Nell'ipotesi di cessazione del regime legale di comunione, la contitolarità dei beni tra i coniugi permane fino alla divisione della stessa

03 Dicembre 2020

Lo scioglimento della comunione legale comporta automaticamente la cessazione della proprietà comune dei coniugi?
Massima

Lo scioglimento della comunione legale non comporta automaticamente la cessazione della proprietà comune dei coniugi e la conseguente impossibilità di eseguire prestazioni in favore della comunione, che diviene ordinaria dopo l'estinzione del regime legale.

Il caso

Nel caso in esame la lite tra le parti, ex coniugi, ineriva la proprietà comune sugli strumenti finanziari, acquistati in costanza del regime di comunione legale e alienati da un solo coniuge, il quale veniva convenuto in giudizio per il riconoscimento del diritto dell'attrice di vedersi corrisposta la metà del ricavato della liquidazione dei predetti strumenti finanziari. Opponeva il convenuto il carattere personale dell'acquisto, effettuato con capitali propri depositati all'estero e rimpatriati grazie al c.d.”scudo fiscale”. Nell'atto introduttivo l'attrice aveva chiesto in primo luogo di accertare l'appartenenza alla comunione legale degli strumenti finanziari liquidati unilateralmente dal coniuge convenuto, nonché, ulteriormente, di verificare che il compimento dell'atto di disposizione fosse avvenuto senza il proprio consenso, richiedendo, altresì, in base a tale duplice premessa, la ricostituzione della comunione in forma specifica ovvero per equivalente. Il Tribunale, riconosciuta l'impossibilità della ricostituzione della comunione, in virtù della cessazione nel frattempo del regime legale per effetto della modifica dell'art. 191 c.c., accoglieva la domanda di condanna diretta pro quota formulata dall'attrice in sede di precisazione delle conclusioni. Avverso la pronuncia di primo grado, il convenuto proponeva appello, basato essenzialmente sull'inammissibilità del mutamento della domanda originaria, effettuato da controparte in sede di precisazione delle conclusioni. La Corte territoriale negava tale ricostruzione, evidenziando come la richiesta di condanna pro quota costituisse una specificazione della originaria domanda di ricostituzione della comunione per equivalente e rigettava il gravame. Veniva pertanto proposto dal convenuto ricorso per Cassazione, con il quale si censurava in primo luogo l'accoglimento da parte dei Giudici di merito, nonostante l'oggettiva diversità di petitum e causa petendi, della nuova domanda di condanna del coniuge al pagamento diretto della metà del valore dei titoli, formulata solo in sede di precisazione delle conclusioni, in quanto la corretta applicazione delle norme processuali avrebbe imposto di definire il giudizio con una sentenza di rigetto della originaria unica domanda, la cui attuazione era divenuta impossibile in conseguenza della cessazione del regime della comunione legale, nonchè, con il secondo motivo di ricorso, l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per essere stato negato nella sentenza impugnata il carattere personale dell'acquisto, pur in presenza di elementi oggettivi che dimostravano inequivocabilmente la provenienza dal patrimonio proprio del convenuto dei mezzi impiegati per l'acquisto.

La questione

La questione in esame è la seguente: se lo scioglimento della comunione legale comporti automaticamente la cessazione della proprietà comune dei coniugi

Le soluzioni giuridiche

Nella pronuncia in esame la Suprema Corte ha da una parte ritenuto non condivisibile la ricostruzione effettuata dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata, nella parte in cui- argomentando che la richiesta di condanna pro quota costituiva una specificazione della originaria domanda di ricostituzione della comunione per equivalente- aveva rigettato la specifica censura dell'appellante sulla richiesta formulata nelle conclusioni, costituente a suo dire mutamento della domanda, ma ha, dall'altra, rimarcato come l'errore commesso dai Giudici di seconde cure, consistente unicamente nel non avere accolto la domanda originaria, la cui attuabilità non era venuta meno per effetto della cessazione del regime legale, non abbia comportato alcuna violazione processuale. Infatti l'accoglimento della domanda originariamente avanzata, ovvero la ricostituzione della comunione legale mediante condanna per equivalente, avrebbe determinato l'obbligo del coniuge di versare alla stessa comunione legale l'importo sottratto, che sarebbe divenuto proprietà comune dei coniugi, in luogo del bene mobile unilateralmente alienato. Lo scioglimento della comunione legale in corso di causa, in virtù delle modifiche apportate all'art. 191 c.c., non aveva, però, comportato automaticamente la cessazione della proprietà comune dei coniugi e l'impossibilità di eseguire la prestazione in favore della comunione, divenuta ordinaria dopo l'estinzione del regime legale, con la conseguenza che i coniugi hanno continuato ad essere contitolari fino alla divisione. L'attuabilità della domanda inizialmente avanzata, quindi, non era venuta meno a seguito della cessazione del regime di comunione legale, contrariamente a quanto statuito dalla Corte d'Appello : conseguentemente, non ha integrato alcuna violazione processuale la decisione assunta da quest'ultima di accogliere la domanda con pagamento diretto al coniuge creditore nei limiti della sua quota. In merito al secondo punto di censura, inerente il mancato riconoscimento del carattere personale dell'acquisto, in presenza di elementi oggettivi che dimostravano inequivocabilmente la provenienza dal patrimonio proprio del coniuge impugnante, quali la cospicua entità dell'importo investito, riguardo alle condizioni economiche e ai redditi dei coniugi, e la disciplina del c.d. “scudo fiscale”, che costituiva ulteriore conferma del carattere personale dei mezzi impiegati per l'acquisto, posto che la dichiarazione di emersione era stata fatta dal solo ricorrente. e conseguentemente non ne potevano profittare anche altri soggetti, benchè comproprietari, la Suprema Corte ha lapidariamente ribadito come la comunione sia riferita ai titoli acquistati con i proventi indicati, con la conseguenza che la natura comune sussiste anche se i mezzi provengano da uno solo dei coniugi.

Osservazioni

La pronuncia in commento offre una serie di interessanti spunti di riflessione : il primo è strettamente legato all'ambito processuale, discutendosi sulla possibilità da parte del coniuge in comunione legale di chiedere in corso di causa il pagamento diretto della propria quota, dopo aver richiesto inizialmente di riattribuire in proprietà comune un importo indebitamente sottratto. Il problema nel caso di specie era sorto dalla modifica legislativa dell'art. 191 c.c., a cui l'art. 2 della legge n. 55/2015 aggiungeva il comma 3, che anticipa lo scioglimento della comunione alla pronuncia dell'autorizzazione a vivere separati in fase di udienza presidenziale ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale nella medesima fase, disponendo, tramite il successivo art. 3 l. 55/2015 l'applicabilità di tali disposizioni anche ai procedimenti pendenti. L'illustrata modifica legislativa avrebbe,nella fattispecie in esame, indotto l'attrice al mutamento della domanda, ritenendo che fossero venuti meno i presupposti della richiesta originaria : tale assunto è stato decisamente smentito dalla Corte di legittimità, che nella sentenza in commento ha più volte rimarcato come, nell'ipotesi di cessazione del regime legale di comunione, la contitolarità dei beni rimanga fino alla divisione della stessa, come già più volte ribadito da giurisprudenza consolidata (si vedano Cass. civ., Sez. I 11 novembre 1996 n. 9846 e Cass. civ. Sez. I, 28 novembre 1996 n. 10586). Di conseguenza, lo scioglimento del regime legale non impedisce ad uno dei coniugi di effettuare una prestazione in favore della comunione. Inoltre, nell'ipotesi di alienazione di un bene senza il consenso dell'altro coniuge, l'equivalente dello stesso diverrà oggetto di comproprietà per essere successivamente diviso insieme agli altri beni, in ossequio a quanto disposto dall'art. 192 c.c., che prevede che i rimborsi e le restituzioni siano effettuati alla comunione e non nei confronti dell'altro coniuge, in base alla sua quota. La ratio sottesa a tale disposizione risiede nella necessità di salvaguardare sia gli eventuali creditori della comunione sia il coniuge debitore, che potrebbe avere interesse ad effettuare la prestazione in favore della massa per definire in quella sede i reciproci rapporti di dare ed avere. Corollario di tali argomentazioni è l'ammissibilità della domanda di condanna diretta pro quota, formulata solo in sede di precisazioni delle conclusioni in quanto non costituente domanda nuova ma mera specificazione della domanda di ricostituzione della comunione legale mediante condanna per equivalente, originariamente formulata. In sintesi, il coniuge, che chieda di rimettere nella proprietà comune con l'altro compartecipe un importo indebitamente sottratto, non incorre nel divieto di mutamento di domanda se in corso di causa avanza domanda di pagamento diretto della propria quota. Il compartecipe debitore ha diritto di opporsi a tale domanda, non perchè sia nuova, ma facendo valere il proprio interesse a ricostituire la comunione in vista della divisione, in modo da regolare in quella sede i rapporti di dare e avere, invece di pagare la quota del compartecipe fuori dalle operazioni divisionali.

Un ultimo interessante spunto offerto dalla pronuncia in commento riguarda l'individuazione del termine entro il quale il coniuge pretermesso può pretendere la ricostituzione della comunione legale, mai indicato negli artt. 184 e ss.c.c. : secondo la Suprema Corte, a colmare tale lacuna soccorre il comma 4 dell'art. 192 c.c., che, per i rimborsi e le restituzioni al patrimonio comune dei coniugi, individua il momento della divisione quale termine ultimo.

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