Come dividere la pensione di reversibilità tra prima e seconda moglie?

Redazione Scientifica
17 Novembre 2020

La ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite deve essere effettuata sulla base del criterio della durata dei matrimoni, con la ponderazione di ulteriori criteri quali la durata delle convivenze prematrimoniali, l'entità dell'assegno di mantenimento dell'ex coniuge, le condizioni economiche dei due aventi diritto.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 25656/20, depositata il 13 novembre.

La Corte d'Appello de L'Aquila riformava parzialmente la pronuncia di prime cure e rideterminava la quota della pensione di reversibilità spettante alla coniuge divorziata del de cuius, portandola dal 35% al 40%, attribuendo alla seconda moglie e al figlio la restante quota del 60%. La pronuncia è stata impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione dalla moglie divorziata che lamenta la violazione degli artt. 5 e 9, comma 3, l. n. 898/1970.

La giurisprudenza ha costantemente affermato che la ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite deve essere effettuata sulla base del criterio della durata dei matrimoni, con la ponderazione di ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra cui la durata delle convivenze prematrimoniali. In tale contesto infatti la convivenza more uxorio non ha una mera valenza “correttiva” rispetto all'elemento della durata del rapporto matrimoniale, ma assume un distinto ed autonomo rilievo giuridico laddove il coniuge interessato dimostri la stabilità e l'effettività della comunione di vita prematrimoniale (Cass.civ. n. 26358/2011).

Devono inoltre essere valutati altri elementi come l'entità dell'assegno di mantenimento attribuito all'ex coniuge e le condizioni economiche dei due aventi diritto (Cass.civ. n. 16093/2012).

È stato comunque precisato che la durata della convivenza non deve essere confusa con quella del matrimonio, a cui si riferisce il criterio legale. L'entità dell'assegno divorzile non deve invece essere considerata un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, non essendovi alcuna indicazioni legislativa in tal senso (Cass.civ. 10291/2012).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente applicato i summenzionati principi giurisprudenziale, rivelandosi dunque il ricorso inammissibile.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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