Riconosciuto l'assegno divorzile alla ex moglie che non trova lavoro

Michol Fiorendi
04 Dicembre 2020

Nel caso in cui la ex moglie abbia dimostrato di essersi attivata per trovare un'occupazione lavorativa, senza riuscirvi, il marito è tenuto a riconoscerle un assegno divorzile, commisurato alle proprie capacità economiche.
Massima

Nel caso in cui la ex moglie abbia dimostrato di essersi attivata per trovare un'occupazione lavorativa, senza riuscirvi, il marito è tenuto a riconoscerle un assegno divorzile, commisurato alle proprie capacità economiche. È, altresì, chiamato ad incrementare l'importo dell'assegno mensile a favore della figlia, in considerazione del fatto che la stessa crescendo aumenta le sue esigenze di vita.

Il caso

Il Tribunale dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra due coniugi e respinge, contestualmente, la domanda avanzata dalla ex moglie volta all'ottenimento dell'assegno divorzile a suo favore, accogliendo, invece, la richiesta relativa all'assegno di mantenimento per la figlia nata dal matrimonio, sulla quale si pronuncia stabilendo un importo inferiore alle aspettative.

La signora propone, pertanto, ricorso alla Corte d'Appello competente rinnovando la richiesta relativa all'ottenimento dell'assegno divorzile e chiedendo l'aumento dell'importo dell'assegno di mantenimento a favore della figlia.

I Giudici di seconde cure accolgono le domande, sulla base del rilievo che la stessa riesce a dimostrare di essersi attivata per trovare un lavoro, senza - incolpevolmente – riuscirvi.

Con sentenza stabiliscono che l'ex marito debba riconoscere all'ex moglie un assegno divorzile che sia commisurato alle proprie capacità economiche.

La Corte d'Appello decide, altresì, per l'incremento dell'assegno di mantenimento a favore della figlia, tenuto contro delle aumentate esigenze di vita.

L'ex marito ricorre così alla Suprema Corte che, condividendo le conclusioni a cui è giunta la Corte territoriale, conferma la pronuncia di appello, respingendo definitivamente il ricorso dell'ex marito.

La questione

L'ex marito è tenuto a versare un assegno divorzile alla ex moglie, in ragione del fatto che la stessa, disoccupata da anni, abbia dimostrato di essersi attivata per trovare un lavoro, senza però riuscirvi?

Le soluzioni giuridiche

Da quando, tra il 2017 ed il 2018, la Corte di Cassazione ha definito il cambiamento delle regole in materia di riconoscimento dell'assegno all'ex coniuge, ci si chiede spesso quale sia la disciplina che debba rappresentare la stella polare in materia di divorzio e mantenimento dell'ex coniuge disoccupato.

È opportuno, innanzitutto, fare una distinzione tra ciò che può avvenire sul punto in fase di separazione ed in quella di divorzio.

Quando due coniugi si separano, il giudice può disporre un assegno di mantenimento a favore del coniuge che possiede il reddito più basso. La differenza tra i due redditi deve però essere sostanziale.

Lo scopo dell'assegno di mantenimento è, infatti, quello di riequilibrare le condizioni economiche dei due ex coniugi, garantendo a quello che ha meno capacità reddituali lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio, ovviamente sempre che ciò sia compatibile con il reddito dell'altro.

Se la moglie è disoccupata, quindi, tale assegno le spetta di diritto, a meno che la disoccupazione sia dovuta a una scelta personale, non condivisa con il marito ovvero che il matrimonio sia stato talmente breve che non ha generato alcuna aspettativa economiche. Senza dubbio, anche la durata del matrimonio è un criterio per determinare l'entità del mantenimento.

Altro caso in cui potrebbe non essere riconosciuto l'assegno di mantenimento alla moglie, è quello in cui il Tribunale la ritenga esclusivamente responsabile della fine dell'unione matrimoniale, anche se tale circostanza risulta sempre difficile da dimostrare, poiché legata a dinamiche di relazione tra i coniugi quasi sempre insondabili.

Anche nei casi di allontanamento del coniuge, con o senza figli, dalla casa familiare (il cosiddetto abbandono del tetto coniugale), ponendo così fine, senza un valido motivo, alla coabitazione matrimoniale, può costituire condotta che porta al mancato riconoscimento dell'assegno di mantenimento a favore di chi lo perpetra. Così come nei casi in cui vi sia un disinteresse verso il coniuge malato, o di umiliazione e violenza fisica o psicologica.

Di solito, prima di accordare il mantenimento, il giudice valuta anche le potenzialità reddituali del coniuge che lo richiede, verifica cioè se il soggetto ha una formazione post-scolastica che gli consenta di trovare un'occupazione o dedicarsi ad un'attività autonoma (si pensi al coniuge laureato e con una specializzazione), accerta se questo ha già svolto precedenti lavori tale da potersi considerare all'interno del mercato del lavoro e con una sua storia professionale, valuta l'età del soggetto e che tale requisito gli consenta ancora di trovare una nuova occupazione.

La sussistenza o meno di questi elementi, e la loro valutazione globale e complessiva da parte del Tribunale, possono comportare una riduzione o, addirittura, una totale rimozione dell'assegno di mantenimento.

Viene da sé che, invece, la moglie occupata e con un reddito sostanzialmente pari a quello dell'ex marito non possa rivendicare alcun mantenimento.

Le cose vanno diversamente nella fase relativa al divorzio.

Innanzitutto, il Tribunale sostituisce l'assegno di mantenimento con l'assegno divorzile.

E non si tratta di una differenza meramente terminologica: infatti, i presupposti per calcolare sia il diritto che l'entità dell'assegno divorzile sono differenti.

Atteso che il divorzio estingue il rapporto matrimoniale, se si determinasse l'assegno divorzile in base al tenore di vita si finirebbe per ripristinare tale rapporto “in un indebita prospettiva, per così dire, di ultrattività del vincolo matrimoniale”.

L'assegno divorzile non mira più a colmare il divario economico e a rendere, sostanzialmente, simili le condizioni reddituali degli ex coniugi. Lo scopo di tale assegno, invero, è solo quello di garantire al coniuge più debole di essere autosufficiente e mantenersi.

L'assegno divorzile, invece, viene negato all'ex coniuge che ha la possibilità di lavorare e se lo stesso è senza lavoro e non dimostra di aver fatto di tutto per trovare un impiego.

Viceversa, ne può avere diritto chi è troppo anziano e non è più nelle condizioni di reinserirsi nel mercato del lavoro, chi è in condizioni di salute tali da non consentirgli di guadagnare, chi si è occupato della famiglia per una vita, dedicandosi, per decisone comune, alle incombenze domestiche ed alla crescita ed educazione dei figli, rinunciando così al proprio avanzamento professionale ed agevolando, invece, quello del coniuge (si pensi al ruolo delle casalinghe).

Secondo la sentenza Cass. n. 6519/2019, la Corte di Cassazione ha, infatti previsto che la casalinga o chi ha fatto lavori saltuari ha diritto all'assegno di divorzio se, per lungo tempo, ha favorito la carriera del partner e quindi la formazione del patrimonio familiare.

Il Collegio di legittimità, con una decisione destinata a far discutere, ha plasmato il principio generale sul divorzio stabilendo che «il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive».

Va tenuto, a tal fine, in piena considerazione il contributo fornito dall'ex moglie alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune e del patrimonio personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto.

È parare della Cassazione, invece, che l'ex moglie che lavora in nero non avrebbe diritto all'assegno di divorzio, dando così rilievo, ai fini reddituali, anche ai rapporti lavorativi irregolari non dichiarati.

Osservazioni

L'art. 5, comma, 6, l. n. 898/1970 prevede che con la sentenza di divorzio il Tribunale può disporre la corresponsione di un assegno periodico in favore del coniuge che non ha mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragiono oggettive, fermo restando che il diritto all'assegno divorzile, ove stabilito con la sentenza di divorzio, spetta dal momento in cui questa passa in giudicato.

È, comunque, possibile richiedere al Tribunale di rideterminarlo in qualunque momento, qualora sopravvengano apprezzabili modifiche delle condizioni reddituali dei coniugi, o anche di uno solo di essi.

Come detto, il Giudice, nel caso in cui decida a favore dell'erogazione dell'assegno, procederà tenendo conto dei criteri contemplati nella norma, quali le condizioni ed il reddito dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio, proprio o comune, da valutare anche in rapporto alla durata del matrimonio.

Abbiamo visto come la sentenza Cass. n. 18287/2018 delle Sezioni Unite abbia decretato il superamento dello “storico” criterio del tenore di vita dei coniugi come parametro di determinazione dell'assegno divorzile, creando non pochi problemi interpretativi ed applicativi, soprattutto rispetto a quei procedimenti ancora pendenti in Cassazione all'epoca della pronuncia.

Con l'ordinanza Cass. civ. 23 aprile 2019, n. 11178, la prima sezione civile della Corte di Cassazione, ha indicato quali siano i criteri e le valutazioni determinanti in materia di assegno divorzile, alla luce della recente evoluzione giurisprudenziale.

Tra i detti criteri, è opportuno annoverare qui di seguito i principali, quali il definitivo abbandono del principio del tenore di vita così come dell'autosufficienza economica del richiedente, il disconoscimento di una funzione meramente assistenziale all'assegno divorzile, a favore del riconoscimento di una natura composita dello stesso, che alla funzione assistenziale somma quella perequativa e compensativa. Ed ancora, l'abbandono di una concezione astratta del criterio di “adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi” a favore di una visione concreta, relativa allo specifico contesto coniugale, nonché la valutazione complessiva dell'intera storia coniugale (con prognosi futura), determinando così l'assegno in base all'età e allo stato di salute dell'avente diritto, nonché la durata del vincolo coniugale, per finire con la valorizzazione del profilo perequativo-compensativo dell'assegno, accertando in modo rigoroso il nesso causale esistente tra scelte endo-familiari e situazione del richiedente al momento di scioglimento del vincolo matrimoniale.

Se per circa trent'anni il criterio guida nell'interpretazione dell'art. 5, comma 6, della legge sul divorzio è stato, appunto, quello di attribuire all'avente diritto un assegno tale da consentirgli di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, tale posizione interpretativa, fortemente criticata da quella dottrina timorosa che ciò potesse creare ingiustificate rendite di posizione, è stata poi progressivamente superata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. Cass., n. 11504/2017 che ha affermato l'orientamento opposto, negando il riconoscimento dell'assegno divorzile al richiedente che fosse economicamente autosufficiente (in tal senso anche la sentenza Cass., 23602/2017).

L'acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale sorto tra i due contrapposti orientamenti è culminato nel noto intervento delle Sezioni Unite che, con la sentenza n. 18287 dell'11 luglio 2018, hanno adottato una linea interpretativa di rottura rispetto al passato.

In sintesi, con tale pronuncia, le Sezioni Unite hanno abbandonato la prospettiva individualista fatta propria dalla Corte nel 2017 (Cass. n. 11504/2017), valorizzando il principio di solidarietà post coniugale nel pieno rispetto degli artt. 2 e 29 della Costituzione.

Diretta conseguenza di tale impostazione è che, al fine di stabilire se ed eventualmente in che misura spetti l'assegno divorzile, il giudice dovrà comparare, anche d'ufficio, le condizioni economico-patrimoniali delle parti, in base ad un criterio composito.

La Suprema Corte, infatti, in tale decisione a sezioni unite, definisce l'utilizzo di un criterio integrato, che qui di seguito approfondiamo, e che si fondi sulla concretezza e molteplicità dei modelli familiari attuali.

Se si assume come punto di partenza il profilo assistenziale, valorizzando l'elemento testuale dell'adeguatezza dei mezzi e della capacità o incapacità di procurarseli, questo criterio deve essere calato nel "contesto sociale" del richiedente, un contesto composito formato da condizioni strettamente individuali e da situazioni che sono conseguenza della relazione coniugale, specie se di lunga durata e specie se caratterizzata da uno squilibrio nella realizzazione personale e professionale fuori nel nucleo familiare.

Lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare. Il profilo assistenziale deve, pertanto, essere contestualizzato con riferimento alla situazione effettiva nella quale s'inserisce la fase di vita post matrimoniale, in particolare in chiave perequativa-compensativa.

Il criterio attributivo e quello determinativo, non sono più in netta separazione ma si coniugano nel cosiddetto criterio assistenziale-compensativo.

L'elemento contributivo-compensativo si coniuga senza difficoltà a quello assistenziale perché entrambi sono finalizzati a ristabilire una situazione di equilibrio che con lo scioglimento del vincolo era venuta a mancare.

Il nuovo testo dell'art. 5 non preclude la formulazione di un giudizio di adeguatezza anche in relazione alle legittime aspettative reddituali conseguenti al contributo personale ed economico fornito da ciascun coniuge alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno ed a quello comune.

L'adeguatezza dei mezzi deve, pertanto, essere valutata, non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte. Il superamento della distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell'assegno di divorzio non determina, infine, un incremento ingiustificato della discrezionalità del giudice di merito, perché tale superamento non comporta la facoltà di fondare il riconoscimento del diritto soltanto su uno degli indicatori contenuti nell'incipit dell'art. 5, comma 6 essendone necessaria una valutazione integrata, incentrata sull'aspetto perequativo-compensativo, fondata sulla comparazione effettiva delle condizioni economico-patrimoniali alla luce delle cause che hanno determinato la situazione attuale di disparità. Inoltre, è necessario procedere ad un accertamento probatorio rigoroso del rilievo causale degli indicatori sopraindicati sulla sperequazione determinatasi, e, infine, la funzione equilibratrice dell'assegno, deve ribadirsi, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale.

Con tale pronuncia, le sezioni unite della Corte di Cassazione riconoscono che alla pluralità di modelli familiari consegue una molteplicità di situazioni personali conseguenti allo scioglimento del vincolo. Pertanto, il criterio individuato in tale sentenza, proprio per la sua natura composita, ha l'elasticità necessaria per adeguarsi alle fattispecie concrete perché, a differenza di quelli che si sono in precedenza esaminati non ha quelle caratteristiche di genericità ed astrattezza variamente criticate in dottrina.

Infine, qualora risulti che il richiedente è privo di mezzi adeguati o è oggettivamente impossibilitato a procurarseli, il Giudice dovrà accertare rigorosamente le cause di questa sperequazione alla luce dei parametri indicati alla sua età e alla durata del matrimonio ed all'esito di tali valutazioni dovrà quantificare l'assegno divorzile, rapportandolo non (più) al pregresso tenore di vita familiare né all'autosufficienza economica del richiedente, ma assicurando all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune.

Guida all'approfondimento

Rimini, C., Verso una nuova stagione per l'assegno divorzile dopo il crepuscolo del fondamento assistenziale, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1277;

Dosi, G., Resta fondamentale il contributo fornito durante l'unione, nota a Cass., S.U., 11.7.2018, n. 18287, in Guida dir., 2018, fasc. 32, 30;

Gabrielli, G., L'assegno di divorzio in una recente sentenza della Cassazione, in Riv. dir. civ., 1990, II, 543;

Pini, M., L'assegno di divorzio. Inquadramento della normativa sostanziale e processuale, in AA.VV., Il mantenimento per il coniuge e per i figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 2009, 94 ss;

Roma, U., Assegno di divorzio, cit., 1006. Osserva Bianca, C.M., Diritto civile, 2, La famiglia, V ed., Milano, 2015, 298.

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