Institutio ex re certa e interpretazione testamentaria

Gabriele Mercanti
29 Dicembre 2020

In tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell'art. 588 cod. civ., l'assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale ("institutio ex re certa") qualora il testatore abbia...
Massima

In tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell'art. 588 c. c., l'assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale ("institutio ex re certa") qualora il testatore abbia inteso chiamare l'istituito nell'universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni, così che l'indagine diretta ad accertare se ricorra l'una o l'altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito e, quindi, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato.

Il caso

Il de cuius (D.R.A.) in data 19 giugno 2000 aveva disposto delle sue sostanze mediante un testamento pubblico il cui tenore letterale, al fine di poter comprendere la vertenza processuale, è indispensabile qui letteralmente riportare (come trovasi indicato nella pronuncia in commento): "Lascio a titolo ereditario a mia figlia D.R.G.S. la piena proprietà, della mia metà indivisa dell'appartamento al primo piano in Scicli, in via dei Lillà n. 82; lascio a titolo ereditario a mia figlia D.R.M.C. la piena proprietà della mia metà indivisa dell'appartamento al secondo piano, con la metà indivisa del vano realizzato sulla relativa terrazza di copertura dell'edificio in Scicli, in via dei Lillà n. 82; lego alla stessa mia figlia D.R.M.C. la piena proprietà della mia metà della predetta terrazza di copertura dell'edificio in Scicli alla via dei Lillà n. 82, a soddisfacimento del credito di lire quarantamilioni da lei vantato nei miei confronti in dipendenza di un prestito fattomi in occasione dei lavori di rifinitura dell'appartamento a secondo piano predetto; Nomino mie eredi universali, indivisamente ed in parti eguali, in tutto il resto del mio patrimonio mobiliare ed immobiliare, compresi quindi la mia casa di abitazione a piano terra in Scicli, in via dei Lillà n. 82, con tutto quanto in essa si trova, e la relativa corte di pertinenza; la grotta di Scicli, in via Ispica n. 26, nonchè il denaro, i depositi, gli eventuali crediti, alle mie due nipoti P.A.C. e P.E.V. Pongo a carico delle nominate mie due eredi universali le spese di miei funerali e dei seppellimento della salma".

A seguito del decesso del padre, venuto a mancare il 20 febbraio 2008, la figlia (D.R.G.S.) conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Modica la sorella (D.R.M.C.) e le due cugine (P.A.C. e P.E.V.) per ottenere la riduzione delle disposizioni testamentarie effettuate dal padre a loro favore in quanto asseritamente lesive della di lei quota di legittima, mentre le convenute si costituivano in giudizio contestando la domanda attorea eccependone l'improponibilità poiché, avendo a loro dire il testatore effettuato a favore dell'attrice un legato in sostituzione di legittima, ella non vi aveva preventivamente rinunciato come - invece - prevede l'art. 551 primo comma c.c. per poter agire in riduzione. La domanda dell'attrice veniva respinta dalla sentenza n. 224 del 30 agosto 2012 del Tribunale di Modica che accoglieva la ricostruzione delle convenute in ordine alla natura (di legato in sostituzione di legittima) a favore della signora D.R.G.S..

A fronte dell'appello proposto dalla parte soccombente, la Corte d'Appello di Catania con sentenza (non definitiva) n. 893 in data 15 maggio 2017 ribaltava il verdetto di primo grado e dichiarava come lesive - seppur parzialmente - le disposizioni effettuate dal padre a favore delle nipoti con conseguente genesi di una comunione ereditaria con l'attrice: a fondamento di detta pronuncia vi era il convincimento che tutti i soggetti indicati nel testamento fossero da reputare eredi, e non legatari, a prescindere dalle specificità terminologiche utilizzate dal testatore (le si ricordino: per la figlia D.R.G.S. “lascio a titolo ereditario”; per la figlia D.R.M.C. “lascio a titolo ereditario” e “lego … omissis … a soddisfacimento del credito”; per le nipoti P.A.C. e P.E.V. “nomino mie eredi universali, indivisamente ed in parti eguali, in tutto il resto del mio patrimonio mobiliare ed immobiliare”). A seguito della successiva sentenza definitiva n. 483 della Corte d'Appello di Catania, che - stante l'indivisibilità dei cespiti - condannava le nipoti a pagare una somma di denaro all'attrice D.R.G.S., le signore P.A.C., P.E.V. e D.R.M.C. ricorrevano in Cassazione asserendo che il giudice d'appello avesse erroneamente qualificato a titolo ereditario e non come legato in sostituzione di legittima l'attribuzione a favore dell'originaria attrice signora D.R.G.S., e ciò in quanto: a) non avrebbe tenuto conto della differente terminologia utilizzata per l'attribuzione alle nipoti (“nomino mie eredi universali”) rispetto a quelle utilizzate per le attribuzione alle altre figlie (“lascio a titolo ereditario”), costituendo ciò il primo motivo di gravame; b) si sarebbe limitato ad un'interpretazione lessicale dell'attribuzione a favore della figlia/attrice, senza dare prevalenza all'effettivo intento del testatore anche in considerazione del fatto che il ministero notarile avrebbe dovuto essere di per sé incompatibile con la possibile institutio ex re certa a favore dell'attrice stessa, costituendo ciò il secondo motivo di gravame; c) avrebbe, più in generale, violato i canoni interpretativi valevoli in materia testamentaria, costituendo ciò il terzo motivo di gravame.

La questione

La vertenza in oggetto si articola su un grande classico del dibattito successorio costituito dal ruolo rivestito dalla c.d. institutio ex re certa, i cui confini tanto concettuali quanto empirici sono notoriamente labili.

Per comprendere al meglio il thema disputandum non può che partirsi dall'apparente conflitto insito nell'art. 588 c.c.: il primo comma, infatti, parrebbe dettare una chiara bipartizione tra le disposizioni a titolo universale che attribuiscono la qualità di erede (e cioè quelle che “comprendono l'universalità o una quota dei beni del testatore”) e quelle a titolo particolare che attribuiscono, invece, la qualità di legatario (e cioè, a contrario, quelle che non sono a titolo universale); ma il secondo comma rimescola le carte sancendo che “l'indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio”, cosicchè le certezze scaturenti dal precedente comma vengono pesantemente scalfite.

Ma, allora, qual è la chiave di volta del sistema? Per trovarla, occorre notare che - in base ad una giurisprudenza monolitica - nell'interpretazione del testamento non ci si debba limitare al senso letterale delle espressioni usate dal de cuius, ma che serva rintracciarne più a fondo l'effettiva volontà facendo se del caso riferimento anche ad elementi ultronei alla scheda testamentaria quali le condizioni culturali, sociali e di vita in genere del testatore (Cass., Sez. II, 28 luglio 2020, n. 16079; Cass., Sez. II, 12 marzo 2019, n. 7025; Cass., Sez. II, 31 maggio 2018, n. 13868; Cass., Sez. II, 4 luglio 2017, n. 16409; Cass., Sez. II, 8 luglio 2016, n. 14070; Cass., Sez. II, 30 maggio 2014, n. 12242; Cass., Sez. II, 25 ottobre 2013, n. 24163; Cass., Sez. II, 20 dicembre 2011, n. 27773; Cass., Sez. II Sent., 3 dicembre 2010, n. 24637; Cass., Sez. II, 22 ottobre 2004, n. 20604). In quest'ottica l'eterogeneità del cit. art. 588 c.c. appare meno destabilizzante di quello prima facie potrebbe sembrare: imprescindibile - quindi - è accertare se il testatore intendesse o meno far subentrare il soggetto beneficiario delle disposizioni testamentarie in un complesso di rapporti giuridici, mentre è concettualmente secondario stabilire se ciò avvenga mediante una disposizione avente ad oggetto “l'universalità o una quota dei beni del testatore” (come prevede il primo comma dell'art. 588 c.c.) ovvero attraverso “l'indicazione di beni determinati o di un complesso di beni” (come prevede il secondo comma dell'art. 588 c.c.). Una volta ridotta ad unità dogmatica la normativa in questione, è necessario delimitarne l'operatività al fine di stabilire - a fronte di concrete disposizioni testamentarie - quando le si possa considerare a titolo universale e quando, invece, a titolo a particolare. Sul punto si deve registrare una pluralità di posizioni interpretative:

-tesi della presunzione di attribuzione a titolo universale: allorquando si sia in presenza di un'assegnazione di specifici beni, la disposizione - tranne ove ciò avvenga in modo chiaramente sussumibile nell'alveo del legato - dovrebbe qualificarsi a titolo universale, essendo immanente al nostro Ordinamento la fisiologica necessità di individuare un erede (Cass., Sez. lavoro, 12 luglio 2001, n. 9467 e Cass., Sez. II, 6 novembre 1986, n. 6516, seppur con riferimento al caso specifico di attribuzioni che esauriscano tutto l'asse ereditario; Trib. Roma, 12 febbraio 2003);

-tesi della presunzione di attribuzione a titolo particolare: in assenza di una chiara volontà contraria, l'attribuzione di singoli beni non potrebbe che qualificarsi come legato, in quanto il disposto di cui al secondo comma dell'art. 588 c.c. si pone come eccezione al principio sancito dal primo comma della medesima norma (Trib. Monza, 24 aprile 2020; Trib. Savona, 1 agosto 2019);

-tesi del criterio quantitativo: l'attribuzione di singoli beni potrà essere reputata a titolo universale soltanto nel caso in cui detti beni costituiscano la maggior parte del patrimonio del defunto (S. Delle Monache, Il testamento. Disposizioni generali. Artt. 587 - 590, in Comm. Schlesinger, Giuffrè, Milano, 2005, 205);

-tesi del criterio proporzionale: l'attribuzione di singoli beni potrà essere reputata a titolo universale soltanto nel caso in cui risulti che tali beni siano stati considerati dal testatore non singolarmente ma per il loro valore proporzionale rispetto al tutto (C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, Giuffrè, Milano, 1964, 382).

A prescindere dalle specifiche criticità delle ricostruzioni sopra sommariamente esposte, sulle quali in questa sede non vi è sufficiente spazio per dissertare, per completezza sistematica deve - infine - ricordarsi che secondo un'autorevole tesi (G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, in Riv. dir. civ., 1986, I, 243), peraltro lambita anche dalla sentenza in commento, la c.d. institutio ex re certa non sarebbe - addirittura - una figura autonoma nel nostro ordinamento, in quanto semplicemente integrerebbe gli estremi di una possibile modalità con cui il testatore può attuare la divisione come consentitogli dall'art. 734 c.c. ai sensi del quale “Il testatore può dividere i suoi beni tra gli eredi comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile”.

Le soluzioni giuridiche

Una volta inquadrati i termini astratti della problematica, ci si può con maggiore consapevolezza addentrare nella metodologia della decisione in commento: il S.C. ha respinto il ricorso, così confermando la ricostruzione del giudice di secondo grado e sconfessando l'approccio di matrice puramente letterale sostenuta dai ricorrenti. Infatti, secondo la ricostruzione degli Ermellini:

- posto che ad una figlia (D.R.G.S.) venivano lasciati dei cespiti “a titolo ereditario”, mentre all'altra (D.R.M.C) venivano sia lasciati dei cespiti “a titolo ereditario” sia altri per il quale il testatore utilizzava la formula “lego”, ciò proverebbe che il testatore - proprio perché a favore della figlia (D.R.M.C) aveva utilizzato due formule differenti - ben fosse conscio della differenza strutturale esistente tra eredità e legato e che, quindi, la figlia (D.R.G.S.) fosse da reputarsi erede dato che - altrimenti - non avrebbe logica spiegazione l'utilizzo di differenti terminologie per l'altra figlia (D.R.M.C);

- non inficia la teoretica di cui sopra l'utilizzo da parte del testatore di una differente formula per quanto riguarda le nipoti, nominate “eredi universali, indivisamente ed in parti eguali”, in quanto “la differente formula utilizzata per le figlie rispetto a quella invece usata per le nipoti appare piuttosto ricollegabile alla circostanza che mentre per le figlie l'istituzione di erede … omissis … era concretizzata mediante l'individuazione di beni specifici, per le nipoti l'istituzione concerneva tutto il residuo patrimonio, del quale non avesse già prima disposto in favore delle figlie”;

- stante la precisazione da parte del testatore circa il lascito dei cespiti a favore delle figlie “a titolo ereditario”, si è in presenza non di una c.d. institutio ex re certa bensì di una divisione del testatore senza predeterminazione di quote (così larvatamente aderendo alla tesi sopra riportata per cui la c.d. institutio ex re certa non avrebbe autonoma dignità nel nostro sistema; tuttavia, per una pronuncia contraria all'ammissibilità di una divisione del testatore senza la preventiva determinazione della quota ereditaria, si veda Trib. Vicenza, 14 giugno 2012).

Brevissimo cenno merita anche il tema paventato dalle ricorrenti di una presunta incompatibilità tra ministero notarile e la categoria concettuale della c.d. institutio ex re certa: in seno al ricorso, infatti, era stato sostenuto che la notoria preparazione giuridica del pubblico ufficiale - che gli impone di qualificare ex ante la natura delle attribuzioni testamentarie - non lascerebbe in re ipsa spazio all'attribuzione di beni in funzione di quota che, invece, richiederebbero una sorta di (ri)qualificazione ex post delle disposizioni stesse. A parere di chi scrive si tratta di assunto inconferente quantomeno da due punti di vista: in primis, perché nel nostro sistema vige il principio di equipollenza delle forme testamentarie (art. 601 c.c.) di modo che non può avallarsi la tesi per cui una medesima disposizione testamentaria (id est l'indicazione di beni determinati o di un complesso di beni) possa essere oggetto di differente qualificazione (a titolo universale o a titolo particolare) a seconda della tipologia di documento che la contiene; in secundiis, vero è che la figura della c.d. institutio ex re certa potrebbe essere - come detto sopra - di per sé degradata nella sua stessa esistenza a mera modalità attuativa della divisione del testatore di cui all'art. 734 c.c., ma se così fosse non potrebbe certo essere un effetto interpretativo (indiretto) dell'intervento notarile.

Osservazioni

La sentenza in commento presenta un elevato interesse pratico non tanto per il principio di diritto ivi affermato che è tralatizio nei massimari, e cioè che costituisca accertamento di fatto l'indagine volta ad appurare se la volontà del testatore fosse quella di “chiamare l'istituito nell'universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto” ovvero di “attribuire singoli, individuati, beni”, quanto perché consente di esaminare come in concreto l'autorità giudiziaria abbia qualificato le disposizioni testamentarie oggetto di contrastanti interpretazioni tra le beneficiarie delle medesime. Le conclusioni raggiunte dal Collegio appaiono, a parere di chi scrive, congruamente motivate e tali da consentire un'interpretazione delle disposizioni testamentarie funzionale alla mens testantis e rispettosa del disposto ermeneutico dettato dall'ambivalente art. 588 c.c..

Guida all'approfondimento

Giovanni Francesco Basini, Lasciti'' di beni determinati, ed istituzione di erede ex re certa, in Famiglia, Persone e Successioni, 2007, 3, 243;

M. Caccetta, L'institutio ex re certa: eredità o legato? La storia infinita, in Vita Not., 2020, 1, 495;

F. Mastroberardino, Institutio ex re certa e divisione disposta dal testatore, in Famiglia e diritto, 2016, 3, 252;

M. Pietrogrande, Heredis institutio ex re certa: l'indagine del giudice di merito, in Famiglia e diritto, 2008, 6, 610.

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