Il padre che consapevolmente omette di riconoscere il figlio è tenuto, una volta instaurato il rapporto di filiazione, a risarcire il danno endofamiliare

Giulio Montalcini
17 Novembre 2020

Il padre che consapevolmente omette di riconoscere il figlio è tenuto, una volta instaurato il rapporto di filiazione, a risarcire il danno endofamiliare provocato al figlio e alla madre che da sola lo ha cresciuto
Massima

In presenza dell'inadempimento all'obbligo di mantenimento del figlio da parte di uno dei due genitori, il genitore che richieda la restituzione delle spese sostenute in luogo dell'altro, ha l'onere di provarle adeguatamente nell'an e nel quantum, almeno attraverso l'applicazione di un metodo presuntivo. Ai fini della quantificazione dell'importo dovuto in restituzione il Giudice, però, ben può fare ricorso all'equità, costituente criterio di portata generale, atteso che, sebbene il diritto trovi titolo nell'obbligazione legale di mantenimento imputabile anche all'altro genitore, l'importo ha natura in senso lato indennitaria, in quanto diretto ad indennizzare il genitore, che ha riconosciuto il figlio degli esborsi sostenuti da solo per il mantenimento della prole.

L'art. 30 della Costituzione, individuando entrambi i genitori come soggetti obbligati a mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio, sancisce non solo il dovere di ciascuno nei confronti del figlio ma anche un dovere reciproco dei genitori, la cui violazione cagiona non solo al figlio ma anche al genitore rimasto solo ad accudire la prole un danno non patrimoniale risarcibile, potendo ravvisarsi in tale condotta inadempiente la violazione di un diritto costituzionalmente garantito.

Il caso

Dalla relazione sentimentale fra due giovani, conosciutisi all'interno dello stesso stabile in Italia, nasce all'estero un bambino, riconosciuto dalla sola mamma. Il padre, consapevole di essere genitore, nonostante le rassicurazioni fornite alla compagna, non riconosce il bambino ed, anzi, si trasferisce altrove per proseguire gli studi universitari. Trascorsi molti anni dalla nascita, il bambino rimane privo del sostegno paterno, sicché la madre, molti anni dopo, agisce per il riconoscimento giudiziale della paternità. Accertato giudizialmente il rapporto di filiazione fra il minore e il padre, la madre, in proprio e in quanto esercente la responsabilità genitoriale sul minore residente in Italia, si rivolge al Tribunale, agendo in regresso nei confronti dell'uomo per la restituzione di quanto versato, in eccesso, per il mantenimento del figlio durante il corso degli anni.

Allo stesso modo, Ella, sostenendo di aver subito assieme al figlio un danno non patrimoniale derivato dalla prolungata assenza del padre, ottiene un risarcimento. Il figlio, divenuto nelle more maggiorenne, interviene nel giudizio aderendo integralmente alle richieste materne.

Il Tribunale condanna, in via equitativa, il padre alla restituzione del 50% delle somme versate per il mantenimento del minore durante gli anni della sua assenza, nonché al risarcimento del danno endofamiliare tanto nei confronti del figlio, equitativamente calcolato, tenuto conto dei parametri di liquidazione del danno da morte del genitore, quanto nei confronti della madre, liquidato, nel quantum, sulla scorta dei parametri previsti per il danno da morte del coniuge.

La questione

Nella pronuncia in commento si esamina, in primo luogo, la domanda di restituzione delle somme versate in eccesso dalla madre, a fronte dell'inadempimento da parte dell'altro genitore. Il Tribunale, ritenuti sussistenti i presupposti per l'accoglimento della domanda, liquida in favore della madre un importo facendo ricorso all'equità, attesa la natura latamente indennitaria del quantum dell'obbligazione legale del mantenimento imputabile anche all'altro genitore.

Si osserva prima, che il genitore che agisce in restituzione è tenuto, secondo le regole dell'azione di regresso, a provare le spese sostenute in eccesso nell'an e nel quantum; tuttavia, quando l'importo non sia altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare, il Giudice ben può fare ricorso al criterio generale di liquidazione secondo equità, per la ragione sovraesposta.

La decisione del Giudice ha, peraltro, accolto la duplice domanda risarcitoria, spiegata dal figlio nei confronti del padre, nonché dalla madre nei confronti dell'ex compagno e per entrambi scaturita dal pregiudizio a beni immateriali riferibili ad entrambi, con il conseguente accertamento di un danno di natura endofamiliare.

Il mancato riconoscimento di un figlio da parte del genitore paterno che sia rimasto inadempiente ai propri doveri genitoriali, fino al momento in cui, su iniziativa della madre, non sia stata accertata giudizialmente la sua paternità, è suscettibile di cagionare un danno grave, tanto al figlio quanto alla madre medesima, da liquidarsi in forma equitativa.

Le soluzioni giuridiche

Con riferimento alla domanda di restituzione delle somme versate in eccesso dalla madre, costretta a provvedere, per l'intero e in luogo del padre, al mantenimento del figlio, il Tribunale di Roma ha rilevato che l'obbligazione di mantenere i figli discende dall'art. 30 Cost., laddove è fatto specifico obbligo ai genitori di educare, mantenere e istruire i figli, per il solo fatto della procreazione.
La riforma del 2012 ha peraltro enucleato le modalità in cui si esercita la responsabilità genitoriale, intesa come il complesso dei diritti (ma soprattutto) dei doveri che si esplicano nei confronti della prole, a prescindere dalla sussistenza di un rapporto di coniugio.

L'art. 316-bis c.c. osserva come l'obbligo di mantenimento della prole sia posto a carico dei genitori in concorso tra di loro, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo le specifiche capacità di lavoro professionale o domestico.

Sulla base di questo presupposto l'obbligazione legale di mantenimento si struttura come soggettivamente complessa, con carattere solidale e conseguente esperibilità dell'azione di regresso da parte di uno dei condebitori, se e in quanto abbia provveduto da solo al mantenimento della prole.

La questione che più rileva nel caso di specie è, peraltro, la corretta quantificazione di tale rimborso, giacché, come osserva il Tribunale, ciascuno dei genitori concorre al mantenimento dei figli in misura proporzionata ai propri redditi, tenuto conto anche del tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, dei tempi di permanenza presso ciascun genitore e, naturalmente, delle risorse di entrambi i genitori e della valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno, secondo quanto disposto dall'art. 337-ter c.c.

Il Tribunale peraltro correttamente ritiene che, nel caso di specie, l'importo a titolo di restituzione abbia natura indennitaria e ciò in ragione del fatto che l'obbligazione sottintende un debito di valore e non di valuta, in assenza di una pregressa statuizione in punto assegno di mantenimento a carico del padre.

Per quanto attiene, invece, alla vexata quaestio del danno endofamiliare, conseguente, nella specie, a una violazione da parte del padre, rimasto assente per anni nella vita del figlio, dei doveri di responsabilità genitoriale, il Tribunale, sulla scorta delle risultanze istruttorie acquisite, ha ritenuto sussistente l'elemento soggettivo del dolo, atteso che egli si era più volte qualificato, nelle comunicazioni per iscritto successive al parto inviate alla madre, come padre del bambino e ciononostante aveva rifiutato di riconoscere il figlio, oltre ad avergli fatto intenzionalmente mancare l'affetto, la presenza, le cure e il mantenimento.

In base, poi, alle regole d'esperienza e alla legge, secondo la quale il figlio ha diritto a crescere in un contesto di bigenitorialità, pena la compromissione di un diritto costituzionalmente garantito riconducibile al già menzionato art. 30 Cost., e tenuto conto che il genitore è tenuto a farsi carico, come già detto, delle cure, dell'educazione e del mantenimento dello stesso per il solo fatto della procreazione e a prescindere dall'esistenza di un rapporto di coniugio con l'altro genitore, il Tribunale ha ravvisato i presupposti di risarcibilità di un danno grave e ingiusto, di natura non patrimoniale.

Tale danno trovando concretizzazione all'interno di un contesto familiare si suole indicare come danno endofamiliare.

Per danno endofamiliare comunemente s'indica, infatti, una lesione alla dignità e/o alla personalità e, dunque, a un diritto assoluto e primario, compiuta da un familiare ai danni di un altro componente del nucleo, che attribuisca alla vittima il diritto a ottenere il risarcimento, secondo le regole dell'illecito aquiliano.

La nota sentenza Cass. 10 maggio 2005, n. 1633 della Suprema Corte di Cassazione ha definitivamente legittimato l'ingresso nel diritto di famiglia dell'istituto dell'illecito di natura endofamiliare, quando ancora si nutrivano dubbi, in dottrina e in giurisprudenza, sulla concreta applicabilità della responsabilità aquiliana nell'ambito familiare, giacché la legge prevedeva rimedi tipici per le violazioni che uno dei coniugi o i genitori avesse posto in essere in ambito familiare. Si pensi, ad esempio, all'istituto dell'addebito della separazione, nell'ipotesi di matrimonio, con le conseguenze che ne derivano (perdita dei diritti successori, ecc.).

Per una più approfondita disamina della questione, si veda Buffone G., Risarcimento del danno endofamiliare, in ilFamiliarista.

Ad ogni modo, la legittimazione ad agire per ottenere il risarcimento del danno spetta al figlio, quando questo abbia compiutamente raggiunto la maggiore età, all'altro genitore, in quanto esercente la responsabilità genitoriale sul minore, al coniuge in presenza di atti pregiudizievoli nei confronti dell'altro, all'unito civilmente, ma anche, è bene sottolinearlo, al convivente more uxorio, in forza di giurisprudenza ormai consolidata (si veda ex multis Cass. 20 giugno 2013, n. 15481).

Un tipico caso di illecito endofamiliare è proprio quello della privazione del rapporto genitoriale, subita dal figlio per effetto di una decisione unilaterale da parte di uno dei genitori, valido a compromettere la sua serena crescita, per la privazione di un riferimento di primaria importanza, tanto sotto l'aspetto dell'educazione, dell'affetto, dell'istruzione ma anche, come è ovvio, del concorso al mantenimento.

Sul punto la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che «la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole (nella specie il disinteresse mostrato dal padre nei confronti del figlio per lunghi anni) non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell'illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; questa, pertanto, può dar luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c. esercitabile anche nell'ambito dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità» (Cass. civ., sez. I, 10 aprile 2012 n. 5652).

Il Tribunale ha disposto, pertanto, un risarcimento in favore del figlio, parametrato sui criteri di liquidazione del danno da morte del genitore, considerando il danno pressoché analogo a quello che si produce ai danni della prole per effetto dell'assenza derivata dalla morte prematura del genitore.

Consapevole però della sostanziale diversità fra l'evento morte e l'assenza e/o distanza fisico-psicologica del genitore verificatasi nel caso di specie, il Giudice ha ridotto equitativamente della metà l'entità del risarcimento.

L'aspetto più innovativo della pronuncia in esame riguarda, invece, la risarcibilità del danno endofamiliare riconosciuta, in via autonoma, alla madre, in quanto contitolare della responsabilità genitoriale.

Giova peraltro precisare che nel caso di cui si discute, la madre era stata costretta, per via della sua occupazione in Italia, a far nascere il figlio in Polonia, suo Paese di origine, facendo poi rientro nel nostro Paese, per ulteriori cinque anni, per assolvere al proprio impiego e lasciando in Polonia, per il tempo corrispondente, il bambino sotto la supervisione dei nonni materni.

Ciò aveva prodotto, tanto ai danni del figlio, quanto ai danni della madre, un gravissimo vulnus, privando entrambi, per cinque lunghi anni, di quel rapporto fondamentale e notorio che viene a instaurarsi nei primi anni di crescita del bambino, tanto più in assenza di una figura paterna.

Il Tribunale ha ritenuto che i doveri derivanti dalla responsabilità genitoriale, di cui ha assunto la violazione da parte dell'elemento paterno, non possano esclusivamente essere rivolti nei confronti della prole, ma debbano altresì esplicarsi nei confronti dell'altro genitore, che subisce, di riflesso, i danni derivanti dall'assenza e/o dal disinteresse del partner. Trattasi di doveri reciproci e condivisi, il cui rispetto si colloca nel più generale dovere di solidarietà e vicinanza morale all'altro genitore nell'esercizio dei reciproci doveri genitoriali.

Così argomentando il Tribunale ha condannato al risarcimento del danno il padre nei confronti della madre, liquidato sulla scorta del parametro previsto per il danno da morte del coniuge, con ragionamento parzialmente analogo a quello svolto sopra, liquidando un importo inferiore a causa della sostanziale diversità fra le due situazioni di fatto (morte/assenza).

Osservazioni

La sentenza di cui si discute si allinea a un indirizzo, già presente nella giurisprudenza di merito, volto ad attribuire autonoma rilevanza costituzionale alla relazione fra genitori nel rapporto con i figli, laddove questi condividono reciproci diritti e doveri nei confronti dei figli (si veda, ad esempio il Tribunale Cagliari, 30 giugno 2020, Paleari P., Giustizia per una figlia dimenticata dal padre, in ilFamiliarista). Sicché, anche a giudizio del tribunale romano, in presenza di gravi e comprovate violazioni della responsabilità genitoriale, il danno ingiusto si riverbera negativamente tanto sul diritto costituzionalmente garantito del figlio ad intrattenere rapporti stabili e sani con i genitori, quanto su quello dell'altro genitore che si sia fatto carico integrale degli obblighi nei confronti dei figli, con il conseguente insorgere di una duplice obbligazione risarcitoria.

La decisione di merito in commento si colloca all'interno di un indirizzo, di cui costituiscono noti precedenti quelli citati, che muove da un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., a tenore del quale i danni non patrimoniali sono risarcibili ogni volta in cui a subire una compromissione sia un diritto costituzionalmente garantito.

Il caso di specie è senz'altro peculiare, atteso che il Tribunale ha ritenuto doveroso riconoscere alla madre, la quale aveva avuto una relazione giovanile peraltro mai sfociata in convivenza con un uomo e dalla quale era nato un figlio, un autonomo risarcimento essendosi fatta carico integrale della cura e del mantenimento del bambino.

Deve ritenersi, infatti, con ragionamento condivisibile, che il Tribunale abbia inteso attribuire autonomo valore alla relazione genitoriale, ritenuto che, per effetto nella nascita di un figlio, entrambi i genitori rimangano vincolati per la vita alla responsabilità genitoriale, non potendosene sottrarre.

Il rapporto fra genitori consta di una biunivocità, di un dualismo, che fonda le sue radici in diversi articoli della Costituzione, non solo, pertanto, sull'art. 30 Cost., ma anche sugli artt. 3, comma 2, e l'art. 2 Cost. e conferisce particolare valore all'atto procreativo.

La pronuncia in esame aderisce a quell'orientamento ormai maggioritario e coerente con le ultime riforme in materia familiare, che attribuisce valore di comunità/relazione alla famiglia, inteso come insieme di rapporti fondati sull'uguaglianza sostanziale dei suoi componenti, venuto meno l'originario concetto di famiglia istituzione, inteso come complesso di diritti del capofamiglia che si esplicano nei confronti degli altri familiari.

Proprio su tale principio fonda la riforma della filiazione del 2012, che sradica l'istituto della potestà genitoriale per enucleare il nuovo concetto di responsabilità genitoriale.

A prescindere dalla sussistenza di un'effettiva convivenza more uxorio, la nascita di un figlio conferisce alla coppia lo status di genitore vita natural durante, con la nascita di doveri sociali non sacrificabili.

È allora necessario che, di fronte all'inadempimento da parte di uno dei genitori, l'altro possa godere di una tutela civilistica specifica, che, in questo caso, trova il suo fondamento negli artt. 2043 c.c. e 2059 c.c., nell'ipotesi, che appare sussistere nel caso concreto, di una condotta del genitore inadempiente suscettibile di provocare una lesione a diritti inviolabili della personalità dell'altro, così come riconosciuti dall'art. 2 Cost.

Si tratta di diritti inviolabili che afferiscono la sfera individuale, intesa in senso lato, ma riguardano anche, le formazioni sociali nelle quali l'individuo svolge la propria vita di relazione, nell'ambito della quale il Tribunale di Roma sembra includere il caso della genitorialità condivisa.

Con riferimento alla liquidazione del risarcimento, suscita particolare interesse la sovrapposizione fra danno esofamiliare e danno endofamiliare effettuata dal Giudice in via equitativa, intendendosi per danno esofamiliare quello realizzatosi a causa dell'atto violento di un terzo nei confronti di un membro della famiglia (danno da uccisione del partner, ad esempio).

Nel caso che ci occupa, il Giudice ha liquidato un doppio risarcimento riferendosi ai parametri del danno da morte del genitore e da morte del coniuge, motivando di non aver rinvenuto altri riferimenti legislativi e/o giurisprudenziali che consentissero l'opportuna “oggettivazione” del risarcimento.

Riferimenti

Buffone G., Risarcimento del danno endofamiliare, ilFamiliarista, 5 giugno 2015;

Figone A., Falso riconoscimento del figlio, impugnazione e risarcimento del danno, IlFamiliarista, 9 novembre 2016;

Galluzzo S., Il padre assente deve risarcire la figlia trascurata, ilFamiliarista, 24 ottobre 2019;

Marino M., l criteri di quantificazione del risarcimento del danno da privazione del rapporto parentale, IlFamiliarista, 26 ottobre 2017;

Nazzaro A., Dannoendofamiliare e danni nei rapporti tra “familiari”, in Giustizia Civile, n. 4, 2016.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.