Il favor filiationis e la rigidità del criterio di collegamento della cittadinanza nelle norme di conflitto in materia di filiazione

04 Novembre 2020

In caso di contestazione del riconoscimento dello stato di figlio naturale, alla luce della prevalenza dell'interesse del minore, opera il principio del favor verso la conservazione del rapporto di filiazione...
Massima

In caso di contestazione del riconoscimento dello stato di figlio naturale, alla luce della prevalenza dell'interesse del minore, opera il principio del favor verso la conservazione del rapporto di filiazione, e dunque prevale la legge italiana sulla legge nazionale del figlio che, prevedendo l'esperibilità dell'azione senza termini decadenziali, lo espone ad una condizione di instabilità ed incertezza permanenti, così violando il principio dell'ordine pubblico.

Qualora l'annotazione del riconoscimento sia intervenuta in un momento anteriore rispetto all'entrata in vigore del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, il termine di decadenza quinquennale decorre, non già dalla notifica dell'atto di citazione, ma dalla data di entrata in vigore del medesimo.

Il caso

Con la sentenza in commento il Tribunale ordinario di Monza si è pronunciato in punto di giurisdizione e di legge applicabile in riferimento al contestato rapporto di filiazione instaurato mediante riconoscimento da parte di un cittadino italiano nei confronti di un minore nato a Santo Domingo.

Nello specifico il Tribunale è stato adito dalla moglie e dalla figlia di un defunto cittadino italiano, che hanno convenuto in giudizio la madre del minore, legalmente riconosciuto dal medesimo. Le attrici hanno sostenuto la nullità del riconoscimento, in virtù dell'applicazione del Codigo Civil de la Republica Dominicana e, nello specifico, dell'art. 335, che nega il riconoscimento dei figli nati da relazioni incestuose o adulterine, giacché l'uomo, presunto padre del minore straniero, risultava coniugato al momento del compimento dell'atto.

Nell'ipotesi in cui il giudice avesse ritenuto applicabile la legge italiana, le attrici hanno invocato l'art. 263 c.c., chiedendo che il riconoscimento venisse dichiarato non veritiero e pertanto inidoneo a produrre alcun effetto, in virtù delle precarie condizioni di salute dell'uomo al momento del presunto concepimento, essendo lo stesso affetto da diabete mellito e da carcinoma prostatico, ritenuti ostativi al concepimento.

La convenuta, madre del minore, si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree, assumendo la contrarietà all'ordine pubblico della legge straniera, e ritenendo applicabile la legge italiana più favorevole al minore; ha eccepito l'intervenuta decadenza delle attrici dalla facoltà di esperire l'azione ex art. 263 c.c. essendo decorso il termine di anni cinque dal momento dell'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita, e chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna delle due attrici al versamento di una somma in favore del minore a titolo di mantenimento.

La questione

Le problematiche giuridiche sottese alla pronuncia sono molteplici e, nello specifico hanno riguardato:

- l'individuazione della legge da applicare per la regolamentazione della controversia avente ad oggetto l'impugnazione del riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio in un contesto di internazionalità, in base ai criteri di collegamento indicati dalle norme di conflitto di diritto internazionale privato. In particolare, occorreva stabilire se applicare la legge nazionale del minore riconosciuto, ossia la legge della Repubblica Dominicana o quella dell'autore del riconoscimento, in quanto più favorevole, ossia la legge italiana, in applicazione dell'art. 33, comma 2, l. 218/1995, che disciplina le azioni di stato;

- la valutazione, qualora la legge straniera fosse stata considerata applicabile nel caso di specie, della sua conformità all'ordine pubblico ex art. 16 l. 218/1995;

- l'accertamento della pendenza del temine per proporre impugnazione del riconoscimento, alla luce delle modifiche introdotte in punto di disciplina dell'azione di stato da parte del d.lgs. n. 154/2013.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Monza ha preliminarmente affermato la sussistenza della giurisdizione italiana in virtù dell'art. 37 della l. 218/1995 che, in materia di filiazione, ne sancisce la prevalenza rispetto alla giurisdizione straniera, allorquando ricorrano i presupposti di cui agli artt. 3 e 9 della legge citata e anche nel caso in cui uno dei due genitori o il figlio sia cittadino italiano o abbia la residenza in Italia. Nel caso di specie, l'uomo che ha effettuato il riconoscimento, ancorché di minore straniero, era cittadino italiano.

Nel merito, si è al cospetto di un'azione di stato volta ad ottenere l'invalidità del riconoscimento effettuato dall'uomo italiano nei confronti del minore dominicano per difetto di veridicità.

Orbene, il riconoscimento è stato effettuato secondo quanto disposto dalla legge dominicana, in attuazione dell'art. 35 della l. 218/1995 che, in riferimento al riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio, sancisce l'applicabilità della legge nazionale del figlio o, se più favorevole, quella dell'autore del riconoscimento e, qualora la legge così individuata non consenta il compimento dell'atto, è prevista l'applicazione della legge italiana. Per quanto concerne, invece, le azioni di stato, l'art. 35 è silente, dovendosi fare riferimento alla disciplina dettata dall'art. 33 della medesima legge che, al secondo comma, statuisce che, al fine di contestare lo stato di figlio, occorre fare riferimento alla legge nazionale del figlio o, solo se più favorevole, a quella dello Stato di cui uno dei due genitori ha la cittadinanza al momento della nascita.

Sulla base di quanto detto, il Tribunale di Monza ha ritenuto più favorevole la legge dell'autore del riconoscimento, e dunque la legge italiana. Difatti, l'art. 263 c.c. prevede diversi regimi di prescrizione e di decadenza dell'azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità: l'imprescrittibilità dell'azione riguardo al figlio; il termine decadenziale di un anno dall'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita nel caso in cui ad impugnarlo sia l'autore dello stesso, salvo che questi abbia ignorato il proprio stato di impotenza al momento dell'atto; per chiunque sia interessato ad impugnare il riconoscimento vige il termine decadenziale di cinque anni dalla sua annotazione. In tal modo si bilanciano i due interessi contrapposti del favor veritatis, rispondente all'esigenza pubblica di garantire la corrispondenza tra apparenza e realtà, e la stabilità dello status di figlio. Ne consegue l'affermazione del favor filiationis, in quanto tali disposizioni sono idonee a salvaguardare la permanenza dello status di figlio e soprattutto a garantirne la stabilità, evitando che lo stesso possa essere soggetto all'incertezza per lungo tempo, salvo che nel caso dell'esperibilità dell'azione da parte del soggetto riconosciuto. Il Codigo Civil de la Republica Dominicana, invece, all'art. 339 prevede una contestazione generalizzata del riconoscimento, consentendo a chiunque e senza limiti temporali di impugnarlo, ed esponendo pertanto ad un'inesorabile e gravosa instabilità il rapporto di filiazione.

Sulla base delle suesposte considerazioni, il Tribunale di Monza ha affermato che la legge italiana dovesse essere considerata più favorevole rispetto a quella dominicana e che pertanto avrebbe dovuto essere applicato l'art. 263 c.c.

Il Tribunale di Monza ha, inoltre, argomentato sotto diverso profilo l'inapplicabilità, nel caso di specie, della legge straniera. Difatti i giudici hanno affermato che, qualora si dovesse ritenere applicabile il diritto dominicano, ai sensi dell'art. 33,l. 218/1995, esso risulterebbe in contrasto con l'ordine pubblico ai sensi dell'art. 16 l. 218/95 in quanto, essendo l'imprescrittibilità dell'azione di contestazione dello stato di figlio da parte di chiunque prevista dall'art. 339 del Codigo Civil de la Republica Dominicana idonea a determinare una condizione precaria perpetua per il figlio. Sarebbe così inficiato il superiore interesse del minore, quale principio guida in tutte le controversie concernenti i minori. In attuazione, dunque, dell'art. 16,l. 218/1995 la legge straniera non può applicarsi, ma il giudice deve rinvenire un altro criterio di collegamento nella norma di conflitto o in mancanza applicare la legge italiana. Nel caso di specie, in applicazione dell'art. 33, dovrebbe comunque concludersi per l'applicazione della legge italiana.

La domanda è stata, infine, ritenuta tempestiva, anche se proposta in data anteriore al quinquennio, in applicazione della disciplina transitoria del d.lgs. 154/2013 art. 104, comma 10, che statuisce che, in caso di riconoscimento intervenuto prima dell'entrata in vigore del decreto, il termine decadenziale per impugnarlo inizia a decorrere dal giorno della sua entrata in vigore.

Osservazioni

Le norme di conflitto di diritto internazionale privato di cui alla l. 218/1995 «Legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato» dedicano poco spazio all'instaurazione del rapporto di filiazione. In particolare, l'art. 33 disciplina la filiazione in generale e le azioni di stato e l'art. 35 concerne il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio. L'art. 34 attinente alla legittimazione per susseguente matrimonio dei genitori, invece, è stato abrogato ad opera del d.lgs. n. 154/2013 che ha introdotto il principio dell'unicità dello stato di figlio, eliminando la disparità terminologica e di trattamento tra i figli legittimi e i figli naturali. Sulla base di tale unicità di status, è possibile invocare l'art. 33, nella parte in cui regolamenta le azioni di stato, in riferimento alla contestazione del riconoscimento dello stato di figlio nato fuori dal matrimonio, che non è disciplinato in maniera espressa nell'apposita disposizione di cui all'art. 35.

Il legislatore ha altresì operato una scelta opinabile quanto al criterio di collegamento in ambito di filiazione, poiché sembra aver disatteso l'orientamento della giurisprudenza e della legislazione nazionale e soprattutto sovranazionali che si sono ancorate al criterio della residenza abituale del minore. Quest'ultimo appare più idoneo a garantire il pieno soddisfacimento del superiore interesse del minore. La residenza abituale è stata definita dalla giurisprudenza come il parametro « […] posto a salvaguardia della continuità affettivo-relazionale del minore […]» che « […] non è in contrasto ma, al contrario, valorizza la preminenza dell'interesse del minore» (cfr. Cass.civ.,sez.un., ord. 5 giugno 2017, n. 13912).

Il criterio della residenza abituale del minore è impiegato dal Regolamento CE 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitorialeper l'individuazione dell'autorità giurisdizionale competente a decidere della controversia. A tal proposito la sentenza della Corte di Giustizia, sez. V, sent. 28 giugno 2018, causa C- 512/17 ha affrontato la delicata questione dell'interpretazione dell'espressione “residenza abituale del minore”. Essa argomenta che il legislatore ha ritenuto che i giudici dello Stato membro della residenza abituale del minore siano, in ragione della loro vicinanza all'ambiente sociale e familiare, i più adatti per valutare la sua situazione. La Corte ha sancito che si tratta di una nozione autonoma del diritto UE, che non è dotata di espressa definizione normativa, ma che deve essere interpretata secondo le disposizioni e gli scopi perseguiti dal Regolamento.

Vieppiù, la residenza abituale è considerata il luogo in cui vi è il centro della vita del minore che deve essere individuato alla luce della globalità delle circostanze fattuali, quali la durata della permanenza in un luogo, essendo rilevante sapere se si tratta di permanenza di carattere occasionale, temporaneo o duraturo; è necessario verificare in quale luogo si trovino le persone con cui il minore ha legami familiari o sociali e, se si tratta di minore in età pre-scolare, considerare le persone che se ne prendono cura.

Orbene, il legislatore della riforma delle norme di diritto internazionale privato non ha inserito il criterio della residenza abituale del minore tra le norme di conflitto concernenti la materia della filiazione, né in riferimento all'individuazione della giurisdizione ma si è assestato su un criterio di carattere formale, qual è quello della legge nazionale. Quest'ultima è anche definita come lex fori, in quanto si sostanzia nella legge dello Stato in cui ha sede l'organo giudiziario o l'autorità adita. Essa implica un legame tra la persona e l'ordinamento giuridico dello Stato improntato sull'elemento della cittadinanza. Ne deriva che, in materia di costituzione del rapporto di filiazione caratterizzato da elementi di internazionalità, sia istaurato in corso di matrimonio che al di fuori, così come per le azioni di stato, è stato preferito il criterio di collegamento formale della cittadinanza del minore e, solo in caso di legge più favorevole, quello della cittadinanza del genitore o di colui che effettua il riconoscimento. A ben vedere, tale scelta risulta in contrasto con gli orientamenti in particolar modo sovranazionali tesi alla massimizzazione della tutela del minore, che viene attuata anche mediante l'impiego del parametro della residenza abituale del minore.

È auspicabile un intervento del legislatore, affinché modifichi le disposizioni in materia di filiazione, attribuendo al giudice la libertà di scegliere tra più criteri di collegamento tra quello della cittadinanza dei genitori se comune, o quello della cittadinanza dei figli o la legge dello Stato in cui vi è la residenza del nucleo familiare, dimodoché, il giudice del caso concreto, possa individuare la soluzione migliore per il minore in ossequio al favor filiationis e al principio del superiore interesse del minore (cfr. F. Menegazzi Munari, La disciplina dei rapporti giuridici genitori- figli alla luce delle nuove norme di conflitto italiane, in Dir. Famiglia, fasc. 3, 1998, p. 1221).

Un'ulteriore questione che merita di essere analizzata è quella concernente l'incompatibilità riscontrata dal Tribunale di Monza tra la legge dominicana e l'ordine pubblico italiano in attuazione dell'art. 16 l. 218/1995.

L'ordine pubblico costituisce un limite all'applicazione della legge straniera individuata ai sensi delle norme di diritto internazionale privato. Si tratta di un limite negativo, in quanto nega l'operatività del diritto straniero e di carattere successivo, essendo possibile pervenire a siffatta conclusione solo all'esito del raffronto della legge straniera di rinvio, con i principi di ordine pubblico.

La clausola generale dell'ordine pubblico ha subito un'evoluzione nel corso del tempo. Non esiste una definizione codificata di ordine pubblico, potendo più che altro considerarsi tale la complessità dei principi fondamentali e dei valori ricavabili da un determinato ordinamento in un certo momento storico. In passato l'ordine pubblico era inteso in chiave negativa, in funzione protezionistica, dovendosi considerare come clausola di sbarramento rispetto ai provvedimenti e alle leggi straniere espressione di istituti e di principi non previsti dal diritto nazionale. Infatti, l'ordine pubblico era l'insieme dei principi derivanti dalle disposizioni del diritto interno. Con l'avvento della Costituzione e l'affermazione del principio personalista di cui all'art. 2 Cost., che pone al centro dell'ordinamento l'uomo con i suoi diritti e le sue libertà fondamentali, nonché, grazie all'adesione dell'Italia ad organizzazioni internazionali e alla ratifica di Convenzioni improntate alla tutela dei diritti fondamentali, prima tra tutte la Convenzione europea dei diritti fondamentali dell'uomo, si è diffusa una nuova concezione di ordine pubblico, questa volta in senso internazionale. Con questa espressione si intende indicare il complesso dei principi scaturenti non solo dal diritto nazionale, ma anche da quello internazionale, sulla base dei trattati, delle convenzioni, delle pronunce delle corti sovranazionali, delle consuetudini internazionali. Ne deriva che l'ordine pubblico internazionale non costituisce più strumento di protezione del diritto nazionale ma, al contrario ha una forza espansiva, divenendo mezzo di promozione della tutela dei diritti e delle libertà fondamentali.

Nel caso di specie, la legge sulla contestazione del riconoscimento dello stato di figlio nato fuori dal matrimonio prevista dal Codice civile dominicano, esponendo il rapporto di filiazione ad una situazione di instabilità senza limiti temporali, è stata reputata in conflitto con la nozione di ordine pubblico, in quanto pregiudica il diritto al mantenimento dello status di figlio, quale aspetto essenziale dell'identità dell'individuo.

In conclusione, il Tribunale di Monza, con la pronuncia in commento, si è adeguato all'orientamento consolidato in giurisprudenza, volto a garantire massima tutela allo status di figlio, elemento questo considerato preferenziale rispetto all'interesse contrapposto dell'accertamento della verità.

Guida all'approfondimento

. Caringella – L. Buffoni, Manuale di Diritto Civile, DIKE Giuridica Editrice, 2017, pp. 2042-2043.

F. Menegazzi Munari, La disciplina dei rapporti giuridici genitori- figli alla luce delle nuove norme di conflitto italiane, in Dir. Famiglia, fasc. 3, 1998, p. 1221

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