Le risoluzioni consensuali non incidono sull'integrità professionale del grave illecito professionale
26 Novembre 2020
Il caso
La vicenda che viene in esame riguarda l'affidamento in concessione da parte di Consip dei servizi museali presso due importanti enti museali fiorentini. In parte il servizio veniva svolto, nell'ambito di un più ampio affidamento che riguardava anche altri musei della città, in regime di proroga dalla società ricorrente.
Quest'ultima ha, infatti, contestato in giudizio la legittimità dell'affidamento reso in favore di un RTI concorrente avanzando, tra l'altro, quale motivo di censura il fatto che l'aggiudicataria avesse dichiarato nella propria relazione integrativa al DGUE, ai sensi dell'art. 80 del Codice appalti, di: (i) aver risolto consensualmente un precedente rapporto contrattuale di project financing con un'amministrazione in ragione del mutato squilibrio economico-finanziario; (ii) aver ricevuto un provvedimento di revoca di una concessione da parte di un'amministrazione, poi annullato in giudizio, cui si collegava altresì un giudizio civile sulla risoluzione del rapporto conseguente all'accertato inadempimento da parte dell'amministrazione; (iii) aver ricevuto una diffida in relazione all'impiego di alcuni lavoratori presso una fondazione d'arte veneziana, per cui, tuttavia, era stato utilizzato lo strumento della regolarizzazione ex art. 13 (d.lgs. n. 124/2004, in materia di funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro).
Ad avviso della ricorrente, pertanto, la Commissione di gara avrebbe errato nel valutare le predette circostanze come non incidenti sulla moralità professionale dell'operatore aggiudicatario con i conseguenti effetti espulsivi dell'aggiudicataria dalla gara in oggetto. La questione
La questione giuridica che si discute riguarda l'estensione della rilevanza delle circostanze lato sensu rientranti nella categoria dei gravi illeciti professionali ex art. 80, comma 5, lett. c) e ss. del Codice appalti, soprattutto qualora per le caratteristiche proprie delle vicende non emergono profili di incidenza sulla moralità professionale degli operatori dichiaranti. Le soluzioni giuridiche
Per fornire una più chiara disamina, si rende necessario premettere che non tutte le circostanze astrattamente rilevanti, sotto il profilo dell'art. 80, comma 5, lett. c) e ss. del Codice appalti, sono di per sé incidenti sulla moralità professionale.
Infatti, nell'esercitare la propria valutazione discrezionale sul punto, le stazioni appaltanti possono valutare i fatti posti alla loro attenzione dagli operatori dichiaranti, valorizzando profili fattuali o di diritto che possono indurre a ritenere l'eventuale assenza di incidenza sulla moralità professionale o sull'integrità morale.
Ferma restando la diversità di tale analisi, rispetto ai meccanismi espulsivi automatici di cui, ad es., all'art. 80, comma 1, del Codice appalti, le commissioni giudicatrici sono quindi tenute ad esaminare e a riportare in motivazione – eventualmente anche tramite idonei approfondimenti istruttori con richieste di chiarimenti nell'ambito dell'istituto del soccorso istruttorio – le ragioni per cui determinate circostanze rappresentate da un operatore economico non avrebbero incidenza sui profili che vanno a costituire un grave illecito professionale con il conseguente effetto di esclusione dalla gara.
Similmente, tale valutazione si rende necessaria anche sotto il profilo valutativo delle “significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto”, ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c-ter) del Codice appalti, per cui la lettera della disposizione fa riferimento specificatamente a “risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili”.
Ne consegue, pertanto, che la dimostrazione da parte dell'operatore aggiudicatario circa la non sussistenza di gravi illeciti professionali, laddove ritenuti superati sotto il profilo fattuale e giuridico, è stata correttamente valutata come sufficiente da parte della Commissione giudicatrice, la quale diversamente avrebbe errato se avesse dichiarato l'esclusione dell'operatore.
Osservazioni
La decisione del TAR Firenze si caratterizza per fornire un'interpretazione, sostanzialmente di tipo letterale e financo sistematica, della disposizione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c-ter) del Codice appalti. Infatti, nel giudicare la fondatezza della contestazione della ricorrente circa la carente valutazione della Commissione di gara in relazione alle circostanze riportate dall'aggiudicatario, il Collegio ha fatto applicazione della lettera della disposizione laddove si riferisce a “risoluzione per inadempimento” e quindi non a risoluzioni di tipo consensuale, come quella in esame.
Né, sotto il profilo della revoca, poi annullata in giudizio, si è ritenuto di farla rientrare - benché non esplicitatoin motivazione della sentenza – nell'ambito delle “altre sanzioni comparabili” di cui alla richiamata lettera c-ter).
Allo stesso tempo, la sentenza ribadisce la necessità che vi sia una valutazione discrezionale in merito all'incidenza delle circostanze dichiarate dagli operatori in sede di partecipazione ad una gara.
Diversamente – si può aggiungere – vi sarebbe una non corretta assimilazione dei meccanismi espulsivi automatici previsti, ad esempio, dall'articolo 80, comma 1, in relazione a reati gravi e meccanismi espulsivi eventuali, proprio in quanto discrezionali, per i gravi illeciti professionali di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) e ss. del Codice appalti.
Come anche recentemente precisato, tale valutazione costituisce un potere/dovere valutativo da parte della Commissione giudicatrice (cfr. sul punto anche CGUE, sez. IV, 19 giugno 2019, in C-41/18, Meca Srl).
Infine, vale precisare che una giurisprudenza, discutendo dello scioglimento consensuale di un contratto d'appalto, in sede (però) conciliativa, afferma che non si escluderebbe ex se la commissione di un grave illecito professionale, dal momento che il negozio transattivo cristallizzerebbe almeno il fatto storico dell'inadempimento contrattuale che sta proprio alla base dell'accordo (Cons. St., Sez. III, 13 giugno 2018, n. 3628; Cons. St.5 marzo 2020, n. 1609).
In quest'ultima recente decisione si afferma poi il seguente principio, che può rilevare anche a commento della decisione in esame, secondo cui “Occorre tener conto di detti elementi, idonei a suscitare un legittimo affidamento sull'esistenza di un onere dichiarativo limitato in capo all'operatore economico, che può aver confidato in buona fede sulla non ricomprensione degli episodi sub iudice, oggetto di risoluzione consensuale e non annotati, comunque, nel Casellario ANAC e sulla stessa formulazione del modulo di DGUE”.
In altri termini, la risoluzione di tipo consensuale, proprio per il suo carattere di sostanziale non offensività, può essere fatta correttamente rientrare tra le circostanze per cui non vi sarebbe l'obbligo dichiarativo e conseguentemente, proprio in forza del predetto principio di legittimo affidamento, non vi sarebbero nemmeno profili di contestazione ex adverso sotto il profilo della omessa dichiarazione (ripresa anche da TAR Campania, Napoli, Sez. I, 21 luglio 2020, n. 3217).
Guida all'approfondimento. In dottrina si segnala Filippo Dallari, I soggetti ammessi alle procedure di affidamento, in Franco Mastragostino, Diritto dei contratti pubblici, Torino, 2017, pp. 322 e ss. |