Lesioni personali: è “malattia” anche il mero prolungamento dei tempi di guarigione?

Vittorio Nizza
23 Novembre 2020

Ogni condotta colposa che intervenga sul tempo necessario alla guarigione, pur se non produce ex se un aggravamento della lesione e della relativa perturbazione funzionale, assume rilievo penale allorquando...
Massima

Ogni condotta colposa che intervenga sul tempo necessario alla guarigione, pur se non produce ex se un aggravamento della lesione e della relativa perturbazione funzionale, assume rilievo penale allorquando generi la dilazione del periodo necessario al raggiungimento della guarigione o della stabilizzazione dello stato di salute (fattispecie in tema di responsabilità medica da ritardata diagnosi in relazione alla prospettata configurabilità della medesima dinnanzi all'allungamento dei tempi di guarigione).

Il caso

La vicenda in oggetto vedeva imputati tre medici, rispettivamente un radiologo e due medici ortopedici, per lesioni personali colpose per non aver diagnosticato al paziente una lesione fratturativa del corpo vertebrale lombare L1, omettendo di effettuare gli opportuni accertamenti e la tempestiva terapia, così ritardandone la guarigione.

Secondo la costruzione fattuale, il paziente L.V. a seguito di un incidente in moto era stato condotto in ospedale e sottoposto ad accertamenti radiografici. Il paziente era stato ricoverato nel reparto di ortopedia dopo che gli era stata diagnosticata un'infrazione dell'ipofisi traversa e del malleolo peroneale sinistro. Siccome il paziente lamentava il perdurare di dolori alla schiena nonostante l'assunzione di analgesici, veniva sottoposto a radiografia del torace che non riscontrava anomalie.

Il paziente veniva dimesso il giorno successivo con diagnosi di frattura composta del malleolo peritoneale sinistro, infrazione ipofisi traversa dx di L4, contusione arcata costale e trattamento gambaletto da tenere 30 giorni.

Il paziente, decorsi i 30 giorni di prognosi, stante il permanere del dolore alla schiena, si rivolgeva presso un altro ospedale dove, a seguito di TAC alla colonna vertebrale, veniva rilevata la presenza del crollo della vertebra L1 con frattura pluriframmentata. Veniva pertanto prescritto l'uso di un busto e la fisioterapia.

Venivano quindi imputati per lesioni colpose i tre medici – il radiologo e i due ortopedici - del primo ospedale che non avevano rilevato la frattura alla colonna vertebrale così ritardando l'esecuzione della terapia corretta di 30 giorni. I medici venivano condannati in primo grado per il reato loro ascritto.

La Corte d'Appello invece riformava la sentenza di primo grado assolvendo tutti gli imputati con la formula perché il fatto non sussiste. I giudici si richiamavano alle conclusioni dei periti secondo i quali l'errore diagnostico, pur evidente, non aveva inciso sul processo patologico poiché i lievi esiti algo-disfunzionali ascrivibili al tipo di frattura lombare riportato dal paziente erano ascrivibili all'evento traumatico indipendentemente dall'inadeguato trattamento. Secondo la Corte d'Appello, quindi, la condotta degli imputati, seppur censurabile, non aveva causato una “lesione” ex art. 590 c.p. così come definita dalla giurisprudenza, non essendosi verificata alcuna limitazione funzionale o processo patologico diverso da quello riscontrato, che si sarebbe comunque verificato anche qualora gli imputati avessero tenuto il comportamento doveroso.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso la parte civile evidenziando come l'errore diagnostico dei medici avesse comportato un prolungamento della malattia (la corretta diagnosi infatti era stata ritardata di 30 giorni) rientrando così nel concetto di “lesione” o di “malattia” giuridicamente rilevante.

La questione

Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione si sofferma su uno degli elementi costitutivi del reato di lesioni, ossia il concetto di “malattia” giuridicamente rilevante. Nel caso di specie infatti si trattava di stabilire se il mero prolungamento dello stato morboso, che non aveva provocato una compromissione della guarigione ma solo la sua posticipazione, potesse qualificarsi come “malattia”.

Le soluzioni giuridiche

Il caso sottoposto all'attenzione della Suprema Corte riguardava una situazione peculiare di responsabilità medica. Nel caso di specie, infatti, i medici – un radiologo e due ortopedici - che per primi avevano visitato il paziente, ricoverato a seguito di un incidente in moto per fratture multiple, non avevano eseguito i dovuti accertamenti, seppur a fronte di un lamentato dolore alla schiena, e pertanto non avevano prontamente riscontrato anche una frattura pluriframmentata alla vertebra che era stata invece successivamente rilevata attraverso una semplice esame radiografico effettuato presso un diverso ospedale.

Tale condotta imperita e negligente non era stata messa in discussione nel corso dei due giudizi di merito, essendo emerso un chiaro errore diagnostico.

La Corte d'Appello aveva ritenuto, riformando la sentenza di condanna del primo giudice, che non sussistesse il nesso di causa, ossia che l'errore diagnostico non avesse inciso sul processo patologico, i cui esiti erano ascrivibili esclusivamente al trauma da caduta.

Secondo la Corte D'appello, in particolare la condotta dei medici non aveva determinato alcuna “lesione” giuridicamente intesa, in quanto non aveva comportato alcuna limitazione funzionale o processo patologico diverso da quello riscontrato, che si sarebbe comunque verificato anche qualora gli imputati avessero tenuto la condotta doverosa.

La questione rimessa alla suprema Corte riguardava quindi proprio il concetto di “lesione” e di “malattia” giuridicamente rilevante ai sensi del codice penale. Nel ricorso della parte civile, infatti, si evidenziava come anche il prolungamento della malattia potesse rientrare nel concetto di “lesione” ex art. 590 c.p. In particolare si sosteneva nel ricorso come la giurisprudenza fosse orientata verso il concetto di “malattia” fornito dalla scienza medica, che ricomprende non solo le alterazioni anatomiche, che possono anche mancare, ma anche le alterazioni da cui deriva un limite funzionale o un significativo processo patologico o, ancora, una compromissione di funzioni dell'organismo.

Sottolinea la Corte di Cassazione come nel caso di specie occorra stabile se possa considerarsi malattia non l'aggravamento della lesione, ma il prolungamento del tempo necessario per la sua definitiva stabilizzazione. Il caso sottoposto all'esame dei supremi Giudici si presentava infatti peculiare, in quanto la condotta colposa, per imperizia e negligenza, dei tra medici - non in contestazione - non aveva determinato un aggravamento della perturbazione funzionale bensì un ritardo nella definitiva stabilizzazione della frattura stessa.

Evidenzia la Corte come la “malattia” nella sua nozione penalistica rappresenti il nucleo intrinseco della lesione e non un semplice post-factum, come indica la scelta dell'uso del verbo “derivare” nella norma cardine in materia di lesioni personali (art. 582 c.p.chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale dal quale deriva una malattia è punito…”).

Inoltre, l'ordinamento misura la sanzione penale proprio sulla durata della malattia o sulla specificità dell'alterazione funzionale che essa comporta. La durata della malattia viene misurata sulla base del tempo necessario alla guarigione o al consolidamento definitivo degli esiti della lesione.

Ritiene pertanto la Corte che ogni condotta colposa che intervenga sul tempo necessario alla guarigione, pur se non produca un aggravamento della lesione o della relativa perturbazione funzionale, assuma un rilievo penale quando generi la dilazione del periodo necessario al raggiungimento della guarigione o della stabilizzazione dello stato di salute.

Nel caso di specie, pertanto, è pacifico e non contestato l'errore diagnostico commesso dai medici, che ha comportato un'omessa tempestiva prescrizione del trattamento. L'adozione delle corrette misure di trattamento della lesione, quindi, è avvenuta con un ritardo di trenta giorni.

Conclude la Corte ritendo che, in accoglimento al ricorso della parte civile, anche il prolungamento del tempo necessario per la riduzione della lesione o la sua definitiva stabilizzazione, deve essere considerato “malattia” giuridicamente rilevante pur in assenza di aggravamento della lesione. La Corte pertanto annulla gli effetti della sentenza di appello rinviando, per un nuovo giudizio, al giudice civile competente per valore.

Osservazioni

Il reato di lesioni personali sia nella forma dolosa (ex art. 582 c.p.) che nella forma colposa (ex art. 589 c.p.) si configura qualora dalla lesione personale derivi una malattia nel corpo o nella mente.

La “malattia” pertanto costituisce l'evento del reato e ne rappresenta l'elemento differenziante rispetto al delitto di percosse punito dall'art. 518 c.p.

La giurisprudenza negli anni ha modificato la definizione di malattia rispetto a quella più tecnico-giudica elaborata nella Relazione ministeriale al codice penale avvicinandosi di più ad un concetto medico legale. La prima interpretazione infatti si incentrava esclusivamente sulla mera alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, anche se minima e localizzata.

La giurisprudenza ha preferito orientarsi verso una nozione di “malattia” più vicina a quella data in campo medico scientifico che si riferisce ad alterazioni del corpo umano che inducano una limitazione funzionale dell'organismo. Secondo l'interpretazione più recente, più aderente a quella della scienza medica, quindi, «non è sufficiente ad integrare la malattia la semplice alterazione anatomica priva di alcuna conseguenza e alla quale non consegua un processo patologico significativo. È stato infatti affermato che, il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l'adattamento a nuove condizioni di vita o la morte. In definitiva, può quindi ribadirsi che la malattia giuridicamente rilevante cui fa riferimento l'art. 582 c.p. (e di riflesso l'art. 590 c.p. nella forma colposa) non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica (che possono anche mancare) ma quelle alterazioni da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o una compromissione, anche non definitiva ma significativa, di funzioni dell'organismo (diverso problema è quello dei postumi, di per sé, non costituiscono malattia ma sono, nella normalità dei casi, conseguenza della malattia che va dunque autonomamente accertata e da luogo in numerosi casi, a d aggravanti del delitto di lesione personale)» (Cass. pen. 22156/2016 e in senso conforme Cass. pen. 54005/2017, Cass. pen. 33492/2019).

Il caso sottoposto all'attenzione della Suprema Corte nella sentenza in commento, però, si presentava peculiare. Nel caso di specie, infatti, era stato accertato dai periti che gli esiti algo-disfunzionali riportati dalla persona offesa erano conseguenza unicamente del trauma vertebrale riportato in seguito alla caduta in moto. La persona offesa, infatti, in conseguenza di una caduta in modo, era stata ricoverata presso il reparto di ortopedia ove a seguito di accertamenti gli erano state riscontrate alcune fratture, per le quali era stata correttamente curato. Tuttavia i medici che lo avevano avuto in cura non avevano rilevato, non avendo effettuato i necessari accertamenti ecografici anche alla spina dorsale nonostante il paziente lamentasse dolore alla schiena, una frattura vertebrale. Frattura che era poi stata diagnosticata e trattata 30 giorni dopo, quando la persona offesa si era recata presso un altro ospedale a causa del persistere del dolore. Le conseguenze della frattura vertebrale, tuttavia, non erano state aggravate da tale ritardo. Secondo i periti, infatti, la limitazione funzionale o il processo patologico riscontrato si sarebbe comunque verificato anche se gli imputati avessero tenuto il comportamento doveroso.

Nel caso di specie, pertanto, secondo i periti nominati dalla Corte d'Appello, gli esiti algo-disfunzionali legati alla frattura non sarebbero derivati dalla condotta, seppur pacificamente negligente e imperita, degli imputati, ma solo dalla caduta accorsa al paziente a seguito di un incidente in moto. Non sarebbe stato sussistente il nesso di causa tra la condotta contestata e l'evento lesivo. Il ritardo nella diagnosi e quindi nell'impostazione della terapia, non avrebbe avuto alcuna influenza sull'esito della malattia. Seguendo tale impostazione, infatti, la Corte d'Appello aveva assolto i medici con la formula “perché il fatto non sussiste”.

La Corte di Cassazione, invece, censura il ragionamento fatto dai giudici di secondo grado, accogliendo il ricorso della parte civile.

La parte civile, in realtà aveva evidenziato come la mancata diagnosi avrebbe potuto far assumere alla lesione un carattere irreversibile se non fosse poi stata correttamente rilevata presso un altro ospedale e come, inoltre, il ritardo nell'apposizione del busto e nella prescrizione di riposo ed immobilismo assoluto aveva sicuramente indotto la persona offesa a porre in essere inconsapevolmente comportamenti non consentiti. La parte civile sembrava pertanto ipotizzare che il ritardo diagnostico avesse comunque comportato ad aggravamento della malattia, sebbene semplicemente affermato.

La Cassazione supera il ragionamento della parte civile, in quanto ritiene sufficiente per integrare il concetto di “malattia” giuridicamente inteso e quindi rilevante ai fine degli articoli 582 e 589 c.p. la posticipazione della guarigione sebbene il ritardo non ne avesse compromesso né alterato l'esito della guarigione stessa. La Suprema Corte, evidenzia infatti come anche il tempo – inteso quale durata della malattia - sia stato considerato rilevante nella valutazione della condotta lesiva anche dallo stesso legislatore che ha ricollegato a tale aspetto l'eventuale aggravamento di pena.

Tuttavia è pur vero che normalmente il decorrere del tempo, senza che sia posto in essere l'intervento terapeutico corretto, determina un aggravamento della condizione clinica del paziente. Nel caso di specie, invece, secondo il parere dei periti gli esiti della frattura (sembrerebbe sia da un punto di vista di dolore patito dal paziente che di tipologia/durata della terapia) sarebbero stati i medesimi se fosse stata rilevata e trattata subito da parte dei primi medici – imputati – che avevano avuto in cura il paziente subito dopo l'incidente motociclistico.

La Corte in ogni riconosce carattere di “malattia” anche a tale tardivo intervento, pronunciando così una sentenza di annullamento che sembra più legata a una valutazione di tipo risarcitorio-civilistico rispetto al danno che in effetti può essere stato riportato dal paziente a causa del mancato tempestivo trattamento della frattura che ha sicuramente comportato il protrarsi della possibilità di dedicarsi delle ordinarie occupazioni.

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