Lo stato di abbandono del minore può essere escluso solo quando sia dimostrata la sussistenza di un effettivo e concreto legame con i parenti

18 Dicembre 2020

Lo stato di abbandono dei minori non può essere escluso in conseguenza della disponibilità a prendersi cura di loro, manifestata da parenti entro il quarto grado, quando non...
Massima

Lo stato di abbandono dei minori non può essere escluso in conseguenza della disponibilità a prendersi cura di loro, manifestata da parenti entro il quarto grado, quando non sussistano rapporti significativi pregressi tra quest'ultimi ed i bambini, e neppure possano individuarsi potenzialità di recupero dei rapporti, non traumatiche per i minori, in tempi compatibili con lo sviluppo equilibrato della loro personalità

Il caso

Il Tribunale per i Minorenni di Roma, con sentenza del 9 giugno 2017, ha dichiarato lo stato di adottabilità di un bambino abbandonato dalla mamma in tenera età. La madre e la nonna materna hanno impugnato la decisione, sostenendo, da un lato, che la decisione fosse stata erroneamente motivata richiamando gli atti del procedimento de potestate promosso dal medesimo Tribunale nei confronti dei genitori, e, dall'altro, che l'intera procedura fosse viziata perché la nonna non era stata informata della pendenza del giudizio di adottabilità e, inoltre, non era stata valutata la capacità genitoriale della madre.

La Corte d'appello di Roma ha rigettato il gravame rilevando che la mamma aveva lasciato il figlio, in tenera età, dapprima con il padre – violento e maltrattante – e in seguito presso un'istituzione pubblica, senza più cercarlo nonostante la disponibilità di mezzi e strumenti per rintracciarlo.

Madre e nonna hanno impugnato la sentenza affidandosi a tre motivi di gravame che, in sostanza, ripropongono le medesime argomentazioni dell'appello.

La questione

Come deve essere valutato lo stato di abbandono del minore quando ci sono parenti entro il quarto grado che si dichiarino disponibili a prendersene cura.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha dichiarato inammissibili i primi due motivi di ricorso e infondato il terzo, ma ha comunque affrontato nel merito tutte le questioni affrontate.

Con riferimento al primo motivo, ha rilevato che la corte distrettuale aveva escluso che nella motivazione del Tribunale fossero stati richiamati unicamente gli atti del procedimento per decadenza dalla responsabilità genitoriale e che, invece, dal passaggio della sentenza riportato nel ricorso emergeva che a supporto della decisione di primo grado erano stati solamente dedotti argomenti anche dalle dichiarazioni rese dalle donne alle udienze del giudizio de potestate alle quali avevano partecipato personalmente.

In merito all'omessa mancata comunicazione dell'apertura del procedimento alla nonna materna, la suprema corte ha dichiarato che la circostanza che un parente entro il quarto grado si sia dichiarato disponibile a prendersi cura del minore di per sé non è sufficiente a escludere lo stato di abbandono.

Ai fini dell'esclusione dello stato di abbandono, così da negare lo stato di adottabilità, infatti, è necessario accertare che tra il parente e il minore sussistano legami significativi, una relazione così forte da far ritenere che sia possibile recuperare il rapporto entro un lasso di tempo ragionevole, in modo da consentire uno sviluppo equilibrato del bambino.

Nel caso specifico, il motivo di censura è stato dichiarato inammissibile in quanto le ricorrenti si sono limitate a chiedere una diversa valutazione delle prove del giudizio di merito, preclusa al giudice di legittimità, tuttavia, nella motivazione si dà comunque atto del fatto che la nonna materna, pur avendo dichiarato di essere disponibile a prendersi cura del minore, in realtà da anni non intratteneva alcun tipo di rapporto con lui, non lo aveva cercato direttamente, né tramite la propria ambasciata, che avrebbe potuto coadiuvarla nelle ricerche.

Se è vero infatti, che l'articolo 8 l. n. 184/1983 dispone che possano essere dichiarati adottabili “i minori in situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio” e che il successivo articolo 11 precisa che “«Quando dalle indagini previste nell'articolo precedente risultano deceduti i genitori del minore e non risultano esistenti parenti entro il quarto grado, il tribunale per i minorenni provvede a dichiarare lo stato di adottabilità», non si può non considerare che la chiave di volta del sistema normativo è la tutela del minore, nel cui esclusivo interesse sono adottate tutte le decisioni che lo riguardano.

Fatte tali premesse, poiché la legge, volutamente, non definisce dettagliatamente la condizione di stato di abbandono – che è il presupposto necessario della dichiarazione di adottabilità – per valutare la correttezza della decisione del giudice di merito si deve fare riferimento, in primo luogo, al concetto di stato abbandono elaborato dalla giurisprudenza: l'assenza di quel minimo di cure materiali e psicologiche indispensabili per la crescita del minore (in tal senso Cass civ. n. 3654/2020, Cass. civ., n. 14914/2020, Cass. civ., n. 274/2020) unita alla mancanza di una effettiva e concreta possibilità di recupero delle competenze genitoriali in un tempo ragionevolmente breve.

Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia d'origine, tutelato dall'art. 1 l. n. 184/1983, infatti, viene meno quando sia accertata l'impossibilità di recuperare le capacità genitoriali, condizione che si verifica non solo quando vi è un intenzionale rifiuto dei genitori di adempiere ai propri doveri, ma anche laddove la condizione della famiglia sia tale da compromettere in modo grave lo sviluppo psico-fisico del bambino, in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età e al suo grado di sviluppo. (Cass. civ. 32412/2019). In sostanza, la mera dichiarazione di volontà dei genitori – o dei parenti - di accudire il minore è del tutto irrilevante in assenza di riscontri concreti.

Del resto, l'art. 11 l. n. 184/1983 espressamente prevede che quando «risultano deceduti i genitori del minore e non risultano esistenti parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore, il tribunale per i minorenni provvede a dichiarare lo stato di adottabilità», confermando che non è sufficiente l'esistenza di parenti disponibili, ma che occorre un legame importante con il minore, solo in questo caso è opportuno cercare di recuperare la relazione e attivare quei percorsi di assistenza che consentano di consolidarla.

Nel caso all'esame della Corte, si rileva che proprio le circostanze di fatto hanno portato i giudici di merito a ritenere sussistente lo stato ad abbandono del minore, che era stato lasciato con il padre - nonostante questi avesse un comportamento pregiudizievole per il bambino – e che per oltre sei anni non era mai stato cercato dalla mamma e dalla nonna.

La totale assenza dei parenti nella vita del minore, pertanto, ha portato il Tribunale e successivamente la Corte d'Appello a ritenere del tutto irrilevante quanto dichiarato dalla nonna: il bambino avrebbe dovuto costruire ex novo un legame con lei e i tempi per la realizzazione del rapporto erano incompatibili con l'esigenza primaria di assicurargli uno sviluppo sereno.

L'ultimo motivo di ricorso - omessa indagine sulla capacità genitoriale della mamma – infine, è stato dichiarato infondato sempre richiamando quanto emerso dalla motivazione della corte territoriale: la totale assenza della mamma e della nonna dalla vita del minore, con il quale non avevano mai instaurato una seria relazione affettiva, ha reso irrilevante anche tale accertamento Il diritto del minore a crescere nella famiglia di origine presuppone infatti che i genitori, o i parenti prossimi, si impegnino in un serio progetto di vita e che sia possibile prevedere un recupero della capacità genitoriali in un tempo compatibile con la superiore esigenza del minore stesso di crescere in modo equilibrato.

I fatti accertati nel giudizio di primo grado, richiamati ampiamente nella sentenza impugnata, avevano invece escluso l'esistenza di un serio legame e, pertanto, una perizia sulla capacità genitoriale sarebbe stato del tutto inutile, in quanto, quand'anche fosse emerso che la mamma aveva in astratto competenze tali da consentire il recupero o, meglio, la creazione di un rapporto, i tempi realizzarlo sarebbero stati incompatibili con l'esigenza di crescita serena del minore, ormai da tempo inserito serenamente nella casa famiglia.

Osservazioni

La decisione della Suprema Corte, ad una prima lettura, può apparire in contrasto con lo spirito della legge sull'adozione che, all'articolo 1, sancisce il fondamentale diritto dei figli a vivere con i propri genitori e di crescere nella propria famiglia di origine, imponendo al giudice di prestare particolare attenzione nella valutazione della sussistenza dello stato di adottabilità.

La dichiarazione dello stato di abbandono, presupposto per la dichiarazione di adottabilità, infatti, costituisce l'extrema ratio, alla quale si deve ricorrere quando si sia determinata una condizione di radicale e irreversibile di pregiudizio per il minore.

Il giudice, pertanto, deve porre in essere una adeguata operazioni di bilanciamento di interessi all'esito della quale può anche ritenere che sia prevalente l'interesse a mantenere il legame con i genitori biologici, anche laddove presentino dei profili di incapacità (in tal senso si veda Cass. civ. sez. I 13 febbraio 2020 n. 3643).

Ad un più attento esame, però, la pronuncia si rivela perfettamente in linea con la ratio della norma in quanto il diritto del minore a crescere all'interno della propria famiglia è sì prevalente, ma a condizione che sia accertata la possibilità di garantirgli – sia pure adottando misure di sostegno alla genitorialità – uno sviluppo sereno ed armonico in un ambiente idoneo, tenendo conto della sua personalità, delle sue caratteristiche, dell'età e del suo sviluppo, nonché delle conseguenze che il percorso di recupero dei genitori e dei parenti possono comportare sulla sua crescita.

Il diritto a vivere in famiglia, quindi, è destinato a cedere quando sia dimostrato che la famiglia di origine - per ragioni non transitorie – non sia in grado di offrigli le cure necessarie e tale valutazione deve essere effettuata considerando anche la condotta precedentemente assunta dai parenti.

Quando risulti che manca completamente un rapporto significativo con il minore, è evidente che i tempi necessari per l'instaurazione di un legame sino incompatibili con la necessità di assicurare al fanciullo un ambiente di crescita idoneo.

Nel caso all'esame degli ermellini pertanto, poiché il comportamento, fattuale e processuale, della madre e della nonna aveva confermato l'assenza di un qualunque vincolo con il minore, e che la creazione di un legame avrebbe richiesto un lungo periodo si tempo, ha fatto sì che la decisione di merito sia stata confermata.

Guida all'approfondimento

Fadiga L., Trattato di diritto di famiglia, (diretto da) Paolo Zatti – Volume II – Filiazione – parte seconda cap. IX;

Dogliotti M.,Adozione e affidamento, in, Filiazione, Pratica professionale Fam. (a cura di) Annamaria Fasano - Alberto Figone

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