
  9. ipotesi diagnostiche e relative prescrizioni;
  10. referti diagnostici correlati dai relativi reperti: esami di laboratorio, indagini diagnostiche per immagini, esami cardiologici; esami anatomopatologici, citoistologici e altre eventuali prestazioni strumentali richieste;
  11. consulenze specifiche richieste;
  12. pianificazione del piano di cura;
  13. terapia farmacologica, prescrizioni nutrizionali e altri trattamenti terapeutici o dispositivi medici applicati o biomedici;
  14. indicazione puntuale del decorso della malattia (diario clinico e grafica con rilevazione di: temperatura, pressione arteriosa, frequenza cardiaca, peso, algie, diuresi, frequenza respiratoria, etc.);
  15. eventuali trasferimenti interni o esterni con espressa indicazione dell'accettazione e della dimissione e delle attività compiute;
  16. eventuale verbale chirurgico con pedissequa scheda anestesiologica;
  17. consenso informato specifico per ogni attività o prestazione sanitaria erogata o indicazione dello stato di necessità per cui si rende necessario la prestazione;
  18. consenso al trattamento dei dati personali;
  19. data e indicazione dell'unità operativa che decide la dimissione;
  20. relazione al medico di famiglia e lettera di dimissione;
  21. scheda di dimissione ospedaliera (SDO);
  22. eventuali esami eseguiti in pre-ricovero o comunque prodotti dal paziente (ivi compresi quelli afferenti trasfusioni di sangue, emoderivati, plasma e plasma-derivati con i rispettivi consensi; documenti relativi a impianti di presidi medico-chirurgici; relazioni o prescrizioni relativi alla programmazione della continuità delle cure; documenti riguardanti a prelievo di organi e trapianto; eventuale riscontro autoptico);
  23. consensi e dichiarazioni di volontà (consenso informato o eventuale annotazione di stato di

necessità che esime dalla sua acquisizione, consenso al trattamento dei dati sensibili, altro).

La cartella clinica deve essere integrata dalla cartella infermieristica, redatta a cura del personale infermieristico, la quale documenta puntualmente:

  1. l'assistenza infermieristica prestata (medicazioni, assistenza ai bisogni primari etc);
  2. il diario infermieristico;
  3. le misurazioni strumentali e la somministrazione dei farmaci con la relativa posologia;
  4. le condizioni fisiche e psichiche del paziente;
  5. eventuali algie lamentate;
  6. pianificazione delle azioni infermieristiche e schede di lavoro.

L'integrazione delle cartelle cliniche si è dimostrata in grado di garantire una visione completa e multidisciplinare del processo di cura.

Proprio in ragione alla funzione svolta e alla natura dell'atto, la cartella clinica deve rispondere a criteri di:

i) rintracciabilità

intesa come possibilità di identificare non solo gli esecutori, mediante firma o sigla, delle singole annotazioni e delle relative prescrizioni e prestazioni eseguite ma anche il momento in cui queste sono state effettuate con indicazione della data e dell'ora. La firma del sanitario deve essere preventivamente depositata presso la direzione sanitaria;

ii) chiarezza

riguarda la leggibilità complessiva della cartella che deve essere tenuta in modo ordinato. Essa si rivolge specificatamente alla intellegibilità delle annotazioni e, soprattutto, alla chiarezza della grafia e del contenuto delle annotazioni del medico. La chiarezza espositiva è finalizzata una immediata visione della relazione di cura e impedire che si possano determinare fraintendimenti o necessità interpretative. L'inchiostro usato deve garantire fissità e deve possibilmente essere di colore blu scuro o nero;

iii) accuratezza

risponde all'esigenza di garantire che i dati, le attività cliniche, diagnostiche e terapeutiche e di tutte le circostanze ritenute idonee a definire lo stato patologico siano tratteggiate in modo preciso e puntuale, comprese le modalità di esecuzione dei trattamenti sanitari erogati e dei mezzi utilizzati, nonché eventuali deleghe o attività compiute nell'ambito di addestramento dello specializzando. Il principio di accuratezza impone la disposizione cronologica di ogni rilievo;

iv) veridicità

costituisce l'elemento cardine per cui tutti i dati, eventi, trattamenti e ogni annotazione necessaria deve essere registrata contestualmente al suo verificarsi o nell'immediata verificazione dei fatti da annotare. Gli eventi riportati nella cartella clinica debbono essere veri, effettivi, obbiettivi e oggettivi e corrispondenti ai fatti così come effettivamente verificati o accertati.

Devono assolutamente evitarsi correzioni e soprattutto non va mai usato il correttore (bianchetto). Allo stesso tempo non sono consentite cancellazioni con gomma o con inchiostro.

In caso di errori commessi all'atto della stesura si dovrà, solo, tracciare una riga con inchiostro indelebile sulla scritta errata avendo cura che l'errore commesso sia comunque leggibile.

Nell'ipotesi in cui l'errore si sia rilevato successivamente rispetto al momento dell'annotazione occorre che la nota del medico indichi esplicitamente l'annotazione oggetto di correzione.

Salvo i casi di errori materiali, le modifiche, correzioni e le aggiunte non possono effettuate posto che la cartella clinica è per definizione (atto pubblico e atto amministrativo) immodificabile e irretrattabile (in questo modo tra le tante: Cass. pen, sez. V, 20 gennaio 1987)

v) pertinenza

riguardano le annotazioni e le registrazioni riportate in cartella clinica in modo che siano sintetiche nel senso che le stesse devono essere attinenti e necessarie alle esigenze informative riguardo i trattamenti e alle condizioni cliniche della persona assistita.

vi) completezza

è rivolta a garantire l'unicità del quadro clinico in vista di una visione completa e multidisciplinare del processo di cura. Essa ha un termine iniziale con l'apertura al momento dell'accettazione e un termine finale con le dimissioni. Per tali ragioni, è necessario che la cartella clinica riporti un indice (comprensivo dei moduli e degli allegati ivi presenti).

La cartella clinica, da un punto di vista medico-legale risponde all'esigenza di ricostruire l'iter diagnostico terapeutico, definire la condotta degli operatori e stabilire la responsabilità della condotta colposa del sanitario.

Tutti i requisiti indicati tendono a conferire certezza e immutabilità all'atto pubblico redatto dal pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni e come tale deve godere di fede privilegiata.

La violazione di presupposti compromette la inviolabilità dell'atto pubblico facendogli perdere la fede privilegiata di cui sopra.

Sul punto la giurisprudenza è chiara nel ritenere che gli eventi devono essere annotati contestualmente al loro verificarsi. Con l'annotazione contestuale dei fatti, la cartella clinica esce al tempo stesso dalla disponibilità del medico ed acquista carattere di definitività, per cui tutte le successive modifiche aggiunte alterazioni e cancellazioni integrano la falsità in atto pubblico (così testualmente Cass. pen., sez. V, 17 febbraio 2004, 13989).

Da un punto di vista soggettivo, alla compilazione della cartella clinica concorrono solo ed esclusivamente i professionisti sanitari che hanno una propria competenza e autonomia funzionale direttamente alle proprie attribuzioni professionali.

Le professioni sanitarie che non godono di una vera e propria autonomia partecipano, indirettamente, alla compilazione della cartella clinica per garantire i principi sopra delineati. Essi non possono operare autonomamente con la necessaria convalida del medico o del professionista sanitario di riferimento.

In questo modo, l'ostetrica o anche l'infermiere che gode di autonomia decisionale nell'ambito della sua attribuzione sono legittimati a compilare la cartella clinica così il fisioterapista, in relazione alle pratiche esercitate su prescrizione. Il tecnico di radiologia medica non avendo autonomia funzionale nella prestazione radiologica (essendo la sua autonomia relegata alla gestione tecnica dell'apparecchiatura mentre nell'esecuzione della prestazione sanitaria egli agisce su delega e per aspetti esecutivi) necessita della partecipazione del medico specialista o del radiologo qualora l'annotazione riguardi la prestazione e non i limiti di autonomia relativa all'apparecchiatura peraltro gestiti a monte con l'ingegneria clinica, la fisica medica e con il responsabile dell'impianto riguardo l'uso clinico dell'apparecchiatura radiologica stessa.

Quanto alla conservazione della cartella clinica la Circolare del Ministero della Sanità n. 61 del 19 dicembre 1986 ha stabilito che “le cartelle cliniche, unitamente ai relativi referti, vanno conservate illimitatamente poiché rappresentano un atto ufficiale indispensabile a garantire la certezza del diritto, oltre che costituire preziosa fonte documentaria per le ricerche di carattere storico sanitario”.

Sul punto è bene precisare che la norma in parola prevede l'obbligo di conservazione illimitata delle cartelle cliniche, per il primo quarantennio in un archivio corrente e successivamente in una separata sezione di archivio, mentre la documentazione allegata un ventennio (immagini radiografiche, esami strumentali come elettrocardiogrammi etc.

Sul punto la Cass. civ., Sez. III, 13 luglio 2018, ord. n. 18567 ha stabilito che se il medico deve ritenersi responsabile della compilazione della cartella clinica e della sua conservazione durante tutto il trattamento sanitario eseguito, al momento della consegna della cartella clinica all'archivio centrale della Struttura sanitaria, l'obbligo di conservazione della cartella clinica si trasferisce in capo alla Struttura sanitaria.

La cartella clinica elettronica (CCE)

Il Codice dell'Amministrazione Digitale (CAD), introdotto con il d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 rappresenta il punto di svolta alla informatizzazione e digitalizzazione della pubblica amministrazione. Il Codice è stato oggetto di numerose modifiche ed integrazioni determinatosi sostanzialmente con il d. lgs. 22 agosto 2016 n. 179 e, successivamente, il d.lgs. 13 dicembre 2017 n. 217.

Lo scopo finale è quello di assicurare maggior garanzia dei principi cardini che definiscono l'azione amministrativa e allo stesso tempo offrire una maggiore integrazione e interoperabilità nei rapporti tra amministrazioni, tra amministrazione e cittadino, tra amministrazione e imprese in modo da garantire efficacia, efficienza e tempestività nel dialogo e nell'erogazione dei servizi pubblici oltre ad offrire una maggiore certezza giuridica alla formazione, gestione e conservazione dei documenti digitali prevedendo che gli stessi, firmati digitalmente, possano avere effetti giuridici e medesima efficacia probatoria del documento cartaceo.

L'articolo 76 del decreto Cura Italia al fine di dare concreta attuazione alle misure adottate per il contrasto ed il contenimento del diffondersi del virus COVID19 ha sollecitato l'introduzione di soluzioni di innovazione tecnologica e di digitalizzazione della pubblica amministrazione creando a tal fine un gruppo di lavoro nonché ha stimolato l'attività lavorativa in smart working o “lavoro agile” già definita dall'art. 18 l. 22 maggio 2017, 81 e dalla Direttiva n. 3 2017 della Funzione Pubblica.

La digitalizzazione e la dematerializzazione documentale ha coinvolto anche le Amministrazioni pubbliche sanitarie.

L'innovazione più rilevante è l'introduzione con il Decreto Legge n. 5 del 2012, convertito con modificazioni dalla l. 4 aprile 2012, n. 35, della Cartella Clinica Elettronica che costituisce la gestione elettronica delle attività cliniche eseguite nell'ambito del SSN. La cartella clinica elettronica, avente medesimo contenuto della cartella clinica ospedaliera cartacea, risponde allo scopo di garantire principi già delineati per la cartella clinica e, allo stesso tempo, assicura una più agevole accessibilità dell'utenza, mediante estrazione di un unico file così il contenimento dei costi per la stessa amministrazione.

In questo modo, oltre ad assicurare un vantaggio gestionale ed economico per la Pubblica Amministrazione, offre maggiore garanzia di sicurezza nella conservazione dell'atto dematerializzato e di tutti i suoi allegati secondo le regole tecniche definite dal Regolamento (UE) 2016/679 GDPR e del Codice Privacy così come aggiornato dal d.lgs. n. 101/2018 nonché dal Provvedimento n. 55 del 07 marzo 2019 del Garante del Privacy “Chiarimenti sull'applicazione della disciplina per il trattamento dei dati relativi alla salute in ambito sanitario”. Sul punto anche l'art. 20, commi 3 e 5-bis, art. 23 commi 1 e 3, 44, 44-bis e 71, comma 1 d.lgs. n. 82 del 7 marzo 2005 (CAD) ha definito le Regole Tecniche in materia di sistema di conservazione dei dati digitali.

In effetti, la Circolare del Ministero della Sanità n. 61 del 19 dicembre 1986 si preoccupava di limitare a vent'anni l'archivio degli allegati alla cartella clinica, sia per esigenze di archiviazione, sia in quanto gli allegati non “uniti” ma solo inseriti nella cartella clinica potevano essere facilmente smarriti (o soggetti a fenomeni di invecchiamento naturale).

Questi inconvenienti vengono meno con la dematerializzazione in quanto l'atto pubblico nasce già digitale come unico documento anche se formato progressivamente da più atti.

La dematerializzazione dell'atto e le regole tecniche di conservazione consentono la conservazione illimitata della cartella clinica in modo completo e integro(sul punto anche la nota redazionale “Linee guida per la dematerializzazione del consenso informato in diagnostica per immagini” in RiDaRe.it del 22 marzo 2018).

Al fine di garantire il medesimo valore probatorio delle cartelle cliniche cartacee come “atto pubblico” avente fede privilegiata, l'art. 43 comma 1 stabilisce che il Codice dell'Amministrazione Digitale, che: “I documenti degli archivi, le scritture contabili, la corrispondenza ed ogni atto, dato o documento di cui è prescritta la conservazione per legge o regolamento ove riprodotti su supporti informatici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge, se la riproduzione e la conservazione nel tempo sono effettuate in modo da garantire la conformità dei documenti agli originali, nel rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 71”.

A questo punto occorre dunque distinguere la cartella clinica elettronica che nasce già come documento digitale dalla cartella “informatizzata” ovvero dalla trasformazione in digitale di un documento analogico (ovvero cartaceo).

Ai sensi dell'art. 20 d.lgs. 7 marzo 2005 n. 82 si intende “documento informatico” quel documento che viene generato in modo digitale, trasformato direttamente in formato intellegibile o PDF, senza la necessaria scansione. Il documento informatico, prima di essere acquisito nella cartella clinica digitale, deve essere sottoscritto digitalmente. In questo modo, il documento informatico, essendo originale digitale, non richiede alcuna attestazione di conformità.

Ai sensi dell'art. 22 d.lgs. 7 marzo 2005 n. 82 per copia informatica di un documento analogico (cartaceo) si intende un documento non nativo digitalmente ma che ha subito una scansione o modificazione al fine di renderlo informatizzato.

La cosiddetta cartella clinica informatizzata (più tecnicamente “copia informatica della cartella clinica”) consiste in una copia informatica, che per la sua validità, necessita di una attestazione di conformità all'originale. Tale attestazione, tuttavia, dichiara che la copia informatizzata è conforme alla copia analogica (cartacea) il cui originale è in suo possesso del dichiarante.

Solo “i duplicati informatici hanno il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui sono tratti...ex art. 23 comma 1 d.lgs. 7 marzo 2005 n. 82. Diversamente, anche la copia informatica di un documento informatico, ai sensi dell'art. 23-bis comma 2 d.lgs. 7 marzo 2005 n. 82, non gode del medesimo valore giuridico posto che con l'estrazione il file sarà privo di sottoscrizione digitale.

Il Sistema di Cartella Clinica Elettronica (SCCE) è un sistema informatico per la gestione dell'insieme delle CCE. Il Sistema di Cartella Clinica Elettronica consente di gestire, con modalità elettroniche, la riproduzione in formato cartaceo di un documento informatico singolo contenuto nella CCE.

La firma digitale validamente apposta sulla cartella clinica elettronica (CCE)

La prima direttiva europea 1999/93/CE, in materia di firma digitale, all'art. 2, distingueva due firme: i) firma elettronica, successivamente definita dal d.lgs. 10/2002 leggera o semplice; ii) firma elettronica avanzata, chiamata dal d.lgs. 10/2002 pesante.

L'art. 6 del d.lgs. 10/2002, innovando completamente il sistema, distingue il: a) documento informatico sottoscritto con firma elettronica; dal b) documento informatico sottoscritto con firma digitale o avanzata.

Il primo documento sottoscritto con mera firma digitale ha il solo requisito della sola forma scritta. Il secondo documento, in quanto sottoscritto con firma digitale o avanzata, soddisfa i requisiti previsti dagli artt. 2214 e ss c.c. e ogni analoga disposizione legislativa o regolamentare.

L'art. 1 del Codice di Amministrazione Digitale (d.lgs. n. 82/2005) nel definire le sottoscrizioni digitali stabilisce, per quanto riguarda il nostro tema, alla lettera s) un particolare tipo di firma qualificata basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare di firma elettronica tramite la chiave privata e a un soggetto terzo tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici.

In altri termini garantisce quei requisiti che per definizione devono soddisfare l'atto pubblico e che rispondono alla ratio della cartella clinica.

Proprio per tali ragioni l'art. 20, art. 1-bis del d.lgs. n. 82/2005, stabilisce che il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del Codice civile solo quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID ai sensi dell'articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all'autore. In tutti gli altri casi, l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità. La data e l'ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida.

Il successivo art. 21, al comma 2-ter d.lgs. n. 82/2005 prevede che “Fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 110, ogni altro atto pubblico redatto su documento informatico è sottoscritto dal pubblico ufficiale a pena di nullità con firma qualificata o digitale. Le parti, i fidefacenti, l'interprete e i testimoni sottoscrivono personalmente l'atto, in presenza del pubblico ufficiale, con firma avanzata, qualificata o digitale ovvero con firma autografa acquisita digitalmente e allegata agli atti”.

La lettura dei predetti articoli sottolinea che la firma che il sanitario deve appore sulla cartella clinica, a pena di nullità, è la firma digitale, ovvero altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti tecnici definiti dall'AgID. Sul punto l'art. 71 «Regole tecniche» del CAD, al comma 1-ter. prevede che “Le regole tecniche di cui al presente codice sono dettate in conformità ai requisiti tecnici di accessibilità di cui all'articolo 11 della legge 9 gennaio 2004, n. 4, alle discipline risultanti dal processo di standardizzazione tecnologica a livello internazionale ed alle normative dell'Unione europea”.

Il richiamo alle regole di standardizzazione tecnologica necessita il richiamo al DPCONS del 22 febbraio 20013 e al DPCONS 13 novembre 2014 i quali prevedono regole tecniche in ordine ai certificatori accreditati e alla validazione temporale della firma apposta.

Per l'effetto, ogni annotazione, ivi compresa l'anamnesi, il consenso informato e la scheda di dimissione (così come tutta le annotazioni cliniche della cartella) deve avvenire attraverso la sottoscrizione del documento digitale tramite posizione della firma grafo metrica del paziente e della sua sottoscrizione con firma elettronica qualificata in fase di avvio e di chiusura del processo. Solo questo passaggio è in grado di garantire i requisiti tipici per riconoscere alla cartella clinica elettronica la validità di atto pubblico dotato di fede privilegiata in quanto la sola in grado di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici.

Nell'ambito specifico sanitario, l'art. 2, lettera b), del d.P.R. 8 agosto 2013 stabilisce che per reperto digitale deve intendersi la rappresentazione informatica del referto medico sottoscritta con firma elettronica qualificata o con firma digitale.

L'inammissibilità della firma automatizzata per la validità dell'atto pubblico

La pericolosissima pratica dell'utilizzo di una “firma automatica” secondo quanto previsto dall'art. 1, comma 1, lettera r), del DPCM 22 febbraio 2013, definita come “particolare procedura informatica di firma elettronica qualificata o di firma digitale eseguita previa autorizzazione del sottoscrittore che mantiene il controllo esclusivo delle proprie chiavi di firma, in assenza di presidio puntuale e continuo da parte di questo” è utilizzata senza la piena rispondenza ai suoi requisiti di legge e senza la dovuta consapevolezza circa la rilevanza ed efficacia della sottoscrizione da parte del titolare.

Come è noto, la firma automatica è nata per firmare flussi documentali omogenei e in grande quantità, non certo per dare fede privilegiata all'atto pubblico come la cartella clinica.

Alcune aziende sanitari, sulla base di pareri di dubbia giuridicità, applicano, per i consensi informati, la firma automatizzata in base al fatto che il paziente esprimerebbe il suo consenso a tale anomala sottoscrizione ai sensi dell'art. 71, comma 3 del d. lgs. n. 82/2005.

È evidente che il consenso del paziente può incidere sulla sua sfera giuridica, ma non sulla natura pubblicistica dell'atto e sulla corretta esecuzione di una funzione pubblica.

Peraltro, nelle procedure analizzate si legge “la chiave privata può essere intestata all'operatore firmatario o ad altra persona (esempio: responsabile del reparto; direttore sanitario; direttore generale). In quest'ultimo caso il consenso risulterà firmato con firma elettronica dell'operatore che lo ha raccolto e con la firma digitale apposta con procedura automatica della persona a cui è intestato il certificato”.

Tale procedura inficia in radice il consenso informato in quanto affetto da nullità, oltre a determinare una falsità in atti.

Poco rileva la circostanza che l'atto anche se firmato in modo scorretto sia comunque dal Giudice valutabile liberamente posto che, per costante giurisprudenza, la scorretta tenuta della cartella clinica è, anzi, considerata elemento indiziario della responsabilità del professionista.

La giurisprudenza ha avuto modo di affermare che l'omissione o la lacunosa tenuta della cartella clinica genera un “nesso eziologico presunto” a sfavore del sanitario. Tale condotta è elemento indiziario a sfavore del sanitario ex art. 116 c.p.c. della mancanza di diligenza (Cass. civ., Sez. III, 8 novembre 2016 n. 22639).

A maggior ragione nel caso di specie ove la sottoscrizione manca dei requisiti tipici per conferire certezza all'atto stesso (come la certificazione di un ente terzo; la doppia chiave pubblica e privata e soprattutto la riconducibilità al soggetto mediante certificato elettronico personale, nonché l'attestazione temporale).

Consentire l'utilizzo di tale pratica, inoltre, determina una autonoma “responsabilità organizzativa” dell'Ente (Cass. civ., sez. III, Ord. 23 marzo 2018 n. 7250).

Inoltre la mancanza o difetto del consenso informato determina, sovente, l'esclusione dalla copertura assicurativa.

Il ritardo oppure la mancata compilazione della cartella può configurare il reato di omissione di atti di ufficio così come la scorretta gestione della cartella clinica può configurare i reati di falsità materiale e ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici o falsità commesse da pubblici impiegati incaricati di un servizio pubblico (artt. 328 c.p. “Rifiuto/omissione di atti d'ufficio”, 476 “Falsità materiale in atto pubblico”, 479 c.p. “Falsità ideologica in atto pubblico” e 493 c.p. “Falsità commesse da pubblici impiegati incaricati di un servizio pubblico”), con conseguenze penalmente rilevanti.

Quanto al danno da mancato consenso informato la Cassazione ha specificato che lo stesso ha natura plurioffensiva in quanto astrattamente idoneo a determinare:

a) un danno alla salute, “quando sia ragionevole ritenere che il paziente - sul quale grava il relativo onere probatorio - se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all'intervento (onde non subirne le conseguenze invalidanti)”;

b) un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione “a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute” (Cass. civ., Sez. III, Sent. 11 novembre 2019, n. 28985).

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