Impugnazione del lodo arbitrale e termine lungo: rimessa alle Sezioni Unite l'individuazione del dies a quo

10 Novembre 2020

La questione esaminata dalla pronuncia in commento è la seguente: il termine lungo per impugnare il lodo arbitrale decorre dall'ultima sottoscrizione dell'atto o dalla comunicazione alle parti della sottoscrizione?
Massima

Deve essere rimessa al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite, la questione se il termine lungo di un anno per l'impugnazione del lodo arbitrale ex art. 828 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, possa decorrere non dall'ultima sottoscrizione dell'atto, ma dalla comunicazione alle parti della sua intervenuta sottoscrizione.

Il caso

Un'associazione temporanea di imprese impugnava un lodo arbitrale, chiedendone l'annullamento.

La Corte d'appello dichiarava inammissibile la impugnazione perché tardiva.

L'appellante proponeva ricorso in Cassazione ritenendo errata la soluzione seguita dal giudice di appello di ancore il dies a quo per la proposizione dell'impugnazione dalla data della sottoscrizione a prescindere dalla comunicazione, dal momento che il lodo deliberato e redatto, ma non comunicato, rimane documento non conoscibile per le parti.

La Corte di cassazione ha ritenuto opportuno rimettere al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite la questione se il termine lungo di un anno per l'impugnazione del lodo arbitrale ex art. 828 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, possa decorrere non dall'ultima sottoscrizione dell'atto, ma dalla comunicazione alle parti della sua intervenuta sottoscrizione.

La questione

La questione in esame è la seguente: il termine lungo per impugnare il lodo arbitrale decorre dall'ultima sottoscrizione dell'atto o dalla comunicazione alle parti della sottoscrizione?

Le soluzioni giuridiche

Sulla questione rimessa al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite, la Corte di cassazione - nell'unico precedente già affrontato - aveva escluso che ai sensi dell'art. 828 comma 2 c.p.c., il termine lungo per l'impugnazione del lodo prenderebbe a decorrere solo dalla data in cui le parti abbiano avuto conoscenza legale della pronuncia (Cass. civ., n. 21648/2018).

In tale ordinanza la Corte ha affermato: l'art. 828, comma 2, c.p.c. conferisce rilievo, ai fini della decorrenza del termine annuale, al momento in cui è apposta l'ultima sottoscrizione. La disposizione si spiega col rilievo per cui il lodo, salvo quanto disposto dall'art. 825 c.p.c. ai fini dell'esecutività, produce gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria proprio dalla data della sua ultima sottoscrizione (art. 824-bis c.p.c.). In tal senso, può stabilirsi una corrispondenza tra la pubblicazione della sentenza - con cui il provvedimento viene ad esistenza e comincia a produrre i suoi effetti (e da cui pure inizia a decorrere il termine cd. lungo per impugnare: art. 327 comma 1 c.p.c.) e l'attività consistente nell'apposizione della suddetta ultima sottoscrizione. L'assunto dei ricorrenti, secondo cui l'art. 828 c.p.c., comma 2, andrebbe sottoposto a una interpretazione costituzionalmente orientata, e ciò nel senso di ritenere che il termine annuale debba decorrere dal momento in cui la parte abbia avuto conoscenza legale del lodo, non ha fondamento. Sul punto, proprio in considerazione della rilevata simmetria delle discipline concernenti il termine lungo per impugnare, rispettivamente, il lodo arbitrale e la sentenza, paiono spendibili le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale, con riferimento alla prescrizione contenuta nell'art. 327 comma 1 c.p.c. È stato evidenziato, in proposito, che quest'ultima disposizione opera un non irragionevole bilanciamento tra l'indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa. Infatti - è stato spiegato - l'ampiezza del termine annuale consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta in rebus suis; la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione è dunque un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicché lo spostamento del dies a quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio (Corte cost., sent. n. 297/2008). Non può essere dunque condiviso l'argomento delle amministrazioni ricorrenti che valorizzano, ai fini della decorrenza del termine annuale di impugnazione, il momento della comunicazione del lodo alle parti (art. 824 c.p.c.). Né si vede perché mai il suddetto termine debba farsi decorrere dal deposito del lodo: attività, quest'ultima, del tutto eventuale, siccome correlata all'exequatur del lodo stesso.

Del resto tale interpretazione è aderente al dato normativo. La disciplina processuale è chiara nel far decorrere il termine annuale per l'impugnazione dall'ultima sottoscrizione e non dalla comunicazione del lodo.

Facendo un parallelismo con l'impugnazione della sentenza, la Corte costituzionale ha infatti osservato che l'art. 327, comma 1, c.p.c., - il quale prevede la decadenza dalla impugnazione dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione della sentenza, indipendentemente dalla notificazione di questa - opera un non irragionevole bilanciamento tra l'indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa. L'ampiezza del termine annuale consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta in rebus suis. La decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte: sicché lo spostamento del dies a quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio (Corte cost., n. 297/2008).

In questa sede non può trascurarsi di evidenziare che per le Sezioni Unite la sentenza del giudice esiste giuridicamente e tutti ne hanno "scienza legale" con la pubblicazione, a cura del cancelliere», e che «la pubblicazione è effetto legale della certificazione da parte del cancelliere della consegna ufficiale della sentenza, ed in tal modo egli completa il procedimento di pubblicazione che la norma prevede senza soluzione di continuità tra la consegna ed il deposito (Cass. civ., Sez. Un., n. 13794/2012).

Pertanto per la S.C. a norma dell'art. 133 c.p.c. la consegna dell'originale completo del documento-sentenza al cancelliere nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata, avvia il procedimento di pubblicazione della sentenza che si compie, senza soluzione di continuità, con la certificazione del deposito mediante l'apposizione, in calce alla sentenza, della firma e della data del cancelliere che devono essere contemporanee alla data della consegna ufficiale della sentenza, in tal modo resa pubblica per effetto di legge. Deve quindi escludersi che il cancelliere, nell'espletamento di tale attività preposto alla tutela della fede pubblica (art. 2699 c.c.), possa attestare che la sentenza, già pubblicata per effetto dell'art. 133 c.p.c., alla data del suo deposito, è pubblicata in data successiva, e se sulla sentenza sono state apposte due date, una di deposito, senza espressa specificazione che il documento depositato contiene la minuta della sentenza, e l'altra di pubblicazione, tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono dalla data del suo deposito.

La sentenza delle Sezioni Unite civili n. 13794/2012 è espressione di apprezzabile rigore, anche esegetico, e dello sforzo di ricondurre a legalità l'azione e insieme l'organizzazione degli uffici competenti.

Come le Sezioni Unite pongono in rilievo, nella procedura di pubblicazione disciplinata dall'art. 133 c.p.c., che si articola nel deposito della sentenza da parte del giudice (primo comma) e nella presa d'atto del cancelliere (secondo comma), l'atto fondamentale è il primo; e ciò appare corretto alla stregua, oltre che del dato letterale ("la sentenza è resa pubblica mediante deposito"), di quello sostanziale, essendo tale soluzione interpretativa l'unica coerente con il diverso ruolo del cancelliere e del giudice: come a quest'ultimo compete la chiusura del rapporto processuale con il deposito della sentenza, rendendola con ciò immodificabile, così non può non competergli un ruolo determinante nella fase di pubblicazione, ai fini dei possibili sviluppi impugnatori. La separazione temporale dei due passaggi procedimentali che viene a crearsi con l'apposizione di due date, comporta al contrario il trasferimento dell'effetto "pubblicazione" dal primo al secondo, trasferimento che giustamente le Sezioni Unite stigmatizzano.

È solo con il compimento di queste operazioni che può dirsi realizzata quella "pubblicità", prevista dalla norma, che rende possibile a chiunque l'acquisizione della conoscenza dei dati che ne costituiscono l'oggetto, possibilità che si traduce nella titolarità da parte dei potenziali interessati di puntuali situazioni giuridiche e in particolare del potere di prendere visione degli atti pubblicati e di estrarne copia.

Pertanto, per costituire dies a quo del termine per l'impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, situazione che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzata solo in corrispondenza di quest'ultima.

Osservazioni

Riteniamo opportuno che una soluzione analoga venga adottata anche con riferimento all'impugnazione del lodo arbitrale: è parte integrante del diritto di difesa, infatti, che i soggetti interessati abbiano tempestiva conoscenza degli atti oggetto di una possibile impugnazione, in modo che siano utilizzabili nella loro interezza i termini di decadenza previsti per l'esperimento del gravame (Corte cost. n. 223/1993).

Le Sezioni Unite, se investite della questione, potranno fornire una interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto degli artt. 828, comma 2, e 825, comma 1, c.p.c. (ora artt. 828, comma 2, e 825, comma 1 c.p.c.) nel senso di far decorrere il termine annuale preclusivo dell'impugnazione dalla comunicazione del lodo ad opera degli arbitri; ovvero, potrebbero rimettere a loro volta alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale.

Tuttavia, deve osservarsi che il giudice delle leggi, con molteplici decisioni, emesse in materia fallimentare, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di norme sulla decorrenza di termini processuali per l'impugnazione di un atto da un determinato evento (Corte cost., n. 201/1993; Corte cost., n. 881/1988; Corte cost. n. 303/1985) o dall'affissione (Corte cost., n. 224/2004; Corte cost., n. 211/2011) anziché dalla comunicazione dello stesso.

Tuttavia, il principio è stato enunciato in riferimento ad ipotesi, in cui i termini fissati dal legislatore, a parte l'incertezza e inconoscibilità della loro decorrenza, erano oggettivamente esigui: si trattava comunque di ipotesi ontologicamente diverse da quella prevista dall'art. 327 c.p.c., dal momento che solamente per quest'ultima ipotesi - e non anche per le altre di cui alle richiamate pronunce - l'interessato è posto in condizione di conoscere la decorrenza iniziale del termine decadenziale, senza l'imposizione di oneri eccedenti la normale diligenza e, lo stesso potrebbe dirsi per il termine previsto dall'art. 828 c.p.c.

Quanto al lodo, peraltro, potrebbe replicarsi che le parti del procedimento arbitrale, per quanto solerti e diligenti, non hanno la possibilità di attivarsi periodicamente per verificare il deposito della decisione, mediante il controllo dei registri di cancelleria, come possono fare per le pronunce dell'autorità giudiziaria.

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