L'evoluzione del concetto di canone differenziato

Ladislao Kowalsky
30 Dicembre 2020

Ad avviso del Supremo Collegio, riguardo agli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola con cui viene pattuita l'iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto, purché siano rispettate determinate condizioni, mentre la legittimità di tale clausola va esclusa qualora risulti che i contraenti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria.
Massima

In base al principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola con cui viene pattuita l'iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto: a) mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo, o b) mediante il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione, oppure c) correlando l'entità del canone all'incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione delle parti, sull'equilibrio economico del sinallagma. Al contrario, la legittimità di tale clausola va esclusa qualora risulti - dal testo del contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione è onerata la parte che invoca la nullità - che i contraenti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della l. n. 392/1978, e così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, comma 1, della stessa legge.

Il caso

La vicenda portata all'attenzione della Cassazione riguardava la legittimità di una clausola di un contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo, del seguente letterale tenore: “le parti espressamente dichiarano che, qualora il contratto non venga disdettato alla scadenza, il canone già aggiornato per tale anno sarà aumentato nella misura del 10% ferma restando per le annualità successive l'applicazione dell'aggiornamento ISTAT secondo le norme di legge”. Ciò alla luce di tutte le altre clausole e, segnatamente, di quelle di cui all'art. 3 del contratto “il canone di locazione verrà aggiornato di anno in anno nei modi e termini previsti dalla l. n. 392/1978, art. 32 e successive modifiche ed integrazioni, riservandosi i locatori di precisarne l'ammontare”.

Nel caso di specie, la locatrice aveva intimato sfratto per morosità deducendo il mancato pagamento di canoni. La conduttrice si costituiva in giudizio contestando la domanda e rilevando, a suo dire, la nullità, ex art. 79 della l. 392/1978, della clausola contrattuale, riportata al precedente punto 2, rispetto: alla determinazione del canone in misura crescente nel tempo per violazione dell'art. 32 della l. n. 392/1978 - con evidente riferimento all'aumento del 10% del canone, come previsto nella clausola, scattato all'inizio del settimo anno di locazione il 1° luglio 2009 in occasione del rinnovo del contratto, decorrente dal 1° luglio 2003 - ed anche in relazione ad altra clausola che, in violazione all'art. 8 della legge citata, attribuiva al conduttore per intero l'onere del pagamento dell'imposta di registro.

Il Tribunale, ritenuta la validità di entrambe le clausole contrattuali, aveva dichiarato la risoluzione del contratto per grave inadempimento della conduttrice, condannando la stessa al pagamento dei canoni non corrisposti e disponendo il rilascio dell'immobile.

La Corte di Appello, investita dell'impugnazione, dichiarava l'inammissibilità della stessa per una non ragionevole probabilità di accoglimento del ricorso ex art. 348 bis cpc.

La parte conduttrice, evidentemente non soddisfatta delle due decisioni che la vedevano soccombente, proponeva ricorso avanti al Supremo Collegio affidando le proprie aspettative a quattro distinti motivi.

La questione

Come anticipato la materia del contendere riguarda, ancora una volta, la legittimità degli accordi, nei contratti di locazione, che prevedano i c.d. canoni a scaletta e, pertanto, la diversificazione degli importi da corrispondere nell'arco della durata contrattuale. Nel caso che ci occupa, inoltre e quale particolarità, sta il fatto che l'aumento del canone era previsto solo in occasione dell'eventuale rinnovo del contratto, per mancata disdetta o diniego di rinnovo. Aspetto di per sé rilevante non solo rispetto alla quantità del canone da corrispondere, ma anche per l'incidenza rispetto alla seconda tornata contrattuale.

Esaminando il primo aspetto relativo all'aumento del canone, l'evoluzione risulta essere nel senso di: una prima interpretazione (Cass. civ., sez. III, 11 agosto 1987 n. 6896) che riteneva l'accordo illegittimo alla luce delle disposizioni di cui all'art. 32 della l. 392/78 (nella originaria formulazione). Una seconda interpretazione sosteneva la legittimità della clausola di determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto, ancorandola ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull'equilibro economico del sinallagma contrattuale del tutto indipendente dalle variazioni annue del potere di acquisto della lira. Ciò salvo il perseguimento dello scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria eludendo i limiti di cui all'art. 32 legge equo canone (Cass. civ., sez. III, 3 agosto 1987, n. 6695, e numerose successive). Una terza più liberale opinione che ha ritenuto legittima la clausola in cui venga pattuita l'iniziale determinazione del canone in misura differenziata e crescente nell'arco del rapporto. Ciò sia mediante pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per frazione di tempo, sia mediante frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone maggiorato, sia collegando il canone all'incidenza di elementi o fatti (diversi dalla svalutazione) predeterminati. Fermo, anche in questo caso, il divieto qualora le parti abbiano perseguito lo scopo di neutralizzare la svalutazione monetaria (Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22909).

Le soluzioni giuridiche

È di tutta evidenza che il problema che ci occupa nasce storicamente dai concetti di aggiornamento e di adeguamento dei canoni di locazione che ritroviamo negli articoli, oggi abrogati, 24 e 25 dell'originario testo della Legge 392/78. Per aggiornamento si intendeva e si intende, ancorchè nella forma limitata del 75%, il mantenere l'originario valore del canone. Per adeguamento si intende il mantenimento del valore a quello di mercato. Sempre sotto un profilo di interpretazione storico, sistematica ed anche letterale va considerato che da tali due concetti l'adeguamento, salvo l'originario vincolo di cui all'art. 25 citato, rimaneva nella libera disponibilità delle parti.

La valorizzazione di tale concetto ha permesso l'evoluzione giurisprudenziale di cui si è detto anche rispetto alle prime timide, aperture secondo le quali l'aumento era legittimo in quanto legato a elementi predeterminati. Nel successivo prosieguo interpretativo gli stessi sono risultati svincolati dal dover essere evidenziati ed allegati e, pertanto, risultanti dalla pattuizione. Fermo, unicamente, il divieto di perseguire la diversa disciplina dell'aggiornamento ISTAT.

Si è, quindi, arrivati a considerare la pattuizione in oggetto, in quanto diretta a mantenere il valore reale del canone durante lo svolgimento del rapporto, legittima nel considerare rate quantitativamente differenti degli importi dovuti. E' decisivo il fatto, poi, che, come rileva la sentenza oggetto del presente commento, l'art. 32 della l. n. 392/1978 non impone affatto la limitazione agli aumenti del canone. Tale disposizione riguarda solo il potere di acquisto della moneta. Pertanto, atteso il suo carattere eccezionale, tale disposizione non ha estensione analogica rispetto ad accordi tra le parti diretti ad incrementare il corrispettivo della locazione rispetto ad eventi diversi dalla svalutazione. Ne consegue, inoltre, che tali aspetti non devono essere giustificati, indicati od individuati. L'unico limite è quello relativo all'esclusione nel caso in cui si tratti di accordi diretti a disciplinare diversamente dall'art. 32 l'aggiornamento dell'originario importo. L'onere probatorio di tale aspetto è in capo al conduttore.

Osservazioni

Siamo oramai ad una sostanziale liberalizzazione degli accordi di determinazione del canone che - si ripete - hanno quale unico limite il rispetto dell'aggiornamento nella misura del 75% dell'ISTAT salva la novella introdotta dal d.l. 7 febbraio 1985, n. 12 convertito in l. 5 aprile 1985, n. 118. A seguito della stessa, la limitazione del 75% può essere superata qualora la durata del contratto venga concordata in limiti superiori a quella di cui all'art. 27. SI ricorderà come, nell'occasione della citata novella, si pensò anche ad uno svincolo dal riferimento all'ISTAT che, tuttavia, non ebbe seguito né conferma.

La vicenda esaminata, inoltre, introduce anche altro aspetto relativo all'obbligatorio rinnovo del contratto, per il locatore, ex art. 28 della legge sull'equo canone, salva la facoltà di diniego solo nell'ipotesi di cui all'art. 29. La questione non è affrontata direttamente dalla decisione in quanto, evidentemente, ritenuta assorbita da quanto deciso dal Supremo Collegio. Tuttavia, rimane un dubbio, rispetto alla particolarità della pattuizione che considerava l'aumento del 10% nel caso di rinnovo. Come, infatti, evidenziato dai ricorrenti, un tale accordo potrebbe essere considerato in violazione al diritto di rinnovazione del contratto ex art. 28. E' di tutta evidenza, infatti, che il concetto di rinnovo dovrebbe considerare la riproposizione del rapporto nel suo precedente contenuto. Al contrario, l'aumento in occasione del rinnovo oltre a violare tale principio, verrebbe anche ad incidere sul diritto del conduttore di proseguire nella locazione alle precedenti condizioni (si pensi ad una clausola che preveda il raddoppio del canone).

Un'ultima considerazione rispetto alla clausola che prevedeva l'addebito del costo della registrazione. Rispetto alla stessa viene evidenziata non solo la previsione di nullità ex art. 79 Legge equo canone quale pattuizione diretta ad attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni ma anche perché l'art. 8 della l. n. 392/1978, relativo alla ripartizione a metà dell'imposta di registro, quale norma tributaria ha carattere inderogabile.

Riferimenti

Cuffaro - Padovini, Codice commentato degli immobili urbani, Toirno, 2017, 1084;

Celeste, Codice delle locazioni, Milano, 2020, 611;

Izzo, Anche per le locazioni commerciali diviene legittimo l'aggiornamento integrale del canone, restando, tuttavia, illeciti i patti di aumento, in Diritto e giustizia, 3 marzo 2009;

Kowalski, Canone (determinazione), in Condominioelocazione.it., 10 dicembre 2019.

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