Responsabilità civile magistrati: le Sezioni Unite sul dies a quo per la proposizione dell'azione

Katia Mascia
26 Novembre 2020

La domanda di risarcimento per il danno attribuito a provvedimento della Corte di Cassazione che abbia deciso la causa nel merito deve essere proposta a pena di decadenza nel termine di tre anni (due anni in base alla disposizione applicabile ratione temporis) decorrenti dalla pubblicazione del provvedimento sull'istanza di revocazione ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c., anche se dichiarata inammissibile per estraneità al parametro legale dell'errore di fatto, ovvero, se il rimedio della revocazione non sia stato esperito, dal provvedimento asseritamente fonte del danno, salvo in quest'ultimo caso la valutazione da parte del giudice dell'azione di responsabilità civile della ricorrenza dei presupposti per proporre la domanda di revocazione e, in caso positivo, la dichiarazione di inammissibilità della domanda per mancato esperimento del rimedio di cui all'art. 391-bis c.p.c..

Il caso. Nel 2014 una società di diritto tedesco depositava dinanzi al Tribunale di Perugia un ricorso al fine di ottenere la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni conseguenti all'esercizio di attività giudiziaria, ai sensi della l. n. 117/88. Sosteneva che, notificati da parte dell'Agenzia delle Entrate, due avvisi di accertamento, la società aveva prima presentato istanza di accertamento con adesione e poi proposto ricorso dinanzi al giudice tributario, accolto in primo grado e confermato anche in appello. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze aveva proposto ricorso per Cassazione, la quale, nel 2010, con decisione nel merito, aveva dichiarato inammissibile per tardività il ricorso proposto dinanzi al giudice tributario. La società sosteneva che il Giudice di legittimità non avesse tenuto conto del fatto che fosse stata presentata una istanza di accertamento con adesione, con sospensione per un periodo di novanta giorni dei termini per l'impugnazione in sede giurisdizionale degli atti di accertamento. Inoltre, deduceva che aveva proposto ricorso per revocazione, ex art. 391-bis c.p.c., avverso la pronuncia del 2010 e che la Suprema Corte, nel 2012, aveva dichiarato inammissibile l'istanza di revocazione ritenendo che nella fattispecie non ricorresse la denuncia di un errore di fatto, quanto piuttosto una valutazione giuridica. La convenuta si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda. Il Giudice di primo grado nel 2018 dichiarava inammissibile la stessa, in quanto tardiva. Proposto reclamo dalla società, la Corte di Appello di Perugia lo rigettava, ai sensi dell'art. 5, l. n. 117/88 applicabile ratione temporis (prima delle modifiche intervenute per effetto della l. n. 18/2015).
La società straniera proponeva dunque ricorso per cassazione, sulla base di due motivi. Resisteva in giudizio con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Con ordinanza interlocutoria, il ricorso veniva rimesso al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite, affinché si stabilisse se, proposto il ricorso per revocazione avverso una sentenza della Cassazione la quale, accogliendolo, abbia cassato la sentenza impugnata e deciso la causa nel merito, il termine di decadenza per proporre l'azione di responsabilità civile contro l'operato dei magistrati, ai sensi dell'art. 4, comma 2, l. n. 117/88, decorra dalla decisione di merito da parte della Corte o dalla decisione sul ricorso per revocazione.

Osservazioni. Per i Supremi Giudici la revocazione per errore di fatto, ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c., può essere chiesta entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione ovvero di sei mesi (un anno secondo la disposizione applicabile ratione temporis) dalla pubblicazione del provvedimento.
La revocazione di cui all'art. 391-bis c.p.c. è un mezzo di impugnazione estraneo al tema della cosa giudicata formale e, dunque, sottratto al regime dell'art. 324 c.p.c., circostanza che lo rende mezzo straordinario di impugnazione in relazione alla decisione del giudice di merito. Dal punto di vista della decisione di legittimità l'art. 391-bis c.p.c. costituisce un rimedio per il conseguimento della stabilità, nozione che concerne l'effetto di definitività derivante dall'inutile decorso del termine posto dalla legge per il ritiro del provvedimento dal mondo del diritto.
La clausola di chiusura contenuta nel comma 2 dell'art. 4, l. n. 117, che consente l'azione di risarcimento entro un determinato termine, «comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento», rende evidente come il significato del precetto normativo sia quello di subordinare l'ammissibilità dell'azione al previo esercizio dei rimedi comunque in grado di rimuovere il provvedimento asseritamente fonte di danno. Nel momento dell'entrata in vigore della l. n. 117, l'istituto della revocazione delle sentenze della Cassazione non era ancora previsto e il legislatore, dopo l'introduzione dell'art. 391-bis c.p.c., non ha modificato anche il testo dell'art. 4, il quale costituisce, alla stregua di una norma c.d. elastica, una valvola di apertura rispetto al mutamento nel corso del tempo dei rimedi esperibili nei confronti dei provvedimenti del giudice.
Passata in rassegna una serie di pronunciamenti di legittimità, i Supremi Giudici giungono a sostenere che l'azione di responsabilità civile è esperibile dalla pubblicazione del provvedimento sull'istanza di revocazione, se è stato esperito il relativo rimedio. Se invece il rimedio non è stato esperito, il termine per la proposizione dell'azione decorre dal provvedimento asseritamente fonte del danno. In quest'ultimo caso il giudice dell'azione di responsabilità civile deve tuttavia valutare se, in relazione all'illecito denunciato, il provvedimento fosse in astratto assoggettabile al rimedio della revocazione e, in caso positivo, la domanda sarà dichiarata inammissibile per mancato esperimento del rimedio di cui all'art. 391-bis c.p.c.

Conclusione. La Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza in oggetto, accoglie il ricorso, annulla il provvedimento di inammissibilità della Corte di Appello di Perugia e dichiara ammissibile la domanda, con rimessione degli atti al Giudice di primo grado, in diversa composizione, per la prosecuzione del processo.

*Fonte: dirittoegiustizia.it

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