Il pignoramento diretto esattoriale: motivi di opposizione e soluzioni giurisprudenziali (II parte)

23 Dicembre 2020

Il presente contributo analizza il pignoramento presso terzi «esattoriale», con particolare riferimento agli strumenti a disposizione del debitore per opporsi all'atto di pignoramento diretto.
Inquadramento

Il pignoramento disciplinato dall'art. 72-bis d.p.r. n. 602/73, come visto nel precedente focus del Il pignoramento esattoriale ex art. 72-bis d.p.r. n. 602/73: motivi di opposizione e soluzioni giurisprudenziali è una forma speciale di pignoramento presso terzi, che può essere attivata unicamente dagli agenti della riscossione (quali, ad esempio, l'Agenzia delle Entrate – Riscossione), che consente ai predetti, quali creditori procedenti, di intimare direttamente al terzo pignorato il pagamento delle somme contenute nell'ingiunzione, senza che l'autorizzazione o l'ordine di pagamento provenga dal giudice dell'esecuzione.

Il c.d. pignoramento diretto è infatti una forma di esecuzione di natura prettamente amministrativa, che provoca il vaglio giudiziale solo qualora il contribuente al quale è stato notificato l'atto di pignoramento, decida di presentare opposizione innanzi il giudice competente al fine di chiedere la sospensione dell'esecuzione (artt. 57 e 60 d.p.r. n. 602/73).

La Suprema Corte si è espressa in merito affermando che «in tema di procedura di riscossione coattiva a mezzo ruolo, il pignoramento presso terzi «esattoriale», previsto dall'art. 72-bis d.p.r. n. 602/73 , si svolge secondo un procedimento semplificato, interamente stragiudiziale, che inizia con la notificazione dell'ordine di pagamento diretto e si completa con il pagamento diretto da parte del terzo, sicchè non deve essere iscritto a ruolo, in quanto non transita mai davanti all'ufficio giudiziario, neppure per l'assegnazione delle somme, né può essere soggetto all'applicabilità dell'art. 159-ter disp. att. c.p.c., atteso che nessun interessato, neppure il debitore opponente, può sostituirsi al creditore per curare l'iscrizione a ruolo, essendo tale incombente semplicemente inesistente perché non previsto dalla legge (Cass. civ., n. 26830/2017).

Qualora il giudice accordi la sospensione a seguito della presentazione di opposizione, il terzo pignorato al quale il debitore avrà avuto cura di notificare il provvedimento giudiziale di sospensione, non potrà versare le somme al creditore, ma dovrà unicamente accantonarle in attesa della definizione della controversia.

La richiesta di sospensione dell'esecuzione è presentata con lo strumento del ricorso in opposizione: il giudice, nell'esaminare la domanda, provvederà in prima battuta emettendo un decreto nel quale fisserà l'udienza di trattazione dell'opposizione, assegnerà il termine perentorio per la notifica del decreto e del ricorso all'opposta AER, e disporrà, qualora ne ricorrano i presupposti, la sospensione inaudita altera parte dell'esecuzione, riservando all'udienza di trattazione dell'opposizione la conferma, modifica o revoca del provvedimento sospensivo.

In evidenza

Il pignoramento diretto ex art. 72-bis d.p.r. n. 602/73 è uno strumento utilizzabile unicamente nel caso in cui il terzo pignorato non sia un istituto che eroga trattamenti pensionistici (art. 72-bis comma primo), dovendo in tale ultimo caso il creditore Agenzia delle Entrate Riscossione ricorrere allo strumento dei pignoramento presso terzi ordinario previsto dal legislatore all'art. 543 c.p.c. L'utilizzo dello strumento del pignoramento ex art. 72-bis d.p.r. n. 602/73 qualora il terzo pignorato sia un ente che eroga trattamenti pensionistici dovrà infatti essere dichiarato inammissibile.

Diverse conclusioni si traggono viceversa qualora l'AER agisca per il recupero di crediti di natura pensionistica (es. crediti INPS inseriti nelle cartelle esattoriali oggetto del pignoramento), nel qual caso non vi è alcuna preclusione all'uso dello strumento del pignoramento speciale diretto.

La particolarità ulteriore del pignoramento speciale è prevista nel secondo comma dell' art. 72-bis (che richiama a sua volta l'art. 72 secondo comma d.p.r. n. 602/73): qualora il giudice dell'esecuzione non sospenda l'esecuzione e il terzo non adempia all'ordine di pagamento al creditore o per inadempienza ovvero per incapienza (es. dichiarazione negativa), l'Agente della Riscossione dovrà procedere secondo le ordinarie norme del codice di procedura civile (art. 543 c.p.c.), con la conseguente sopravvenuta inefficacia dell'ordine di pagamento.

Le opposizioni ex artt. 615 c.p.c. e 617 c.p.c. Le modifiche dopo la sent. n. 114/2018 della Corte costituzionale

Avverso l'atto di pignoramento diretto è possibile presentare opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi.

Per analizzare compiutamente i motivi che sottendono alle opposizioni è necessario in primo luogo distinguere fra cartelle che hanno natura tributaria da cartelle di natura amministrative e/o previdenziale.

Quanto alle prime (cartelle di natura tributaria in quanto tali sono i crediti vantati dall'ente impositore e, per esso, riportati dall'Agente della riscossione nella cartella esattoriale) è ulteriormente necessario distinguere fra le eccezioni che costituiscono motivi di opposizione agli atti esecutivi ovvero motivi di opposizione all'esecuzione.

In particolare, è necessario distinguere fra le eccezioni che costituiscono motivi di opposizione agli atti esecutivi ovvero motivi di opposizione all'esecuzione.

A) Quanto alle eccezioni formulate ai sensi dell'art. 617 c.p.c., si richiama quanto più approfonditamente esaminato nel focus del 4 febbraio 2020.

B) Quanto ai motivi di opposizione all'esecuzione, si deve evidenziare che i confini relativi alla proponibilità nell'ambito della giurisdizione ordinaria dei motivi di opposizione ex art. 615 c.p.c., originariamente delineati dall'art. 57 lett. b) d.p.r. n. 602/73, devono essere rivisti alla luce della citata sentenza n. 114/2018 della Corte costituzionale.

Invero, prima dell'intervento della Corte delle Leggi il decreto n. 602/73 regolava l'ammissibilità delle opposizioni all' art. 57 avverso cartelle emesse per crediti di natura tributaria stabilendo l'inammissibilità de «a) le opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c., fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni».

Con la citata sentenza, la Corte costituzionale ha decretato l'incostituzionalità della norma «nella parte in cui non prevede che nelle controversie che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di cui all'art. 50 del d.p.r. n. 602/1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c.».

È allora necessario verificare quale sia l'esatta incidenza della sentenza della Corte costituzionale sulle ipotesi di pignoramento esattoriale che cade su cartelle emesse per crediti di natura tributaria e quali siano gli ambiti della giurisdizione rimessa al giudice dell'esecuzione ed al giudice tributario.

È allora necessario distinguere fra:

a) le cause estintive o modificative della pretesa tributaria che sono sorte prima – ovvero in costanza – della notifica della cartella o dell'avviso di intimazione ex art. 50 del d.p.r. n. 602/1973, per le quali gli artt. 2 e 19 d. lgs. n. 546/1992 stabiliscono la competenza del giudice tributario ed un termine perentorio (di 60 giorni) per l'impugnazione dell'atto (cartella o avviso di intimazione) avanti la CTP;

b) le cause estintive o modificative sorte dopo il termine indicato, per le quali la Corte costituzionale stabilisce la competenza del giudice dell'esecuzione.

Successivamente alla sentenza n. 114/2018 della Corte costituzionale il riparto di competenze deve essere allora così delineato:

In evidenza

I motivi che denunciano un'inesistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata che sorgono dopo la notifica delle cartelle ovvero dopo la notifica dell'avviso di intimazione devono esser valutati dal giudice dell'esecuzione, mentre quelli che emergono in un momento precedente sono di competenza del giudice tributario.

Per quanto attiene alle cartelle di natura amministrativa e previdenziale, la competenza sarà viceversa certamente attribuita al giudice ordinario, il quale sarà chiamato ad accertare la fondatezza dei motivi di opposizione (risultando infatti tali cartelle non interessate dalle inammissibilità di cui all'art. 57 citato, così come modificato dalla Corte costituzionale).

I motivi di opposizione all'esecuzione: la prescrizione.

La questione relativa alla prescrizione richiede necessariamente di richiamare quanto già evidenziato nel precedente focus, in particolare per quanto attiene alla:

A) prescrizione dei crediti tributari ed alla possibilità per il giudice ordinario di valutare nel merito l'eccezione posta dall'opponente.

Si è visto infatti che i confini relativi alla proponibilità nell'ambito della giurisdizione ordinaria dei motivi di opposizione ex art. 615 c.p.c., originariamente delineati dall'art. 57 lett. b) d.p.r. n. 602/73, sono stati di recente oggetto della sentenza n. 114/2018 della Corte costituzionale.

A seguito di tale sentenza il giudice ordinario è chiamato a distinguere fra:

a) le cause estintive o modificative della pretesa tributaria che sono sorte prima – ovvero in costanza – della notifica della cartella o dell'avviso di intimazione ex art. 50 del d.p.r. n. 602/1973, per i quali gli artt. 2 e 19 d. lgs. n. 546/1992 stabiliscono la competenza del giudice tributario ed un termine perentorio (di 60 giorni) per l'impugnazione dell'atto (cartella o avviso di intimazione) avanti la CTP;

b) le cause estintive o modificative sorte dopo il termine indicato, per le quali la Corte costituzionale stabilisce la competenza del giudice ordinario (e quindi del giudice dell'esecuzione).

Tale distinzione ha un riflesso immediato sulla problematica della prescrizione e della competenza del giudice ordinario, a seconda delle tesi che ad oggi sussistono nella giurisprudenza:

Tesi 1: nel caso in cui nel corso del giudizio di opposizione all'esecuzione l'agente della Riscossione provi l'avvenuto perfezionamento della notifica delle cartelle ovvero dell'avviso di intimazione, l'eccezione di intervenuta prescrizione posta dal contribuente opponente può essere valutata dal giudice dell'esecuzione ex art. d. lgs. n. 546/92, unicamente in relazione al momento successivo alla notifica dei predetti atti dell'esecuzione.ù

Tesi 1. Ciò sta quindi a significare che:

nella fase cautelare oppositiva il giudice dell'esecuzione potrà valutare unicamente l'eventuale prescrizione maturata fra la notifica della cartella ovvero dell'avviso di intimazione e la notifica dell'atto di pignoramento;

al contrario, l'eventuale prescrizione eccepita in fase cautelare avanti il giudice dell'esecuzione ma maturata nel corso del periodo che intercorre fra la commessa violazione tributaria (ad es. il mancato pagamento di imposte) e la notifica della cartella o dell'avviso ex art. 50 del d.p.r. n. 602/1973 sarà di competenza del giudice tributario.

Qualora invece non sia stata provata la notifica dei predetti atti, il giudice dell'esecuzione è chiamato a verificare l'eventuale prescrizione a partire dall'ultimo atto di cui risulta provata la notifica (e ciò in quanto il contribuente che non ha ricevuto la notifica della cartella (o dell'avviso di intimazione) non ha avuto la possibilità di ricorrere al Giudice tributario con le modalità previste dalla legge per far valere l'eccezione di prescrizione).

Tesi 2: all'indomani della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 7822/2020 si è andata affermando una differente impostazione, che poggia sui vizi presupposti alla eccepita prescrizione.

In sostanza, nel caso in cui il motivo di opposizione all'esecuzione poggi sulla necessità dell'accertamento di fatto dell'intervenuta notifica della cartella o dell'avviso di intimazione, la competenza sarebbe sempre del giudice tributario. La ratio di tale soluzione poggia sulla (già vista si veda focus del…..) inammissibilità dell'opposizione agli atti esecutivi in materia esattoriale che involga l'accertamento dell'avvenuta notifica degli atti presupposti il pignoramento ex art. 57 lett. b) d.p.r. n. 602/73.

Nella parte motiva, la sentenza chiarisce che l' opposizione a sensi dell'art. 615 c.p.c. dinanzi al giudice ordinario «resta ammessa quando essa si fondi su fatti estintivi o comunque incidenti sulla pretesa tributaria oggetto di esecuzione forzata che si verifichino in una situazione di mancanza, inesistenza o nullità della notifica della cartella e, dunque, di avvenuta conoscenza di tali atti solo a seguito del compimento di un atto esecutivo, allorquando, però, il contribuente per dedurre detti fatti non abbia bisogno, al fine di dimostrarne la verificazione, di sostenere che essa dipenda alla mancata notificazione della cartella, dalla inesistenza della sua notificazione o dalla nullità della sua notificazione pur avvenuta. Il fatto deducibile con l'opposizione all'esecuzione deve dedursi come rilevante e, dunque, come verificatosi secondo la fattispecie normativa regolatrice della pretesa tributaria, non già perché è mancata, è stata inesistente o nulla la notificazione della cartella o dell'intimazione, bensì nonostante ciò e, dunque, in modo indifferente rispetto a dette evenienze».

Tesi II. Ciò sta quindi a significare che:

nella fase cautelare oppositiva il giudice dell'esecuzione non potrà, neanche in sede di accertamento incidentale finalizzato alla verifica dell'intervenuta prescrizione, esaminare l'eccezione di mancata notifica della cartella ovvero dell'avviso di intimazione;

l'eventuale eccezione di prescrizione avanzata in fase cautelare avanti il giudice dell'esecuzione potrà essere valutata solamente se prescinde dall'eccezione inerente il vizio di notifica degli atti presupposti il pignoramento.

L'ambito di competenza del giudice dell'esecuzione si restringe pertanto in modo significativo risultando, di fatto, l'eccezione di prescrizione di quasi esclusiva competenza del giudice tributario.

B) Nessuna preclusione viceversa limita la competenza del giudice ordinario nel caso in cui la prescrizione eccepita dall'opponente abbia ad oggetto sanzioni amministrative (quali ad esempio le violazioni al codice della strada, recepite nei V.A.V. – verbali di accertamento violazione – poi trasfuse nelle cartelle esattoriali nel caso di mancato pagamento dei verbali nei tempi di legge).

In tal caso infatti il giudice dell'esecuzione sarà chiamato a verificare l'intervenuta prescrizione intercorrente fra l'atto di pignoramento e l'eventuale notifica dell'avviso di intimazione, ovvero della cartella, nonché la prescrizione maturata fra la notifica della cartella e l'eventuale notifica dell'accertamento della violazione amministrativa.

Qualora il tempo intercorrente fra la notifica dei predetti atti sia maggiore di cinque anni, il giudice dell'esecuzione dovrà accertare l'intervenuta prescrizione del credito portato nella cartella di pagamento.

Proprio in relazione a tale ultima osservazione, emerge una delle tematiche più rilevanti e complesse affrontate dalla giurisprudenza in tema di prescrizione, inerente le tempistiche di maturazione della prescrizione.

La Suprema Corte, ha analizzato in particolare due diversi casi in cui:

a) il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie derivi da sentenza passata in giudicato. In questo caso il diritto si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell'art. 2953 c.c., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta «actio iudicati». La ratio di tale conclusione risiede nel fatto che «il titolo della pretesa tributaria cessa di essere l'atto e diventa la sentenza che, pronunciando sul rapporto, ne ha confermato la legittimità, derivandone l'inapplicabilità del termine di decadenza di cui all'art. 25 del d.p.r. n. 602/1973, che concerne la messa in esecuzione dell'atto amministrativo e presidia l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici e l'interesse del contribuente alla predeterminazione del tempo di soggezione all'iniziativa unilaterale dell'ufficio» (Cass. civ., n. 16730/2016, nonché Cass. civ., n. 9076/2017);

b) nel diverso caso in cui la definitività della sanzione non derivi da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile, bensì consista in una sanzione pecuniaria generata dalla violazione di norme tributarie, varrà il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall'art. 20 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l'obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni, non può che essere di tipo unitario (Cass. civ., n. 25790/2009, conf. Cass. civ., nn. 5837/2011 e 330/2014).

C) Lo stesso principio affrontato in relazione ai crediti tributari ed inerente la decadenza dal potere di eccepire l'intervenuta prescrizione è stato esaminato dalla giurisprudenza della Cassazione, mutatis mutandis, per i crediti previdenziali.

In particolare:

a) qualora venga provata la notifica della cartella contenente l'intimazione al pagamento del dovuto per i suddetti crediti previdenziali, la prescrizione deve esser fatta valere ex art. 615 c.p.c. nei quaranta giorni dalla notifica della cartella, verificandosi altrimenti la decadenza dal potere di eccepirla;

b) la prescrizione nel caso di specie matura in cinque anni, non allungandosi il periodo prescrizionale a dieci anni per il sol fatto che il credito previdenziale è contenuto in una cartella di pagamento.

In proposito, la Suprema Corte ha quindi approfonditamente esaminato la possibilità che il titolo esecutivo possa considerarsi consolidato per mancata proposizione dell'opposizione a cartella nel termine previsto.

Le Sezioni Unite, chiamate ad affrontare tale tematica (ed esaminando un caso in cui le cartelle, emesse per crediti previdenziali, non erano state impugnate nel termine perentorio previsto ex lege di quaranta giorni ex art. 24 comma quinto d.lgs n. 46/1999), con la sentenza n. 23397/2016 hanno chiarito che la disciplina della prescrizione deve intendersi «di stretta osservanza», pertanto insuscettibile d'interpretazione analogica (vedi, per tutte: Cass. civ., 15 luglio 1966, n. 1917 e Cass. civ., 18 maggio 1971, n. 1482).

Il ragionamento che ha portato le Sezioni Unite a tale conclusione è che:

a) se in base all'art. 2946 c.c. la prescrizione ordinaria dei diritti è decennale a meno che la legge disponga diversamente, nel caso dei contributi previdenziali è appunto la legge che dispone diversamente (art. 3 comma 9 legge 335/1995 cit.);

b) la norma dell'art. 2953 c.c. non può essere applicata per analogia oltre i casi in essa stabiliti (ex multis Cass. civ., 29 gennaio 1968, n. 285; Cass. civ., 10 giugno 1999, n. 5710);

c) la prescrizione decennale da actio judicati, prevista dall'art. 2953 c.c., decorre non dal giorno in cui sia possibile l'esecuzione della sentenza né da quello della sua pubblicazione, ma dal momento del suo passaggio in giudicato (tra le tante: Cass. civ., 10 luglio 2014, n. 15765; Cass. civ., 14 luglio 2004, n. 13081);

d) la conversione della prescrizione breve in quella decennale per effetto della formazione del titolo giudiziale ex art. 2953 c.c. ha il proprio fondamento esclusivo nel titolo medesimo, sicché non incide sui diritti non riconducibili a questo e, dunque, non opera per i diritti maturati in periodi successivi a quelli oggetto del giudicato di condanna (Cass. civ., 20 marzo 2013, n. 6967; Cass. civ., 10 giugno 1999, n. 5710 cit.).

Poiché soltanto un atto giurisdizionale può acquisire autorità ed efficacia di cosa giudicata ed il giudicato, dal punto di vista processuale, spiega effetto in ogni altro giudizio tra le stesse parti per lo stesso rapporto, dal punto di vista sostanziale il giudicato rende quindi inoppugnabile il diritto in esso consacrato tanto in ordine ai soggetti ed alla prestazione dovuta quanto all'inesistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi del rapporto e del credito (vedi, per tutte: Cass. civ., 12 maggio 2003, n. 7272; Cass. civ., 24 marzo 2006, n. 6628).

Il carattere perentorio del termine previsto dall'art. 24 comma quinto d.lgs n. 46/1999 è quindi funzionale a rendere non più contestabile il credito contributivo, in caso di omessa tempestiva impugnazione, ed a consentirne una rapida riscossione (vedi, ex plurimis Cass. civ., 25 giugno 2007, n. 14692; Cass. civ., 8 giugno 2015, n. 11749; Cass. civ., 15 marzo 2016, n. 5060).

Ma ancorchè sia la cartella di pagamento che gli altri titoli che legittimano la riscossione coattiva di crediti dell'Erario e/o degli Enti previdenziali sono atti amministrativi privi dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato (vedi, tra le tante: Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12263; Cass. civ., 16 novembre 2006, n. 24449; Cass. civ., 26 maggio 2003, n. 8335, tutte già citate), ciò non significa che la scadenza del termine perentorio per proporre opposizione non produca alcun effetto, in quanto tale decorrenza determina la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, producendo l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito.

È tuttavia evidente che, per tutte le suddette ragioni esaminate dalla Cassazione a Sezioni Unite, tale scadenza non può certamente comportare l'applicazione dell'art. 2953 c.c.ai fini dell'operatività della conversione del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale, anche perché, fra l'altro, un simile effetto si porrebbe in contrasto con la ratio della perentorietà del termine per l'opposizione.

Conclusivamente:

La scadenza del termine - pacificamente perentorio - per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all' art. 24 comma quinto d.lgs n. 46/1999, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. "conversione" del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo l'art. 3 commi 9 e 10 della l. n. 335/1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell'art. 2953 c.c.

(segue)…L'impignorabilità dei crediti. Le ipotesi di riconduzione alla para-subordinazione ex art. 409 c.p.c.

Al fine di esaminare compiutamente la problematica, è necessario fare un rapido cenno alla natura del pignoramento diretto speciale ex art. 72-bis d.p.r. n. 602/73 che, come visto nel precedente approfondimento (si veda focus pubblicato il ….), è una forma di esecuzione di natura prettamente amministrativa che provoca il vaglio giudiziale solo qualora il contribuente, al quale è stato notificato l'atto di pignoramento, decida di presentare opposizione innanzi al giudice competente al fine di chiedere la sospensione dell'esecuzione (artt. 57 e 60 d.p.r. n. 602/73).

Tale forma di pignoramento, diversamente dal pignoramento presso terzi notificato ai sensi dell'art. 543 c.p.c., si svolge secondo un procedimento semplificato, interamente stragiudiziale, che inizia con la notificazione dell'ordine di pagamento diretto al terzo pignorato e si completa con il pagamento di quest'ultimo qualora non sia stata disposta la sospensione dell'esecuzione da parte del giudice.

Il corollario immediato di tale peculiare forma di pignoramento è che, potendo il giudice dell'esecuzione esaminare unicamente l'opposizione, di regola non viene depositata in giudizio la dichiarazione di quantità ex art. 547 c.p.c., resa dal terzo pignorato: la ratio sta nel fatto che mentre nel pignoramento ex art. 543 c.p.c. la dichiarazione è funzionale all'assegnazione delle somme, nel pignoramento diretto esattoriale, come visto, il giudice dell'esecuzione non provvederà all'esito del giudizio all'assegnazione delle somme, ma si pronuncerà unicamente sull'istanza cautelare.

La questione dell'impignorabilità si pone allora nel caso in cui il terzo pignorato sia il datore di lavoro, ovvero un istituto di credito, e qualora il pignoramento caduto sul conto corrente o similari (es. banco posta) veda lo stipendio ovvero la pensione confluire sul c/c.

Il giudice dell'esecuzione verrà quindi a conoscenza del fatto che il pignoramento sul c/c è in realtà caduto su somme dovute a titolo di stipendio o pensione quando la circostanza costituisce uno specifico motivo di opposizione ex art. 615 c.p.c. presentata dal debitore esecutato, al fine di far valere l'impignorabilità delle somme aggredite.

In tal caso, qualora il terzo sia il datore di lavoro, l'art. 72-ter d.p.r. n. 602/73 prevede per il debitore una normativa di favore rispetto all'art. 545 c.p.c. (che in quanto speciale è ad essa derogatoria), laddove stabilisce che le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate dall'agente della riscossione in misura pari a:

- un decimo per importi fino a 2.500 euro;

- un settimo per importi superiori a 2.500 euro e non superiori a 5.000 euro;

- un quinto per gli importi superiori a 5.000,00 euro.

Nel caso di opposizione ex art. 615 c.p.c. che attiene alla pignorabilità dei beni, il debitore dovrà quindi provare che l'accantonamento effettuato dal terzo è superiore ai limiti di legge, vedendosi quindi accolta l'opposizione per la parte eccedente i limiti di cui al predetto art. 72-ter.

La questione problematica si pone invece allorquando il pignoramento cade sul c/c, nel quale vengono versate somme a titolo di stipendio o di pensione.

In tal caso, il debitore dovrà:

- provare di percepire uno stipendio (circostanza che dovrà essere provata con il deposito in giudizio di documentazione attestante estratti conto bancari, cedolini stipendiali o ratei pensionistici);

- provare la coincidenza degli accrediti, fra le «entrate» sul conto corrente e i cedolini stipendiali o pensionistici.

Lo stesso art. 72-ter cit. prevede inoltre nell'ultimo comma che nel caso di accredito sul conto corrente intestato al debitore di somme a titolo di stipendio o altre indennità, gli obblighi del terzo pignorato non si estendono all'ultimo emolumento accreditato allo stesso titolo.

Ulteriore questione problematica si pone allorquando il debitore assuma di prestare attività lavorativa non subordinata, ma riconducibile alle ipotesi della subordinazione ex art. 409 c.p.c.

A tal fine è allora necessario verificare se l'affermato rapporto di lavoro che legherebbe il debitore al terzo possa esser ricondotto al rapporto di lavoro parasubordinato, con conseguenziale applicabilità dell'art. 72-ter d.p.r. n. 602/73 quanto ai limiti di pignorabilità.

In proposito, la Suprema Corte ha specificato che in tema di espropriazione forzata presso terzi le modifiche apportate dalle leggi 12 marzo 2004 n. 311 e 14 maggio 2005 n. 80 (di conversione del d.l. 14 marzo 2005 n. 35) al d.p.r. 5 gennaio 1950 n. 180 (approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni) hanno comportato la totale estensione al settore del lavoro privato delle disposizioni originariamente dettate per il lavoro pubblico.

Ai fini dell'applicabilità dell'art. 409 n. 3 c.p.c. è però necessaria la ricorrenza tanto dell'elemento della continuità, quanto quello della coordinazione; la prima richiede che l'attività non sia occasionale, ma perduri nel tempo, importando un impegno costante del lavoratore a favore del committente; la coordinazione viene invece intesa come commissione funzionale derivante da un protratto inserimento nell'organizzazione aziendale e, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzata dall'ingerenza personale di quest'ultimo nell'attività del prestatore.

La Cassazione, nell'esaminare una controversia avente ad oggetto la distinzione fra agente e procacciatore di affari (Cass. civ., n. 1974/2016), ha evidenziato che i caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell'attività dell'agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell'ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con quest'ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma, con risultato a proprio rischio e con l'obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo.

Una volta provata la ricorrenza degli elementi distintivi il rapporto di lavoro parasubordinato (riconducibile pertanto nell'ambito dell'art. 409 cod. n. 3 proc. civ.), sarà allora applicabile il limite previsto tanto dall'art. 545 c.p.c. (Cass. civ., n. 685/2012 e Cass. civ., n. 1545/17), quanto dell'art. 72-ter d.p.r. n. 602/73.

(segue)…La definizione agevolata e la rateizzazione.

Fra i motivi di opposizione all'esecuzione per fatti successivi alla notifica del pignoramento (ma altresì successivi anche solo alla notifica delle cartelle o dell'avviso di intimazione) si annovera l'intervenuta adesione o richiesta (qualora sia stata presentata solamente la domanda e l'AER non abbia ancora risposto, aderendo) alla definizione agevolata.

Proprio in quanto intervenuta successivamente alla notifica dei predetti atti prodromici al pignoramento, tale motivo di opposizione all'esecuzione rientra fra le opposizioni ex art. 615 c.p.c. ammesse dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 114/2018 (e di cui si era parlato nel precedente focus al par. 2) come motivi oppositivi avverso un atto di pignoramento che ha ad oggetto cartelle tanto di natura amministrative e previdenziale, quanto di natura tributaria.

La definizione agevolata, quale modalità amministrativa di sanatoria in itinere del debito erariale, prevede una stasi delle procedure di accertamento della debenza o meno del credito intimato nelle cartelle (e poi nell'eventuale AVI e nel pignoramento) e può essere ricondotta ad un'ipotesi di definizione bonaria delle pendenze esistenti, in quanto:

In evidenza:

La definizione agevolata prevede la possibilità estinguere con un piano di rateizzazione i debiti iscritti a ruolo contenuti nelle cartelle di pagamento, versando le somme dovute senza corrispondere le sanzioni e gli interessi di mora. Per le sanzioni amministrative comminate per violazione del Codice della Strada non si pagano gli interessi di mora e le maggiorazioni previste dalla legge.

Sono da aggiungere a quanto dovuto le somme maturate a favore dell'Agente della riscossione a titolo di aggio, spese per procedure esecutive e diritti di notifica.

L'agevolazione così regolamentata dall'Agenzia delle Entrate riscossione prevede all'art. 3 comma 10 d.l. n. 119/2018 (in continuità con il precedente d.l. n. 193/2016) che a seguito della presentazione della dichiarazione ex art. 3 comma 5 d.l. cit.:

- sono sospesi i termini di prescrizione e decadenza per il recupero dei carichi che sono oggetto di tale dichiarazione;

- sono sospesi, per i carichi oggetto della domanda di definizione agevolata, fino alla scadenza della prima o unica rata delle somme dovute, gli obblighi di pagamento derivanti da precedenti dilazioni in essere;

- l'agente della riscossione, relativamente ai carichi definibili con la definizione agevolata, non può avviare nuove azioni esecutive e non può altresì proseguire le procedure di recupero coattivo precedentemente avviate.

La soluzione giurisprudenziale da adottare in via interpretativa prevedrebbe allora che qualora il contribuente dimostri di aver presentato l'istanza di definizione agevolata il GE provvederà:

- all'accoglimento dell'istanza di sospensione dell'esecuzione in quanto l'Agente per la Riscossione non potrà proseguire le procedure di recupero coattivo precedentemente avviate in pendenza di una domanda di c.d. «rottamazione»;

- alla concessione del termine per la riassunzione del giudizio di merito;

- in caso di mancata riassunzione, adeguatamente provata con un'attestazione di cancelleria, il riconoscimento del prodursi dell'effetto di «cristallizzazione» della disposta sospensione cautelare (Cass. civ., n. 7043/2017), all'estinzione del giudizio di opposizione e dichiarazione di cessazione dal vincolo derivante dal pignoramento, non potendo dichiararsi l'estinzione del processo esecutivo, che in questo caso pende avanti il giudice dell'esecuzione, come specificato nel successivo par. 5;

- in caso di riassunzione, il giudice dell'esecuzione concluderà il giudizio con una sentenza che accerti l'esistenza o meno del diritto di agire esecutivamente in capo all'Agente per la Riscossione, con ogni conseguenza in punto di regolamentazione delle spese di lite.

È necessario inoltre evidenziare che:

il d.l. n. 119/2018 all'art. 3 comma 5) ha regolamentato le conseguenze della presentazione della domanda di definizione agevolata sui giudizi di merito. In particolare, la norma ha previsto che una volta che il debitore ha manifestato all'agente della riscossione la sua volontà di avvalersi della «rottamazione», il debitore dovrà indicare il numero di rate nel quale intende effettuare il pagamento, nonché la pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione e assume l'impegno a rinunciare agli stessi giudizi (intendendosi per tali, tutti i giudizi di merito, anche relativi alle pretese creditorie sottostanti le cartelle esattoriali).

Pertanto:

l'attuale formulazione del

d.l. n. 119/2018

:

prevede all'art. 3 comma sesto, che nella dichiarazione di volersi avvalere della c.d. «rottamazione – ter» il debitore «indica l'eventuale pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi in essa ricompresi e assume l'impegno a rinunciare agli stessi giudizi, che, dietro presentazione di copia della dichiarazione e nelle more del pagamento delle somme dovute, sono sospesi dal giudice.

L'estinzione del giudizio è subordinata all'effettivo perfezionamento della definizione e alla produzione, nello stesso giudizio, della documentazione attestante i pagamenti effettuati; in caso contrario, il giudice revoca la sospensione su istanza di una delle parti».

L'ultima precisazione riguarda il d.l. n. 34/2019 (convertito dalla l. 28 giugno 2019 n. 58) che, nel modificare l'art. 4 del d.l. n. 119/2018, ha previsto lo stralcio dei debiti fino a mille euro affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2010.

Nel caso in cui le somme fossero state già corrisposte, l'Agente della Riscossione sarà tenuto a imputarle alle rate da corrispondere per altri debiti eventualmente inclusi nella definizione agevolata anteriormente al versamento, ovvero, in mancanza, ai debiti scaduti o in scadenza e in assenza anche di questi ultimi, prevede il rimborso.

Nel caso pertanto in cui nel corso del giudizio cautelare l'opponente faccia valere l'eccezione di cui sopra, il giudice dell'esecuzione dovrà accogliere tale motivo di opposizione, direttamente scomputando le somme stralciate ex lege dal totale del dovuto intimato nell'atto di pignoramento.

La liberazione delle somme accantonate dal terzo

Ultima problematica da esaminare è quella relativa all'eventuale richiesta, avanzata dal debitore, di liberazione delle somme accantonate dal terzo pignorato.

Val la pena ricordare quanto già trattato nel precedente focus (par. 1) in ordine al fatto che il pignoramento speciale ex art. 72-bis d.p.r. n. 602/73, diversamente dal pignoramento presso terzi notificato ai sensi dell'art. 543 c.p.c., prevede l'ordine di pagamento al terzo pignorato che invece nel pignoramento ordinario può essere imposto unicamente dal giudice dell'esecuzione con l'assegnazione delle somme.

Qualora venga presentata un'opposizione al pignoramento, il giudice nel decreto di fissazione dell'udienza per la trattazione dell'opposizione potrà disporre inaudita altera parte la sospensione ovvero il differimento dell'esecuzione, riservando all'esito dell'esame delle doglianze cautelari la modifica, conferma o revoca della disposta sospensione.

Il terzo pignorato, che si vedrà notificato il provvedimento sospensivo del giudice, non potrà provvedere al pagamento intimato nel pignoramento ex art. 72-bis notificatogli, ma dovrà unicamente provvedere all'accantonamento delle somme.

Stessa conclusione nel caso in cui, in sede di delibazione cautelare dell'opposizione, il giudice concluda per la necessità della sospensione dell'esecuzione.

In questo caso, qualora il debitore formuli la predetta istanza di svincolo delle somme accantonate dal terzo, si pone l'interrogativo del se il giudice possa incidere sulla procedura amministrativa di pignoramento, che non è di sua competenza per come abbiamo anche sopra visto, ordinando al terzo lo svincolo.

Certamente negativa deve essere la risposta qualora l'istanza venga presentata prima della trattazione della fase cautelare avanti il giudice ovvero nell'immediatezza della pur disposta sospensione cautelare: il terzo, proprio in virtù del ruolo di custode delle somme, è tenuto ad accantonare le stesse sino a che il giudizio sull'esistenza o meno del diritto di agire esecutivamente non si è concluso.

Diversamente, la soluzione positiva sembra preferibile qualora tale richiesta sia stata formulata dopo che il giudice dell'esecuzione abbia concluso la fase cautelare con una pronuncia di sospensione dell'esecuzione, stabilendo il termine perentorio per la riassunzione del giudizio di merito e nessuna delle parti abbia riassunto il giudizio nel termine.

Il tal caso, al fine di garantire al pignoramento speciale ex art. 72-bis una tutela analoga a quella concessa al debitore nell'esecuzione civile, l'istante dovrà provare la mancata riassunzione del giudizio di merito; a seguito dell'auspicabile fissazione di un'udienza finalizzata alla delibazione dell'istanza di svincolo delle somme e nel contraddittorio integro con l'Agente per la Riscossione, il giudice potrà allora disporre la liberazione delle somme accantonate dal terzo pignorato.

Alla stessa conclusione si perviene nel caso in cui, riassunto il giudizio di merito, si formuli nelle conclusioni la richiesta di ordinare al terzo la liberazione delle somme, cui provvederà con sentenza il giudice qualora accolga l'opposizione, discendendo in tale ultimo caso l'ordine di liberazione dall'aver accertato negativamente il diritto dell'agente della Riscossione di agire esecutivamente nei confronti del contribuente.

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