Il condominio deve rimuovere la rastrelliera che rende difficoltoso l’accesso all’autorimessa di un condomino

20 Novembre 2020

Il Tribunale di Parma, nella pronuncia in epigrafe, condanna un condominio a rimuovere una rastrelliera apposta senza autorizzazione nel cortile comune da un condomino, che di fatto rende più difficile - senza tuttavia precluderlo - l'accesso ad un'autorimessa di proprietà di un altro condomino, sulla scorta del principio sancito dall'art. 1102 c.c., in base al quale il diritto di ciascun compartecipe di servirsi della cosa comune incontra i limiti del divieto di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, precisando che l'utilizzo deve essere valutato in concreto, ovvero in ragione del tipo di bene e dell'utilità che da esso viene abitualmente ricavata dal proprietario di ciascuna unità immobiliare, dovendosi così intendere il riferimento dell'art. 1102 c.c. all'uso secondo il diritto di ciascun condomino, non a quello generalizzato.
Massima

La maggiore difficoltà di manovra per l'accesso ad un'autorimessa privata causata da una rastrelliera apposta nel cortile senza autorizzazione, integra un sacrificio apprezzabile ed inesigibile dall'avente diritto al transito, rilevante in base al disposto di cui all'art. 1102 c.c., il cui vulnus comporta la condanna del condominio alla rimozione della rastrelliera apposta da un singolo condomino, per violazione dell'art. 1120 c.c., norma quest'ultima applicabile in materia di innovazioni inerenti le modifiche apportate da uno dei condomini - a proprie spese - alla cosa comune per conseguire il beneficio del suo maggiore godimento.

Il caso

La fattispecie esaminata dal Tribunale di Parma riguarda due distinti procedimenti - successivamente riuniti - con i quali, in uno gli attori, premettendo di essere proprietari di unità immobiliari integranti il condominio minimo, e, comproprietari con il condominio convenuto, del cortile su cui entrambi gli edifici si affacciano, convengono in giudizio il condominio, chiedendone - previo accertamento del proprio diritto di comproprietà sul cortile - la condanna alla rimozione della rastrelliera per il deposito di biciclette, munita di copertura, ed installata nel cortile comune, realizzata senza interpellarli ed acquisire il loro consenso, in contrasto con gli obblighi assunti dall'impresa immobiliare dante causa dei singoli condòmini, con cui gli stessi attori avevano tempo addietro concluso un atto di transazione, in cui si prevedeva il diritto degli istanti a transitare e sostare nel cortile condominiale comune, al fine di poter accedere alla propria autorimessa, che vi si affaccia, il cui accesso era stato di fatto limitato e reso difficoltoso dalla presenza della suddetta rastrelliera.

Nell'altro procedimento riunito al primo, gli stessi attori, hanno impugnato la delibera dell'assemblea del supercondominio con cui era stata approvato il mantenimento dell'anzidetta rastrelliera apposta nel cortile comune, chiedendo dichiararsi la sua invalidità, perché approvata a maggioranza invece che all'unanimità, deducendo altresì la mancanza di indicazioni in ordine alle quote millesimali di spettanza dei condòmini partecipanti all'assemblea.

La questione

L'oggetto principale delle due cause riunite è l'illegittima collocazione di una rastrelliera posta nel cortile condominiale in comproprietà con gli attori, di cui è contestata la realizzazione senza autorizzazione, e non in conformità alle disposizioni di legge vigenti in materia di comunione dei beni e di distanze.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale rilevata per completezza espositiva l'inopponibilità alla totalità dei condomini della scrittura privata precedentemente conclusa dall'attore con la propria dante causa, recante la previsione di un diritto in quanto non trascritta né trasfusa in successivi contratti conclusi dal condominio o dai singoli condòmini, condanna il condominio alla rimozione della rastrelliera con l'annessa copertura per il deposito delle biciclette, quale conseguenza della riscontrata maggiore difficoltà di manovra per l'accesso all'autorimessa da parte degli attori, che integra un sacrificio apprezzabile del loro diritto, inesigibile e dunque rilevante in base al disposto di cui all'art. 1102 c.c.

In tale ottica, il magistrato emiliano ha precisato che l'utilizzo della cosa deve essere valutato in concreto, ovvero in ragione del tipo di bene e dell'utilità che da esso viene abitualmente ricavata dal proprietario di ciascuna unità immobiliare, dovendosi così intendere il riferimento dell'art. 1102 c.c. all'uso secondo il diritto di ciascun condomino e non a quello generalizzato, ragione per cui anche nell'ipotesi in cui le difficoltà afferiscano alla sola fase di uscita dell'auto dal garage in retromarcia, permane a carico dei condòmini proprietari dell'autorimessa un pregiudizio nell'uso della cosa comune non giustificabile, atteso che anche in tale caso, residuerebbe una compressione dell'utilizzo del bene immobile secondo il diritto vantato dai medesimi, a cui verrebbe di fatto preclusa la possibilità di posizionare l'auto in garage in modo da uscirne in retromarcia, se non a costo di effettuare molteplici manovre per evitare la rastrelliera realizzata dal condomino e successivamente ratificata dall'assemblea condominiale.

Osservazioni

Il Tribunale ha accolto la domanda attorea, dopo avere preliminarmente rilevato l'applicabilità al supercondominio delle disposizioni in materia di condominio e non di quelle in materia di comunione, ricorrendo - come per il condominio - i requisiti dell'autonomia delle costruzioni e della presenza di parti comuni, secondo il combinato disposto di cui agli artt. 1117 c.c. e 61 e 62 disp. att. c.c., con la conseguente operatività dell'art. 1102 c.c., in forza della quale, il diritto di ciascun compartecipe di servirsi della cosa comune incontra i limiti del divieto di alterarne la destinazione e d'impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

Come affermato nella sentenza in commento, la nozione di pari uso della cosa comune, deve intendersi non nei termini di assoluta identità della sua utilizzazione da parte di ciascun comproprietario, poichè l'identità nello spazio o nel tempo di tale uso, potrebbe comportare un sostanziale divieto, per ogni condomino, di fare della cosa comune qualsiasi uso particolare od a proprio esclusivo vantaggio senza che venga alterato il rapporto di equilibrio tra i partecipati all'utilizzazione del bene in comunione (Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2015, n. 7466).

In tale ottica, non costituisce violazione della fondamentale regola paritaria dettata dall'art. 1102 c.c. un uso più intenso della cosa da parte del partecipante, se non ne alteri la destinazione, nei casi in cui il relativo esercizio non si traduca in una limitazione delle facoltà di godimento esercitate dagli altri condòmini, tali dovendo intendersi non solo quelle di fatto esercitate, ma anche quelle cui la cosa comune per le sue oggettive caratteristiche potenzialmente si presti (Cass. civ., sez. II, 15 giugno 2012, n. 9875, in cui si è osservato che per quanto attiene, in particolare, ai cortili è stato più volte precisato che, ove le caratteristiche e le dimensioni lo consentano ed i titoli non vi ostino, l'uso degli stessi per l'accesso e la sosta di veicoli, non è incompatibile con la funzione primaria e tipica di tali beni, quella di dare aria e luce alle unità immobiliari circostanti, aggiungendosi alla stessa quale destinazione accessoria o secondaria. In ordine alla questione se costituisca violazione dell'artt. 1102 c.c., il fatto che un partecipante alla comunione, a causa delle mutate condizioni, non possa più utilizzare il bene comune o possa utilizzarlo solo in maniera più difficoltosa rispetto agli altri comproprietari, v. anche Cass. civ., sez. II, 11 luglio 2011, n. 15203).

Ciò posto, si è affermato che il godimento delle cose comuni da parte dei singoli condomini assurge ad oggetto di tutela possessoria quando uno di loro abbia alterato e violato, senza il consenso degli altri condòmini, ed in loro pregiudizio, lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o restringere il godimento spettante a ciascun compossessore pro indiviso sulla medesima res (Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 855).

Infatti secondo la giurisprudenza di legittimità, la modifica di una parte comune e della sua destinazione ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione, e, quindi, al compossesso di tutti i condomini, legittima di conseguenza gli altri condomini all'esperimento dell'azione di reintegrazione per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato, in modo che essa possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione, senza che sia necessaria la specifica prova del possesso di detta parte quando risulti che essa consista in una porzione immobiliare in cui l'edificio si articola (Cass. civ., sez. II, 24 agosto 2015, n.17072).

In buona sostanza, il duplice limite che l'art. 1102 c.c. pone al potere di utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun condomino, è quello del divieto di alterarne la destinazione e di impedire che altri partecipanti ne possano fare parimenti uso secondo diritto (Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2000, n. 8886).

Pertanto, l'uso particolare della cosa comune da parte del singolo condomino deve ritenersi consentita sempre che non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari (Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2005, n.1076).

E' dunque illegittimo lo sfruttamento esclusivo del bene da parte del condomino che, concretandosi nella sua appropriazione, ne comporti la sottrazione al godimento da parte degli altri e la conseguente alterazione della sua destinazione (Cass. civ., sez. VI, 18 gennaio 2011, n. 1062).

Conseguentemente, l'utilizzo del bene comune da parte di un condomino, ovvero di un condominio compreso nel supercondominio, non può tradursi in un totale impedimento, ma neppure nel disagio e nella menomazione di quello fatto dagli altri partecipanti, imponendo a quest'ultimi un sacrificio apprezzabile, e, dunque, non tollerabile.

In punto di applicabilità della disciplina normativa nella fattispecie scrutinata, il Tribunale motiva la propria decisione osservando che l'assemblea ha ratificato l'apposizione della rastrelliera da parte di uno solo dei componenti il condominio, ragione per cui la normativa applicabile non è quella di cui all'art. 1120 c.c. in materia di innovazioni, bensì quella di cui all'art. 1102 c.c., inerente le modifiche apportate da uno dei condòmini alla cosa comune a proprie spese per conseguire il beneficio del suo maggiore godimento.

Riferimenti

Scalettaris, Appunti in tema di uso delle parti comuni, innovazioni e proprietà esclusive nel nuovo condominio, in Arch. loc. e cond., 2019, 4;

Id., L'assemblea condominiale e la disciplina dell'uso della cosa comune, in Giur. it., 2014, 1869;

Valore,L'illegittima occupazione delle parti comuni non necessariamente dà luogo a risarcimento del danno in Giustiziacivile.com;

Crusco, Condominio: poteri e limiti al godimento dei beni comuni, in Corr. giur., 2013, 915;

De Tilla, L'occupazione abusiva di un bene condominiale, in Riv. giur. edil, 2009, 429;

Id., Sul principio della concorrenza di pari poteri gestori in capo a tutti i comproprietari,
in Arch. loc. e cond., 2008, 633;

Picco, Solo il consenso unanime degli aventi diritto fa concedere alcune parti in uso esclusivo
in Guida al dir., 2008, fasc. 48, 36;

Boggiano, Brevi note sull'uso del bene comune, in Giur. it., 2002, 273;

Balzani, Interpretazione dell'art. 1102 c.c.: uso consentito e non consentito della cosa comune da parte del singolo condomino, in Arch. loc. e cond., 1985, 407.

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