Bigenitorialità: un valore da preservare a tutti i costi?

20 Luglio 2020

La sentenza in esame affronta il tema – sempre attuale – della tutela del diritto alla bigenitorialità, inteso quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio ed individuato quale elemento fondante il giudizio prognostico che...
Massima

Il giudizio prognostico da compiere in ordine alla capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell'unione non può in ogni caso prescindere dal rispetto del principio della bigenitorialità, nel senso che, pur dovendosi tener conto del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della loro personalità, delle consuetudini di vita e dell'ambiente sociale e familiare che ciascuno di essi è in grado di offrire al minore, non può trascurarsi l'esigenza di assicurare una comune presenza dei genitori nell'esistenza del figlio, in quanto idonea a garantire a quest'ultimo una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, e a consentire agli stessi di adempiere il comune dovere di cooperare nell'assistenza, educazione ed istruzione del minore

Il caso

Mevio, padre di Sempronio, si rivolge al Tribunale per i minorenni di Lecce per ottenere, ai sensi dell'art. 333 c.c., la riorganizzazione delle competenze genitoriali, con esclusione della capacità genitoriale in capo alla madre Caia, la quale avrebbe posto in essere condotte ostacolanti nei confronti di Mevio. Caia, costituitasi in giudizio, assume che il figlio rifiuta la figura paterna per aver assistito a numerosi episodi di violenza posti in essere dal ricorrente nei suoi confronti. Con decreto dell'11 gennaio 2019 il Tribunale per i minorenni di Lecce dispone il collocamento del padre e del figlio presso un'idonea comunità educativa.

La Corte d'Appello di Lecce, su reclamo proposto dalla madre, preso atto del permanere di un'elevata conflittualità tra i genitori e del fallimento dell'affido del minore ai Servizi sociali disposto con un precedente decreto del 20 luglio 2016, conferma la decisione del Tribunale per i minorenni di Lecce. Tenuto conto del persistente rifiuto del minore ad incontrare il padre e della presenza di un condizionamento da parte di figure parentali, in primo luogo della madre, afferma la necessità di favorire la relazione tra il minore e il padre, non potendo assumere alcun rilievo i comportamenti penalmente illeciti ascritti dalla reclamante al padre, in assenza di una pronuncia giudiziaria quanto meno di primo grado.

Avverso il predetto decreto della Corte d'Appello di Lecce, la madre Caia propone ricorso per cassazione deducendo tre ordini di motivi: 1) violazione dell'art. 337-ter c.c., dell'art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e dell'art. 32 Cost., laddove il decreto impugnato ha ritenuto irrilevanti i maltrattamenti e le violenze posti in essere da Mevio nei suoi confronti e nei confronti del minore, a causa del mancato accertamento degli stessi in sede penale; 2) omessa, insufficiente e illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo il decreto impugnato omesso di valutare le conseguenze traumatiche di un inserimento in comunità e della possibile riemersione delle violenze familiari, fondando il proprio convincimento su elementi valutativi della genitorialità privi di specificità e significatività; 3) violazione degli artt. 26 e 31 della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

La questione

La sentenza in esame affronta il tema – sempre attuale – della tutela del diritto alla bigenitorialità, inteso quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio ed individuato quale elemento fondante il giudizio prognostico che il giudice deve compiere in ordine alla capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell'unione familiare.

In tale ottica, il ripristino dei rapporti tra il minore e il genitore che sia stato pregiudicato da un'interruzione dovuta all'atteggiamento di rifiuto opposto dall'altro genitore si pone dunque come prioritario. Ma sino a che limite tale diritto deve essere garantito?

Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione si sofferma su alcuni principi fondamentali in tema di provvedimenti riguardanti i figli, giungendo ad avallare – seppure con alcune precisazioni - la decisione assunta dalla Corte d'Appello di Lecce.

In nome del principio di bigenitorialità e del diritto del minore a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, la Corte Suprema ritiene corretto accordare la preferenza, tra le alternative possibili, a quella soluzione di affido e collocamento che consenta di assicurare il recupero del rapporto con il genitore che sia stato pregiudicato da un'interruzione dovuta all'atteggiamento ostativo dell'altro genitore; atteggiamento che abbia altresì determinato nel minore un sentimento di rifiuto rispetto alle frequentazioni con il genitore non convivente.

Il giudice, al fine di assicurare una comune presenza dei genitori nell'esistenza del figlio, deve infatti individuare la soluzione che consenta al minore di preservare, senza condizionamenti esterni, il rapporto con entrambi i genitori, anche qualora essa implichi lo sradicamento del minore dalle proprie abitudini di vita e la sua collocazione in una comunità educativa unitamente al genitore “escluso”, laddove quest'ultimo abbia necessità di superare problematiche di tipo personologico attraverso adeguati interventi psicoterapeutici.

Secondo la pronuncia in commento, la decisione della Corte territoriale non avrebbe dunque violato l'interesse superiore del minore, ma si sarebbe strettamente attenuta al medesimo, essendo il collocamento in una struttura educativa idoneo ad evitare il grave condizionamento psicologico determinato dal continuo contatto con la madre. Ciò, nonostante la pendenza di procedimenti penali a carico del padre per condotte di maltrattamento e di lesioni personali aggravate, asseritamente poste in essere dal medesimo a danno della madre, avendo il giudice civile – nell'ambito del suo potere di valutazione - ritenuto tali condotte non decisive rispetto al perseguimento del best interest del minore. Rientra, infatti, nel potere del giudice civile accertare autonomamente i fatti con pienezza di cognizione, sottoponendoli al proprio vaglio critico, ridimensionando, ove necessario, le condotte penalmente rilevanti, «sia sotto il profilo materiale che sotto quello della potenziale dannosità per l'equilibrato sviluppo psicofisico del minore».

Tuttavia, in ordine al rilievo da assegnarsi a tali condotte, pur condividendo le conclusioni cui giunge la Corte territoriale, la Suprema Corte precisa che risulta improprio il richiamo operato alla presunzione di innocenza. Il principio di autonomia e separazione, cui è improntata la vigente disciplina dei rapporti tra processo civile e processo penale, impone al giudice civile, salvo i casi di sospensione necessaria, di accertare autonomamente i fatti materiali che costituiscono oggetto del giudizio penale senza essere vincolato dalle soluzioni e qualificazioni formulate nel contesto di quest'ultimo; specularmente, il giudice civile non può astenersi dal valutare quei fatti solo perché non vi sia ancora stata una sentenza penale di condanna in primo grado. La Corte definisce quindi improprio il richiamo alla presunzione di innocenza tanto perché, operando esclusivamente in sede penale, esso non assume rilievo in sede civile, quanto perché, in concreto, non risulta che tale garanzia sia stata applicata dalla Corte d'Appello di Lecce, dal momento che questa, lungi dall'astenersi dallo scrutinare la rilevanza delle condotte poste in essere, le ha valutate ridimensionandone portata e gravità.

Proprio l'autonoma valutazione di tali condotte, ritenute non sufficienti ad escludere il collocamento del minore presso il padre e non ostative rispetto ad una ripresa dei rapporti, avrebbe dunque condotto la Corte territoriale, in tal senso avallata dalla Cassazione che ha ritenuto infondate le censure sul punto, ad optare per la collocazione del figlio e del genitore “escluso” presso una comunità educativa, contesto idoneo a garantire contestualmente sia la sicurezza del minore che la graduale ripresa dei rapporti con il padre, con la collaborazione e sotto la vigilanza di persone professionalmente qualificate.

Osservazioni

La pronuncia in commento impone una riflessione in merito alla portata e agli specifici confini entro cui circoscrivere il concetto di bigenitorialità che, quantunque astrattamente orientato a garantire l'effettività del diritto dei figli a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, spesso si concretizza nella ricerca di soluzioni che garantiscano il diritto dei genitori a essere presenti in maniera significativa nella vita dei figli.

Il confine tra le due posizioni appare spesso labile, specie se si considera che i comportamenti del genitore convivente volti a denigrare l'altro genitore e a influenzare negativamente il minore pregiudicano non solo il diritto dell'altro genitore ad essere presente nella vita del proprio figlio, ma anche il diritto di quest'ultimo ad una crescita il più possibile serena ed equilibrata e ad un sano sviluppo psicologico.

Queste situazioni, talvolta etichettate come “alienazione parentale”, sono frequentemente frutto del rancore che un genitore serba nei confronti dell'altro per l'interruzione della relazione sentimentale, sicché i comportamenti tenuti dal primo nei confronti del secondo paiono trovare la loro genesi non tanto nella volontà di punirlo per non essere un buon genitore, quanto nella volontà di punirlo per non essere stato un buon partner. In tali casi, si è spesso condivisibilmente assistito a provvedimenti, sia del giudice ordinario che del giudice minorile, in cui la soluzione adottata è stata quella di un collocamento del minore presso il genitore “alienato”, incolpevole rispetto alla campagna di denigrazione posta in essere nei suoi confronti da parte dell'altro genitore, incapace di garantire l'altra figura genitoriale agli occhi del minore. Ciò anche qualora sia lo stesso minore a rifiutare uno dei genitori, laddove, tramite approfondimenti peritali, sia stato possibile ritenere che le motivazioni del rifiuto e del disagio fossero illogiche, insensate e superficiali perché esclusivamente condizionate da un'adesione alla visione dell'altro genitore.

Nel caso in esame, tuttavia, va considerato che, diversamente dalle situazioni testé descritte, il padre – il cui diritto a mantenere rapporti costanti e continuativi con il minore si assume violato – non sembrerebbe potersi definire un “padre modello”, avendo egli posto in essere nei confronti della madre – e alla presenza del minore – condotte violente che, sebbene ridimensionate nella loro portata da parte della Corte territoriale, costituiscono pur sempre comportamenti a cui un minore non dovrebbe mai essere esposto, neppure in via indiretta.

In considerazione della condotta tenuta dal genitore, pare allora potersi ritenere che le resistenze opposte dalla madre alla frequentazione tra il proprio figlio e l'autore di quelle violenze non siano del tutto ingiustificate. Del resto, non sono rare le pronunce che hanno ritenuto l'inidoneità genitoriale di coloro che non sono stati in grado di proteggere i propri figli dalle violenze del partner, sottoponendoli alla cd. violenza assistita. Se tali genitori, per la loro incapacità di reagire dinnanzi a un partner violento, debbono essere ritenuti inidonei a svolgere il proprio dovere genitoriale, a maggior ragione dovrebbe ritenersi inidoneo colui che tali violenze ha commesso.

Del resto, che gli episodi di violenza debbano essere valutati dal giudice in sede di determinazione dell'affido e del collocamento dei minori è confermato dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (ratificata con l. 27 marzo 2013 n. 77), di cui la ricorrente deduce la violazione, dal momento che in base ad essa gli Stati aderenti devono «garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione», nonché che venga assicurato «che l'esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini» (art. 31).

Tuttavia, la sentenza in commento, nell'esaminare la dedotta violazione della disposizione de qua, ha ritenuto infondata la predetta censura e ha avallato la soluzione adottata dalla Corte territoriale, ritenendo che essa, nel rispetto delle indicazioni convenzionali, avesse adeguatamente considerato i bisogni del minore - e l'esigenza che il recupero dei rapporti con il padre non ne pregiudicasse la sicurezza - attraverso il loro inserimento in una comunità educativa.

Tale soluzione, alla luce delle complessive considerazioni che precedono, appare però quanto meno discutibile, laddove sembra finalizzata non già a garantire la sicurezza del minore, bensì a neutralizzare la potenziale pericolosità del padre, il quale manifesta problematiche di tipo personologico che richiedono adeguati interventi psicoterapeutici.

La decisione in commento pare dunque lasciare sullo sfondo l'interesse del minore che – al di là di affermazioni di principio – sembra soccombere dinanzi al dogma della bigenitorialità, ribadito anche a costo di creare un potenziale trauma nel bambino, privato non solo delle proprie abitudini di vita, ma anche del genitore che – da quanto emerge dalla sentenza in esame - sembrerebbe avere l'unica colpa di averlo tenuto lontano da un genitore violento.

Pare dunque legittimo domandarsi se il diritto alla bigenitorialità debba sempre assurgere ad emblema dell'interesse del minore oppure se talvolta, in nome della bigenitorialità, non venga in realtà favorito il diritto del genitore a vivere con il figlio, ponendo in secondo piano il diritto di quest'ultimo a crescere in un ambiente sereno ed amorevole.

Guida all'approfondimento

Gasparini, La violenza intrafamiliare e la violenza assistita, una lettura interdisciplinare, in Il Familiarista, 2019;

Delli Priscoli, The best interest of the child nel divorzio, fra affidamento condiviso e collocamento prevalente, in Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.1, 1 MARZO 2019, 262 ss.;

Cecatiello, In presenza di indici di alienazione, deve essere garantito il diritto alla bigenitorialità, in Il Familiarista, 2019;

Cicero - Rinaldo, Principio di bigenitorialità, conflitto di coppia e sindrome da alienazione parentale, in Diritto di Famiglia e delle Persone, 3, 2013, 871 ss.

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