Protezione internazionale e dovere di cooperazione istruttoria: la parola alla Cassazione

18 Novembre 2020

La decisione in commento consente alla Suprema Corte di precisare meglio la portata del cd. dovere di cooperazione istruttoria del giudice.
Massima

In tema di protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria di cui all'art. 8, comma 3, d.lgs. n. 25/2008 si attua esclusivamente in sede probatoria, senza intaccare l'onere di allegazione che rimane posto a carico del richiedente. Il suddetto dovere trova, pertanto, un preciso limite nella reticenza del richiedente e nella non credibilità delle circostanze poste a sostegno della domanda.

Il caso

Nei confronti del provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Torino che rigettava la domanda, volta all'ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, il ricorrente proponeva opposizione davanti al Tribunale di Torino.

Il suddetto giudice rigettava l'opposizione con ordinanza che, successivamente, veniva altresì confermata dalla Corte di appello di Torino con condanna dell'appellante alla rifusione delle spese del grado. Segnatamente, la decisione della Corte di appello traeva origine dall'insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa speciale, sia per il riconoscimento dello status di rifugiato, sia per la protezione sussidiaria e umanitaria.

I Giudici dell'appello hanno, in primo luogo, condiviso la valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente effettuata dalla Commissione territoriale (prima) e dal Tribunale (dopo), ritenendo infine insussistenti anche i requisiti per la protezione sussidiaria. Veniva, inoltre, negata la ricorrenza dei presupposti per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari; né avrebbe potuto - tale concessione - fondarsi sulle novità legislative di cui al d.l. n. 113/2018 in difetto di specifica allegazione e dimostrazione – da parte del ricorrente - di rientrare in peculiari categorie soggettive in relazione alle quali avrebbero potuto prospettarsi lesioni di diritti umani di particolare entità.

La sentenza della Corte di appello è stata impugnata in Cassazione.

La questione

Con il primo motivo di ricorso il richiedente la protezione internazionale ha denunciato, ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 14 lett. c), d.lgs. n. 251/2007 e 8, comma 3, d.lgs. n. 25/2006, per avere la Corte di merito negato il riconoscimento della protezione; ciò nonostante la conclamata situazione di violenza generalizzata e diffusa presente in Pakistan, soprattutto in riferimento alla regione di provenienza del ricorrente (Nord Punjab).

Con il secondo motivo il ricorrente ha lamentato, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione delle preleggi, artt. 11, d.l. n. 113/2018, art. 32, comma 3, d.lgs. n. 25/2008, 5, comma 6, d.lgs. n. 286/1998, 8, comma 3, d.lgs. n. 25/2008 e 5, comma 6, d.lgs. n. 286/1998 in combinato disposto con l'art. 2 Cost. e l'art. 8 CEDU, per falsa ed erronea applicazione dei criteri legali necessari all'esame della domanda di protezione umanitaria, riferiti dalla Corte di merito al d.l. n. 113/2018, in assenza di una disposizione transitoria, ritenendo abrogata la disciplina antecedente in materia. Né sarebbero state considerate dalla Corte di Torino le tesi difensive svolte dal ricorrente circa la situazione di violenza generalizzata e diffusa presente in Pakistan; né, inoltre, sarebbero state vagliate le ragioni ed i profili individuali del riconoscimento della protezione umanitaria. Ad avviso del ricorrente la decisione impugnata ha omesso, infine, di effettuare il bilanciamento tra integrazione sociale acquisita in Italia e la situazione oggettiva del ricorrente nel proprio paese di origine.

Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l'omesso esame delle ragioni poste a fondamento della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, unitamente alla violazione dell'art. 8, comma 3 d.lgs. n. 25/2008 per avere la corte territoriale ritenuto insussistenti i requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria, senza considerare i motivi dedotti sui pericoli che lo avrebbero coinvolto.

Con il quarto ed ultimo motivo di ricorso è stata dedotta, ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell'art. 183, comma 8 c.p.c. e dell'art. 115 c.p.c. in relazione alle domande di riconoscimento della protezione sussidiaria ed umanitaria, per non avere il giudice, nell'ambito del rito camerale, consentito al ricorrente di contraddire sugli elementi probatori acquisiti d'ufficio.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato rigettato dalla prima sezione della Cassazione che, con un'ampia motivazione, ha messo meglio a fuoco alcuni punti fermi in materia di protezione internazionale.

In relazione al primo motivo di ricorso la Corte si è allineata al principio per il quale è onere «del richiedente innescare l'esercizio del dovere di cooperazione istruttoria, per cui egli non incontra difficoltà alcuna ove la sua narrazione sia vera e reale» (così già Cass. civ., 12 giugno 2019, n. 15794; Cass. civ., 19 dicembre 2019, n. 33858; Cass. civ., 19 febbraio 2019, n. 4892; Cass. civ., 20 dicembre 2018, n. 33096; in senso solo parzialmente contrario, Cass. civ., 24 maggio 2019, n.14283; Cass. civ., 27 giugno 2018, n. 33858). La valutazione di credibilità è un presupposto del cd. dovere di cooperazione istruttoria, che agevola - senza comprimere o limitarlo - l'esercizio del diritto alla protezione internazionale se solo si considera che la disciplina di cui all'art. 2697 c.c. pone in capo all'attore l'onerato della prova dei fatti costitutivi della domanda. Ed infatti, la speciale disciplina dettata in materia di protezione internazionale prevede non solo che il giudice cooperi con il richiedente nella ricerca di prove che egli non abbia potuto offrire, ma anche che quest'ultimo - in difetto di prova - fornisca allegazioni e ricostruzioni dei fatti verosimili. Alla luce di tali considerazioni la Cassazione ha ritenuto che la sentenza impugnata aveva puntualmente scongiurato la sussistenza di un concreto rischio di persecuzione, per avere il Giudice di merito aver utilizzato i poteri officiosi di indagine e di informazione di cui all'art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 25/2008; e, al contempo, verificato l'assenza di pericoli per l'incolumità fisica del ricorrente.

Inammissibili sono pure, per la Cassazione, le allegazioni portate dal secondo motivo di ricorso che, sotto le vesti di un presunto errore di diritto, contiene una critica meramente motivazionale, non più consentita alla luce del novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. quale idoneo vizio cassatorio; a ben guardare, con tale motivo di ricorso, il richiedente ha sollecitato una rivisitazione delle risultanze di fatto della vicenda e del giudizio enunciato dal giudice di merito, che ha escluso le ragioni di concessione della misura richiesta, senza palesare critiche pertinenti con la domanda giudiziale.

Parimenti inammissibile è il terzo motivo di ricorso perché tende a sollecitare un riesame delle valutazioni operate dal giudice di merito, che invece ha motivato la decisione e adeguatamente esposto le ragioni del proprio convincimento laddove ha ritenuto il ricorrente provenire dalla regione del Punjab.

Anche la censura relativa alla violazione dei diritti di difesa è – secondo la Cassazione - priva di pregio. Ed infatti, in base alla normativa di settore, il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l'istante, gli elementi istruttori necessari per la valutazione della domanda di protezione. Per questa ragione l'uso delle COI (le cd. Country of Origin Information) non integra una questione nuova rilevata d'ufficio e, pertanto, tale da essere sottoposta al contraddittorio, inerendo direttamente all'oggetto stesso del contendere così come definito sin dalla fase amministrativa (ex multis Cass. n. 28792 del 2019). Nel caso di specie la Corte ha escluso l'obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.c., per evitare le decisioni c.d. "a sorpresa" o "della terza via. Che tale obbligo non sussiste è comprovato sia dall'art. 8, comma 4, d.lgs. n. 25/08 ratione temporis applicabile, secondo il quale ogni domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall'ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. Di contro nessuna norma, domestica né europea, impone di sottoporre previamente al vaglio del richiedente le COI che il giudice intende utilizzare ai fini della decisione.

In sintesi, per la Cassazione le censure relative alla violazione del diritto al contraddittorio attengono al fatto che nel Nord del Punjab si presenterebbe una situazione affatto diversa rispetto a quella descritta nel provvedimento impugnato; tuttavia tale circostanza non integra alcuna concreta lesione del diritto di difesa del ricorrente, posto che in entrambe le fasi giurisdizionali, di primo grado e di appello, i giudici hanno condiviso gli argomenti spesi dalla Commissione territoriale.

Osservazioni

La decisione che si annota consente alla Cassazione di precisare meglio la portata del cd. dovere di cooperazione istruttoria del giudice. Sul punto la Corte si allinea alla interpretazione secondo cui il cd. dovere di cooperazione affida al giudice un ruolo attivo ed integrativo in sede d'istruzione probatoria, indipendentemente dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario e da preclusioni o impedimenti processuali; pertanto il giudice può assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione che consente di verificare la sussistenza delle condizioni della protezione internazionale (Cass. civ., Sez. Un., 17 novembre 2008, n. 27310). Da un punto di vista squisitamente processuale, la c.d. «cooperazione istruttoria» comporta, dunque, un affievolimento vero e proprio del principio dispositivo in ambito probatorio, ma non anche in relazione all'allegazione che deve essere adeguatamente circostanziata.

Da un punto di vista pratico-applicativo, il dovere di cooperazione istruttoria presuppone sempre una narrazione del richiedente che sia vera e reale (Cass. civ., n. 15794/2019 cit.; Cass. civ., 31 gennaio 2019, n. 3016). Con la precisazione che tale presupposto non va inteso come un limite ma come un'agevolazione all'esercizio del diritto alla protezione internazionale. Ed infatti se in forza della regola generale di cui all'art. 2697 c.c., l'attore è onerato della prova dei fatti costitutivi della domanda, la speciale disciplina dettata in materia di protezione internazionale, come si è visto, consente al giudice non solo di cooperare nella ricerca di quelle prove che il richiedente non abbia potuto offrire, ma anche di ritenere verosimile la sua versione dei fatti, pur in difetto di prova; sempre che le allegazioni siano credibili e adeguatamente circostanziate.

In questo stato di cose si può convenire che la violazione del dovere di cooperazione istruttoria, per essere efficacemente censurata dal ricorrente, richiede che il giudice di merito abbia omesso l'esame di elementi probatori relativi a fatti decisivi per il giudizio, che abbiano costituito oggetto di discussione nel giudizio e che siano stati allegati dal ricorrente.

Resta da dire che in materia di protezione internazionale, il vaglio di credibilità soggettiva trova applicazione sia con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, sia a quella domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria; pertanto laddove detto vaglio abbia esito negativo, l'autorità incaricata di esaminare la domanda non procede ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine.

Riferimenti

A. Lamorgese, Il sindacato di legittimità sull'uso delle fonti informative da parte del giudice di merito in tema di protezione internazionale, in www.giustiziacivile.com, approfondimento del 21 luglio 2020.

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