La Consulta amplia le letture per irripetibilità accidentale degli atti predibattimentali. Un rimedio con effetti collaterali pregiudizievoli?

01 Dicembre 2020

Deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 512, comma 1, c.p.p., per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che, alle condizioni ivi stabilite, sia data lettura delle dichiarazioni rese al giudice...
Massima

Deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 512, comma1, c.p.p., per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che, alle condizioni ivi stabilite, sia data lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia dall'imputato di un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2 lettera b), c.p.p. che, avendo ricevuto l'avvertimento di cui all'art. 64, comma 3 lettera c), c.p.p., sia stato citato per essere sentito come testimone.

Il caso

La vicenda processuale ha inizio nel dicembre 2015, allorché un soggetto arrestato dai carabinieri nella flagranza del reato di possesso ingiustificato di eroina, resiste con violenza all'atto dell'esecuzione della misura precautelare, cagionando lesioni personali in danno dei pubblici ufficiali operanti. In esito alla celebrazione del relativo giudizio avvenuta nel gennaio del 2017, il tribunale di Roma condanna in via definitiva l'imputato per i reati contestati.

Tuttavia, poiché nel corso dell'interrogatorio di garanzia l'imputato, dopo avere ricevuto gli avvertimenti di cui all'art. 64, comma 3, c.p.p., aveva reso al giudice preliminare dichiarazioni accusatorie nei confronti dei pubblici ufficiali che lo avevano tratto in arresto, erano state avviate le indagini del caso all'esito delle quali questi ultimi erano stati tratti a giudizio dinanzi al medesimo tribunale per rispondere dei reati di lesioni personali aggravate, falso in atto pubblico di fede privilegiata e sequestro di persona.

Nel corso dell'istruttoria dibattimentale, veniva ammesso su richiesta del pubblico ministero l'esame del condannato quale imputato “dichiarante” divenuto testimone ai sensi dell'art. 197-bisc.p.p.

Veniva dunque documentata la sopravvenuta irreperibilità del teste assistito con conseguente richiesta di acquisizione, ex art. 512 c.p.p., delle dichiarazioni rese al giudice preliminare dall'imputato - qualificandole alla stregua di una denuncia - sulla opposizione dei difensori che ne contestavano in radice la utilizzabilità probatoria.

Il tribunale preso atto di ciò sospendeva il dibattimento sollevando incidente di costituzionalità.

Veniva perciò posta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 512 c.p.p., in quanto ritenuto in contrasto con gli artt. 3 e 111, comma 5, Cost., nella parte in cui non ammette l'acquisizione e la lettura in dibattimento delle dichiarazioni eteroaccusatorie rese al giudice della misura custodiale nell'ambito di un procedimento collegato, dall'imputato che debba essere esaminato nella veste di testimone assistito, dichiarazioni non più ripetibili per sopravvenuta impossibilità: risulta così violato il principio di non dispersione dell'elemento di prova pur acquisibile, in presenza di una oggettiva e imprevedibile irripetibilità, mediante lettura.

La questione

La Corte evidenzia come il giudice rimettente abbia ritenuto di sollevare l'incidente di costituzionalità censurando per irragionevolezza e conseguente lesione del principio di eguaglianza la norma processuale nella parte in cui contempla la lettura degli atti assunti prima del dibattimento divenuti non più ripetibili, in quanto non include la possibilità che nel dibattimento il giudice possa disporre che a richiesta di parte si proceda alla lettura delle dichiarazioni eteroaccusatorie rese dall'imputato in vinculis al giudice preliminare mentre lo interroga ai sensi dell'art. 294, comma 1, c.p.p.

Il denunciato difetto di previsione normativa circa la possibilità di lettura dell'atto concernente la particolare ipotesi evidenziata non è parso colmabile con il ricorso alla alternativa di una interpretazione costituzionalmente conforme della norma impugnata. Quest'ultima opzione, a giudizio del rimettente, risulterebbe preclusa dalla formulazione letterale dell'art. 512 c.p.p.

La lacuna è stata al contempo censurata in quanto in contrasto con i principi del giusto processo e della non dispersione dei mezzi di prova acquisiti per l'accertamento della verità processuale, risultando il giudizio in corso non definibile prescindendo dall'esito della questione sollevata.

Le soluzioni giuridiche

Affrontando il merito, la Corte apre il percorso argomentativo premettendo di apprezzare la fondatezza della questione in quanto sollevata con riferimentoall'art. 3 Cost.; mentre concludendolo, dichiara assorbita la questione sollevata in riferimento all'art. 111 Cost.

Lo sviluppo della decisione prende le mosse da una lettura ricostruttiva del quadro codicistico di riferimento mediante una precisa quanto simmetrica lettura delle norme espresse dagli artt. 512, 513, 210 e 197-bis c.p.p., in esito alla quale la Corte ritiene condivisibile il rilievo del giudice rimettente.

La lacuna normativa segnalata è determinata dalla chiara tassatività degli atti procedimentali per i quali l'art. 512 c.p.p. prevede la possibilità di lettura dibattimentale in presenza di una comprovata impossibilità di ripetizione sopravvenuta e non prevedibile all'epoca di formazione.

Richiama quindi le proprie precedenti decisioni rese al riguardo, ripercorrendo le trame per indi ricordare che, in un caso analogo, la medesima questione, pur sollevata, era stata disattesa per manifesta infondatezza. Decisione tuttavia determinata dalla non corretta formulazione della questione allora posta, per errata indicazione circa la qualifica del dichiarante ed anche perché collegata ad una impropria individuazione del momento in cui quest'ultimo sarebbe divenuto per legge testimone assistito in previsione di un possibile sviluppo processuale della vicenda (ordinanza 112/2006).

La Corte, aprendo alla possibilità di dialogare con se stessa su ciò che costituisce materia decisionale ad “efficacia interna”, rimedita quest'ultimo aspetto e si spinge quindi a rivederlo, focalizzando l'attenzione sul dato cronologico della assunzione della qualità di testimone “puro” o “assistito” di colui che interrogato - in periodo procedimentale o durante la fase processuale preliminare – pur formalmente avvertito, rende dichiarazioni erga alios. Perviene così a individuare proprio in quel frangente temporale il momento in cui sorge in capo al dichiarante l'obbligo testimoniale, perché previamente edotto, si determina a raccontarefatti che concernono la responsabilità di altri”.

Al propalante quindi va riconosciuta la assunzione della qualità di teste assistito a partire proprio dal momento in cui rende, nelle condizioni descritte, dichiarazioni eteroaccusatorie.

Rileva la Corte come la riscrittura non proprio esaustiva della disciplina delle letture dibattimentali permesse ai fini del recupero probatorio di atti assunti nelle fasi precedenti divenuti non ripetibili abbia risentito dell'innesto operato dal legislatore nel sistema delle prove dichiarative della inedita figura del testimone assistito garantito (art. 6, commi 2-5, l. n. 63/2001). Operazione tuttavia posta in essere senza avere al contempo ridisegnato un più puntuale e adeguato riassetto dell'intero quadro normativo di riferimento.

Degno di particolare interesse il passaggio con cui la Corte, richiamando le precedenti letture dell'art. 512 c.p.p. (a partire dalla sentenza n. 440/2000 per pervenire alla ordinanza n. 355/2003) operate alla luce dell'art. 111, comma 5 seconda parte, Cost., che impone una specifica previsione legale per perimetrare la tassatività dei “casi” di recupero del materiale probatorio formatosi senza contraddittorio, ribadisce la inammissibilità di una interpretazione estensiva dello stesso art. 512 c.p.p. Non è soluzione praticabile al fine di consentire di includervi la lettura nell'ipotesi in cui l'esame dell'originario dichiarante erga alios al giudice della custodia che lo ha avvertito, risulti in seguito ancora “compromesso” o non più tale, è divenuto impossibile per fatti o circostanze imprevedibili.

Secondo la norma in esame, ricorrendone le condizioni, la lettura in dibattimento è praticabile qualora le dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri risultino antecedentemente assunte dal pubblico ministero.

Di qui la irragionevolezza, ritenuta ai sensi dell'art. 3 Cost., della scelta del legislatore di non ricomprendere ab imis il caso in esame tra quelli originariamente contemplati nell'art. 512, nonostante abbia ritenuto di intervenire con plurime successive addizioni allo scarno testo originario, di altri atti pure assunti in assenza di contraddittorio (tradottesi negli inserimenti degli atti assunti dalla polizia giudiziariaad opera dell'art.8, comma 2,d.l. n. 306/1992, conv. con modif. dalla l.n.356/1992; nonché di quelli assunti dai difensori delle parti private– ad opera dell'art. 8 l. n. 397/2000).

Non residua perciò alcuna ragion d'essere che possa in qualche modo giustificare la perdurante esclusione della possibilità di lettura delle dichiarazioni rese al giudice preliminare dalla persona sottoposta a misura custodiale interrogata dopo aver ricevuto l'avvertimento di cui all'art. 64, comma 3 lett. c), c.p.p.

Il vuoto probatorio riconducibile, al pari delle altre ipotesi codificate, ad una accidentale irripetibilità dell'esame dibattimentale che avrebbe avuto luogo con le garanzie di cui all'art. 197-bis nel processo a carico di altri per reato collegato, per la Corte deve essere colmato con la pronuncia di illegittimità in parte qua della norma censurata al fine di rimuovere la irragionevole esclusione.

Osservazioni

Nessun dubbio circa la correttezza, in termini di coerenza logica rispetto alle premesse, della soluzione posta in essere dalla Consulta con la decisone di accoglimento in esame; statuizione tradottasi in un intervento a forma sostanzialmente additiva nel tessuto dell'art. 512 c.p.p. per consentire un ulteriore ripescaggio di verbali dal fascicolo del pubblico ministero di atti ad assunzione unilaterale, all'unico fine di rimuovere la carenza denunciata.

Qualche perplessità tuttavia affiora anzitutto quanto alla tenuta sotto il profilo sistematico di alcuni tra i passaggi essenziali del percorso motivazionale.

Richiamando quanto già affermato in passato circa la “centralità” del modello offerto dall'art. 512 c.p.p. per il recupero nel dibattimento di taluni atti a contenuto probatorio assunti prima e fuori del contraddittorio in quanto non più ripetibili per sopravvenuta impossibilità oggettiva, la Corte ha avuto cura di sottolineare la natura di specifica deroga del principio del contradditorio nella formazione della prova nel processo penale di un modello siffatto che finisce per precludere ogni tentativo di interpretazione estensiva.

Ciò nonostante, ha deciso che debba restare assorbita la questione sollevata in riferimento all'art. 111 Cost.

Nel panorama della giurisprudenza costituzionale una simile tecnica decisoria, in quanto mutuata dal processo civile, trova giustificazione soltanto in una prassi che, pur scevra da specifici parametri normativi di riferimento, è invalsa, almeno nella fase genetica, in forza del richiamo del principio di economia processuale immanente nel sistema giurisdizionale.

Solitamente, in presenza di una iniziale indicazione da parte della Corte, in quanto espressione del proprio potere decisionale, dell'ordine dei profili da trattare emergenti dalla quaestio sollevata, la scelta di dichiarare l'assorbimentodiuno o più profili in quello o in taluno di quelli oggetto del decisum, avviene per effetto di una ritenuta (o, almeno, supposta) esistenza di un nesso logico di dipendenza che rende inutile la ulteriore pronuncia in merito ai profili ritenuti assorbiti.

È questa l'ipotesi indicata alla stregua di un assorbimento proprio.

Non è così, invece, per l'assorbimento improprio.

Nei casi in cui quest'ultima tendenza è risultata applicata, è poi emersa una struttura logica del tutto diversa dalla prima, nella misura in cui il ricorso a tale forma impropria ha esulato dalla motivata constatazione di un nesso logico di interdipendenza tra i profili di incostituzionalità denunciati dal giudice rimettente e quindi non ha obbedito ad una stretta esigenza di economia processuale.

L'assorbimento improprio ha perciò finito per sottendere una insufficienza della motivazione stessa, determinata dalla stimata idoneità della decisione circa la questione impropriamente indicata come assorbente, a definire il giudizio costituzionale, secondo una logica che può ritenersi di risultato.

È rimasta tuttavia aperta perché irrisolta la esigenza di rigorosa definizione del concetto stesso della natura della questione assorbente, dovendosi comunque tenere conto che se si propendesse per ritenerla espressione di un orientamento connotato da una esclusiva matrice finalistica, la stessa risulterebbe in contrasto con il principio, nondimeno immanente nell'ordinamento processuale, della completezza della decisione.

Il giudice civile deve assicurare la corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.). Il giudice penale deve verificare la correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenzaquanto al fatto oggetto della imputazione (art. 521c.p.p.). Per il giudice delle leggi, il chiesto è costituito dalla questione di costituzionalità da esaminare avendo riguardo a tutte le corrispondenti articolazioni, mentre il pronunciato deve contenere la soluzione di ciascuno dei dubbi di costituzionalità formulati, in quanto non manifestamente infondati (art.111, comma 6, Cost., art. 18, comma 3, l. n. 87/1953); a maggior ragione quando, per pronunciare in merito alla soluzione richiesta, deve comunque verificare la tenuta della decisione da adottare in ottemperanza al doveroso bilanciamento tra gli interessi costituzionalmente tutelati in quanto oggettivamente enucleabili dall'analisi di ciascuno dei profili di illegittimità evidenziati con l'atto di rimessione.

Tornando alla decisione in esame, va rilevato come il pur distinto profilo di illegittimità della norma denunciata per violazione del parametro costituzionale espresso dall'art. 111, comma 5, Cost., non presentava un nesso logico di interdipendenza con quello accolto. Anzi, riguardo alla prospettata (e poi condivisa) irragionevolezza della illustrata regola implicita di esclusione probatoria rilevata nell'art. 512 c.p.p., l'ulteriore profilo della questione poneva una problematica diversa, alquanto penetrante e di enorme rilievo. In particolar modo la censura mossa ante decisum, quanto agli effetti conseguenti al ripescaggio di dichiarazioni accusatorie che confluirebbero nel materiale utile alla decisione, rilevava come queste non fossero acquisibili sic et simpliciter in dibattimento per il generale divieto imposto dalla separazione delle fasi e dal rispetto del principio della oralità e di quello del contraddittorio nella formazione della prova.

Non bisogna perdere di vista a tal proposito la considerazione di quelle ripercussioni che, come conseguenza della decisione impropriamente assorbente, paiono affiorare tra gli effetti della pronuncia che ha ritenuto superabile ricorrendo soltanto a tale succinto espediente, il profilo di costituzionalità denunciato.

Dopo una sentenza di accoglimento additiva, che abbia dichiarato impropriamente assorbito l'ulteriore profilo di illegittimità costituzionale pur evidenziato come diverso per autonoma struttura logico-giuridica, come si è verificato nel caso concreto, potrebbe accadere (se non si è già verificato) che la disciplina normativa ricostruita alla luce di un accoglimento siffatto, si riveli ulteriormente censurabile proprio in forza del profilo di illegittimità costituzionale risultato qui assorbito.

Tanto denota una insufficienza della motivazione quale pur prevedibile conseguenza di un assorbimento eterogeneo, perché non giustificato dalla esigenza di economia processuale e neppure determinato dal venir meno dell'interesse manifestato dal rimettente ovvero necessariamente implicante il rigetto del profilo assorbito.

L'opzione espressa dalla Consulta attraverso la trattazione del profilo ritenuto impropriamente assorbente non può che iscriversi in una preferenza non sindacabile perché frutto esclusivo di una valutazione del tutto autonoma che può perciò definirsi politica, perché espressione del potere di stabilire quali tra le censure di costituzionalità sottoposte merita di essere esaminata e, se accolta, divenire decisiva al punto di assorbirequelle pur non logicamente riconducibili ad essa.

L'avere quindi reso utilizzabili mediante il semplice ricorso ad una lettura giustificata da una irripetibilità sopravvenuta ancorché apparentemente oggettiva, può d'altro canto rivelarsi una soluzione nociva in quanto negativamente incidente sul rigoroso rispetto dei principi del giusto processocontaminando regole pur costituzionalmente tutelate.

Si consideri il vulnus che quelle dichiarazioni accusatorie, una volta divenute prova, possono provocare all'oralità, alla immediatezza e alla regola costituzionalmente sancita della formazione della prova secondo il metodo e la garanzia del contraddittorio.

Si tratta pur sempre di accuse che, subito dopo essere state rese al giudice della cautela, il pubblico ministero aveva consapevolmente scelto di non farne oggetto di cristallizzazione attraverso il ricorso ad un incidente probatorio (art. 392, comma 1 lett. c), c.p.p.) che il sistema processuale pur gli consentiva in quanto opzione da tempo opportunamente svincolata dagli originari condizionamenti connotati dal c.d. periculum in mora (l.n. 267/1997). Era allora la previsione dell'incidente probatorio praticabile a semplice richiesta e senza condizioni dell'esame del dichiarante erga alios, la cui ratio risiede nella esigenza di assicurare alla persona coinvolta dall'indagato avvertito che consapevolmente accusa, la piena esplicazione del diritto al contraddittorio per difendersi in un tempo ragionevolmente coevo alla esternazione stessa, a segnare la strada da percorrere per conseguire la corretta formazione anticipata di una prova dichiarativa in prospettiva accusatoria.

Alla inerzia apparentemente non sindacabile, ma neppure giustificabile e persino giudizialmente negletta – com'è accaduto nella fattispecie concreta dalla quale è scaturito l'incidente di costituzionalità - del pubblico ministero, la decisione di accoglimento in esame finisce per apprestare una sorta di copertura legale ad una inappropriata scelta di inazione, giacché consente allo stesso organo il ricorso per irreperibilità accidentaledella fonte dichiarativaad una formale lettura di accuse, ma dalle ricadute alquanto deleterie sul tessuto sistematico.

Espediente questo che finirà per cagionare conseguenze esiziali per il fondamentale diritto dell'accusato, di rango costituzionale oltre che convenzionalmente tutelato, di confrontarsi con il proprio accusatore, interrogandolo.

La giurisdizione comunitaria, peraltro, ha da tempo indicato le imprescindibili condizioni per poter giungere ad escludere la violazione dell'art. 6, §§ 1 e 3, lett. d, CEDU in casi di denunciata impossibilità per l'imputato di interrogare o far interrogare i testimoni a carico. Nella allegata evenienza in cui la lettura delle dichiarazioni in precedenza rese dal teste risulti giustificata dalla sua irreperibilità, occorre dimostrare che le dichiarazioni stesse non abbiano contribuito a fondare la condanna del ricorrente e, comunque, che egli non abbia dimostrato che la convocazione del teste era necessaria per la ricerca della verità e, infine, che la mancata escussione ha inficiato i diritti della difesa (cfr. Corte EDU 5 dicembre 2002, Craxi c. Italia).

Successivamente, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che, qualora l'autorità giudiziaria nazionale abbia potuto ragionevolmente prevedere che il testimone non sarà escusso in dibattimento, l'equità processuale impone che la difesa si veda “anticipare” l'occasione adeguata di confronto con i testimoni a carico già durante le indagini preliminari (Corte EDU, Grande Camera, 15 dicembre 2015, Schatschaschwili c. Germania §§ 157 ss., e, per la applicazione dei dicta a un caso italiano, Corte EDU, sentenza 23 giugno 2016, Ben Moumen c. Italia §§ 45 ss.).

Alla luce di quanto sin qui detto, non appare superfluo in conclusione ricordare che non si verificò certo per caso quanto avvenne sul tema nell'agosto del 1992.

Il legislatore di quell'epoca, pur procedendo, nel pesante clima emergenziale determinato dalle efferate stragi mafiose, alla conversione in legge del d.l. 306, il cui art. 8, comma 2, aveva sostituito nel testo dell'art. 512 c.p.p. la originaria previsione “degli atti assunti dal pubblico ministero”con quella “degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero”, ritenne di intervenire riduttivamente sostituendo quest'ultima con le parole “degli atti assunti dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero”, che appunto costituiscono il testo tuttora in vigore.

Risultò ripristinata in tal modo l'originaria esclusione degli atti assunti dal giudice preliminare in fase procedimentale dal novero delle letture praticabili per sopravvenuta irripetibilità.

Voluntas legis riaffermata secondo una modalità inequivoca ed alquanto emblematica perché espressa in quei tempi bui.

Ma oggi?

Può ritenersi collimante con le regole e le garanzie del giusto processo la ablazione, intervenuta in nome della sola irragionevolezza, del ricordato divieto probatorio dalla vigenza ultratrentennale, ma che finisce per consentire di riversare nel quadro decisorio letture di accuse senza alcun contraddittorio e, soprattutto, per deprivare l'accusato della fondamentale garanzia del diritto al confronto con il suo accusatore?

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